XX. La musa inconsapevole
[Cesto]
[Cesto]
Hinata non parla più.
Non c’è supplica, preghiera o ninnolo che gli faccia cambiare idea – ha scoperto il perché dell’occhio nero di Kageyama e non si sa bene da chi.
Atsumu si presenta con un cesto di lamponi, fiori e buone intenzioni – prudenza, gli ricorda Monique – ma non serve a scucirgli nemmeno una parola.
Tobio non tenta: un giorno s’avvicina al bancone e domanda un caffè corretto (è lunedì: fammene pure due) e spinge verso di lui una fotografia rovesciata.
Hinata la prende e la osserva – sapeva d’esser musa inconsapevole, non immaginava d’esser bravo per davvero – e sorride.
«Quindi mi fotografavi per davvero» commenta, porgendogli una bustina di sale al posto dello zucchero. «Pensavo d’essermelo immaginato».
«Quindi non sei muto» risponde Tobio, calmo. «Penso che il tuo amico, lì, lo abbia pensato».
Un cesto di lamponi e fiori (e buone intenzioni) giace abbandonato sul retro, lo sguardo di Hinata sa di acciaio.
«Non è mio amico».
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