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Autore: NPC_Stories    14/10/2021    1 recensioni
Inktober 2021 con la lista ufficiale, come sempre troverete storie dei miei personaggi originali nel mondo di Forgotten Realms.
Dovrebbero essere storie brevi (altrimenti come faccio a pubblicarne una al giorno?), ma chissà se ci riuscirò...
Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Genere: dark fantasy
Note: questa storia si svolge dopo Secret


14. Tick


1289 DR, Silverymoon

"Posso prendermi carico del problema, però dovete darmi il permesso di bere sangue umano."
L'affermazione, perché non era una richiesta, cadde nel silenzio attonito di una stanza piena di gente.
In realtà non era davvero piena di gente, ma per Erika Lesmiere le cinque figure presenti erano già fin troppe.
C'era lady Alustriel Sillverhand, perché come poteva mancare la maga che governava la città?, poi c'era il suo galoppino di fiducia, l'arcanista Taern Hornblade della Guardia Magica; a rappresentanza del clero cittadino c'era l'Alto Sacerdote del clero di Oghma, una delle chiese più potenti in città, e il suo collega sottoposto, Primo Sacerdote del clero di Deneir. Oltre a loro quattro c'era anche il prete di Deneir che era stato incaricato di sorvegliare Erika durante il giorno. Quindi, cinque persone. Secondo la vampira erano cinque di troppo.
Per il momento altre Chiese che avrebbero potuto essere utili in quel frangente non erano state ancora convocate, perché quella non era una riunione tesa a cercare una soluzione al problema: era un'indagine per capire se Erika fosse coinvolta.
Dopotutto, quando appena fuori dalle mura cominciavano a essere trovate persone dissanguate, il primo fra i sospettati era per forza l'unico vampiro che risiedeva in città.
Lei fingeva di non avere capito che quella riunione fosse in realtà un processo, perché tanto sapeva di essere innocente di quel particolare crimine. Se soltanto loro avessero saputo quanto le faceva orrore l'idea della morte, non avrebbero sospettato che potesse aver ucciso qualcuno.
"Si tratta di un ricatto? Dobbiamo consentirti di bere sangue umano oppure continuerai a dissanguare innocenti?" Incalzò Hornblade, guardandola con occhi di brace.
I tre sacerdoti apparivano imbarazzati. Il motivo era chiaro: la vampira era una loro responsabilità. Se lei era davvero colpevole, significava che doveva essere sfuggita al loro controllo, ma loro non si erano accorti di alcuna defezione, non avrebbero nemmeno saputo indicare in quale momento lei avrebbe potuto essersi sottratta alla sorveglianza per andare a commettere quei crimini.
"Come vi ho già detto, non sono stata io. Sono sempre stata ai patti, non ho mai ucciso nessuno ad eccezione di topi e altri piccoli animali. Negli ultimi anni non ho nemmeno toccato sangue umano." Erika ricambiò lo sguardo di accusa con uno di sfida. "Io credo che se aveste qualche prova della mia colpevolezza non staremmo avendo questa conversazione. L'unico motivo per cui vi siete disturbati a interrogarmi è che ho un alibi di ferro, e non vi spiegate come abbia potuto uccidere delle persone pur rimanendo sempre sotto lo sguardo dei miei sorveglianti. Ebbene: non avrei potuto, e infatti non l'ho fatto. C'è chiaramente qualche altro vampiro nei dintorni, qualche infiltrato che crede di poter venire qui e fare come se fosse casa sua."
Se all'inizio Erika Lesmiere poteva sembrare irritata solo a causa del processo, verso la fine della sua arringa divenne chiaro che era furiosa anche per quella specie di invasione. Tutti i presenti avevano sentito dire almeno una volta che i vampiri sono territoriali; in quel momento stavano avendo la conferma che era vero.
Erika di solito non si comportava come un vero vampiro; aveva degli atteggiamenti che ricordavano da vicino quelli delle persone viventi. Era chiaro, a chiunque si fosse preso la briga di osservarla, che aveva ancora una buona padronanza di sé e un certo contatto con la sua anima. Ciò nonostante, in quel momento l'indole possessiva e territoriale della sua specie stava emergendo a tutta forza.
"E la cosa ti infastidisce? È questo che ti urta, non le morti di persone innocenti?"
"Gli umani sono comunque destinati a morire in qualche decennio, scusa se non mi vesto a lutto. Ma un altro vampiro che viene qui, nella mia città… è come se fosse letteralmente entrato in casa mia per pisciare sui miei tappeti."
"Questa non è la tua città" s'infervorò il mago, abbandonando ogni formalità. "Tu qui sei a malapena tollerata!"
"Ah! Io sono nata qui quando il nonno di tuo nonno non era nemmeno una scintilla nel ventre di sua madre, quindi non decidi tu se sia la mia città oppure no." La vampira allontanò quelle obiezioni con uno sbuffo derisorio.
"Certo, se sorvoliamo sul fatto che saresti anche dovuta morire prima che il nonno di mio nonno…"
"Oh, perdonami. Credevo di averlo fatto." Lo interruppe Erika. "Forse per i tuoi gusti una morte non è sufficiente."
"Adesso basta." Lady Alustriel si intromise, in tono pacato ma fermo. "Tutto questo è inutile. A questa creatura è stato concesso di risiedere in città se avesse rispettato certe limitazioni. Nessuno degli incantesimi che sono stati posti su di lei rivela che abbia infranto i patti. Anche alla più attenta analisi magica non risulta che abbia ucciso delle persone. Questa è la risposta che cercavamo. Il responsabile di questi omicidi deve essere altrove."
"Non sarà facile trovarlo, i vampiri sanno nascondersi bene" intervenne l'Alto Sacerdote di Oghma. "Domani pregherò il mio dio perché mi conceda una visione profetica. Il signore della Conoscenza non me lo negherà."
"E magari stanotte morirà un'altra persona" gli fece notare Erika. "Dovreste darmi retta. I vampiri hanno una specie di codice, rispettano i loro simili, ma soltanto se dimostrano forza. Anche se voi doveste riuscire a trovare questo nemico invisibile e ucciderlo, nessuno assicura che in futuro non ne arriverebbero altri. Se invece si spargesse la voce che Silverymoon è un territorio già preso, nessun vampiro si permetterebbe più di tornare. E se qualche sciocco volesse provarci, verrà prima di tutto da me, per sfidarmi e uccidermi, per attestare la sua dominanza sul mio territorio. È per questo che dovreste lasciarmi bere del sangue umano, nessun vampiro mi rispetterà se percepirà che bevo sangue animale."
"Sarò morto e sepolto prima di permettere che Silverymoon venga considerata territorio di una vampira." Tornò all'attacco il mago. "Questa è una città sicura."
Erika stava per ribattere che a quanto pare la città era sicura solo entro le mura, ma la loro ennesima diatriba fu interrotta da lady Alustriel.
“Noi non tratteremo con un vampiro assassino. Non lo scacceremo. Ha già commesso dei crimini, quindi dobbiamo epurare il male che rappresenta” annunciò in un tono che lasciava poco spazio all’immaginazione.
Erika accolse la sua decisione con una scrollata di spalle. Non le importava niente degli altri vampiri.

*****


La magione di Casa Lesmiere sorgeva nei pressi delle mura cittadine, perché gli antenati di Erika erano stati quasi tutti ufficiali dell’esercito - nell’epoca ormai lontana in cui Silverymoon aveva avuto bisogno di un vero esercito - o alla peggio comandanti dei diversi ordini delle guardie cittadine. Era un obbligo morale erigere la casa di famiglia vicino alle mura, per essere sempre pronti all’azione. Rinchiusa in casa sua, Erika se ne stava con la fronte appoggiata al vetro d'una finestra. Una pioggia battente spazzava le strade della città, quella notte, e tamburellava contro gli infissi del palazzo come se volesse entrare a tutti i costi. In parte ci stava riuscendo - Palazzo Lesmiere avrebbe avuto bisogno di manutenzione - ma a lei non importava.
Fuori dalle mura di casa sua, la città appariva tranquilla. Era ancora più lontano, nelle campagne, che si stavano svolgendo battute di caccia al vampiro. I Cavalieri d’Argento si erano offerti per quella missione, dividendosi in gruppetti supportati da almeno un sacertode per squadra. Erika era convinta che sarebbe finita malissimo, almeno per alcuni di loro. Non erano nemmeno sicuri che ci fosse un vampiro solo.
Lei avrebbe voluto uscire e aiutarli, ma di notte era confinata in casa. Molti incantesimi erano stati posti sulla sua persona, come quello che accertava che non si macchiasse di omicidio; una delle sue altre limitazioni magiche era il divieto di uscire di casa di notte. Se fosse uscita, lady Alustriel l’avrebbe saputo. Se avesse cercato di sbarazzarsi di quella traccia magica, lady Alustriel l’avrebbe saputo. In entrambi i casi sarebbe stata esiliata dalla città, se non peggio.
Tutto considerato, Erika era in pace con se stessa: aveva avvertito gli umani, aveva offerto il suo aiuto. Loro avevano rifiutato. Ora forse alcuni sarebbero morti nelle campagne, in una notte di pioggia, e non era un suo problema. Non avrebbe rischiato l’esilio per andarli ad aiutare. Erano solo umani in ogni caso.
Però non era soddisfatta. Avrebbe voluto prendere a calci in culo il vampiro che aveva osato avvicinarsi a casa sua.

“Non è male, questa bicocca” una voce fredda la riscosse dalle sue elucubrazioni. “Antica, decadente. Ma non direi di no a qualche comfort in più.”
Erika non riusciva a credere alle sue orecchie. Il vampiro. Aveva osato entrare nella sua casa di famiglia, non soltanto nella sua città! Il suo primo istinto sarebbe stato voltarsi di colpo e attaccare, ma si obbligò a darsi un contegno. Dopotutto aveva un ospite.
“Temevo di essere stata completamente ignorata” rispose, con tutta la compostezza di cui era capace. “Invece vedo che siete consapevole della mia esistenza, dopo tutto.” Si voltò verso l’invasore e gli rivolse una lunga occhiata.
In vita doveva essere stato un umano, come lei. Sembrava giovane, abbastanza attraente, anche se non incontrava proprio il gusto di Erika. Era una di quelle persone che appaiono di corporatura media a prima occhiata, ma guardandole meglio ci si rende conto dell’altezza e dei muscoli asciutti sotto gli abiti eleganti.
Sorrise e si scostò un ricciolo biondo da davanti agli occhi, con gesto teatrale. Erika dovette trattenere il desiderio di alzare gli occhi al cielo.
Era un damerino, ma non per questo era meno pericoloso.
“Naturalmente sapevo che eri qui. Una zecca non passa inosservata, ho sentito la tua puzza fin da fuori delle mura.”
“La mia cosa?” la vampira alzò un sopracciglio, piccata. “I vampiri non hanno odore per gli altri vampiri, mi state solo provocando.”
“I vampiri, forse, ma tu puzzi di sangue animale. Ma mi sta bene, se questo ti ha permesso di mantenere un basso profilo. Da ora in avanti lavorerai per me.” Il biondino si guardò intorno, adocchiò una vecchia poltrona e decise di accomodarsi, con tutta calma. Erika si limitò a guardarlo con incredulità. Che faccia tosta!
“Invadete casa mia, mi insultate e ora pretendete di darmi ordini?”
“Oh, scusami, cara, non avevo capito che fossi anche mezza deficiente. Te lo spiego con parole elementari” la creatura della notte si sporse verso di lei, artigliando i braccioli della poltrona con le dita adunche. “Io sono un vampiro secolare. Tu sei una misera progenie, non sei nemmeno una vampira vera. Io sono potente, tu no. Io sono forte, tu sei debole perché bevi solo sangue animale. Io ti sono superiore sotto ogni aspetto, quindi sarai la mia serva oppure morirai.” Le concesse un sorriso luminoso, cortese e falso. “Adesso è tutto chiaro?”
Erika rispose al sorriso, imitando la sua espressione in modo quasi perfetto. Questo avrebbe dovuto mandargli un segnale, forse, ma lei non gli lasciò il tempo di capire.
Si mosse così veloce che nemmeno lui riuscì a seguirla con lo sguardo.
Prima che il damerino potesse accorgersene, lei gli aveva già sfondato la faccia con un pugno. E nemmeno un pugno serio. Era stato appena un buffetto, ma ora al posto della sua faccia c’era un cratere e la parete di legno dietro la poltrona andava ritinteggiata al più presto.
Erika avrebbe potuto colpire più forte, polverizzargli del tutto la testa. Quello l’avrebbe distrutto, perché sarebbe stato l’equivalente di una decapitazione. Lei però non voleva dargli una morte definitiva. Voleva che portasse un messaggio.
Mentre il corpo morto del vampiro si trasformava velocemente in nebbia, Erika seguì i suoi movimenti con immutato sorriso e con un gesto di saluto. “Eclissati, principessa, e vai a riferire a… a chi ti pare… che Silverymoon è mia e che qui c’è una zecca con cui non si può scherzare.”
La nebbia scivolò verso la più vicina finestra, infiltrandosi fra le crepe degli infissi, come uno spiffero che esce anziché entrare. Erika sapeva che un vampiro non sarebbe stato debellato così facilmente: tutto ciò che riesce a uccidere un vampiro - con mezzi mondani, per così dire - lo costringe solo a trasformarsi in nebbia e tornare alla sua tomba. Per uccidere un vampiro per davvero serviva un paletto nel cuore, o il taglio della testa, o l’annegamento, o la luce del sole oppure il potere di un chierico specializzato nella distruzione di non morti.
Di nuovo, fece spallucce. Lo aveva avvertito. Se fosse tornato, peggio per lui.

   
 
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