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Autore: Marti Lestrange    13/10/2021    6 recensioni
Raccolta più o meno omogenea sulla famiglia Black; tra il canon e l'headcanon.
[Walburga può solo sperare che il loro nome travalichi i secoli e la storia, che trascenda persino il tempo e lo spazio, e ogni possibile dimensione. Tutto il mondo saprà quanto sono importanti i Black. E tutti li temeranno. Tutti aneleranno il loro appoggio, la loro ricchezza, la loro purezza. Saranno ricordati come una delle famiglie Purosangue più longeve e influenti. Tutti ricorderanno il loro nome. E i suoi figli saranno il tramite per questa memoria. I suoi figli saranno i fautori della loro grandezza. Toujours pur.]
— questa storia partecipa al Writober di fanwriter.it
Indice:
I — Walburga
II — trittico [Bellatrix, Andromeda, Narcissa | Sirius, Regulus | Walburga, Alphard, Cygnus]
III — Druella
IV — Sirius|Regulus
V — Walburga
VI — Sirius
VII — Bellatrix
VIII — doppia flash [Walburga/Orion | Cygnus/Druella]; tematiche delicate
IX — Regulus
X — trittico [Alphard | Sirius | Lucretia]
XI — Walburga
XII — Alphard
XIII — Sirius
XIV — Sirius
XV — Narcissa
XVI — Walburga
XVII — Bella|Narcissa
XVIII — Andromeda
XIX — Bellatrix
XX — Narcissa
XXI — Regulus
XXII — Bellatrix
XXIII — Narcissa
XXIV — Bellatrix
XXV — Andromeda
XXVI — Sirius
XXVII — Bellatrix, Andromeda, Narcissa
XXVIII — Regulus
XXIX — Sirius
XXX — Andromeda
XXXI — Sirius
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Regulus Black, Sirius Black, Walburga Black | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa, Remus/Sirius, Rodolphus/Bellatrix, Ted/Andromeda
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'in the name of the Black.'
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in the name of the Black.

 

Giorno 13;
hurt&comfort;
❨ Sirius / Josephine1 ❩.

 

“Cosa fai?”

“Secondo te?”

“Te ne vai?”

“Me ne vado.”

Afferra la bacchetta e fa levitare il borsone sul letto. I vestiti cominciano ad entrarci dentro a casaccio, non c’è un ordine preciso. Josephine è sempre confusionaria quando è arrabbiata o prova un sentimento forte. Sirius la conosce, ormai. 

“E dove te ne vai?”

“A casa, no?” Si volta verso di lui mordendosi un labbro. Sembra che stia per piangere, ma Sirius sa che non piangerà. Non piange mai se può evitarlo. I capelli neri sono spettinati e lei continua a passarci una mano attraverso e sono ancora più incasinati. Sirius vorrebbe accarezzarli ma non può. Hanno appena litigato per una cazzata, ma non può fare un passo avanti e cancellare tutto. Succede sempre così tra loro. Parlano e parlano e parlano, e non sempre le parole sanno quando fermarsi, non sempre le parole sanno quando è meglio fare un passo indietro e rimanere inespresse. 

“A casa? Pensavo che non ce l’avessi più, una casa. Pensavo che fosse questa, la tua casa.”

Sirius la guarda, è in piedi in mezzo al suo appartamento e fuori piove, piove dannatamente forte. Piove ormai da giorni. 

Josephine si volta e Sirius riesce a scorgerla: una sola, singola lacrima, sospesa all’angolo dell’occhio destro, ad offuscarne i contorni. Gli occhi di Josephine sono azzurri come piccoli laghi del nord, e altrettanto freddi. Sanno scaldarsi solo quand’è con lui, e se ne stanno stretti in un intrico di gambe e braccia e membra mentre fuori piove, e sotto il piumone si sta caldi, e incastrati. 

“Davvero? Perché da quando sono arrivata non abbiamo fatto altro che discutere, Sirius. Su qualsiasi cosa… Sembra che sia persino colpa mia se Remus non sta bene, in questi giorni. Te ne rendi conto? Ti rendi conto di cosa e quanto sto rischiando, a stare qui?”

“A stare con me?” 

Si guardano in silenzio. La roba di Josephine ha finito di riempire il borsone e la sua bacchetta è arresa lungo il suo fianco, a sfiorare i pantaloni scuri che indossa. Chiude gli occhi per un momento, e poi li riapre e li sposta in giro per la stanza, quell’unica stanza in mezzo al grigio, quel rifugio che è sempre stato solo suo, di Sirius, e che ora è anche suo, di Josephine, e che può essere loro, di Sirius e Jo (come si fa chiamare solo da lui, sempre e solo da lui). Se solo. Già. Se solo lo volessero veramente. Se solo non fossero così simili. E accesi. E vibranti di paure ma pregni di coraggio. 

“Non ho mai esitato, Sirius. Mai. Neanche una volta. Da quella prima sera a Grimmauld Place. Per Salazar, c’era tuo fratello al piano di sotto! Tuo fratello che tecnicamente dovrei sposare, come fai a pensare che io possa aver esitato con te, deficiente? Non ho mai rischiato tanto, ma rischierei tutto quanto, da capo, ancora e ancora… Sono solo stanca. Tutto qui. Sono stanca di essere il cuscino che mordi quando sei teso e nervoso e tutto va di merda, sono stanca di essere la causa di ogni problema che ti affligge, Sirius. Ti amo, ma sono stanca…” Si gira per chiudere il borsone ma Sirius non può. Non può lasciarla andare, non ora. 

La raggiunge in pochi passi (in fondo, il suo appartamento è un buco) e l’afferra per un fianco, la fa girare, lei è come una foglia nelle sue mani, un fiore delicato che rischia di svanire nel vento se solo lo si stropiccia troppo. La bacchetta le cade di mano, rimane da qualche parte sul pavimento. Le mette le mani sulle guance, ne vuole sentire il calore, e allora sono lì, eccole, le lacrime. Scendono lente ma spesse, e si trascinano dietro tutti i fantasmi. 

“Cos’hai detto?” Le chiede. Sono fronte contro fronte ora, può sentire il suo fiato di Whisky Incendiario, ne hanno bevuto un bicchierino dopo cena. 

“Ho detto tante cose,” risponde lei. Poggia le mani su quelle di Sirius, le loro dita scivolano e si incastrano insieme, come ogni singola parte dei loro corpi. “Mi fai diventare pazza, Black…”

“Hai detto una cosa, alla fine, una cosa che non mi avevi mai detto, una cosa che avevi promesso di non dire. Perché l’hai detta, Jo? Perché? Lo sai quanto mi costerà ora lasciarti qui e uscire con l’Ordine? Lo sai quanto mi costerà ogni respiro, ora, sapendo che potrei—”

Gli chiude la bocca con un bacio, Josephine. È vorace, come in ogni cosa che fa, non attende e non aspetta, lei pretende, e prende, e ottiene. Sirius non le ha mai negato niente di sé, del suo corpo e, in parte, anche del suo spirito. Non sa dirle di no, non sa privarsi di lei, non sa come proteggersi da quegli occhi, e quelle mani, e quelle labbra. 

“Sta’ zitto,” sussurra mordendogli il labbro inferiore. “Per favore…”

Sirius la prende in braccio e la fa stendere sul letto, spostando il borsone con una manata. Le si sdraia sopra mentre lei lo tira a sé per il colletto della t-shirt, la gambe già strette intorno ai suoi fianchi. Vuole e vuole e vuole, Josephine. E non le importa di cosa perderà lungo il percorso. 

“Spogliami, dai,” gli sussurra nell’orecchio, scendendo a leccargli la mascella. 

“Non te ne vai, allora?” La guarda dall’alto, e ferma le sue mani che vagano sul suo corpo, sotto la t-shirt troppo grande e scolorita, a calcarne le costole con la punta delle sue dita sottili. 

“Vuoi che me ne vada?” chiede. Risponde sempre alle sue domande con un’altra domanda. Lo guarda da sotto le lunghe ciglia scure, batte gli occhi per un momento. Le lacrime le si sono indurite sulle guance in una scia di sale. Sirius si china e gliele lecca via, quelle tracce, poi la bacia sulla bocca e cerca la sua lingua, e la trova ad attenderlo, e per un attimo non parlano. 

“Non voglio mai che tu te ne vada. Non voglio che torni in quella casa, Jo.” Le accarezza i capelli, infilandogliene uno dietro l’orecchio. Lei gli sfiora il naso col suo. 

“Non posso scappare dai miei genitori per sempre, e lo sai. E non posso scappare dai miei doveri…”

“Non permetterò che sposi mio fratello. Ci dev’essere un modo…”

Josephine scuote la testa. “Non c’è. Lo sai anche tu.”

“Lo ami?” Le chiede, così di colpo, mentre i loro corpi sono così vicini, mentre i loro respiri si mischiano, mentre la sua erezione le preme contro il basso ventre e Sirius sente caldo ovunque. 

Gli occhi di Jo sfarfallano, tremolano. Si acciglia. Si morde il labbro — di nuovo. “Perché devi fare così?”

“Perché non mi rispondi?”

“Perché non voglio giocare a questo gioco malato, Black.” 

“Vorrei solo che me lo dicessi, tutto qui. Vorrei solo che mi dicessi se ami Regulus. Lo capirei… Tutti lo amano.”

“Non lo amo,” risponde lei in un soffio. Lo guarda ancora accigliata, però. “Contento? È un amico, gli voglio bene, ma non lo amo. Come potrei? Vedi perché la tua è una domanda da stronzo? Sono qui stesa sotto di te, ti ho chiesto di spogliarmi, ti ho detto ti amo cinque minuti fa, e tu mi chiedi se amo tuo fratello? Sai che c’è? Ti odio, ecco la verità.”

Si divincola per uscire da sotto il corpo di Sirius e lui la lascia andare. Sono al punto di prima. Perché deve sempre fare il cazzone? Perché non può tenere mai a freno la lingua?

“Torna qui, dai,” le chiede, passandosi una mano sulla faccia. “Per favore, Jo… Scusa…” Gli costa, chiedere scusa. Gli costa come poche cose al mondo. Ma per Josephine ha messo da parte tanto, compreso il suo orgoglio, talvolta. 

Lei lo guarda di sottecchi. Ha afferrato il borsone che intanto era caduto dal letto ed è di nuovo pronta ad andarsene. Non può lasciare che esca da quella dannata porta e si Smaterializzi. Non può, o la perderà per sempre. Lo sa.

“Ti amo,” dice allora. Abbassa gli occhi, sospira. “Ti amo.” La guarda di nuovo e lei lascia cadere il borsone per terra con un tonfo, sale sul letto e gli è addosso, seduta sulla sua vita, le gambe strette intorno a lui, le sue mani sul suo petto. Lo tempestano di pugni, ma non gli fa male. Non potrebbe mai fargli male. 

“Mi odi ancora?” La provoca.

Lei si china a baciarlo e gli morde il labbro talmente forte che Sirius sente il sapore del sangue sulla lingua. È un continuo farsi male, tra loro, per poi leccarsi le ferite a vicenda in qualche modo. Forse non è sano, forse non è un bene, ma è ciò che hanno. Il loro amore ha quella forma, e ogni trasfigurazione risulterebbe inutile. Può solo aumentare, ancora e ancora, in modo esponenziale, senza possibilità di placarsi. Non sono fatti per la pace e i piaceri tranquilli, per le giornate di sole in riva al lago e il pasticcio di carne fatto in casa, per l’amore fatto lentamente in mezzo a lenzuola di seta, per le promesse ridondanti di infelicità e compromessi e incomprensioni. Sirius ha amato solo due persone nella sua vita: una l’ha persa, forse per sempre, l’altra è lì con lui. 

“Ti odierò sempre, capito? Ti odio perché tiri fuori il peggio di me e non va bene, è pericoloso…” gli dice togliendogli la maglia. Gliela sfila dalla testa e la getta a terra.

“Tiriamo fuori il peggio l’uno dall’altra, pensi che sia un male?” Le chiede in un soffio mentre Josephine passa le dita sulla sua pelle, la graffia anche, com’è solita fare, ma a Sirius non importa: quei graffi gli ricordano che è vivo, e che conta per qualcuno. 

La ragazza soppesa le sue parole. “Forse è un male. Forse è questo che ci facciamo a vicenda. Ma credo che sia ciò che ci rende vivi, no? Forse sappiamo dimostrare affetto solo così, ma ad entrambi sta bene, e quindi andiamo avanti finché ce n’è.” 

Finché ce n’è. Sì, Josephine ha detto bene. Finché ce n’è sarebbero andati avanti, sempre avanti. Anche a costo di trascinarsi nel fango, anche a costo di aumentare i fardelli, anche a costo di portarsi dietro tutti i loro fantasmi. 

“Per ora mi basta sapere che rimarrai questa notte,” prosegue Sirius passandole una mano sul davanti della camicia,  accogliendo un seno nel suo palmo. Scioglie il fiocco e comincia a sbottonargliela. Mentre apre i piccoli bottoni di madreperla, le sue dita tremano. “Non provare mai più ad andartene così…” bofonchia alla fine.

Josephine ridacchia. “Sai cosa si dice della mia famiglia, no? Siamo maledetti… E le mie zie2 sono pazze…” 

“Sai cosa si dice della mia famiglia, Jo?”

Lei annuisce. “Lo so. Non mi importa.”

Sirius fa spallucce. “Non importa anche a me, allora. Il cognome Greengrass non ti definisce. Per me sei solo Jo. Josephine. Jo.” Accarezza quelle parole con i denti, ma è come se fossero fatte di cristallo. 

“Finisci di spogliarmi, ora, sono stanca di parlare,” sussurra chinandosi su di lui e baciandolo ancora. E ancora. E ancora. 

 

[ 1845 parole ]

 

⭐︎☆⭐︎


 

❨ note ❩

1. Josephine Greengrass è un personaggio di mia invenzione; zia di Astoria e Daphne.
2. le zie paterne di Josephine sono Medea e Morgana Greengrass, e sono personaggi di mia invenzione. Morgana l’ho citata qui

 

Allora allora, sono parecchio agitata nel presentarvi questa storia, oggi. Intanto perché ho introdotto un OC, e introdurre gli OC è sempre rischioso, e poi perché questo OC interagisce sentimentalmente con Sirius, e non è mai facile far accettare OC che hanno questo tipo di relazione con Sirius Black (va’ a capire perché, poi). Detto ciò, sfogo la mia ansia pubblicando, e sperando che questo capitolo vi sia piaciuto e abbia in qualche modo solletico la vostra curiosità. Josephine se ne stava acquattata da tanto, smaniava per venire alla luce, quindi perdonate la sua irruenza; in realtà è una ragazza dalle buone maniere, giuro. Nelle note allo scorso capitolo vi dicevo di fare attenzione alle reazioni di Sirius, infatti se tornate indietro e rileggete il giorno XII, noterete come si adombra quando lo zio Alphard cita i Greengrass. Eh eh, nulla viene lasciato al caso, qui 👁 I Greengrass sono una famiglia che mi affascina da morire, ma si sa poco e niente di loro, per cui (come mio solito) mi sono messa a creare un headcanon anche per loro (chi mi conosce sa quanto tutto ciò sia pane per i miei denti). Tutti i miei HC sono stati creati con la collaborazione preziosa di Alice, la cito se no si arrabbia 😌 grazie, Ali ♥︎

 

Lascio la parola a voi, come sempre. Grazie mille per tutte le vostre recensioni, sono tantissime e non riesco a rispondere a tutte perché in questi giorni sto facendo mille cose insieme e sono di corsa, ma vi giuro che vi leggo e vi adoro, mi state incoraggiando un sacco nel proseguire quest’avventura ♥︎ a domani! Ah, se volete mi trovate qui.

   
 
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