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Autore: _Cthylla_    11/10/2021    1 recensioni
|Contesto generale/vago sebbene si rifaccia a certi fumetti della IDW|
Il giovane e tendenzialmente ansioso mech di nome Odysseus incontra qualcuno infinitamente più disgraziato di quanto sia lui.
Dal testo:
''«Non farmi male…» fu tutto quel che disse l’altro.
«Te l’ho detto, non ti faccio niente» ribadì Odysseus, il quale iniziava ad avere il dubbio che quella povera creatura ormai fosse in grado di pronunciare solo quelle poche frasi che aveva sentito «N-non sarei in grado nemmeno volendo, in effetti… e non solo perché sei più grosso di me, amico».
«Amico» ripeté il mech arancione, e il modo in cui disse quella parola la fece suonare quanto di più alieno possibile «“Amico”… io non ho amici. Nessuno di quelli come me ne ha. Siamo… scarti. Disgustosi… inutili… le mie mani… le mie mani…»"
Genere: Dark, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tarn
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Generation I, Transformers: Prime
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
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“Pazienza, Charybdis: durerà al massimo due giorni, e nel mentre puoi fargli fare qualcosa di utile” pensò la jetformer mentre, chiusa in bagno, ritoccava il motivo a puntolini arcobaleno che aveva disegnato sulle proprie ali.
 
Per quanto rigida potesse essere -“Come una miliziana particolarmente stronza quando verso la fine del mese il settore vuole rimpinguare le casse e allora giù! Multe come se piovessero”, diceva quella piccola lingualunga di Scylla- possedeva un’anima creativa non indifferente che si rifletteva nelle bambole allegre e colorate che produceva, nonché su alcuni decori del suo corpo sul quale, come per Scylla, predominavano il blu e il magenta.
 
Probabilmente sarebbe stata un po’ meno rigida se all’improvviso non si fosse sentita caricare le spalle del peso del mondo, o comunque del loro piccolo “mondo”. Probabilmente, un tempo, “un po’meno rigida” lo era stata sul serio. Non ne era molto sicura: nel cercare di ricordare i tempi passati, cosa che non faceva spesso, si rendeva conto di avere difficoltà a rievocare certe memorie. Forse era una sorta di autodifesa per non avere periodi un po’più spensierati da paragonare a quello attuale -e da rimpiangere- sapendo che in ogni caso non sarebbero tornati.
 
A un certo punto sentì un certo baccano provenire dal piano di sotto e, per l’ennesima volta, alzò gli occhi al soffitto. Il senza-faccia aveva detto qualcosa che lei non aveva capito, non che a lei importasse granché, e poi aveva strillato un “Odysseus, aiuto!”.
 
“O forse non durerà nemmeno due giorni, dopotutto” pensò Charybdis.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«No, no, no-»
 
«Hai già dimenticato quel che ti ho detto ieri sera sul comportarti da persona e non da rifiuto robotico?»
 
«Scylla, ti sei resa conto anche tu che lui è un po’… lasciami venire con-»
 
«No, Ody. Hai da fare qui e io lo sto portando dal medico, non al macello».
 
«Odysseus non lasciarmi solo non farmi andare da solo-»
 
Odysseus, ancor più in pena per il suo nuovo coinquilino di quanto fosse stato il giorno precedente, fu costretto a scuotere la testa. «Scylla purtroppo ha ragione, non posso-»
 
«N-non mi porterà dal medico! Vuole… vuole afferrarmi con i capelli!» esclamò il povero Glitch che, preda dell’isteria più totale, cercò perfino di infilarsi sotto il divano dov’era seduta la “gemella” bambola di Scylla «Vuole trascinarmi per strada e f-farmi prendere a calci e sputi da-dalle persone e poi e p-poi ributtarmi i-in mezzo ai rifiuti più morto che vivo, è una trappola, aiutami, ti prego ti prego-»
 
Le sue grida diventarono ancora più disperate quando Scylla, spazientita dalla situazione, avvolse i propri capelli attorno alle caviglie del povero mech aranciato e lo fece uscire con la forza da sotto il divano. Glitch stava cercando di aggrapparsi al pavimento con forza, al punto di lasciare dei segni con le sei dita che aveva -sempre se si potevano chiamare dita- ma non stava ottenendo altro se non uno stridio acuto.
 
La situazione avrebbe potuto perfino risultare comica agli occhi di alcuni ma in realtà, trattandosi della reazione di una persona orrendamente traumatizzata, c’era ben poco di divertente. Anche quel che aveva detto prima riguardo l’essere trascinato in strada ed essere preso a calci, insulti e sputi, pensò Odysseus, difficilmente era frutto di una paranoia venuta dal nulla. Era molto probabile che gli fosse successo davvero almeno una volta, o forse più d’una, o forse gli era capitato anche di peggio. In fin dei conti quella era una persona senza più diritti e, anche se pensarci lo disgustava nel profondo, non l’avrebbe stupito sapere che gruppi di gentaglia più o meno o per nulla ubriaca potesse averlo usato per delle connessioni forzate fatte al solo e unico scopo di umiliarlo ancora di più. Le persone dopotutto facevano schifo, soprattutto quando erano in gruppo: Odysseus ne era piuttosto convinto.
 
«No! N-no, non voglio!» continuò a protestare Glitch, agitandosi e rischiando di far cadere due bambole prontamente salvate da Scylla con uno dei suoi “capelli” «Odysseus, ODY
 
Un manrovescio ben piazzato da parte di Scylla pose fine al tutto.
 
«E ora andiamo dal medico» disse la femme, avvolgendo la propria chioma attorno al busto e all’addome di Glitch «Non ci metteremo molto, Odysseus».
 
Odysseus annuì brevemente, avvicinandosi a Glitch che sembrava aver perso ogni voglia di reagire in qualsiasi modo. «Ti porta dal medico e poi torni qui, non succederà niente di strano, ok?»
 
Glitch non diede mostra di averlo sentito e, quando Odysseus gli mise una mano sulla spalla, non sobbalzò neppure: piangeva e basta, stavolta in perfetto silenzio.
 
«No, Budino» disse Scylla, asciugandogli con una certa delicatezza le lacrime usando un panno trovato lì vicino «Non è proprio il caso di farsi vedere a piangere per strada, tantomeno da queste parti. Cerca di tenere le lacrime per dopo, se ne avrai ancora voglia».
 
Quando lasciarono il negozio, Glitch -forse per un tentativo riuscito di obbedire agli ordini- non piangeva più.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
“Ora mi butterà a terra”
 
“Mi butterà a terra E trascinerà la mia faccia su tutto l’asfalto”
 
“Mi prenderà a calci e dirà anche agli altri di farlo, mi massacreranno a suon di pugni, mi strapperanno via il pannello inguinale e poi, e poi-
 
Glitch tremava proprio come un budino, come Scylla l’aveva rinominato, e se cercava di stare al passo e non cadere a terra era solo per un briciolo di residua volontà di non facilitarle il lavoro… anche se una parte di lui gli stava suggerendo che forse invece avrebbe dovuto fare proprio questo. Sottomettersi, lasciarsi fare tutto quel che avrebbero voluto fargli e sperare che finisse presto, o di riuscire a dissociarsi abbastanza da risentirne un po’meno.
Lui per fortuna  non era mai stato forzato alla connessione, ma l’aveva visto succedere a un altro disgraziato come lui, uno dei frammenti di ricordi che gli erano chiari: difficilmente avrebbe mai dimenticato l’ “espressione” vacua di quel mech, i suoi arti molli come quelli di una bambola di pezza sobbalzare solo a causa delle spinte continue di coloro che stavano disponendo di lui come meglio credevano, ancora e ancora.
 
“Quando comincerà?”
 
“Perché non lo fa subito?”
 
“Vuole prolungare la mia agonia”
 
“Vuole che inizi quasi a illudermi che non lo farà e poi lo farà”.
 
Iniziò a mormorare una preghiera rivolta a Primus, poi ricordò una cosa fondamentale: se davvero Primus esisteva ancora, era un gradissimo stronzo al quale non importava alcunché dei propri figli. In caso contrario non avrebbe lasciato che lui, e tutti gli altri ridotti come lui, subissero tutto quel che avevano subito e subivano. Se fosse stato meno spaventato, meno stanco della propria esistenza, avrebbe potuto perfino lasciarsi prendere dall’ira nei suoi confronti.
Ma anche così, a Primus non sarebbe importato.
 
Continuarono a camminare. Glitch -si era chiamato Damus, ricordava anche questo, ma quel mech ormai non esisteva più. “Sentiva” anche che Damus non era mai stato un granché ma che lui, nonostante questo, era ridotto a essere la pallida e pavida ombra del “non granché”- suo malgrado si trovò a prestare più attenzione a quel che aveva intorno, perché quel che temeva che sarebbe successo non stava succedendo ancora. Non avrebbe dovuto illudersi così, lo sapeva, se avesse iniziato a essere più presente sarebbe stato solo peggio ma non riuscì a evitarlo.
 
C’era il sole. Era così anche il giorno prima, e se lui non avesse avuto ben altri pensieri il tepore dei raggi sarebbe stato persino gradevole. La strada non era silenziosa né vuota: c’era gente che andava, gente che veniva, gente che lavorava per sopravvivere al degrado, gente ubriaca già dal mattino -forse per dimenticare il degrado stesso: tutti i casi “umani” accumulati dalla miseria della periferia, e Scylla, in tutto questo, si faceva largo lì in mezzo con l’aria di chi si sentiva la regina della strada, tenendolo legato a sé coi “capelli” come un cybercane al guinzaglio.
 
Un cybercane al quale, tuttavia, nessuno stava rivolgendo un insulto o torcendo un circuito.
 
C’erano delle occhiate perplesse ma a parte quelle niente di più. Le persone salutavano Scylla nonostante fosse in sua compagnia. Qualcuno più audace a un certo punto le chiese del suo “senza-faccia personale”, e Glitch la sentì rispondere che lui era il suo nuovo garzone, che d’ora in avanti l’avrebbero visto spesso, e “Quindi vedete di trattarmelo bene, doverlo curare rallenterebbe il mio lavoro, che verrebbe ulteriormente rallentato anche dal dover fare una chiacchierata con chi mi ha fatto perdere tempo”.
Quella femme sembrava aver intenzione di prendere una via più lunga per portarlo dal medico, sfruttando la situazione per i classici “due lilleth con una mollica di zinco”: lo trascinò qui e là per svolgere delle commissioni in vari posti lungo la via, tutti correlati al suo lavoro con le bambole, e a tutti, pur con parole diverse, fece un discorso analogo a quel che aveva fatto in precedenza. “È il nuovo garzone”, “Quando verrà per i materiali trattalo come tratteresti me e i miei familiari, mi raccomando”, “Di certo non potrebbe mai essere il tuo caso ma vorrei evitare discussioni sgradevoli se tornasse ammaccato, sai che sono una donna impegnata e sicuramente mi capisci”.
 
Una parte di lui continuava a intimargli di non illudersi, ma non poté evitare di iniziare a sperare che forse, magari, era vero che Scylla non voleva fargli del male, che l’avrebbe portato dal medico e poi l’avrebbe riportato nel negozio, da Odysseus; e forse, magari, questi non era un traditore come aveva iniziato a credere con tristezza e rassegnazione quando Odysseus l’aveva lasciato andare con Scylla da solo. Ora si sentiva anche in colpa per il pensiero.
 
Dopo un altro paio di negozi e posti arrivarono all’ennesimo edificio basso e grigio. Le sole differenze da molti altri che aveva visto erano un buon livello di pulizia e la porta d’ingresso, così come le finestre, decisamente più nuove. Anche l’interno, come poté notare una volta che lui e Scylla furono entrati, odorava di pulito e di disinfettante. La sala d’attesa per il momento era vuota, e Glitch pensò che fosse meglio così, perché iniziava a rendersi conto che anche l’idea di andare da un medico gli stava causando una sensazione di ansia che cresceva secondo dopo secondo.
 
Sobbalzò quando Scylla, all’improvviso, bussò a una porta con una rapida serie di colpi.
 
«Brushsling! Ti muovi a portare qui fuori quelle chiappe d’oro o no?»
 
Glitch riuscì a sentire un sospiro e dei borbottii da dietro la porta prima che un mech bianco e oro -incluso il bacino, il che rendeva “chiappe d’oro” una definizione veritiera- con uno sguardo abbastanza scocciato negli occhi rosati si decidesse ad aprire la porta. «Anche se non c’è gente potresti chiamarmi in maniera più urbana, Scylla».
 
«Oppure anche no. Ho un paziente per te».
 
«Non c’era bisogno che lo dicessi, non vieni mai qui per invitarmi a prendere l’enercaffè di cui parliamo da un pezzo».
 
«Sai che lavoro parecchio».
 
«Sì, e quando non sei impegnata con il lavoro sei all’arena di Kaon per vedere i gladiatori».
 
«A dire il vero il gladiatore che mi interessa andare a vedere è uno soltanto».
 
Il medico sollevò un sopracciglio metallico, ma non aggiunse altro. «… allora, Odysseus, cos’è successo stav-»
 
Il dottore era stato talmente concentrato su Scylla da non notare subito che il paziente da trattare non era il solito. Quando vide lo sguardo di Brushsling posarsi su di lui, Glitch istintivamente corse a nascondersi dietro a Scylla, di nuovo vicinissimo a un attacco d’ansia pari a quello di prima… o forse anche peggio, perché gli stava quasi facendo dimenticare che lui, di Scylla, aveva ancora paura.
 
«Il mio nuovo garzone è ferito, ha bisogno di una visita completa e di varie riparazioni. È una novità rispetto al solito, visto?... forza, Glitch» disse poi, chiamandolo per la prima volta con la sua designazione «Vai col dottore, ti aspetto qui fuori».
 
«No!»
 
«Non ricominciare con la scena di prima. Vai dentro con Brushsling, hai bisogno di cure».
 
Lei aveva ragione, e Glitch ne era consapevole, ma non riusciva assolutamente a fare un passo oltre la soglia. Iniziava anche ad avere problemi al sistema di ventilazione, cosa che purtroppo gli succedeva spesso. Gli sembrava di ricordare che per un po’le cose, almeno in quell’aspetto, fossero migliorate, ma quei miglioramenti erano andati a farsi friggere.
 
«N-no! No, non… non voglio andare dentro da solo, per favore per favore NO
 
«È un medico» disse Scylla, mentre il medico in questione guardava entrambi con aria molto seria «I medici aiutano le persone».
 
«Anche LORO erano medici!» esclamò Glitch, per una volta senza balbettare, mostrando le sue “mani” «Anche loro lo erano, e mi hanno fatto QUESTO!»
 
Silenzio.
Forse urlarle contro in quel modo era stato uno sbaglio, pensò, iniziando a balbettare scuse inconsulte tra una preghiera di non riportarlo in discarica e una di non fargli male.
 
«Entro con te, dai» disse Scylla, poggiando una mano sulla sua spalla.
 
Il contatto lo fece sobbalzare, ma la mano della femme rimase dov’era.
 
«Ti rendi conto che per fargli una visita completa dovrò rimuovere anche il pannello inguinale a un certo punto, vero?» domandò Brushsling a Scylla una volta entrati e chiusa la porta.
 
«Mi volterò dall’altra parte, è molto semplice».
 
La visita, per quanto accurata, procedette in modo tutto sommato veloce. Il medico fu delicato, professionale, abbastanza da far sì che Glitch si calmasse e il sistema di ventilazione riprendesse a funzionare in modo corretto. Stesso valse per le riparazioni, durante le quali Glitch rimase fermo a fissare le luci bianche del soffitto. Solo in un’occasione, voltando la testa alla propria sinistra, incrociò lo sguardo di Scylla, e vedendola sollevare i pollici e addirittura accennare un sorriso gli venne voglia di mettersi a piangere un’altra volta -senza neanche capire perché.
Scylla dovette farci caso, perché sollevò un sopracciglio e un indice in segno di avvertimento, motivo per cui l’inizio di piagnucolio passò subito.
 
«Ecco fatto» annunciò Brushsling una volta che ebbe finito «Sei a posto».
 
«G-grazie» mormorò Glitch alzandosi dal lettino medico.
 
«Ora però devo restare solo col tuo capo per un minuto» disse il medico «Anche meno. Credi di poter stare un attimo in sala d’aspetto?»
 
«…!»
 
«Non c’è ancora nessuno, lo vedi dalle telecamere, e comunque qui non può succederti niente, già solo perché a due passi ci sono io» disse Scylla «Sono più “secca” di te ma ti assicuro che se serve faccio male lo stesso».
 
«N-n-non ne dubito. Io… mi metto qui fuori. Sì».
 
Uscì dall’ambulatorio, crollò a sedere di fianco allo stipite e chiuse il sensore ottico. La visita era filata liscia, nessuno gli aveva fatto del male. Forse Odysseus aveva ragione anche su sua sorella, per quanto fosse una donna dura non era malvagia… anche se gli faceva ancora paura. Probabilmente avrebbe continuato ad averne per un pezzo.
 
Accorgendosi di sentire le voci di Scylla e Brushsling, anche se normalmente nessuno avrebbe potuto dato che l’ambulatorio era insonorizzato, si concentrò sulle loro frequenze finché non divennero chiare. Era parte della sua abilità da outlier, così come disattivare macchine e parti delle persone con un tocco. Qualcosa dal suo inconscio gli ricordò un “Un giorno sarai in grado di farlo anche a distanza”, ma non sapeva chi l’avesse detto e quando.
 
«… quei porci maledetti del Senato, e il Gran Consiglio con loro, devono bruciare tutti all’Inferno dopo le più atroci sofferenze!»
 
«Parole dure per un medico».
 
«Perché, vuoi farmi credere che tu non la pensi allo stesso modo? Non vorresti appiccarli tutti da qualche parte e accendere il fuoco sotto di loro, specie ora che hai conosciuto quel povero disgraziato lì fuori?! Non è il primo che vedo, sai che ho vissuto ad Iacon prima di tornare qui. A meno di una mnemosurgery profonda né lui, né tutti quelli a cui quei bastardi hanno fatto l’empurata, si riprenderà mai più: è un marchio a fuoco dritto nell’anima, Scylla, e non ho cercato una cazzo di maniera poetica per dirlo. Potrebbero cambiare loro corpo anche dieci volte, potrebbero provare a cambiare la propria esistenza anche in diecimila modi se trovassero la forza di farlo, ma sotto sotto sono e sempre resteranno delle vittime di empurata: è così che stanno le cose. Maledetti pezzi di scarto… siano maledetti tutti, spero che un giorno la gente si svegli tutta insieme e dia loro quel che meritano!»
 
«Il fatto che tu abbia rischiato di finire come Glitch ti rende ancora più sensibile alla cosa, immagino. Quanto ti devo?»
 
«Dieci shanix».
 
«Soltanto? Scherzi?»
 
«No. Hai sentito quello che ha detto: sono stati dei medici a fargli questo, non che non lo sapessi già, e se ti chiedo questa cifra è solo perché… per gli stessi motivi di tutti. In caso contrario non avrei voluto proprio niente, stavolta».
 
Glitch smise di ascoltare. Cercando di mettere da parte la diagnosi infausta sulla sua salute mentale, anche perché non era nulla che lui non immaginasse già, pensò che il Senato non fosse granché popolare nemmeno da quelle parti. Da quando veniva lui, però, lo era ancor meno.
Un momento: perché aveva pensato “da quando” e non “da dove”?
 
Sobbalzò per l’ennesima volta quando la porta si aprì.
 
«C’erano delle sedie, te n’eri accorto?» gli domandò Scylla, per poi sospirare «Dai, alzati. Andiamo a casa».
 
«C-casa?...»
 
«Già. Abbiamo fatto insieme le commissioni che da domani farai tu, ma i pavimenti di tutto l’edificio e i mobili non si tirano a lucido da soli, così come le stoffe delle bambole, le tende e le coperte delle cuccette non si lavano, stirano, piegano e mettono a posto per magia. Poi ci sarebbe anche il capanno da riordinare, già che ci siamo, ma quello magari lo farai nei prossimi giorni».
 
«Scylla» disse Brushsling, con tono di palese rimprovero.
 
«Non guardarmi in quel modo, è già tanto che abbia convinto il Demone degli Shanix a farlo restare. Era totalmente contraria, le è andata male solo perché Odysseus con me era in maggioranza. Tra l’altro è la prima volta che lo vedo intestardirsi così tanto su qualcosa, ma ti dirò, ne sono stata felice».
 
«Spero di non rivederlo qui tanto presto, e lo stesso vale per te» aggiunse il mech, rivolto a Glitch «… quanto a te, invece, ora hai ancora meno scuse per rimandare quell’enercaffè a casa mia. Sono abbastanza convinto che come lo preparo io potrebbe piacerti».
 
«E io ne sono sicura ma, dato che tu e io siamo amici da quando eravamo protoforme, vorrei evitarti il rischio di rimanere scottato. A forza di berlo finiresti così e mi dispiacerebbe non poco. Ci vediamo» concluse Scylla, uscendo dall’edificio con Glitch.
 
Il mech  non aveva capito granché tutto il discorso dell’enercaffè, e una volta fuori dalla porta rimase fermo ad aspettare che Scylla, come aveva fatto in precedenza, gli avvolgesse attorno i propri capelli.
 
Notando la sua immobilità, lei lo guardò con aria perplessa. «Cosa stai facendo?»
 
«N-non… icapelli».
 
«Prego?»
 
«C-credevo… pensavo… q-quando siamo venuti qui, tu… i capelli. Intorno al corpo».
 
«Non credo ci sia il rischio di vederti fuggire a causa di un attacco isterico e ora la gente lungo la strada sa che lavori per me, quindi basta che tu mi stia vicino, non c’è bisogno che io ti “leghi” di nuovo. A meno che tu lo voglia. Di’, in passato avevi il kink del bondage?» aggiunse, sorridendo sottilmente.
 
Glitch si coprì il volto con le mani. «M-m-m-ma n-no cosa come io n-n-»
 
«Non saresti il solo che conosco, già che prima si è parlato di gladiatori… d’accordo, lasciamo stare. Sbrighiamoci a tornare a casa, Charybdis ci starà già aspettando all’ingresso pronta a protestare per il tempo che abbiamo impiegato».
 
«N-n-non s-sono molto gradito a-a lei» osservò Glitch, attorcigliando nervosamente le dita tra di loro.
 
«Vero. Se vedrà che lavori sodo però alla fine smetterà di sbuffare, tutto sommato con lei basta poco. Certo, non aspettarti che prima o poi diventi tutta sorrisini, risatine e abbraccini, Chary non è in quel modo con nessuno. Non più».
 
«Ca... capito».
 
«Se lavorerai bene e soprattutto eviterai altre scene come quella di prima potrai stare tranquillo riguardo il fatto che nessuno di noi ti toccherà con un dito, Budino, anch’io ne avrei fatto a meno volentieri».
 
«Sta-stavo danneggiando l-le bambole. N-n-ne ho quasi… quasi buttate a terra d-due. Se ricordo bene. A-avevo iniziato a fare d-danni nel negozio».
 
«Non di proposito e di certo non ti stavi divertendo, ma sì. Tra l’altro erano due di Chary. Per informazione: quelle più allegre e colorate sono le sue, quelle molto realistiche e quelle erotiche sono le mie, e quelle di Ody… già lo sai. Credici o meno, vanno a ruba».
 
«C-ci credo. Sono belle».
 
«Stasera quando sarete entrambi nella tana del luponoide dovresti dirglielo, gli farebbe piacere, anche perché mi ha detto che ieri sera gli sei sembrato un po’intimidito anche da quelle».
 
«N-non c’è niente da cui io… da cui io non lo sia» disse Glitch, con una certa amarezza nella voce «Però le trovo belle, davvero. A-a essere sincero q-quelle più realistiche m-mi fanno molta più impressione…»
 
Per un attimo temette di aver parlato troppo, ma Scylla si mise a ridere.
 
«Non sei il solo! Anche Odysseus si spaventa sempre quando vede me al bancone e la mia gemella sul divano all’entrata, anche se quella bambola è lì da vorn e vorn e lui lo sa benissimo. Budino, Budino, che amico che ti sei fatto!...»
 
«Io sono contento che lui mi chiami amico. Non è fisicamente forte ma è una bella persona, meriterebbe molto di più».
 
«È vero e potrebbe avere quel che merita in qualsiasi momento, se si desse una svegliata. Però deve prenderselo, non aspettare che glielo diano gli altri. Stesso vale per te, empurata o meno».
 
Glitch non disse niente, evitando anche di rispondere con un borbottio indistinto che, l’aveva imparato, non sarebbe stato per nulla gradito; e pensando a tutto il programma di pulizie, lavaggi e quant’altro, si rese conto che avrebbe avuto parecchio altro da fare prima di potersi complimentare con Odysseus per le sue bambole e prima di poter confessare il proprio pensiero errato riguardo a un tradimento, nonché scusarsi per esso.
 
Per quanto potesse essere dura, però, essere trattato un po’più da persona e un po’meno da scarto era decisamente preferibile al tornare in mezzo ai rifiuti a chiedersi, di nuovo: “Perché ‘da quando’ vengo, e non ‘da dove’?”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Stavolta niente da dire se non “mannaggia mi sono dimenticata di mettere il link al disegno di Charybdis, >>> eccolo”.
Grazie a chi legge e/o recensisce. Alla prossima,
 
_Cthylla_

 
   
 
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