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Autore: flyerthanwind    15/10/2021    1 recensioni
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La vita di Sam è quanto di più normale esista: ha una gemella che la conosce meglio delle sue tasche, un fratello con cui condivide la passione per il calcio e una squadra a cui tiene più della sua media scolastica –ma questo non ditelo alla madre!
Eppure, dal giorno in cui un vecchio amico di suo padre si trasferisce in città, la situazione prende una strana piega. Innanzitutto, le motivazioni del trasferimento appaiono strane, suo padre è strano e i sentimenti sono strani. Questo perché il figlio del tipo di cui sopra ha uno strano potere attrattivo nei suoi confronti.
Ottimi presupposti per una bella dose di disagio, non vi pare?
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Una tribù di selvaggi

Quando quell'inferno era finito e finalmente eravamo saliti in auto, la prima cosa che avevo fatto era stato sbuffare e togliermi le scarpe mentre mio padre continuava a ridacchiare. Sapevo che era dalla mia parte, come sempre del resto, ma conosceva Maeve Miller abbastanza da sapere che quando intraprendeva un flusso di coscienza era un fiume in piena che non andava interrotto.

E in quel momento era decisamente un fiume che stava straripando.

«Lucas è arrivato ma ovviamente ha dovuto scrivermi Amelia, penso che se non ci fosse lei la casa andrebbe a rotoli, tra te e tuo fratello sareste in grado di trasformarmi il soggiorno in un campo da calcio usando i miei vasi come pali e il bastone delle tende come traversa» stava farneticando parole a raffica quasi dimenticandosi di respirare mentre a quel punto anch'io avevo iniziato a ridacchiare, riuscendo però ad essere più discreta di mio padre, che infatti fu bellamente ripreso.

«Fossi in te mi toglierei quel sorrisetto dalla faccia, hai tirato su una tribù di selvaggi; Lucas e Sam beh loro sono fin troppo noti, ma Amelia... si nutre della sua stessa solitudine ed è così taciturna che a volte mi chiedo se non le abbiano tagliato la lingua al parto! Avremo sbagliato qualcosa nell’educazione? Ci è sfuggito qualcosa nella sua crescita? Almeno gli altri due fanno squadra, anche se è quasi sempre solo per fare casini o giocare a calcio, che poi cosa cavolo ci trovano non lo capirò mai» sciorinò ancora una volta; a quel punto le sue parole dovevano essere frutto del sonno mischiato all'ottimo champagne che servivano alla festa.

Quando mamma beveva tendeva a essere più sincera del solito, forse si era concentrata un po' troppo sugli aspetti negativi quella volta, ma in generale sapeva essere obiettiva. A me e Lucas divertiva molto in quei momenti perché non riusciva in alcun modo a tenere a freno la lingua, il che era davvero strano per la mamma, che solitamente era sempre composta e impeccabile e prima dar fiato alla bocca saggiava attentamente le parole.

Amelia le somigliava molto caratterialmente, anch'essa sempre pacata e attenta a ciò che mostrava – ma, soprattutto, che non mostrava – di sé. Io e Lucas, d’altra parte…

Beh, noi eravamo quelli amichevoli, compagnoni, a cui piaceva azzuffarsi in giardino mentre papà faceva da arbitro e poi fingeva di essere lì per dividerci quando mamma ci beccava. Noi lo coprivamo sempre e lui in cambio portava tutti e tre a mangiare quintali di gelato e di pizza quando la mamma faceva gli straordinari in pronto soccorso.

Ci voleva astuzia per sopravvivere alle grinfie di Maeve Miller, ma soprattutto serviva una tribù di complici da corrompere a proprio piacimento, promettendo loro mari e monti e impegnandosi affinché ogni loro desiderio divenisse realtà. Per fortuna c’era la mamma a riportarci coi piedi per terra, altrimenti sai che ragazzi viziati saremmo divenuti!

Quella notte, però, gli elogi per la sua tribù di selvaggi se li risparmiò, poiché arrivammo a casa e si precipitò a controllare la sua figlia prediletta. La prendevo sempre in giro per questa sua eccessiva protezione nei confronti di Amelia che, in tenera età, avevo scambiato per una sua evidente preferenza. 

D'altronde Amelia era sempre composta, non si arrampicava sugli alberi, non scappava di casa per correre sotto la pioggia, non si azzuffava con tutti i maschietti disposti a fare a botte con una bambina – illusi che credevano di potermi ferire! –, non saltava volutamente nelle pozzanghere.

Crescendo, poi, avevo capito che quello di mia madre altro non era che un innato senso di protezione verso quella che appariva come la più debole tra i suoi cuccioli, quella remissiva, che in realtà aveva una lingua tagliente e affilata. Amelia non era una debole, semplicemente non era una da corpo a corpo come Lucas o da attacchi diretti come me. Amelia incassava e, quando ti onorava finalmente della sua risposta, ti abbatteva completamente, ti riduceva a brandelli, ti tagliava l'anima in pezzi talmente piccoli che non sarebbe bastata una vita intera per ricomporli.

Ovviamente quello era il motivo per cui sul mio cellulare era registrata come Main Bitch e, anche se l'avevo vista fare davvero la stronza in occasioni rarissime, conoscevo bene il suo potenziale e sapevo che avrebbe fatto di tutto per proteggere noi.

Lucas ci accolse in casa con un sorriso radioso e un'abbronzatura da fare invidia a chi aveva passato l'intera estate in villeggiatura. Se ne stava seduto sul divano con un braccio mollemente poggiato sulla coscia e l’altro ad avvolgere Amelia, rannicchiata sotto le coperte contro il suo fianco. Non appena ci vide balzò in piedi.

«Ma com'è possibile, vai a fare volontariato per tre settimane e torni dall'Africa come se fossi stato tutto il tempo in spiaggia» lo schernii io immediatamente, consapevole che non fosse andato mica a Cape Town ma nell'entroterra, per una delle associazioni di cui si occupavano i nostri genitori; anche io e Amelia l'avevamo fatto quell'estate.

Mamma non l'avrebbe mai ammesso perché seguiva la politica del "fai del bene e dimenticalo", ma era estremamente orgogliosa della sua cucciolata e, se fosse stato nel suo stile, avrebbe sicuramente urlato ai quattro venti quanto fosse fiera di noi. Per fortuna sapeva farcelo capire in altri modi, spesso poco ortodossi… ma mica si poteva avere tutto dalla vita!

«Che ti posso dire, sorellina, il sole bacia i belli» rispose con un sorriso strafottente mentre avanzava verso di noi e mi avvolgeva in un abbraccio. Forse sarebbe meglio dire che mi placcò, perché quell’ammasso di bicipiti ci provava gusto a intrappolarmi contro il suo torace.

Io e Lucas ci assomigliavamo caratterialmente e in parte anche fisicamente: avevamo gli stessi capelli bruni e gli stessi occhi verdi, ma lui era più alto di una buona manciata di centimetri e aveva decisamente più muscoli, per cui il suo abbraccio mi avvolgeva completamente facendomi sparire al suo interno e rischiando persino di soffocarmi.

«Vedo che non hai dimenticato la tua irriverenza all'aeroporto» lo apostrofò mio padre, avvicinandosi per salvarmi dalle sue grinfie mentre Lucas mi scompigliava affettuosamente i capelli e per questo si beccava un po' di gomitate nello stomaco.

Eravamo piuttosto maneschi l’uno contro l’altra, anche se con l’età – e la massa muscolare che aveva messo su quando aveva iniziato seriamente a giocare a calcio – eravamo stati costretti a contenerci. Più che altro lui si conteneva, io non mi risparmiavo mai di colpirlo e riempirlo di lividi per vendicarmi di tutti i morsi che mi aveva dato quand’ero solo una bambina inerme e incapace di difendersi da suo fratello maggiore.

«Il suo ego smisurato è salvo, purtroppo per noi» s'intromise Amelia prima di essere aggredita dalla mamma per assicurarsi che stesse bene nonostante quelle poche ore lontane.

Aveva persuaso i nostri genitori ad andare al gala con motivazioni inappellabili – io sto bene, voi siete i responsabili del progetto sull’istruzione, dovete fare il punto della situazione e presentare i progressi scolastici –, ma non per questo non erano stati in pensiero tutta la sera; solo quando Lucas era rincasato avevano smesso di scriverle ogni mezz’ora.

«Come va?» domandò a quel punto la mamma, stringendolo in un abbraccio. E poco importava che lui fosse circa il doppio di lei, quando Maeve Miller entrava in modalità chioccia protettiva nemmeno il grande e grosso Lucas poteva resistere alla forza dell'amore racchiusa in quelle sue braccia esili.

In fondo non aveva bisogno di muscoli, quella donna poteva plasmare la realtà a proprio piacimento con tocchi eleganti e delicati, persuadendo solo con l’utilizzo della voce e mai della forza.

Contrariamente al suo aspetto da duro, Lucas era estremamente empatico e sensibile, nonché il più bravo a tenere nascosto quel suo lato emotivo, esattamente come papà. Non che ci volesse granché con me e Amelia come termini di paragone. Chiariamo, non eravamo due stronze patentate, ma diciamo che sapevamo come essere piuttosto distaccate. Però lei era davvero la main bitch.

Gli uomini Miller sembravano fatti d'acciaio, gente tutta d'un pezzo, in grado di fare qualsiasi cosa e mantenere sempre il sangue freddo, ma sotto quella corazza nascondevano un cuore enorme e accogliente, pronto a risplendere e illuminare il cammino altrui, indicando la retta via da seguire o rischiarando quella che si era imboccata per errore in attesa di rinsavire.

«Sto bene, sono felice di essere andato e sono contento di essere finalmente tornato» ammise senza problemi Lucas, un luccichio splendente a riflettersi nelle iridi chiare come unico ricordo di quel che viaggio che, lo sapevo bene, era in grado di dare tanto e prendersi molto di più.

La famiglia è il porto sicuro in cui è concesso tutto, soprattutto mostrare le proprie debolezze e lasciarsi aiutare da chi ci ama più al mondo a trasformarle in punti di forza. Nessuno giudica, nessuno addita, nessuno commenta; ci si fa forza a vicenda, sostenendosi quando si vacilla e lasciandosi andare quando è giunto il momento di volare per conto proprio.

«Ho conosciuto una donna fantastica stasera, Amelia, tu la adorerai» la mamma riprese il flusso di coscienza interrotto da Lucas facendo il resoconto della serata alla mia gemella. Le parlò anche di Austin, di quanto le fosse sembrato un caro ragazzo, e non potei fare a meno di approvare silenziosamente ripensando ai suoi occhioni blu.

Avevano qualcosa di magico, non riuscivo a spiegarmelo altrimenti. Per un attimo avevo persino ponderato l’idea di chiedergli se fossero finti – magari occhi di vetro o lenti a contatto – ma avevo desistito intuendo quale potesse essere la sua risposta.  Qualcosa tipo “Fatti gli affari tuoi” o “Ti ha dato di volta il cervello?!”, non lo conoscevo abbastanza per scegliere quale fosse più plausibile, ma non sarebbe stata di certo una risposta carina e gentile.

Io e papà ci lanciammo occhiatine di sbieco per tutto il tempo, prendendo in giro la mamma e la sua eccessiva euforia, ma da quel che avevo potuto notare anche Meredith Rogers era sembrata alquanto sorpresa ed entusiasta di aver conosciuto una donna come mia madre.

Di rado le aveva staccato gli occhi di dosso, fatta eccezione per i momenti in cui era stata presentata ad altri ospiti oppure quando Rogers Senior la apostrofava e, sebbene inizialmente avevo avuto l’impressione che la stesse testando, studiando le sue reazioni, infine avevo notato una sincera e disinteressata ammirazione nei suoi confronti.

D'altronde, come darle torto, mia madre era sempre stata l'uragano che è in grado di riportare l'ordine e, se avesse voluto, avrebbe persino potuto cambiare il colore del cielo.

N.d'A.

Capitolo di passaggio ma finalmente conosciamo per bene la famiglia Miller. Ne avevo bisogno per delineare bene il carattere dei personaggi principali nonché per presentarvi l'ambiente in cui i protagonisti sono cresciuti. Spero abbiate apprezzato, fatemelo sapere con una recensione!

Luna Freya Nives
   
 
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