Anime & Manga > Fairy Tail
Segui la storia  |       
Autore: Master Chopper    08/10/2021    4 recensioni
[STORIA AD OC - ISCRIZIONI APERTE]
Nell'epoca degli Stati Combattenti, il regno di Fiore si difende dai tentativi di invasione dell'Impero di Alvarez. In questo mondo immerso nel caos, giovani soldati si fanno largo mossi da grandi aspirazioni.
-Esperimento per vedere se si riescono a riportare in auge le storie ad OC-
-Fanfiction tributo a Lord_Ainz_Ooal_Gown-
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Prefazione: A causa del tempo passato dall’ultimo capitolo, vi consiglio di rileggere il precedente capitolo prima della lettura di quest’ultimo per avere ben freschi gli ultimi eventi. Ci vediamo nell’angolo autore.

 

SIMULAZIONE DI GUERRA

Un pugno colpisce una faccia. Una frase semplice, che per niente rende l’effettiva chimica e dinamica dell’azione: ossa coperte di carne che impattano ad alta velocità contro pelle e i nervi al di sotto di essa, provocando dolore istantaneo, facendo vibrare quello che è a tutti gli effetti l’organo più grande del corpo come la membrana di un tamburo percosso. Palpebre che si distaccano per un attimo dal bulbo oculare, un naso che si contorce come un budino e labbra che si deformano.

Thrax percepì tutto ciò mentre veniva per l’ennesima volta colpito in volto. Stramazzò al suolo mentre lasciava nell’aria uno spruzzo di sangue sputato dalla sua bocca. Quando quella nuvola rossa si fu diradata scoprì l’espressione perplessa dell’uomo in piedi di fronte a lui.

“Lo capisci o no che siete stati suddivisi in due gruppi proprio perché né io né Bea possiamo essere affrontati in un “uno contro uno”? Fossi in te andrei a cercare qualcuno e poi tornerei qui per il secondo round.” Che Vilhelm si stesse annoiando non era di certo un mistero: rispedire a tappeto quel ragazzo innumerevoli volte non rappresentava per niente la parola scontro. Al massimo bullismo.

“E per tua sfortuna non sono nemmeno uno che si diverte a torturare le persone. Quindi che tu passi o no questo test per me è ininfluente, basta che prima o poi mi aiuti a ragionare sulla mia perplessità.” Tutta l’eccitazione derivata dallo scoprire che il suo avversario avesse un soprannome simile al suo era ormai svanita, lasciando posto a pietà ed imbarazzo.

“Oppure se vuoi ti ridò la spada, così è più facile…” fu un errore voltarsi per guardare Grecale conficcata nella corteccia dell’albero, perché anche quel piccolo gesto di paio di secondi venne sfruttato.

La chioma viola ed ispida sembrò la scia di una cometa, mentre il corpo di Thrax si gettò sull’uomo. Ogni suo passo era provato dallo sforzo, e la vista era annebbiata dal sangue che gli colava lungo la fronte: sembrava a tutti gli effetti un inutile e disperato tentativo. Fu proprio quell’insensata follia, paradossalmente, a paralizzare Vilhelm sul posto.

Un pugno, un calcio, una spallata, una finta: cosa poteva aspettarsi da un nemico mosso da solo la sua forza di volontà? Nessun attacco sarebbe mai andato a segno, ma non poteva credere davvero che, per quanto quel ragazzo fosse frastornato, lui stesso non avesse già preventivato la sua ennesima sconfitta. Non con quegli occhi ruggenti con cui stava venendo fissato sin nel profondo della sua anima.

“Ora ho capito…” per fortuna pensare alla cosa più illogica che gli venisse in mente fece recuperare il sorriso al mercenario “… tu ragioni esattamente come ME!”

Nemmeno un animale si sarebbe finto così indifeso e morente pur di ingannare il suo avversario, con lo scopo di approfittarsi della sua guardia abbassata con precisione strategica. Nessuna specie al mondo, eccezion fatta per una particolare razza, la più crudele e maligna sulla faccia del pianeta.

“Perdonami se ti ho sottovalutato: sei un gran bastardo anche tu!” anziché contrattaccare o prepararsi ad incassare un incombente attacco, Vilhelm intercettò Thrax in modo diverso: le sue gambe si spalancarono come fauci, ma avvolsero sorprendentemente il collo del ragazzo come le spire di un boa. Bloccandogli le carotidi con le cosce ed incastrandogli le braccia tra un gomito ed il petto, il mercenario usò tutto il suo peso per trascinare a terra l’avversario.

E lì Thrax venne immobilizzato, terminando la sua avanzata con ancora lo sguardo fisso sul suo obbiettivo originale: Grecale.

Bloccato assieme a lui, l’uomo era divertito dal percepire i muscoli del giovane fremere al contatto con il suo corpo, trattenuti dall’esplodere in tutta la loro potenza: “Non avresti mai potuto uccidermi a mani nude, ma pensavi di recuperare la tua arma ed eliminarmi in un sol colpo. No… non è che semplicemente lo pensavi, non sei mai stato così stupido da sottovalutarmi. Tu sei convinto al cento percento che potresti uccidermi con un sol colpo di quella spada.” La presa di sottomissione era sempre più difficile da mantenere in quello stato di stallo, così decise che si era fatto il momento di stringere. Con la stretta delle sue gambe iniziò a soffocare Thrax, tagliandogli l’afflusso di sangue ed ossigeno al cervello.

La razza umana, la più crudele e maligna sulla faccia del pianeta. L’unica capace di trasformare un processo chimico come la liberazione di adrenalina, in uno metafisico: la forza della disperazione. Senza regole, senza controllo, arrivando persino alla più illogica autodistruzione, il corpo di Thrax si mosse. Un piede pestò il terreno, mentre la schiena si alzava, pur sostenendo il peso di una massa di muscoli, nonché quello dei suoi stessi muscoli gravati dal dolore.

Vilhelm spalancò gli occhi, e la sorpresa per un attimo gli fece dimenticare di stringere la morsa attorno alla gola. Quella dimenticanza gli costò cara, perché un solo passo fu tutto ciò che compì Thrax. Poi allungò un braccio.

Lo Scirocco balzò via percependo una pressione gelida lungo ogni poro della sua pelle. Era ancora in aria quando tutto ciò che lo circondava venne scosso. Il mondo intero si spostò in su, poi in giù, ed infine la sua faccia cozzò contro il terreno. Riaprì gli occhi cercando di ritornare nella luce, e quando si rialzò trovò qualcosa di sorprendente: c’era effettivamente molta più luce di quanta non ci fosse appena un istante prima del suo blackout. Questo perché i grandi alberi che oscuravano la luce della luna ora non le facevano più da ostacolo, e così quel chiarore argentato poteva illuminare libero una zolla di terra distrutta da una misteriosa forza.

I tronchi abbattuti erano stati ridotti a brandelli tagliati con precisione millimetrica, e anche solo respirare un’aria diventata improvvisamente gelida faceva percepire come tanti aghi conficcati nei polmoni. L’ossigeno era quasi irrespirabile a causa dell’alta pressione, un’esperienza che solo trovandosi a più di mille metri sopra il livello del mare si poteva conoscere. Vilhelm non avrebbe mai potuto immaginare che, su quell’isola, si sarebbe sentito come in alta quota in montagna.

E al centro della deflagrazione a forma di vortice che aveva deformato il terreno c’era un ragazzo dalla muscolatura imponente, curvo su di un fianco e con una lama appoggiata lungo la linea delle sue spalle. La lama era ricurva, simile ad un azzurro serpente piumato a causa dei settori a scaglie che la componevano, fatti proprio di un materiale simile a rigide piume.

 

La frenesia nella notte era inebriante. Scaglie, ossa e sangue di Iguana Ligre sprizzavano in aria, spremuti via dalla forza micidiale di un pugno contro una superficie ancora più dura. Julia stava ripetutamente cercando di abbattere un’innaturale cupola di terra sorta misteriosamente al centro della radura.

Eppure quella collina non solo aveva inglobato perfettamente la sua avversaria, Beatrice, ma si espandeva ad ogni colpo incassato. In altezza e dimensione, stava sommergendo la natura circostante ribaltando gli alberi direttamente dalle radici e facendo sprizzare falde acquifere sotterranee come geyser di fango.

Eppure la soldatessa non si era arresa, e con il rettile gigantesco che aveva calzato come un guanto provava ad abbattere quel muro.

“Nooo! Il mio dinobracciale!” purtroppo però si sbriciolò prima la povera carcassa, strappando alla ragazza una smorfia di genuina sofferenza.

La collina a quel punto rise, di una risata altisonante che più volte in quelle ore era risuonata nell’isola.

“Non comprendo proprio come tu potessi davvero esser convinta di farcela. Spero stessi scherzando, ma ti assicuro invece che la tua stupidità ti rende una comica persino decente! Non è vero, Alfred?”

Il maggiordomo, allontanatosi a distanza di sicurezza, si voltò verso la cupola di terra e vi parlò come se fosse una persona: “Non vedo perché me lo stia chiedendo, Lady Bea. Io non comprendo l’ironia, o per lo meno non sono sensibile al suo stesso umorismo, quindi non potrei ridere delle stesse cose che fanno ridere lei.”

Attorno a lui giacevano i quattro corpi dei bodyguard di Daisuke, riversi in pozze del loro stesso sangue. Il maggiordomo aveva a stento un graffio sopra il labbro, che asciugò con il fazzoletto per evitare di macchiarsi di rosso i baffi candidi.

“Sei davvero noioso, Alfred…” sbottò Beatrice, accavallando le gambe su di una sedia di roccia creata all’interno della sua cupola. “Ma mai noioso…”

Come un fiume in piena, una colata di terra investì Julia mentre era ancora intenta ad accanirsi contro il muro “…quanto te!”, squarciando in due parte della foresta per un centinaio di metri.

Ad arrestare l’attacco però non fu l’utilizzatrice del Tesoro Oscuro legato alla terra, bensì sorprendentemente una resistenza da parte della soldatessa. Ciò, constatando le sue dimensioni rispetto al pilastro di terra che l’aveva travolta, sembrava a dir poco impossibile.

“Sei TU quella noiosa qui…” eppure la bionda era lì, resistendo statuaria con i muscoli contratti oltre ogni umano limite. Degli spunzoni sporgenti dalla terra si erano incastrati proprio tra questi suoi muscoli, ma anziché perforarli si erano ritrovati intrappolati nella loro durezza. Tentacoli neri sporgevano dalla carne nei punti colpiti, ed avevano provvisto a bloccare l’attacco.

“Parli, parli e parli…” digrignando i denti, sembrò dare silenziosamente il comando ai quei tentacoli di attaccare, ed infatti essi presero a falciare la dura terra come una pioggia di falci “… per di più mentre combatti! Non si fa, bambina.”

L’istante successivo, il pilastro orizzontale si disintegrò, esplodendo in una miriade di macigni.

“Avrai il permesso di parlare solo quando ti avrò tra le mie mani, e a quel punto voglio vedere quante volte riesci ad implorare pietà prima che ti uccida.”

Non essendoci più nessun ostacolo tra Beatrice e Julia, la comandante poté osservare la soldatessa in tutta la sua feroce bellezza: unta di sangue anche se non sembrava aver riportato ferite, con i vestiti ridotti a brandelli e i capelli che serpeggiavano sopra la sua testa come fiamme.

E, cosa non da poco, sorrideva “La vittima media riesce a farlo ventisette volte. La colpa è mia, che a volte preferisco le morti lente.”

In lontananza, gli occhi di Alfred erano cerchiati dalla cupezza: in tutti gli anni passati a servire la sua padrona aveva sviluppato un legame empatico, avrebbero detto taluni, con essa. Anche se non poteva vederla, ne percepiva la serietà immediatamente assunta anche per via di un dettaglio non di poco conto: si era zittita. E Beatrice era raramente zitta.

Una voragine nella cupola si spalancò, permettendo alla nobildonna di farsi vedere e, di corrispondenza, di guardare dritta negli occhi la sua avversaria seppur a distanza.

“Tu sei Julia. Solo Julia, non hai cognome.” Cominciò così, posando entrambi i piedi per terra ed alzandosi.

“Sei venuta dal nulla, anzi, dal campo di battaglia. Sei stata spiegata in battaglioni di conquista in vari regni… da quel poco che sappiamo, potresti anche aver aiutato Alvarez a sottomettere la tua terra natia. Ma anche se fosse, non ti interesserebbe… e questo non l’ho letto su alcun fascicolo, lo vedo qui davanti alla mia persona. L’unica cosa che vuoi è vincere.”

“Certo che sì!” Muovendo un passo in avanti, Julia fece crepare il terreno sotto il suo piede a causa di un’improvvisa esplosione di forza muscolare. Ogni singola fibra del suo corpo era sovraeccitata e pregna di sangue, colorando la sua pelle prima di rosso, poi di violaceo ed infine di un colore molto vicino al nero pece.

Solo i suoi occhi splendenti e la sua chioma dorata brillavano nel buio.

“Perché io sono destinata alla grandezza!” Spalancò un sorriso contento.

“E questo è impossibile…” spezzando la sua serietà, Beatrice si lasciò contagiare dal sorriso per poi coprirlo elegantemente con la mano. Un piedistallo la erse di diversi metri sopra il terreno, così poté guardare a tutti gli effetti dall’alto in basso la sua nemica con nient’altro che disgusto nei suoi confronti.

“Perché sono io quella destinata alla grandezza… sono io la più importante, qui. Mentre quelli come te meritano solo di ruzzolarsi nel fango.”

Non bastò ulteriore provocazione a Julia per scattare in avanti con ferocia, assaporando già sadicamente la sua vittima e quanto l’avrebbe fatta ripagare. Le venne scagliata contro un’ondata di terra, ma che seppe schivare con un balzo sovrumano come se nulla fosse.

Ormai raggiunta dall’avversaria anche in quella posizione sopraelevata, Beatrice non poté più stare con le mani in mano. La terra eiettò la sua arma, nascosta fino in quel momento: un martello da guerra ben più grande di lei e dall’asta lunghissima.

Impugnatolo, lo sollevò oltre la sua testa, verso le stelle: “Stai al tuo posto.”

Il proiettile umano venne intercettato dall’arma come una palla colpita da una mazza. E, proprio come una palla, Julia venne rispedita a terra con un tonfo tale da scavare un cratere gigantesco.

“Scopriamo se questo martello è più duro della tua testa!” rise sguaiatamente Beatrice, stavolta non coprendosi neanche più la bocca.

Riemergendo dalla terra a quattro zampe, come un animale che fuoriusciva da una cavità, Julia preparò un altro attacco con furia omicida negli occhi. Tuttavia, qualsiasi sua intenzione venne interrotta dall’improvviso ribollire del terreno. Non era simile ad un terremoto, bensì ad una letterale ebollizione della terra, come avviene con l’acqua in pentola.

A causa di quel misterioso fenomeno, per la bionda fu impossibile mantenere l’equilibrio, e non poté nemmeno prepararsi quando venne raggiunta con uno scatto da Beatrice. Il martello oscillò nel buio, dandole il tempo per difendersi, ma senza darle preavviso di ciò che sarebbe successo.

Julia scivolò all’indietro, ma non riuscì ad arrestare l’inerzia incassando i piedi nel terreno, proprio perché questo era diventato molliccio ed in continuo tumulto Continuò così a scivolare all’indietro, come sul ghiaccio, acquistando sempre più velocità anziché rallentare. La sua corsa fu interrotta quando cozzò schiena e nuca contro un muro di roccia fatto erigere preventivamente dalla comandante: a quel punto Julia rimbalzò, e cadendo in avanti continuò a scivolare ancor più velocemente.

Il secondo impatto con il martello di Julia le strappò un grido soffocato malamente tra i denti.

“Facendo muovere la terra in questo modo, annullo qualsiasi frizione.” Beatrice si zittì appena in tempo per non coprire il suono di Julia che si schiantava per la seconda volta contro il muro. Poi la vide scivolare di nuovo verso di sé “È una tecnica che comporta molta concentrazione, per questo mi conviene stare ferma ed aspettare che mi rimbalzi contro come in una partita di tennis contro una parete!”

Dopo essersi resa conto di quanto era divertente ciò che aveva appena detto, scoppiò a ridere, dandosi delle arie per essere una comica perfetta, ma non senza aver scagliato via la ragazza con ancora più forza delle volte precedenti.

 

Alfred era sempre più cupo, forse proprio disturbato da quella sanguinosa quanto esagerata questione.

“Lady Bea” mormorò tra sé e sé “è alquanto preoccupante che, quando qualcuno vi infastidisce, non riusciate a far distinzione nel vostro trattamento punitivo. Che sia un soldato da addestrare… oppure una persona come Julia…”

Quel che sapeva di Julia proveniva dalle innumerevoli pagine di fascicoli che Beatrice aveva pigramente ignorato, ma che invece affermata di conoscere a menadito. Ovviamente nessuno le credeva, ma nessuno aveva osato sollevare una polemica sulla questione.

Julia aveva cominciato facendo la soldatessa, e soldatessa era rimasta nei suoi pochi anni di carriera. Ciò non era insolito, serviva davvero tanto tempo e tante gesta per scalare i ranghi, ma era altrettanto vero che lei era pressappoco sconosciuta. E, quando una persona della sua forza e con addirittura un Tesoro Oscuro è “sconosciuta”, ciò avviene perché convenzionalmente la si vuole mantenere sconosciuta. È come una voce di corridoio, una storia che si racconta sussurrando perché farebbe troppo rumore se ne si parlasse liberamente, e forse sempre meno soldati vorrebbero far parte di un esercito in cui lei è presente.

Cinque parole: atti orripilanti commessi in guerra. Senza dubbio con un fascicolo così non si poteva di certo renderla capitana. Julia era conosciuta per non possedere una morale, né un senso della misura o della pietà, ma al contrario una vorace fame di atrocità. A differenza di soldati come Thrax Umbral, che non si faceva problemi nell’uccidere innocenti se intralciavano le sue operazioni, Julia prima, durante e dopo le sue missioni andava con dedizione a caccia di innocenti in territori di guerra per giustiziarli nei modi più orribili. Era incline alla tortura, si faceva volentieri carico di esecuzioni di massa per facilitare le cose ai suoi superiori, e soprattutto sosteneva che tutto ciò fosse perfettamente in regola con l’etica del soldato.

Non era una patriottica, né un’indottrinata, semplicemente era nata con la convinzione che in guerra qualsiasi gesto fosse consentito, senza esclusione. Si diceva che ciò fosse attribuibile a pratiche macabre della sua terra d’origine che aveva assimilato sin dall’infanzia, assieme al suo misterioso Tesoro Oscuro.

“Milady, stia attenta a quali persone cercano di entrare nelle sue file…” la ragguardò mentalmente il maggiordomo, titubante di quel programma di formazione di soldati creato dalla Stratega Imperiale.

 

 

La spada piumata Grecale da sguainata brillava di una fredda luce verdastra, e anche se ora riposava sulla spalla di Thrax pareva pronta più che mai ad abbeverarsi di sangue.

“Capisco. Finalmente possiamo fare sul serio” i capi delle catene a forma di teste di lupo vennero fatte scivolare fino a terra, intanto che Vilhelm annuiva soddisfatto “Skoll-e-Hati non veniva usata da tempo contro un altro Tesoro Oscuro.”

Il ragazzo lo caricò ancor prima che finisse la frase, solcando il terreno con uno slancio brutale, tanto da dover caricare il fendente da oltre la sua schiena. Tracciò un arco nell’aria, trascinando tuta la pesantezza del colpo sul suo immobile avversario. Chiunque avesse provato a resistere a tanta potenza, avrebbe sicuramente visto tutte le sue ossa sbriciolarsi come morbida terra tra le dita di una mano.

“Per tua fortuna non sono così pazzo da cercare di difendermi!” gridò il mercenario, spalancando le braccia per far sferzare la sua catena, e dopodiché catturare in un cappio la lama nemica. Le armi innestate su catena erano qualcosa di poco conosciuto ad Alvarez, e Vil aveva fatto la sua fortuna disarmando e poi uccidendo poveri sprovveduti proprio con quell’arma insolita.

Tuttavia, con sua grande sorpresa, il nodo si strinse attorno al nulla. La lama che pensava di aver catturato gli sparì da sotto gli occhi, nonostante potesse ancora seguire il movimento delle mani di Thrax. Quando un dolore lancinante lo fece ringhiare dal dolore, finalmente la rivide: lì, conficcata nella sua spalla. La punta gli aveva scavato soltanto fino all’osso, ma al contempo causò una fuoriuscita ingente di sangue.

“Cosa?!”

“E non hai ancora visto niente…” lo sguardo serio di Thrax non servì a nascondere la sete di sangue dietro le sue intenzioni, ed il mercenario poté leggergliele in quegli occhi freddi con così tanta intensità da spaventarlo. Per la prima volta da quando aveva incontrato quel ragazzo ora era spaventato. No, non bastava a descrivere cosa percepì:

-Io… sto per essere ucciso!-

“Skoll! Hati!” un’esplosione di luce calda accecò istantaneamente il viola, ma non fu sufficiente ad impedirgli di far forza sulle sue braccia per dilaniare lateralmente il corpo del suo avversario. Partendo all’altezza della spalla, recise muscoli e carne fino a raggiungere il collo, il quale fu inevitabilmente reciso dal resto del corpo.

 Legno. Thrax si accorse troppo tardi di aver tagliato in due solo un tronco di legno. Un albero sospeso in aria era tutto ciò che si parava di fronte a sé, mentre del mercenario chiamato Scirocco non c’era traccia.

O meglio, l’unica traccia rimasta era la catena, la sua arma, attaccata per un capo proprio al suddetto albero. L’altro capo era da qualche parte dietro la schiena di Thrax, e la catena era tesa.

Non riuscì a reagire in tempo, a causa dell’insensatezza di quanto fosse accaduto: l’albero venne tirato a sé da Will, apparso misteriosamente alle spalle di Thrax, investendo così il giovane soldato. Con grande forza centrifuga della catena, entrambi vennero fatti roteare in un mulinello di distruzione, abbattendo la fauna circostante.

“Hati! Skoll!” al nuovo grido, una luce fredda illuminò l’aria e di colpo fu Vil a riapparire di fronte a Thrax. Entrambi fluttuavano, in attesa che la gravità li facesse piombare sul cumulo di macerie sottostanti. Il viola aveva il volto ed il corpo tumefatti, con gli abiti ridotti a brandelli da grosse schegge di legno ancora conficcate nella carne. Con due occhi lattiginosi osservò il grosso mercenario, in posizione elevata sopra di lui, stringere il pugno avvolto dalla catena per poi scagliarglielo addosso con tutta la sua forza.

“Grecale!” Quello fu il momento che tanto aveva aspettato. Il suo corpo ovviamente non poteva più rispondere di tutta la sua forza, ma il giovane non aveva smesso di credere nel proprio Tesoro Oscuro: la spada eiettò un getto di aria compressa da un solo lato, proiettandola in avanti per intercettare, a velocità ancor maggiore, il pugno dell’uomo.

Le piume smeraldine recisero la mano all’altezza della nocca centrale, incontrando però un’inaspettata resistenza contro il ferro della catena. In più, Vilhelm aveva scagliato un calcio per bloccare il braccio dello spadaccino. Lo stallo, ora che iniziarono la loro discesa verso l’oblio, era stato raggiunto con grande sorpresa di entrambi.

Thrax comprese di aver sovrastimato la propria spada, come se potesse effettivamente controllarla decentemente pur con tutti i muscoli anchilosati e con tutto il sangue perso. Vilhelm invece aveva voluto attirare Thrax in trappola per disarmarlo, sapendo che solo in uno scontro faccia a faccia avrebbe avuto la meglio, specialmente dopo la scoperta dello spaventoso potere di Grecale.

Zefiro e Scirocco si erano scontrati come due potenze inarrestabili, ottenendo però un bel niente. Ed erano incazzati a morte per questo.

Quando piombarono al suolo come due pesi morti si sollevò una nuvola di fumo e terra dall’aspetto di un fungo, ben più grande delle cime degli alberi al momento assenti a causa del loro lavoro di deforestazione.

Distesi l’uno specularmente all’altro, non potevano che guardare il cielo, con le armi scivolate appena fuori dalla portata delle loro mani.

“Che c’è, ragazzo? Ti vedo silenzioso.” Il sorriso di Vill era più stanco e tirato che mai. L’altro ci mise un po’ prima di rispondere e parlò con tono distante, immerso nei pensieri.

“Stavo riflettendo sul perché e su quando mi abbiano iniziato a chiamare Zefiro…”

“Cosa?! E ci stai pensando adesso?”

“Prima stavo cercando di ucciderti, non avevo tempo per pensare.”

Thrax, serio come una statua di cera, non capì perché l’altro fosse scoppiato a ridere dopo le sue parole, ma bastò poco prima che la stanchezza si facesse sentire: sogghignò, poi cominciò a sghignazzare pure lui. Stesi per terra a ridere come due bambini che giocavano.

“Comunque… me l’ha dato il Generale al quale prestavo servizio: Dimaria Yesta.”

“Quella morta?”

“Quella sparita.” Lo rettificò con una certa stizza “non ci credo che qualcuno l’abbia potuta sconfiggere… era la donna più forte che abbia mai visto combattere, nonché un membro degli Spriggan 12.”

L’uomo sbruffò, mantenendo però il suo sorriso beffardo: “Non ha senso come ragioni. O meglio, ha senso se la tua mente è quella di un soldatino di piombo. Se un codardo topo di fogna travestito da cuoco avvelenasse il più forte uomo del continente, quel bastardo non sarebbe il nuovo uomo più forte del mondo… solo qualcuno che ha scelto, o si è trovato, nella situazione giusta per uccidere. Siamo tutti fatti di carne e sangue dentro, e quando dormiamo, o mangiamo o facciamo i nostri bisogni siamo comunque indifesi come neonati.”

A Thrax tornò in mente la sala da pranzo nella villa di God Serena, presumibilmente l’ultimo luogo che avevano visto i due membri degli Spriggan 12 scomparsi.

“Tu pensi che sia stata ucci-”

“Attento!!”

 

 

Quella danza iniziava a stizzire la nobildonna, nonostante la sua espressione ferma anche quando stille di sangue gli macchiavano il volto ad ogni colpo di martello. Era in quel momento che lo vedeva: quelle gocce di sangue scurissimo, dopo essersi depositate sulla sua pelle cerea, erano vive: si dimenavano per qualche secondo sollevando piccoli tentacoli dalla dimensione di peli, e per fortuna troppo minuscoli per riuscire in qualsivoglia intento.

 “Il mio Tesoro Oscuro, Hagea, mi permette di controllare la terra che ho toccato. È un potere così semplice e lampante che non ho problemi ad utilizzarlo, per quanto dopo anni di utilizzo sia diventato eccezionalmente eclettico.” Il suo volto contratto dalla serietà si riflesse nella superficie argentata di Hagea, l’anello che indossava sull’anulare “Mentre il tuo…”

Non seppe mentire a sé stessa: non aveva proprio idea di cosa fosse il Tesoro Oscuro di Julia.

La vide schiantarsi per l’ennesima volta contro la parete, ed approfittò di quella frazione di secondo per riflettere.

“Dubito sia qualche capo d’abbigliamento che sta indossando: quando i Tesori Oscuri riportano danni fatali si disintegrano istantaneamente, altrimenti rimangono intatti. Che sia qualche gioiello, come Hagea? In ogni caso è assurdo il potere che le conferisce: non erge alcun tipo di barriera di protezione, sembra piuttosto indurire il suo corpo, ma allo stesso tempo… quei tentacoli che provengono dalla sua carne...”

Nonostante la sua grande intelligenza ed adattabilità alla battaglia, Beatrice Alighieri era ancora all’oscuro della vera natura del potere di Julia, e perciò lo vedeva come qualcosa di mistico, una qualche sorta di concetto molto vago che tuttavia sapeva essere impossibile nell’ambito dei Tesori Oscuri. Stava mancando il punto della questione: non si trattava di qualcosa di generico come “corpo” o “carne”.

“Ti ammazzo!” esplose improvvisamente Julia, e per un attimo i suoi capelli si gonfiarono attorno alla testa come la corona infiammata del sole. Si trovava ancora sospesa a mezz’aria, con la schiena incassata nella parete, ma in procinto di rimbalzare a causa dell’inerzia.

E fu lì che Beatrice lo vide, e comprese: con una spinta di reni, Julia fece prorompere dai suoi muscoli dorsali centinaia di neri tentacoli, i quali ebbero l’effetto di spingerla in avanti come se stesse cavalcando lo spostamento d’aria di un’esplosione. Il muro che aveva lasciato alle spalle si era sgretolato nel vento.

Le mani della bionda sudarono mentre si affrettavano a stringere il martello da guerra, colte alla sprovvista. La velocità d’impatto era di colpo stata moltiplicata di un valore indeterminabile. Per la prima volta dall’inizio del combattimento, non riuscì a mantenere il suo proverbiale sangue freddo.

“Chi cazzo vorresti ammazzare, eh?!” ruggì di risposta, svuotando i polmoni mentre contorceva il suo bel viso in una maschera di ferocia.

Due stupende donne, ora dai volti deformati tanto da sembrare dei demoni, collisero.

Un istante prima di venir intercettata dal martello, Julia roteò attorno al suo asse per porre la spalla destra a difesa della testa. Il muscolo contratto urtò il metallo rinforzato e lo deformò come fosse stato un attrezzo incandescente da fabbro.

Beatrice si abbassò in tempo, avendo purtroppo previsto l’inefficacia del suo attacco, ed evitò di venir travolta da Julia.

“Sei un’avversaria temibile… se fossi contro di me in guerra, sarebbe impossibile sconfiggerti senza causare decine… no, centinaia di vittime indesiderate nel nostro scontro.”

La ragazza continuò il suo volo come un proiettile, ma anziché aspettare di rallentare si schiantò deliberatamente sul terreno per rimbalzare all’indietro come aveva fatto prima, diretta nuovamente contro la comandante.

“Vittime indesiderate?! Ah! Le mie preferite!”

“… ma in un uno contro uno lottare contro di te sembra quasi una battuta di caccia.” Il sorrisetto di Beatrice fu l’ultima cosa che Julia si sarebbe aspettata di vedere, e le si parò di fronte come se la nobile non avesse alcuna paura del suo nuovo attacco.

Ed infatti, l’unico motivo per cui l’aveva lasciata avvicinare in una carica così prevedibile, era perché voleva che si trovasse esattamente in quel punto: da sotto i piedi della soldatessa la terra emerse, inglobandola in quella che doveva essere sabbia e argilla. La stessa cupola inscalfibile che prima aveva protetto Beatrice adesso imprigionava Julia in un bozzolo perfetto.

Finalmente piombò il silenzio nella radura, pesantemente deformata dallo scontro.

Sebastian constatò come la battaglia avesse generato dei terremoti abbastanza forti da colpire tutta l’isola, probabilmente causando uno sprofondamento della costa nel mare oltre che all’abbattimento di buona parte della foresta.

“Lady Bea.” Disse alla ragazza, ora intenta ad accarezzare il bozzolo di dura terra con sguardo quasi affascinato.

“Cosa, Alfred?”

“Temo che il suo sonno di bellezza quest’oggi risentirà di un’ora in meno.” Quella rivelazione causò un improvviso cambio d’umore in lei, facendole aggrottare le sopracciglia e spalancare la bocca per lo sdegno.

“Co-Come?! No! Io voglio dormire quanto basta, non ci sono scuse.”

“Non sono scuse, signorina, sono i suoi impegni di domattina che la aspettano…”

Alfred conosceva bene Beatrice, e sapeva quanto quel genere di discussione andasse sempre allo stesso modo. Per questo motivo, preparandosi a farsi sbraitare addosso ingiustamente per almeno un’ora, aveva volutamente abbassato la sua soglia dell’attenzione.

In quel frangente, in altre parole, aveva abbassato la guardia. E ciò non rimase impunito.

Per primo, due braccia si serrarono attorno alla sua gola, ancorandosi con le gambe all’altezza del torace per immobilizzargli gli avambracci. Percepire una tale presa di sottomissione, o soffocamento, è diverso dal percepire dolore e reagire istantaneamente. Richiede più tempo, perché è un modo innaturale di venir attaccati, e dunque il cervello umano elabora la reazione al pericolo in più tempo.

In quella frazione di tempo in cui Alfred era ancora in fase di elaborazione, nessuno gli diede chance di rispondere. Una seconda persona gli falciò le gambe da dietro con un calcio, colpendo con così tanta forza i tendini di Achille da togliergli immediatamente l’appoggio a terra.

A quel punto, sospeso a mezz’aria ed in attesa di cadere sulla schiena, il maggiordomo poté vedere i due restanti assalitori: erano le guardie del corpo sopraggiunte con Julia, e che dopo la loro repentina sconfitta avevano avuto abbastanza tempo da recuperare le forze per tendergli un attacco a sorpresa.

Li vide a rallentatore, forse a causa del poco afflusso di sangue e ossigeno al suo cervello.

“È impossibile che abbiano comunicato tra di loro in questi minuti per elaborare una simile strategia… e che strategia!” i suoi pensieri si sovrapponevano alle immagini viste dai suoi occhi: una guardia del corpo prese le mani al suo collega ed iniziò a roteare facendo perno sui talloni, sollevando l’altro in aria per tracciare un mulinello in aria.

“Vedo del potenziale in questo… vostro… spirito collaborativo-.” La guardia del corpo venne scagliata contro Alfred, atterrando in drop kick perfettamente sul suo fegato. Un punto del corpo umano non perfettamente coperto dalla gabbia toracica, ed un bersaglio ideale per forzare istantaneamente reazioni involontarie, quali rallentamento del battito cardiaco e perdita di coscienza.

Beatrice assistette impotente alla sconfitta fulminea del suo maggiordomo, distraendosi da ciò che più doveva tenere d’occhio in quel momento.

Il pugno di Julia sfondò la terra come se fosse carta, conficcandosi ulteriormente nel torace della sua avversaria e penetrando anch’esso. Sangue ed ossa schizzarono in aria al suono agghiacciante di una vita sbriciolata dalla forza bruta. Dalla crepa aperta nel bozzolo il volto della soldatessa fece capolino, con i suoi occhi luminosi nell’oscurità.

E così scoprì che tutto ciò che aveva colpito, o che pensava di aver colpito, non esisteva.

Beatrice aveva compiuto un balzo per evitare il colpo, ed ora la guardava dall’alto con massima soddisfazione. Abbassò la mano verso il suolo, e la cupola che ancora in parte avvolgeva Julia si inabissò nel terreno, facendo sprofondare la rossa con essa.

Tutto ciò che emergeva dal terreno era la testa della soldatessa, ruggente ed infuriata a causa dell’ultima delusione subita. I suoi occhi pulsavano in modo insano.

“Sembra che il tuo Tesoro Oscuro agisca sull’afflusso di sangue nel tuo corpo, potenziando i tuoi muscoli” constatò la nobile, atterrando con grazia davanti a quella testa che sporgeva come un fungo da terra.

“Per questo motivo colpirti non scalfisce minimamente i tuoi muscoli, ma al massimo lacera la pelle e permette al tuo sangue di difenderti uscendo dal corpo. Tuttavia… sebbene tu abbia un perfetto controllo del tuo sistema cardiovascolare, non si può proprio dire che un esagerato eccesso di circolazione del tuo sangue non causi forte stress al tuo cervello: ecco spiegate le allucinazioni che dovresti percepire adesso, dopo un lungo utilizzo del potere.”

Ad onor del vero, tutto ciò che Julia percepiva non era affatto Beatrice che le parlava, ma immagini di morte e distruzione e suoni di urla strazianti tra esplosioni e ululati ferali. Il suo mondo grondava sangue, proprio perché i suoi stessi occhi erano impregnati di sangue.

“Perciò prima ho detto che combattere con te è come cacciare un animale: bisogna solo aspettare che si stanchi, dopodiché è fatta!” trillò infine la bionda, scoppiando a ridere civettuola come sempre.

Dopodiché imbracciò il martello, accarezzandolo distrattamente mentre dedicava uno sguardo alla volta celeste.

“Ovviamente per me sarebbe impossibile sfondarti il cranio. Questo martello non è più duro della terra che, abbiamo visto, riesci tranquillamente a spaccare: infatti, se non agisco in fretta ti libererai e saremo punto e d’accapo.”

La sua voce era a tratti coperti dai latrati disumani che emetteva la ragazza intrappolata, ma non ci prestava molta attenzione. “Non esiste un punto del corpo umano privo di muscoli, per quanto piccoli, e la testa non fa eccezione. Ergo, io ti colpirò, ed i tuoi muscoli ti difenderanno.”

Sotto la luna, gli occhi azzurri di Beatrice splendettero come due trasparenti cristalli di ghiaccio, e come tali lasciarono nell’aria il sentore di una morsa glaciale: “Ma non per questo non sarò in grado di sconfiggerti.”

Fu un istante, fu un rombo di tuono, fu l’ennesimo terremoto. Uno swing perfetto raso al suolo che suonò la testa di Julia come un gong. E, proprio come una campana, successivamente al rumore immediato dell’impatto ne seguì un altro: un ticchettio, ma più simile ad un tonfo.

Fu un danno invisibile, che nemmeno Julia riuscì a percepire nell’istante in cui perdeva conoscenza: per quanto la sua testa fosse protetta da danni esterni, il forte impatto del colpo era comunque riuscito a spostare il cervello al suo interno. Esso aveva rimbalzato contro le pareti interne della scatola cranica con sufficiente forza da causare una commozione cerebrale.

Qualcosa che la soldatessa non aveva mai sperimentato in vita sua.

“Sei davvero un fiore.” Beatrice ammirò il viso della sua svenuta avversaria, lodandola nonostante stesse perdendo bava dalla bocca “Ma un fiore di campo. Io invece sono un Edelweiss, una bellezza del tutto diversa ed impossibile da cogliere… specie con quelle mani luride che ti ritrovi. Abbiamo finito, Alfred?”

La sua bocca si imbronciò, vedendo il vecchio privo di sensi per terra, assieme ai quattro bodyguard che non avevano retto le troppe ferite.

“Ohibò, Alfred. Alfred? Alfred!” arrivò persino a punzecchiarlo con la punta del martello, con così tanta forza da incrinargli una costola e farlo tossire in preda agli spasmi.

“Mi-Milady! Ma le sembra il modo di affliggere le mie vecchie ossa?”

“E a te sembra il modo di comportarti?! Ho appena vinto, e non ho ricevuto nemmeno un complimento! E in più sono in ritardo per il mio sonno di bellezza, questo è davvero-”

“Lady Bea attenta!!”

 

Ciò che era accaduto in quell’istante fu un evento apparentemente insignificante, ma che alterò i risultati di quei due scontri.

“Accipicchia, nemmeno gli scout mi avevano preparato a questo!” la centoquindicesima zanzara schiacciata con il palmo della mano fu una killing streak impressionante per Daisuke, il quale era prossimo alle lacrime. Non tanto per la paura dell’oscurità e delle bestie ululanti, o per la disperazione di star vagando da ore senza una meta, ma più che altro per la puzza nauseante scaturita dal liquido che aveva calpestato poco prima.

Risultato: pantaloni e scarpe rovinati, e sciami di insetti che gli davano la caccia. Iniziava a sospettare che fosse quella la vera prova dell’isola. E proprio mentre chiamava disperato il suo Tesoro Oscuro Teddy, una misteriosa presenza lo osservava a svariati chilometri di distanza.

Più precisamente con l’ausilio di un cannocchiale, la Stratega Imperiale Amasia Proxima lo teneva d’occhio da diverso tempo, così come gli altri ospiti dell’isola. Accanto a lei c’era Sunse, il quale senza nemmeno modo di assistere agli scontri si grattava distrattamente lo sporco dalle unghie, o spruzzava insetticida con la stessa disperazione di Daisuke. Il rifugio su di una collina su cui si trovavano presentava fuori alla porta un cartello con un disegno della faccia della ragazza che vietava assolutamente l’accesso ai non autorizzati.

“Si può sapere perché cazzo vuoi che io sia qui?!”

“Non si parla così ad una stratega, fante!” Amasia lo colpì con il cannocchiale in testa, mostrando però un sorriso divertito. “Anche tu dovresti imparare la stessa lezione che stanno apprendendo loro.”

“Ovvero?” domandò il blu, massaggiandosi il capo.

“La disciplina. Ciò che è più importante in una guerra è una grande battaglia. E ciò che è più importante in una battaglia è il comportamento di un soldato. E ciò che è più importante di un soldato è la sua disciplina: senza disciplina, la guerra è persa. Questi avanzi di galera si stanno interfacciando con dei professionisti nei loro campi: Vilhelm è un assassino ligio al dovere, mentre Beatrice è impeccabile nel farsi rispettare, perché il suo modo di osservare l’avversario le rivela sempre la verità. Capito?”

“No.” il ragazzo era sul punto di andarsene.

“Sto dicendo che sono persone di cui ci si può fidare, delle guide!” Amasia lo colpì un’altra volta, stavolta facendolo imprecare e scappare a qualche metro di distanza. “Capi così sanno tenere il morale alto, gestire le risorse per far mangiare tutti, ma soprattutto avere dei soldati che si fidano l’uno dell’altro, perché conoscono le reciproche capacità e sanno i reciproci punti di forza e di debolezza.”

“Sì, ma un soldato che si ribella ad un altro soldato suo pari, non è meno preoccupante di un soldato che si ribella al suo superiore. E a quanto mi hai detto, quel Thrax ha subito mandato a fanculo Daisuke appena iniziata la prova.”

“Certo, e cosa ha ottenuto? Ha provato a combattere lo Scirocco da solo, e fidati, se n’è reso conto anche lui: Vil avrebbe potuto ucciderlo quando voleva. Ora ha, non dico definitivamente, abbassato la cresta!”

Inquadrò l’espressione di Zefiro a combattimento finito, mentre dialogava con il comandante suo ex-avversario.

“Se in guerra cercate la soddisfazione individuale fate altro, tipo il cuoco. In guerra si vince e si perde come un esercito, siete dieci, cento, mille respiri in uno” mormorò a labbra socchiuse, causando una reazione di evidente fastidio nell’altro.

“Ma è possibile che tu sai solo parlare tramite massime sulla guerra? Sei noiosa.”

“Sunse, Sunse, Sunse…” La ragazzina iniziò a battersi il cannocchiale sulla mano, minacciando indirettamente il giovane con un sorrisetto diabolico. Ciò bastò a far appiattire l’altro di schiena contro la parete.

“Certo che nei miei interessi non c’è solo la guerra! Sono un’appassionata di cucina! Però tu non mi hai ancora detto niente per la cena che ti ho preparato…”

Residui di un pasto erano adagiati su di un basso tavolino, con svariate barche da sushi ormai vuote. Riguardandole, Sunse si massaggiò la pancia, borbottando: “Sì… non era male.”

Ma la ragazza non gli prestava più attenzione, perché dopo aver sussultato in modo imprevisto si era di colpo girata verso la giungla.

“Incredibile!” il suo occhio poggiato sul cannocchiale si sgranò “Guarda Sunse, c’è Teddy! Daisuke ha ritrovato Teddy!” ed indicò in una direzione.

“A parte che non posso vedere niente… e quindi?”

Amasia osservò il biondino correre incontro al suo orsacchiotto sbucato dalle frasche ed abbracciarlo tra dolci e calde lacrime di commozione.

“Teddy ha…” deglutì a vuoto “accumulato una somma di energia indescrivibile. Va ben oltre il limite che avevo previsto!”

“Che cosa stai dicendo?! Di che parli? Fammi vedere da quel cazzo di cannocchiale…” ma l’altra ormai parlava a raffica, ignorando il suo tono nervoso.

“No! Si tratta di… Daisuke?! Sì, a quanto pare la disperazione crescente dell’abbandono in quell’ambiente ostile non ha trovato alcuno sfogo senza il suo Tesoro Oscuro. Non penso avesse mai passato così tanto tempo, ed in simili condizioni, lontano da Teddy. Ed ora che si sono ritrovati…”

“Mi fai vedere, sì o no?!”

La scena di cui stavano parlando poté che essere vista al meglio proprio da Daisuke Shirokane, al momento nel culmine della sua gioia. Riabbracciare il suo fidato orsetto gli aveva ridonato la speranza necessaria per affrontare la giungla e raggiungere il luogo della prova.

Lui non poteva saperlo, ma si era perso percorrendo dei percorsi senza dubbio guidati da un destino perfido: infatti, aveva camminato in tutta l’isola, tranne esattamente i luoghi dove aspettavano Beatrice e Vilhelm.

“Ora tutto andrà per il verso giusto, Teddy!” guardò dritto negli occhi di bottone il suo compagno “Raggiungerò gli esaminatori e dimostrerò a Thrax, no, alla Stratega Imperiale, ma che dico, all’Imperatore Zeref che io sono all’altezza di diventare un grande soldato! Certo, ho dovuto sacrificare dei vestiti buoni, ma fa niente! Ah, spero solo che i miei amici non si siano persi come me…”

In quell’istante un rumore lo fece sobbalzare, cogliendolo di soprassalto. Lentamente un essere inumano strisciò fuori dall’oscurità: si trattava di un esemplare di Iguana Ligre, e nemmeno il più grande della sua specie.

“Iiih!” strillò il ragazzo soprannominato Shiro, abbracciandosi le spalle. A non aver paura come lui, però, fu il piccolo orsetto peluche. Teddy infatti si frappose fra il suo padrone e la bestia senza esitare.

“M-Ma certo! Ci sei tu che mi proteggi, Teddy. Non devo perdere la fiducia in chi mi è vicino!” ritrovando il coraggio, il biondo strinse i pugni per assumere una posa di inamovibile fermezza.

In tutto questo l’Iguana Ligre, che poc’anzi aveva assistito all’omicidio della sua simile per mano di Julia, non aveva alcun interesse nello scontro. Al contrario, era proprio sul punto di fare rotta indietro in preda alla paura, quando il ragazzino la anticipò.

“Ruggisci, Teddy! Abracadabra!”

Magic Bear “Teddy” è un Tesoro Oscuro nato da esperimenti di alchimia e magia nera adoperati da una strega centinaia di anni prima. La creatura era fatta di una stoffa ricavata da tessuti di vari animali magici, e da essi aveva ereditato i poteri. Tuttavia, la cosa che più è degna di nota, è che per quanto il peluche sia capace di muoversi con una coscienza apparentemente autonoma in tutto e per tutto, dipenda strettamente dal suo utilizzatore: più esso è in sintonia con il Tesoro Oscuro, e più questo sarà potente. E ad oggi, tra le varie persone a cui è passato in mano Magic Bear, nessuno si è mai preso cura di lui con tanto zelo e dolcezza come Daisuke.

Il risultato fu qualcosa che Amasia, e finalmente anche Sunse, riuscirono a vedere anche senza l’ausilio del cannocchiale.

Teddy si gonfiò a dismisura, espandendo parti del suo corpo che assunsero una realisticità anatomica spaventosamente simile a quella di un orso vero, solo che molto più grande. Molto, molto grande, così tanto da sollevarsi ben oltre Daisuke, l’Iguana Ligre e gli alberi circostanti. Quell’orrendo orso grizzly divenne la cosa più alta dell’isola, visibile persino dalla costa e dal mare.

Non udì le grida spaventate di Daisuke, ed abbatté le sue gigantesche zampe come dei pugni a martello sul terreno, in direzione del rettile, ormai diventato un cucciolo di chihuahua a suo confronto. La terra si spalancò, prima in un cratere, il quale si sfondò e formò una voragine, dalla quale si diramò una crepa che come un fulmine raggiunse l’estremità opposta dell’isola.

In quel momento, la magnitudo e la forza esercitata formarono uno spostamento d’aria che rincorse la crepa, travolgendo qualsiasi cosa si parasse al suo cospetto.

Fu per questo motivo che Vilhelm spinse via Thrax, lasciandosi travolgere e venendo sbalzato via in aria. E lo stesso provò a fare Alfred con Beatrice, ma la nobile fu troppo impegnata a sgridarlo e venne travolta lo stesso.

La spaccatura nella terra distrusse però il bozzolo in cui era intrappolata Julia: “Sono libera!” strillò la bionda non appena si fu liberata, prima di accorgersi di star precipitando negli abissi della terra.

A misfatto compiuto, Teddy aveva esaurito tutte le sue forze, e si sgonfiò come avrebbe fatto un pupazzo gonfiabile. Tornò alla sua originale stazza, che poteva essere contenuta senza problemi nelle mani tremanti di Daisuke.

Il biondo guardò davanti a sé, riuscendo a scorgere perfettamente il mare. Il campo era stato liberato dal suo amico, e l’intera isola era stata spaccata in due come un piatto, con le due metà che affondavano lentamente a partire dalla costa.

“Ah…” svenne Daisuke.

“Ah…” sorrise Amasia “… ora sì che sono pronti per andare a Fiore!”

 

 

Il Tesoro Oscuro Silver Wolf, chiamato dal suo utilizzatore “Wolfie”, è diverso da Magic Bear “Teddy”. La sostanziale differenza è che, mentre l’orsetto può allontanarsi dal suo padrone e accumulare energia in base al grado di pericolo in cui si trova, Wolfie è impossibilitato dall’allontanarsi da Jun.

Tuttavia, come stava dimostrando in quella corsa spericolata per le vie di Crocus, poter rimanere vicino al suo padrone anche nei momenti di difficoltà non faceva altro che potenziare la sua determinazione e permettergli di correre ancor più velocemente.

Sulla sua groppa la capitana Edra stava abbracciando da dietro il ninja, avvolgendo con le braccia un frammento del proprio mantello attorno alla ferita aperta. Il ragazzo sembrava star montando il lupo come farebbe un uomo a cavallo, ma in realtà continuava a perdere i sensi ad intermittenza, ansimando attraverso la maschera. Non avevano avuto modo di fermarsi, né di nascondersi, siccome qualsiasi cosa a poche decine di metri dietro di loro finiva demolita dalla furia di un misterioso inseguitore.

Riunirsi alla coalizione di Fiore, la quale ormai doveva aver iniziato l’assalto alla frontiera di Alvarez, era impossibile. Ed impossibile era anche ricevere cure mediche sufficienti per il giovane Jun Inoue.

“Perdonami… Jun. Perdonami Wolfie.” La rossa strinse i denti, inavvertitamente rafforzando la stretta attorno al ragazzo. “Se non fosse stato per me avremmo potuto lasciare quel luogo incolumi.”

Ma le parole pronunciate dalla capitana avversaria, quella “Sephia”, le risuonavano in testa da diverso tempo senza darle tregua, esattamente come il loro inseguitore.

“Ehi, ti ho già visto a Vistarion.” e se ciò era impossibile, voleva dire soltanto che la donna l’aveva scambiata per qualcun altro.

 

Nel ricordo c’era una bambina, dai corti capelli rossi, che camminava verso una donna anch’ella dai capelli come il fuoco, i quali si stagliavano luminosi contro la finestra ed il cielo notturno al di fuori. Il calore del focolare non era neanche lontanamente confortevole quanto la mano che la madre porgeva alla figlia, o a quella che teneva poggiata sul proprio grembo. Era incinta, a quel tempo.

Le fiamme divamparono, ma non provenienti da un camino, bensì da soldati con stemmi di corone e folletti.

 

Quando Edra spalancò gli occhi, il blu intenso dell’iride si rispecchiò nel lilla dell’occhio destro di Jun, con il capo appena voltato verso di lei. Lo sguardo di lui era calmo come l’acqua, ovvero l’unica cosa capace di spegnere il fuoco dentro l’anima di lei. Fu come svuotare una brocca su dei carboni ardenti.

La donna respirò ed espirò fumo freddo, ritornando in pace con se stessa.

“Sei sicuro di volerlo fare?” gli chiese, pur sapendo che il ragazzo non elargiva grandi risposte.

Wolfie captò immediatamente il segnale, e con un balzo si voltò di centoottanta gradi, sbarrando la strada con la sua impressionante stazza da lupo bianco.

“Certo che sono sicuro, capitana.”

Da in fondo alla strada, chiunque li stesse inseguendo rallentò bruscamente, sorpreso di dover fermare la sua corsa. Era lo stesso omone visto prima, colui che si occupava dei coccodrilli levrieri, e che infatti ne stava cavalcando un esemplare gigantesco.

Il Capitano Crannhog trasformò presto il suo stupore in entusiasmo, accarezzando l’asta dell’alabarda che brandiva: “Ma guarda un po’! È delizioso vedervi accettare la vostra morte, figli di puttana.”

Dopodiché si sporse all’indietro, andando ad infilare un braccio in una gabbia che il rettile trasportava dietro il posto del pilota.

“Sapete, più i miei cuccioli corrono… e più viene fame.” Ciò che estrasse bastò a paralizzare i due soldati di Fiore sul posto: si trattava di una bambina urlante e scalpitante, seppur minuscola nella mano del gigante.

A quel punto fu evidente che la gabbia fosse stracolma di persone, ed in particolare abitanti di Crocus presi prigionieri durante l’assedio dei soldati di Alvarez.

“Facciamo così… per ogni minuto che mi terrete occupato, darò al mio cucciolo uno snack, così che evitiate di scappare ancora e farmi perdere tempo.” Il mostruoso uomo spalancò un sorriso, se possibile persino più bestiale della dentatura dei suoi coccodrilli levrieri. “Ed iniziamo da questa qui!”

“Wolfie, ruggisci!”

Nel momento in cui Crannhog lasciò scivolare la bambina verso le fauci spalancate dell’animale, anche quelle di Wolfie si aprirono: il lupo latrò un’onda d’urto approfittando del rapido balzo in avanti di Edra, ed intercettandola la scaraventò in avanti.

La rossa volò e si abbatté sul nemico con la lancia protesa. Una mano fu sufficiente per salvare la bambina, mentre con l’altra assestò un affondo ad alta velocità verso il capitano. Egli sollevò la sua alabarda ed assorbì malamente il pesante colpo, tuttavia mantenendo il diabolico sorriso.

“Non ti azzardare mai più… a toccare la gente di Fiore!!” ruggì Edra Star, confermando il suo soprannome di Fata Demoniaca “Schifoso rifiuto umano!”

 

Da tutt’altra parte della città era ormai iniziata la vera guerra, ed ovunque si trovassero i rispettivi eserciti avevano ricevuto ordine di dirigersi verso il quartier generale nemico. Ogni palazzo, strada o vicolo era un campo di battaglia acceso e grondante sangue.

“Non ha molto senso che io sia un soldato semplice… eppure mi ritrovo sempre a combattere da solo.”  Ilya Ivanov era stato liquidato malamente dal suo capitano Florence, e non potendo neanche prestare aiuto alla dispersa capitana Edra, si era arrangiato combattendo ovunque capitasse.

Purtroppo per lui, in quel momento si trovava in una piazza circondata da portici, e dai suddetti continuavano ad emergere soldati di Alvarez. I suoi nemici si muovevano camminando attorno a lui, pur mantenendo una distanza di diversi metri.

Tutta quell’esitazione era dovuta alla calca di corpi esanimi di loro simili ai piedi di Ilya, che come rifiuti portati a riva dalla corrente, era ciò che rimaneva delle sue vittorie dall’inizio della battaglia. Annoiato da tutta quella calma, il ragazzo dalla pelle nivea e i capelli biondi sollevò gli occhi al cielo, lasciando scivolare con violenza la palla chiodata del suo mazzafrusto per terra. Tutti i presenti sobbalzarono per la tensione.

“Fate ridere.” sbuffò il ragazzo “basta davvero un Tesoro Oscuro per farvela fare sotto… nonostante abbiate con voi un Capitano?” e con quell’ultima parola rivolse lo sguardo ad un palazzo con un piano in più degli altri, mirando a dietro una colonna della balconata.

Sentendosi scoperta nonostante fosse nascosta nell’oscurità, Seraphia sorrise: quel ragazzino era già riuscito a conquistarla con la simpatia.

“Andiamo Duvalier” caricò il fucile con un gesto meccanico “Questo stronzo ci ha rovinato l’entrata in scena, non possiamo fargliela passare liscia!”

 

L’ultimo baluardo di difesa per il quartier generale di Fiore era il palazzo reale di Mercurius. Con attorno un fossato e un lago, l’unico modo possibile per superarlo era attraverso i suoi ponti levatoi, ma che per l’occorrenza erano stati sollevati. Le difese erano ben spiegate attorno alla zona per impedire che qualche assassino cercasse di aggirare il lago, mentre l’isoletta su cui sorgeva il castello era difesa da un solo uomo.

Florence sollevava la sua katana e la abbatteva su qualsiasi cosa osasse emergere di fronte ai suoi occhi. Il Tesoro Oscuro Kinto fumava ad alte temperature: efficace nel trapassare come burro fuso le armature di Alvarez, ma tutto il calore emanato a poca distanza dal viso del rosso iniziava a sfumare le immagini davanti ai suoi occhi. Presto la notte buia e le luci danzanti dei fuochi a distanza si trasformarono in una danza tra spruzzi di sangue che evaporavano all’istante e piogge di schizzi d’acqua quando pesanti corpi venivano ributtati nel lago. Per quanti ne fossero emersi, lui non si era fermato e per quanti ne sarebbero emersi, lui non si sarebbe mai fermato.

Anche il suo sangue stava ribollendo nella sua testa, tanto da dargli l’impressione che potesse scoppiare come quelle dei suoi nemici. Sarebbe morto in modo assurdo, ridicolo, con il cervello cotto dal suo stesso potere perché proprio non riusciva a concentrarsi. Mai gli era accaduto di essere così agitato e spaventato durante una battaglia, e per quanto poco vedesse non faceva altro che guardarsi intorno con gli occhi di un ossesso.

Perché di suo padre non c’erano notizie? E perché la gilda Path of Hope era stata spiegata in battaglia, ma nessuno aveva visto Rea?

 

L’ironia della sorte voleva che suo padre, l’uomo più richiesto del momento, si trovasse proprio nel fortino che lui stava difendendo fino all’esaurimento delle sue forze.

Seboster Vellet puntava il suo unico occhio verso la cima del palazzo reale, la quale si stagliava contro il cielo stellato, ben lontano dal pandemonio che divorava la città. Nessuno sapeva che si trovasse lì: per un’improbabile coincidenza l’esercito di uno dei tre più grandi Generali di Fiore era stato mandato in battaglia senza ben sapere in quale zona fosse voluto andare lui. Era impossibile che un esercito formato da Comandanti e Capitani a capo di squadre si muovesse senza la diretta guida di un Generale.

Eppure, paradossalmente lui era lì, nella stessa stanza in cui per giorni aveva pianificato la ripresa di Crocus. L’ultimo generale che quella città avesse visto, a parte lui, era stato Makarov Dreyar, ma l’aveva lasciata il giorno prima. La Vecchia Fata se n’era andata nel momento più importante di quella guerra, per ordine della Regina probabilmente.

“Siamo stati mandati qui… a morire” questo pensiero si agitò silenziosamente nell’uomo come un pesce che nuota appena sotto la superfice dell’acqua: “ma…” c’era qualcosa che non voleva accettare.

Osservò ancora una volta il cielo attraverso la finestra, l’unica cosa che potesse vedere, siccome il suo corpo si rifiutava di muoversi.

“Non volevo di certo morire così!” paralizzato. L’unica parola che riusciva a concepire per descrivere il formicolio che imprigionava i suoi muscoli, rendendolo statico come qualsiasi altro mobile in quella stanza.

Era condannato a restare lì, fuori dalla battaglia che lui stesso doveva guidare, non potendo capire chi l’avesse drogato e perché tutto ciò sembrava un nefasto presagio di distruzione. L’ultima cosa che fece, pregando a quel cielo stellato e a quella vetta del castello di Crocus, fu pregare che suo figlio stesse bene.

 

Proprio nel palazzo Mercurius, tra le sale un tempo abitate dalla famiglia reale di Fiore, non si erano mossi che fantasmi dall’inizio dell’assedio alla città. Era stato ritenuto un luogo sacro, ma anche fin troppo colpito da diverse battaglie all’inizio della guerra per essere usato come rifugio: le sue fondamenta erano fragili, minacciando il crollo di quel regale colosso.

Eppure, stagliandosi sopra la città affacciata alla balconata della sala del trono, una figura ammantata osservava uno spettacolo pirotecnico di sangue e devastazione per le vie della città. Era impensabile ormai immaginare che Crocus sarebbe tornata quella di un tempo.

Una presenza venne captata alle sue spalle, e girandosi incrociò lo sguardo con due grandi occhi cristallini.

“Tu… cosa ci fai qui?” la voce sospettosa di lei sembrava anticipare una minaccia.

Aveva riportato ferite, ma si era comunque fatta avanti in solitario fino a quel luogo con una determinazione sbalorditiva.

“Devi essere uno dei capitani arrivati ieri da Vistarion. Sparisci, ho da fare.” Rea Halfeti, al comando della gilda Path of Hope, aveva lasciato il campo di battaglia con i suoi compagni, all’oscuro della sua presenza lì tanto quanto lo era il capitano Florence.

Tuttavia, la ragazza sembrava un’altra persona, o meglio, un’altra versione della tenace e positiva ragazza che per colpa della guerra contro Alvarez aveva perso tutto. E tutto era cominciato dalla morte di suo fratello.

Una risata. La persona con il cappuccio calato sul volto rispose scoppiando a ridere nel modo più istintivo e genuino possibile. Rise così forte che sembrava essere impazzito, e quando si sfilò il cappuccio per rivelare la propria identità lasciò a bocca aperta la mercenaria.

“Hai da fare, dici? Qui?!” L’assassino di Alvarez dai capelli blu al servizio della stratega Amasia, conosciuto come Sunse, sfoderò il suo Tesoro Oscuro a forma di kopesh.

“Dimmi di più! Sono molto interessato alle tue motivazioni!”

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Breve parentesi per chiedere scusa del mio ritardo: a fine Luglio ho dovuto affrontare un lutto, il quale, non lo nego, ha annichilito la mia persona per un mese buono. Conscio di essermi ripreso, grazie all’aiuto delle persone al mio fianco, e riposato dall’estate (un po’ di merda, ma comunque)… ci risono!

Se ancora ci siete, vi aspettano dei bei capitoli!

Ricapitoliamo la situazione:

Nell’isola ad Alvarez l’esame tenuto da Amasia e Sunse sui nuovi candidati si è concluso. Tuttavia, Sunse appare a fine capitolo da tutt’altra parte, ovvero nella capitale di Fiore. Dan dan daaan! A quanto pare la battaglia a Crocus e l’esame non erano eventi contemporanei!

E a proposito della battaglia a Crocus: il padre di Florence, il Generale Seboster, è stato drogato nel quartier generale, mentre Rea si è allontanata dai suoi compagni di gilda per “questioni personali”. Perché nei suoi occhi brilla una scintilla di vendetta? Cosa ha in mente di fare?

Vi prometto che non aspetterete molto prima del prossimo capitolo. Intanto fatemi sapere se siete ancora tutti presenti all’appello!

Alla prossima!

P.S: Mi sono reso conto che lo stile di disegno di Hiro Mashima non solo è un orrore per me da guardare, ma anche da riprodurre, quindi nei prossimi portrait degli OC adotterò qualcosa di più mio. Scusatemi fratelli e sorelle di questo fandom, non me ne vogliate, a mia difesa il disegno è uno dei lati in Fairy Tail che ho sempre odiato sin da quando lo lessi per la prima volta ad undici anni (non so se è una mia difesa tbh).

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Fairy Tail / Vai alla pagina dell'autore: Master Chopper