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Autore: sl6991sl    17/10/2021    1 recensioni
[UshiHina]
Non è sempre facile venire a patti con se stessi, Hinata lo imparerà a proprie spese rischiando di perdere tutto.
Tratto dal testo:
"Quando abbiamo iniziato a frequentarci pensavo che non dovessimo per forza dare un nome a quello che stava accadendo, ero felice e tu anche e questo pensavo che potesse bastare.
Solo che poi i giorni sono diventate settimane e le settimane sono diventate mesi e più passava il tempo più prendevo consapevolezza di ciò che provavo e, fidati, mi andava bene: amarti non mi è mai apparso più semplice"
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Wakatoshi Ushijima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è un regalo di compleanno per una persona speciale: FAlRYSUGA 
Ti voglio bene 💜

--🌸--

Spring - Tokyo

«Mamma non preoccuparti, d'accordo? Starò qui a Tokyo un paio di giorni per vedermi con i miei amici e poi, prima di ripartire, ti prometto che torno a casa qualche giorno.» spiega pazientemente Hinata, mentre osserva la vetrina di un negozio di abbigliamento maschile, trovando particolarmente bella una felpa dai colori neutri indosso ad uno dei manichini.

«Potevano venire qui i tuoi amici. Non ti vediamo da quasi un anno: avrei preferito passassi le tue vacanze qui con me e tuo padre.»

La madre di Hinata ha un tono di voce basso, ma deciso: il suo solito tono da rimprovero che ha iniziato a adoperare da quando, all'età di diciannove anni, ha lasciato il Giappone per andare in Brasile. Hinata non riesce a capire se lo faccia perché ora è un adulto - e gli adulti non urlano se non in casi eccezionali - oppure, opzione più credibile, sua madre ha paura che i loro soliti battibecchi rischino di separarli definitivamente - come se vivere in due parti del mondo completamento agli antipodi non fosse già abbastanza.

«Kenma non può lasciare il lavoro e, in ogni caso, ho promesso anche di fare un salto agli allenamenti degli under 18 della nazionale: è lavoro, mamma.»

Sì, quella felpa gli piace proprio tanto: appena terminerà la chiamata entrerà nel negozio per comprarla.

«Continua a suonarmi strano quelle parola detta da te: lavoro.» sospira sua madre in modo teatrale e Shoyo può immaginarla, seduta al tavolo della cucina con i capelli tutti spettinati raccolti frettolosamente in una coda e gli occhi stanchi. «Non posso oppormi, quindi ti aspetto qui appena ti liberi dai tuoi mille impegni! Manchi a tutti e Natsu vuole vederti, quindi non svignartela senza dire nulla.»

Hinata l'ha fatto solo una volta e la ramanzina che si è beccato gli è valsa come monito per possibili stupide idee future e, per essere sicuro di non farlo più, si è appeso un post-it sul frigorifero nel suo monolocale a Rio, che recita esattamente queste parole: "Non andartene più dal Giappone senza essere passato per almeno cinque minuti da casa".

Sua madre sa essere terribilmente convincente, quando vuole.

«No mamma, non scapperò. Ora devo proprio andare, okay? Salutami tutti e ti voglio bene.»

«Te ne voglio anch'io. Torna presto.»

Una volta chiusa la chiamata, Hinata varca la soglia del negozio: d'altronde lo aveva detto che quella felpa gli piaceva terribilmente.

Due ore più tardi Hinata è seduto nel mezzo del salotto dell'appartamento di Kenma, la felpa che tanto gli piaceva abbandonata in una busta del negozio vicino al suo cappotto e gli occhi lucidi dal sakè che l'amico continua a versare.

«Puoi farmi bere quanto vuoi, ma non ti racconterò nulla.» sussurra il giocatore di pallavolo, anche se il suo tono ha perso decisione quasi un'ora prima, quando ha capito che tenersi dentro tutto ciò, forse, non fa un granché bene alla sua salute mentale.

«Voglio solo capire: riguarda le Olimpiadi?» domanda Kenma, i lunghi capelli sciolti sulle spalle e l'espressione di chi vuole sapere ogni cosa, anche se mascherata da finta indifferenza.

«No, no ... forse, in un certo senso ... ma no.» mormora a mezza voce Hinata chiudendo gli occhi e cercando di focalizzarsi su qualcosa di intelligente da dire.

Le Olimpiadi di Tokyo 2020 ... 2021 ... hanno lasciato un retrogusto molto amaro in lui. Dopo mesi e mesi di restrizioni a causa di una pandemia, il poter tornare ad allenarsi e a giocare a pallavolo lo aveva elettrizzato. Tutta la squadra era stata pervasa da quel senso di aspettativa che li aveva spinti a dare il massimo per tutti i gironi.

Ritrovarsi ai quarti di finale per Hinata era apparso un sogno; improvvisamente si vedeva in un futuro non troppo lontano a stringere la medaglia d'oro fra le mani ... poi si era svegliato.

Primo girone dei quarti buttati fuori dal Brasile - a detta sua molto ironico, dato che gioca in una squadra brasiliana e che il suo monolocale è nel centro di Rio. Era stato devastante e, per una volta, nessuno aveva avuto il coraggio di commentare quella partita.

Si erano ritirati in silenzio a seguire il resto delle partite, osservando Oikawa vincere la medaglia di bronzo e sprecarsi in parole di dispiacere: sicuramente Iwaizumi aveva minacciato di staccargli entrambe le braccia se avesse fatto lo stronzo.

Il suo sogno, quello di vincere una medaglia d'oro olimpica, si era spento brutalmente e improvvisamente, ma dopo qualche giorno e qualche sbronza di troppo, la voglia di allenarsi, combattere e migliorarsi aveva avuto la meglio: aveva imparato dai suoi errori ed era pronto a dare il meglio di sé alle prossime Olimpiadi.

Hinata, d'altronde, era diventato un'atleta che aveva una carriera avviata davanti agli occhi ... in un certo senso, il suo sogno, era ben che realizzato.

Quindi sì, i giochi olimpici gli avevano lasciato l'amaro in bocca, ma no, la sua scomparsa improvvisa dal Giappone senza avvisare nessuno, poco aveva a che fare con quello.

L'unico ad esserne informato era Kageyama, ora stazionato in Italia per giocare nella Ali Roma, che gli aveva giurato di non parlarne con nessuno.

«Senti, sarò sincero: Kuroo pensa che tu abbia qualche tresca con qualche super modella brasiliana e ti stia cruciando per il nulla, io penso che possa essere tutto tranne che quello. Siamo solo preoccupati per te e, inoltre, Kageyama non vuole dirci nulla.»

Shoyo socchiude gli occhi osservando l'amico, rimanendo sorpreso come succede ogni volta che Kenma dice più di tre o quattro parole di seguito. Sorride, pensando che può sempre fidarsi del suo migliore amico, dato che non ha ceduto di fronte alle insistenze di Kuroo.

«Se te lo dicessi ... mi prometti che non dirai niente al tuo fidanzatino?» domanda Shoyo sporgendosi verso l'amico.

Kenma annuisce, mentre le sue guance gli si imporporano per l'imbarazzo: «Sì, certo ... ma non è il mio fidanzato, non ancora.»

Rimangano a fissarsi negli occhi per non so quanto tempo, poi Hinata si siede più composto e sposta lo sguardo sulle sue mani perfettamente curate, un'abitudine che ha preso da Tobio.

«Il motivo per cui sono fuggito da qui dopo i giochi e per cui non volevo tornare è Ushijima.»

«Ushijima? Intendi Wakatoshi Ushijima? E per quale motivo? Pensavo foste diventati amici ... non dirmi che ti incolpa per la sconfitta!? Che ti ha detto?» mormora preoccupata Kenma e Shoyo deve davvero impegnarsi per capire tutto quello che sta dicendo: non sa se incolpare ciò all'alcol che inizia a fare effetto o la parlantina troppo veloce di Kenma - probabilmente la prima, dato che Kenma non parla mai velocemente.

«Non mi ha detto nulla.»

Sarà pure ubriaco, ma Hinata riconosce lo sguardo confuso dell'amico e, dopo qualche altro minuto di esitazione, decide di raccontargli tutto.

Deve tornare parecchio indietro, alla convocazione della nazionale, ai primi ritiri, a quello che è successo durante la quarantena forzata per via del covid, alla ripresa degli allenamenti, i giochi olimpici ... la sconfitta ... il senso di impotenza ... la rabbia ... la sua fuga.

Kenma lo lascia parlare senza mai interromperlo, assorbendo tutte le informazioni. Sono talmente concentrati che nessuno dei due si accorge della piccola tempesta di petali rosa e bianchi che avvolge l'intera città, mostrando uno spettacolo unico ad una Tokyo sul procinto di addormentarsi.

 

Hinata è preoccupato. L'intero mondo si è chiuso in casa e lui è lontano dalla sua famiglia, ma anche dalla sua stessa casa.

Il soggiorno a New York si sta rivelando una condanna, non più una semplice vacanza.

La primavera è alle porte, ma tutto è immobile e fermo. La vista dell'appartamento dove alloggia dà su Central Park e, in un moto di nostalgia, pensa che in quel periodo dell'anno il suo amato Giappone è ricoperto di petali rosa.

«Che fai già in piedi?».

La voce giunge alle sue spalle, ma è talmente vicina da percepirne il calore sulla nuca, subito dopo due braccia lo stringono forte, avvolgendolo totalmente.

Hinata si sente protetto in quell'abbraccio che ha il potere di scacciare ogni sua preoccupazione, forse perché gli rammenta che loro stanno bene e così anche le loro famiglie e che prima o poi tutto quello schifo avrà fine.

Hinata se lo ripete ogni giorno, ma quel dannato virus continua a serpeggiare minaccioso e lui è bloccato a New York, dove non può nemmeno uscire a correre per sfogarsi, perché è consentito uscire di casa solo per andare a fare la spesa.

Ha paura di impazzire, Hinata.

«Guardavo Central Park.»

È vero, stava solo guardando il panorama e come sempre la sua mente è partita per posti che conosce solo lei, dove lui si sente solo e perso, dove la luce in fondo al tunnel non è visibile e lo spaventa sempre di più.

«Va tutto bene.»

Un leggero bacio viene lasciato fra la sua chioma scompigliata, un bacio che lo rilassa totalmente, che gli rammenta che è vero: stanno bene e, a differenza di molte persone più sfortunate di loro, almeno sono insieme.

Hinata deve vedere il lato positivo, se fosse stato a Tokyo o a Rio, probabilmente non sarebbe con lui in questo momento.

«Andrò tutto bene, lo sai? Presto finirà tutto e potremmo tornare a giocare a pallavolo come al liceo.»

Hinata sorride a quel pensiero, alla possibilità di tornare alla normalità e le sue mani cercano quelle di lui, intrecciando le dita in una stretta salda e forte. Una stretta che gli dona stabilità.

«Ti amo.»

Il sussurro che lascia le sue labbra è un azzardo, lo sa, ma alle sue spalle riceve solo un bacio, un sorriso fra la sua zazzera disordinata e poi un abbraccio più stretto.

«Lo so, l'ho sempre saputo. Aspettavo solo che me lo dicessi.»

E fuori non ci sono i fiori rosa del Giappone, non c'è la gente che si ammassa per strada per vivere normalmente la propria giornata e Central Park, per quanto bello, è solo una macchia verde in mezzo al grigio; ma Hinata ha lui e tutto il resto non importa, soprattutto quando lo guarda in quel modo e con il sorriso sulle labbra gli dice che lo ama, che lo farà sempre perché è giusto sia così.

Ed Hinata ci crede, perché lo ama, perché ha bisogno di crederci fermamente.

 

   
 
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