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Autore: Ghost Writer TNCS    16/10/2021    1 recensioni
Da sempre le persone hanno vissuto sotto il controllo degli dei. La teocrazia del Clero è sempre stata l’unica forma di governo possibile, l’unica concepibile, eppure qualcosa sta cambiando. Nel continente meridionale, alcuni eretici hanno cominciato a ribellarsi agli dei e a cercare la verità nascosta tra le incongruenze della dottrina.
Nel frattempo, nel continente settentrionale qualcun altro sta pianificando la sua mossa. Qualcuno mosso dalla vendetta, ma anche dalla volontà di costruire un mondo migliore. Un mondo dove le persone sono libere di costruire il proprio destino, senza bisogno di affidarsi ai capricci degli dei.
E chi meglio di lui per guidare i popoli verso un futuro di prosperità e progresso? Chi meglio di Havard, figlio di Hel, e nuovo dio della morte?
Questo racconto è il seguito di AoE - 1 - Eresia e riprende alcuni eventi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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Prologo

La città di Kandajan era un centro abitato di medie dimensioni situato nella parte centro-settentrionale dei territori degli orchi. Tutto intorno c’erano campi coltivati dove lavoravano gli schiavi e poi la sconfinata prateria dove pascolava il bestiame. Un piccolo fiume garantiva il rifornimento di acqua e delle rudimentali mura di pietra e legno la proteggevano dalle scorribande dei predoni.

Era tarda mattina quando le sentinelle avvistarono un gran numero di orchi in avvicinamento. Erano circa duecento e si muovevano a cavallo di monoceratopi, robusti animali simili a rinoceronti. Non poteva trattarsi di semplici banditi, e le sentinelle ebbero la prova di ciò quando sopra la piccola armata videro librarsi un giovane drago: quelli erano sicuramente i ribelli di cui avevano sentito parlare.

Immediatamente suonarono l’allarme. Dovevano schiacciare quei ribelli eretici, in nome degli dei e della giustizia!

Seduto in groppa al suo giovane drago di foresta, l’orco pallido osservava con i suoi occhi verdi la città di Kandajan. Il suo viso severo aveva dei tratti eleganti per gli standard degli orchi, ma la caratteristica che più risaltava erano i segni neri che aveva sotto gli occhi, simili a lacrime cicatrizzate. La sua arma era un lungo bastone che sembrava fatto di ossa fuse insieme, perfettamente abbinato con il teschio di uccello – forse di corvo – che portava come pendente intorno al collo. Indossava abiti da guerriero, probabilmente sottratti a qualche guardia, che però non riuscivano a nascondere il suo fisico relativamente esile.

Gli orchi pallidi erano tipicamente meno robusti degli altri orchi, e per questo venivano spesso fatti prigionieri e venduti come schiavi. Molti dei contadini di Kandajan erano orchi pallidi come lui, ma il cavaliere non era lì per loro. E non era nemmeno lì per la città in sé: Kandajan era una città fiorente, ma non era un obiettivo strategico particolarmente importante. Conquistarla non avrebbe costituito una svolta per il suo neonato regno, e anzi sarebbe stato un problema difenderla dai futuri assalti delle truppe del Clero.

Eppure lui era lì, pronto a rischiare il suo piccolo esercito pur di sbaragliare i difensori e superare le mura. Perché lì viveva l’assassina di sua madre, ed era pronto a tutto pur di reclamare la sua anima. L’aveva giurato a sé stesso: quel verme avrebbe subito il castigo infernale del risorto regno di Hel!

Sollevò il suo bastone d’ossa e infuse telepaticamente l’ordine di attaccare a tutti i suoi uomini.

Avrebbe messo tutto sé stesso in quell’assalto.

L’assalto fu un disastro. Credeva di riuscire a cogliere in controtempo le guardie, invece i difensori avevano sbarrato i cancelli, neutralizzando la carica degli attaccanti. Per farcela in tempo avevano chiuso fuori gli schiavi e alcuni dei loro controllori, ma evidentemente per loro erano sacrificabili.

Come se non bastasse, dalla città erano arrivati ben due inquisitori, potenti guerrieri capaci di sfruttare la benedizione degli dei per uccidere chiunque si opponesse al Clero. In groppa ai loro draghi avevano seminato il terrore tra le truppe del pallido, massacrando orchi e monoceratopi a decine.

L’orco pallido ordinò la ritirata e si lanciò all’inseguimento di uno degli inquisitori per far guadagnare tempo ai suoi. Ormai avevano perso, ma non poteva lasciare che altri guerrieri morissero inutilmente.

Puntò il suo lungo bastone e da esso partì un raggio tetro che colpì un’ala del drago del nemico. Immediatamente la membrana cominciò a consumarsi, a imputridirsi, come se un morbo l’avesse infettata. L’animale ruggì di dolore e cominciò a perdere quota. L’inquisitore lanciò una palla di fuoco, ma il giovane drago di foresta riuscì a schivare. L’orco pallido evocò una barriera e in questo modo riuscì a proteggersi finché il nemico, costretto a terra, non fu fuori portata.

Restava un solo inquisitore.

Il pallido si guardò intorno, ma una nuvola di fumo lo investì dall’alto. Lui e il giovane drago respirarono il veleno e subito cominciarono a tossire.

L’orco lanciò un altro incantesimo contro il drago del nemico, e anche questa volta la magia andò a segno, costringendo il drago dell’inquisitore ad atterrare. Ma ormai il guerriero del Clero aveva colpito: il pallido e la sua cavalcatura avevano respirato il fumo velenoso, se non facevano qualcosa presto sarebbero morti anche loro.

Dovevano sbrigarsi a tornare indietro, dovevano raggiungere la loro base. Lei sarebbe stata in grado di guarirli. O almeno lo sperava: non conosceva nessun altro in grado di contrastare il veleno di Tezcatlipoca[1].

Guardò sotto di sé. I suoi guerrieri stavano fuggendo in maniera disordinata: alcuni gruppi non erano nemmeno diretti al campo. Ma con il suo giovane drago preda del veleno, non aveva il tempo per riunirli e riportare l’ordine.

Poteva elencare diverse ragioni per quella sconfitta, ma la verità era che la vendetta l’aveva accecato. Non erano pronti ad affrontare un simile nemico, e i suoi subordinati ne stavano pagando le conseguenze.

Tossì ancora.

Per colpa della sua avventatezza stava rischiando di perdere tutto. Anni di preparazione, settimane di battaglie e una fiducia faticosamente costruita sulla promessa di un futuro migliore.

Era così che sarebbe finita?


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[1] Dio azteco della notte e delle tentazioni.

   
 
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