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Autore: Nana_13    20/10/2021    0 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20

 

Il peso delle responsabilità


Quando si svegliarono era ormai ora di pranzo, ma a nessuno andava molto di mangiare. Il ritorno di Claire era stato talmente improvviso e inaspettato che, nonostante la gioia di accoglierla fosse incontenibile, richiedeva del tempo per essere metabolizzato. Si limitarono così a sbocconcellare qualche avanzo della sera prima, approfittando dell’occasione per stare di nuovo in sua compagnia. 

Juliet non avrebbe potuto desiderare regalo più bello e la stessa felicità poteva leggerla negli occhi di Cedric, che non si staccavano da Claire neanche per un secondo. Ne sembrava come rapito e per la prima volta da settimane lo vide tornare il ragazzo allegro che avevano conosciuto nell’aula punizioni. Neppure l’atteggiamento diffidente di Dean pareva toccarlo più di tanto e questo la spinse a fare lo stesso, pensando solo a godersi il momento. Non gli avrebbe permesso di rovinare tutto.

Da parte sua Claire sembrava serena. Rispondeva a tutti con il sorriso sulle labbra, seppur velato da una leggera malinconia a causa di quello che aveva dovuto subire. Niente di lei faceva pensare che stesse tramando chissà cosa o che fosse addirittura in combutta con Nickolaij, come Dean aveva insinuato. Trovava ripugnante la sola idea e il fatto che continuasse a scrutarla dal suo angolo, quasi si aspettasse che li aggredisse da un momento all’altro, le faceva venir voglia di prenderlo a schiaffi. 

Con la coda dell’occhio lo vide trasalire leggermente quando allungò il braccio verso l’amica per offrirle il piattino delle olive, ma durò solo un istante. 

“No, grazie.” rispose Claire, abbozzando un mezzo sorriso imbarazzato. 

Fu allora che Juliet si rese conto di aver fatto una stupidaggine e ritrasse il piatto. 

Lei però scosse la testa, come a dire di non preoccuparsi. “Lo so, a volte perfino io faccio fatica a ricordarmi che non ho più bisogno di mangiare. Anche se in realtà potrei, ma sarebbe inutile.” disse in tono nostalgico, per poi guardarsi intorno, forse in cerca di nuovi argomenti. “Un po’ mi dispiace di non essere al villaggio. Mi è mancata casa di Laurenne. Comunque, qualsiasi cosa è meglio di Bran…” Prima ancora di finire la frase si rese conto della reazione che le sue parole avevano provocato e restò interdetta. “Ops, scusate…”

“È tutto apposto. Siamo solo dispiaciuti per te.” la rassicurò Cedric comprensivo.

Dopo aver ricambiato il sorriso, Claire emise un sospiro, abbassando lo sguardo sulle loro dita intrecciate sotto al tavolo. “Beh… Me la sono cercata, no?”

Dal tono si percepiva chiaramente che fosse ironica, ma su Rachel ebbe l’effetto opposto. L’ultima cosa di cui aveva voglia in quel momento era scherzare. “Già, infatti.” concordò risentita. “Perché come al solito hai preferito fare di testa tua, senza pensare minimamente alle persone che ti vogliono bene e fregandotene di quanto potessero starci male.” la accusò, incurante delle prevedibili espressioni di disappunto sulle facce degli altri. Sentirla raccontare del tempo trascorso a Bran e delle sue sofferenze le aveva fatto un effetto diverso rispetto a loro. Nonostante ne fosse straziata, ora che Claire era tornata non riusciva proprio a far finta che non fosse mai successo. Continuava a essere convinta che se solo si fosse degnata di consultarli, invece di immolarsi come vittima sacrificale, forse insieme avrebbero trovato un’alternativa.

“Non ho avuto scelta, lo sai.” mormorò lei in replica, evitando di guardarla. 

“Oh, no. Una scelta ce l’avevi, eccome, ma hai deciso di ignorarla rivolgendoti all’unico abbastanza cinico da assecondare il tuo folle piano.” 

Dalla sua postazione in fondo alla tenda Dean non intervenne, sebbene fosse stato chiamato in causa.

“Ray…” provò a frenarla Mark, ottenendo solo di venire ignorato. 

“Tu fai sempre così, Claire. Ti metti nei casini e poi vieni a chiedere perdono.” –Come con la storia di Jamaal- pensò subito dopo, trattenendosi però dall’esternarlo ad alta voce. Cedric era presente e, nonostante fosse arrabbiata con l’amica, non l’avrebbe messa a disagio di proposito davanti a lui.

“Su, adesso basta.” si intromise Juliet, cercando come al solito di raffreddare gli animi. “L’importante è che stia bene e che sia tornata da noi.”

“E sono al settimo cielo per questo, è ovvio.” precisò Rachel. “Ma è giusto che sappia quello che ci ha fatto passare. Eravamo distrutti, Claire. Ti credevamo morta.”

“Lo so e mi dispiace davvero tanto, ma non c’era altro modo. Se ve l’avessi detto, non mi avreste lasciato andare…”

“Certo che no!” esclamarono Rachel e Juliet all’unisono.

“E a quest’ora Cedric sarebbe morto! Come chissà quanti altri di voi!” Le lacrime inondarono i grandi occhi azzurri di Claire, che scossa da fremiti di rabbia strinse le mani a pugno sul tavolo cercando di contenersi. “Se tornassi indietro rifarei tutto. Mi dispiace di non avervi potuto coinvolgere e non smetterò mai di scusarmi per questo. L’unica cosa di cui non mi pento, però, è di avervi salvato il culo!” Ormai travolta dal pianto, si alzò dal cuscino dove era seduta e, prima che qualcuno potesse fermarla, raggiunse di corsa l’uscita e sparì. 

Il senso di colpa non ci mise molto a invadere Rachel, che rimase lì ferma e ammutolita, avvertendo su di sé gli sguardi di disapprovazione del resto del gruppo. 

“Brava, Sabrina. Ottimo lavoro.” la criticò Cedric, facendo poi per andare dietro a Claire.

Dean, però, era già in piedi. “Lascia, ci penso io.” 

Come prevedibile, l’offerta non incontrò il suo favore. “Se permetti, è la mia ragazza.” obiettò, sottolineando la parola mia con più enfasi. 

“Ed è anche un vampiro da soli tre mesi.” puntualizzò Dean in tono pacato ma fermo. “Se in preda alle sue emozioni dovesse azzannarti il collo, poi non venire a piangere da me.”

Con quella risposta lo freddò e, senza perdere tempo ad attendere il suo benestare, uscì a cercarla. 

Per alcuni istanti successivi nella tenda scese il silenzio. Come inizio non era stato certo dei migliori e Rachel si rendeva conto di aver esagerato, eppure una parte di lei sapeva di avere ragione. Il suo problema era sempre stato di non riuscire a dimostrarlo senza aggredire le persone.

“Magari avresti potuto aspettare un altro po’ prima di darle addosso. È appena arrivata e anche lei non è che abbia passato dei bei momenti ultimamente.” esordì Cedric per primo, visibilmente ancora seccato per aver dovuto sottostare al volere di Dean.

“In effetti…” concordò Juliet, lanciandole uno sguardo di velato rimprovero.

“Ma sì, certo. Tanto sono sempre io quella indelicata.” Sentendosi sotto accusa, Rachel afferrò il grimorio e uscì anche lei. Negli ultimi tempi stare in loro compagnia era diventato soffocante, quasi un peso ed era sempre più difficile comprimere la rabbia nel profondo delle viscere per impedirle di scoppiare; così Imboccò una direzione a caso, decisa a ignorare la voce concitata di Juliet, che nel frattempo le era corsa dietro, pregandola di fermarsi. 

“Ray!” 

Continuava a chiamarla, ma lei procedette spedita. Non aveva alcuna voglia di sorbirsi l’ennesima paternale. 

“Per favore, aspetta!”

Quando infine la raggiunse, posandole una mano sulla spalla, Rachel non poté più ignorarla e con un sospiro spazientito si voltò.

“Si può sapere che ti è preso? C’era davvero bisogno di trattarla in quel modo davanti a tutti?”

Una mezza risatina isterica le uscì di bocca, prima di lanciarle un’occhiata sprezzante. “Non fare l’ipocrita. Quello che ho detto lo pensi anche tu, ne abbiamo parlato mille volte.”

“Vero, ma avrei preferito affrontare l’argomento con più calma.” 

“Beh, io invece volevo togliermi subito questo dente. Al contrario di altri, a me non piace nascondermi dietro falsi sorrisi, mi conosci.” 

L’insinuazione sembrò ferirla. “Come faccio io?” osservò risentita. “È questo che vuoi dire?”

Il silenzio di Rachel gliene diede conferma.

“Wow… Non ti facevo così maligna, Ray. Sei cambiata negli ultimi tempi, la magia deve averti dato alla testa e non sono l’unica a pensarlo. Capisco che tu sia nervosa, che tutte queste responsabilità ti spaventino, ma non è trattando a pesci in faccia i tuoi amici che risolverai le cose!” si sfogò l’amica tutto d’un fiato.

Da quando erano stati costretti a fuggire dalla Scozia, quella era la prima volta che qualcuno le sbatteva in faccia la realtà, che invece di compatirla la metteva di fronte alle sue colpe. Stava allontanando tutti con il suo vittimismo, ma solo perché aveva paura e la missione affidatale da Margaret c’entrava fino a un certo punto. A quel peso infatti se n’era aggiunto un altro forse anche peggiore. Finora aveva tentato a tutti i costi di scacciare quella sensazione, fingendo che fosse solo una sua paranoia, ma ora non ce la faceva più. Doveva dirlo a qualcuno. D’un tratto e senza quasi rendersene conto, cominciò sommessamente a piangere. 

“Ehi…” mormorò Juliet, ritrovando la calma e avvicinandosi allarmata. “Non fare così. Mi dispiace, non volevo…”

Lei però scosse la testa, portandosi una mano alla bocca per reprimere i singhiozzi; poi respirò a fondo, cercando di ritrovare il contegno, prima di guardare di nuovo l’amica. “Non è colpa tua. Anzi, hai ragione e ti chiedo scusa. È solo che…” esitò. L’impulso di confessarle tutto era fortissimo, ma una parte di lei opponeva ancora resistenza. Temeva il suo giudizio.

Intuendo che ci fosse dell’altro, lei la invitò a continuare e così alla fine Rachel si fece coraggio. “Ho un ritardo.” buttò fuori in un soffio. 

Per un attimo lo spaesamento si impadronì del volto di Juliet, che si prese del tempo per elaborare l’informazione. “Oh…” reagì infine, sbattendo le palpebre come se stesse ancora realizzando. “Quindi sei…”

“Non lo so, ma spero vivamente si tratti di stress, perché non potrei sopportare anche questo.” la precedette, passandosi nervosa una mano tra i capelli. 

Trascorse qualche altro secondo in cui Juliet non fiatò, del tutto presa alla sprovvista da quell’eventualità e dovette sforzarsi per farsi uscire qualcosa di bocca. “Io non… non so cosa dire, Ray. Non avete usato le protezioni?”

“È successo giusto un paio di volte e non eravamo attrezzati. Come avremmo potuto esserlo?” Assalita dall’ansia, Rachel sentì il battito cardiaco accelerare. “Che stupida sono stata, una povera imbecille! Come se non lo sapessi che basta anche una sola volta per…” Un groppo le serrò la gola, nel terrore che andare avanti potesse avvalorare quell’agghiacciante possibilità.

Era una situazione più complicata di quanto Juliet immaginasse e d’un tratto si ritrovò a pensare che Rachel e Mark dovessero essersi dati un gran da fare in quel periodo, a differenza di lei e Dean... –Come ti viene in mente?- si richiamò subito all’ordine, tornando a concentrarsi sull’amica. “Okay, manteniamo la calma. Forse Laurenne può scoprire se lo sei davvero. Hai provato a chiederglielo?”

“Volevo farlo, ma non trovo il coraggio.” disse Rachel con aria mesta. “E se lo fossi? Insomma, io non posso avere un bambino, Juls! Non con quello che stiamo passando, è assolutamente escluso!” Il panico montava dentro di lei ogni volta che era costretta a ripensarci.

“Mark lo sa?” 

“Certo che no. L’ho detto solo a te. Se lo venisse a sapere… Non so se voglio dirglielo.” 

“Ma lui deve saperlo, Ray! Non è giusto tenerlo fuori.” la redarguì, sperando di riuscire a convincerla. Ci mancava solo che gli tenesse nascosta una cosa così importante.

“Già mi è stato col fiato sul collo per settimane per colpa della magia. Apprensivo com’è, se glielo dicessi non mi lascerebbe più respirare!” ribatté con gli occhi lucidi. La sola prospettiva le faceva accapponare la pelle. “Ascolta, è solo un ritardo. Può capitare, no? Magari è un falso allarme, perché raccontarlo in giro? Chiederò a Laurenne di visitarmi e se dovesse confermarlo…”

“A quel punto glielo dirai?” la incalzò Juliet irremovibile. “Perché secondo me dovresti. È una cosa troppo importante per non affrontarla insieme.”

Rachel avrebbe preferito non rispondere e il caso volle che proprio l’arrivo di Mark la salvasse da quel fastidio. Appena lo vide venire verso di loro, infatti, le fece segno di tacere.

“Ehi, eccovi.” constatò, ignaro di tutto. 

Fissandosi i piedi, Rachel evitò di guardarlo in faccia. Se lo avesse fatto, probabilmente avrebbe capito che gli stava nascondendo qualcosa, ammesso che già non lo sospettasse. 

“Laurenne ti sta cercando.” la avvertì, dopo essersi schiarito la gola per interrompere l’imbarazzo che si era creato tra loro. “Pare che abbia scoperto qualcosa su alcuni ingredienti… Ha detto un paio di nomi, ma non saprei ripeterli.” 

Lo sentì appena ridacchiare, senza tuttavia prestarvi molta attenzione. Mugugnò solamente qualcosa in risposta, prima di superare sia lui che Juliet e rincamminarsi verso la tenda.

L’espressione del ragazzo mentre la guardava allontanarsi non avrebbe potuto essere più esplicita e non ebbe bisogno di parlare perché Juliet intuisse il suo stato d’animo. “Non ce l’ha con te.” provò allora a rincuorarlo, dandogli degli amichevoli colpetti sulla spalla. “Tutta questa storia la sta facendo impazzire, ma è solo un periodo, vedrai che le passerà.” Quel tentativo di minimizzare aveva il solo scopo di coprire l’amica, ma le procurò comunque una buona dose di sensi di colpa. Dentro di sé, pregò che Rachel si decidesse a dirgli la verità il prima possibile.

“Lo spero.” sospirò amareggiato, distogliendo lo sguardo dalla direzione in cui si era appena allontanata.

Quando Rachel rientrò nella tenda era convinta di trovare la sciamana ad attenderla, invece c’erano solo Dean e Claire. Lui se ne stava seduto in un angolo a leggere un libro, mentre Claire non la degnò d'uno sguardo, continuando a tirare fuori alcuni vestiti da una sacca fingendo di non averla nemmeno vista arrivare. 

Per nulla intenzionata a iniziare l’ennesima discussione, Rachel non vi badò. “Laurenne è già andata via?” chiese a nessuno in particolare. “So che mi cercava.”

Senza distogliere l’attenzione dagli abiti, Claire le passò un biglietto scritto di fretta dalla sciamana. “È passata poco fa, mi ha portato dei vestiti puliti. Ha detto che doveva parlarti e che la trovi in infermeria.” spiegò in tono piatto, prima di rivolgersi a Dean. “Ti dispiace? Dovrei cambiarmi.”

Con un sospiro accondiscendente, lui richiuse il libro e le lasciò sole.

“Quindi mi parli ancora.” constatò Rachel. Mentre aggiungeva al grimorio altre cose utili nella borsa, guardò l’amica con la coda dell’occhio, cercando di captarne la possibile risposta, che però non arrivò e questo la fece sentire se possibile ancora più in colpa. Era così felice che fosse di nuovo tra loro e si diede della stupida per aver anteposto l’orgoglio all’affetto che nutriva per lei. “Claire…” mormorò d’un tratto.

Colte entrambe dallo stesso impulso, si voltarono l’una verso l’altra. Claire non sembrava arrabbiata, al limite avvilita e lei non poté più trattenersi. “Mi dispiace tanto.” ammise.

Il sorriso che Claire le rivolse quasi subito le fece capire che non c’era bisogno di aggiungere altro. Le si avvicinò, coinvolgendola in un abbraccio, che Rachel ricambiò all’istante. Tra loro funzionava così. Discutevano spesso per via dei caratteri diversi, ma poi trovavano sempre il modo di riconciliarsi. 

“Ti voglio bene.” le disse sincera.

“Anch’io. Mi sono mancate da morire le nostre litigate.” scherzò, facendola ridere. 

Nello stesso istante Juliet rientrò e, appena le vide, intuì subito cosa fosse successo. Piena di felicità, si abbandonò a un gridolino eccitato, correndo poi a unirsi all’abbraccio. “Vi prego, basta melodrammi.” le implorò con gli occhi lucidi. 

Mentre si godevano il momento, Cedric fece capolino da dietro il lenzuolo che divideva la zona bagno dal resto della tenda, attirato dal trambusto. Quando le vide di nuovo insieme, allegre e commosse, lì per lì non comprese. “Bah, le donne…” esordì infine con un sospiro. “Bravo chi le capisce.”

La voce di Dean proveniente da fuori però le riportò con i piedi per terra. “Claire, sei vestita?” 

Ricevuto il permesso, lui ed Evan entrarono e, non appena la vide, il ragazzo corse subito ad abbracciarla entusiasta. Si scambiarono qualche convenevole, poi passò a spiegarle il motivo della sua presenza. “Najat ti vuole vedere, mi ha chiesto di accompagnarti alla sua tenda.” 

“Non ha perso tempo.” commentò Rachel acida. 

Claire però la rassicurò con un cenno della mano. “Va bene così, me lo aspettavo.” Poi tornò a guardare Evan determinata. “Fammi strada.”

“Vengo anch’io. Non penso che a Najat dispiacerà se assisto.” si unì Dean, sempre desideroso di vederci chiaro in quella faccenda.

 

-o-

 

Najat faceva avanti e indietro sul grande tappeto di lana grezza che fungeva da pavimento per la tenda del comandante, la mente che lavorava nel tentativo di rimettere tutti i pezzi al loro posto. “Quindi stai dicendo che Tareq avrebbe mentito fin dal suo rilascio.” concluse, dopo aver ascoltato la ricostruzione di Claire. 

“È stato Nickolaij stesso a dirmelo.” confermò lei, per poi guardare Dean. “Si erano messi d’accordo perché aiutasse te e gli altri a scappare. Tareq vi avrebbe fatto credere di essere dalla vostra parte, in realtà passandogli informazioni sui piani di Jamaal, e in cambio Nickolaij lo avrebbe risparmiato e accolto nel caso aveste scoperto del suo tradimento.” riassunse.

Per quanto ignobile fosse, la cosa non sorprese Dean più di tanto. In fondo, ci era già arrivato da solo dopo aver visto Tareq sulle mura del castello con l’arco ancora teso. Se poi ripensava alla loro fuga, al fatto che si fosse offerto di soccorrere Cedric mandando avanti lui e Mark, tutto tornava. 

“Ecco come faceva a sapere esattamente quando saremmo venuti a Bran. Facile con una spia a disposizione.” Najat serrò i denti, cercando di contenere un’esplosione di rabbia. “Quel maledetto. Giuro che ovunque sia lo troverò e lo ucciderò con le mie mani.” Tutto a un tratto sembrava essere tornata la ragazza impulsiva conosciuta mesi prima. L’odio per Tareq era come una fiamma che alimentava la sua determinazione, solo che adesso aveva troppe responsabilità per lasciare che la consumasse. “Comunque, per il momento l’importante è che gli algul non conoscano la nostra posizione. Siamo diventati troppi per riuscire a spostarci in modo rapido e senza dare nell’occhio.”

Kira, rimasta ad assistere insieme al fratello e ad Evan, scosse la testa allibita. “Come ha potuto farlo?” si chiese a voce alta, riferendosi a Tareq. “Come ha potuto tradire la sua famiglia con tanta facilità…”

“Nickolaij avrà fatto leva sulla sua sete di potere. Ha capito che per lui contava di più prendere il posto di Jamaal che la lealtà verso la causa per cui aveva sempre combattuto.” replicò Dean, piuttosto sicuro di avere ragione. La psicologia di Nickolaij aveva ben pochi segreti per lui e non gli risultava difficile immaginare cosa dovesse avergli promesso per convincerlo a passare dall’altra parte. In seguito, l’orgoglio ferito di Tareq doveva aver fatto il resto.

“Scusate, c’è una cosa che non capisco però.” si intromise Evan con aria perplessa. “Tutto questo te l’ha raccontato Nickolaij mentre eri prigioniera a Bran, giusto?” 

Claire sembrò intuire subito dove volesse andare a parare. “Ve l’ho detto, lui si fida di me. Non mi avrebbe mandato qui altrimenti.”

Quel concetto strideva ancora parecchio nella testa di Dean. Che Nickolaij si fosse messo a spifferare i suoi piani proprio a lei era qualcosa che non riusciva davvero a mandare giù e a quanto pareva non era un problema solo suo. Anche gli altri si mostravano scettici. Certo, era vero che mancava da Bran ormai da mesi e le cose potevano aver preso una direzione diversa nell’arco di quel periodo, dunque la versione della ragazza poteva anche avere senso. Eppure ancora non riusciva a ritenerla del tutto plausibile.

“Sì, ma allora si aspetterà che tu gli comunichi i tuoi progressi.” osservò giustamente Najat. 

“Mi ha dato carta bianca.” disse Claire per tutta risposta. “Vuole solo che gli porti Rachel, il come ha poca importanza.”

Non del tutto convinta, Najat cercò conferme nello sguardo di Dean, che dopo un attimo di riflessione annuì. “In effetti, sarebbe nel suo stile.” Il ricordo di quando a Greenwood gli aveva ordinato di portargli Claire e gli altri era ancora vivido nella sua mente. Anche allora non si poteva dire che si fosse sprecato a dargli chissà quali direttive. Ciò che contava per lui era il risultato.

“Beh, se tutto va come deve andare stavolta arriveremo prima noi.” tagliò corto la guerriera; poi si sgranchì un po’ le braccia, lasciandole cadere giù per sciogliere i muscoli. “Direi che per oggi può bastare. A furia di chiacchiere mi sto rammollendo, ho bisogno di esercizio.” 

Dopo aver invitato Kira e gli altri ad avviarsi verso il campo d’allenamento, si soffermò qualche altro istante sulla soglia con Dean e Claire. “Ci aggiorneremo più avanti. Intanto la affido a te, mi raccomando.” 

Bastò un breve cenno della testa da parte di Dean per convincerla e Claire non attese molto per dimostrare di esserne rimasta colpita. “Però… Ne sono cambiate di cose mentre non c’ero.” constatò, una volta rimasti soli. “All’inizio ti detestava a prescindere, invece guarda adesso. Sembra che la tua opinione conti più di tutte le altre.”

Lui però preferì glissare, alzando lo sguardo al cielo per deviare la conversazione su altri lidi. “Manca ancora un po’ prima che faccia buio. Possiamo approfittarne per iniziare il tuo addestramento.”

“Di già?” Sfinita, Claire si accasciò su se stessa, lanciandogli un’occhiata implorante. “Da quando sono arrivata non ho avuto un attimo di respiro. Vorrei passare un po’ di tempo con le ragazze e con… Cedric.” L’imbarazzo la colse nel pronunciare il suo nome ed esitò. “Non li vedo da mesi…”

“D’accordo, d’accordo.” acconsentì Dean, pur di non dover continuare quel discorso.

“Potremmo iniziare stanotte, mentre tutti dormono. Tanto a noi non serve.” suggerì speranzosa. “E poi così non daremo nell’occhio.”

In effetti, era una giusta osservazione, anche se in cuor suo Dean avrebbe preferito non perdere troppo tempo. Claire era ancora instabile e il pericolo in certi casi era dietro l’angolo, ma infondo comprendeva il suo bisogno di stare insieme agli altri, ora che li aveva ritrovati. “Bene, allora andremo dopo cena.” stabilì infine.

Claire gli sorrise per dimostrargli la sua riconoscenza, poi insieme si avviarono di nuovo verso la tenda e, una volta entrati, si trovarono di fronte a una scena a dir poco surreale: Rachel era seduta a terra, le gambe incrociate e le palpebre chiuse in un’espressione di profonda concentrazione. Intorno a lei alcuni sassi disposti in circolo fluttuavano a mezz’aria, come in assenza di gravità. 

“Wow! Che diavolo succede?” proruppe Claire, immobilizzata dallo stupore. 

Così facendo, però, la riscosse, rompendo la bolla che si era creata attorno, e le pietre ricaddero al suolo con un tonfo, per poi rotolare in varie direzioni. Presa dai suoi esercizi, non si era neanche accorta del loro arrivo. 

“Cos’era quello?” boccheggiò Claire incredula. “Eri tu a farlo?”

Con un sospiro, Rachel si alzò spingendosi con le mani. “Già.” Un po’ imbarazzata si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Ti avevo accennato che sono l’erede di Margaret, no? Beh, a quanto pare anche essere una strega rientra nell’eredità.”

Gli occhi dell’amica si illuminarono a quella rivelazione. “Ma è fantastico!” esclamò, lì per lì sopraffatta dall’eccitazione; poi, invece, sembrò rifletterci meglio. “Certo, il fatto che tra tutti sia proprio tu ad avere dei poteri magici è…”

“Assurdo? Allucinante? Fuori da ogni logica?” le suggerì in tono piatto. 

“Non è esattamente quello che stavo per dire, ma ci si avvicina molto.”

Rachel storse la bocca in una smorfia. “Non dirlo a me.” Mai come in quel periodo aveva desiderato che quella croce gravasse su qualcun altro, oppure di svegliarsi una mattina e scoprire di essere ancora una ragazza come le altre. Magari fosse stato tutto un orribile incubo.

La faccia di Claire trasudava curiosità ed era chiaro che non vedesse l’ora di farle un milione di domande, ma per fortuna Dean impedì all’argomento di prendere il volo. 

“Credevo fossi da Laurenne.” disse, intervenendo nella conversazione.

“Infatti. Poi ha avuto un’emergenza, perciò ho preferito tornare qui a esercitarmi con la magia.” 

Lui annuì distrattamente, guardandosi intorno. “Juliet?” domandò con finta noncuranza.

Già stanca dell’interrogatorio, Rachel si mise a raccogliere le pietre sparse sul pavimento per impegnarsi in qualcosa e non dargli modo di vederla irritata. “Immagino sia ancora in infermeria ad aiutare Laurenne. A quanto pare la sta prendendo molto sul serio.”

Dean si fece bastare la risposta, non aggiungendo altro, anche se in realtà ci era rimasto un po’ male. Contava di risolvere lo screzio avuto con lei a causa dei suoi sospetti su Claire, ma ancora non era riuscito a trovare un momento per parlarle e la cosa iniziava già a pesare. Ogni volta che discutevano aveva la sensazione che Juliet si allontanasse e capire come riavvicinarla diventava sempre più complicato. Se non altro, durante la sua assenza avrebbe potuto approfittarne per elaborare un discorso convincente da sfruttare quando si fosse presentata l’occasione giusta.

Purtroppo per quella sera l’occasione non venne, anche perché Juliet rientrò tardi e non c’era verso di rimanere soli, perciò aveva dovuto rassegnarsi ad aspettare ancora. Suo malgrado, continuò a rimuginarci lungo tutto il tragitto dall’accampamento al punto remoto del deserto in cui condusse Claire quella notte, nonostante la logica gli imponesse di concentrarsi su ciò che stava per fare. 

“Hai intenzione di arrivare fino al Mar Rosso?” gli chiese spazientita. “Direi che ci siamo allontanati a sufficienza, no? Dubito che qualcuno riesca a vederci quaggiù.”

Sforzandosi di sopportare il suo tono polemico, Dean convenne che era giunto il momento di interrompere la scarpinata e si fermò, studiando per qualche istante il paesaggio immerso nel buio prima di voltarsi a guardarla. “Dunque.” iniziò senza tergiversare. “Cosa sai di preciso sull’autocontrollo?”

Rimase ad ascoltare mentre lei raccontava delle lezioni che le avevano impartito al castello sulle migliori tecniche per contenere le emozioni, in modo da non farsi scoprire dagli umani o non creare situazioni scomode con i propri simili. In realtà, non aveva avuto modo di seguirne molte, perché Nickolaij l’aveva tenuta rinchiusa per diverso tempo e, nei rari casi in cui le aveva consentito di uscire, la teneva con sé trascinandola in passeggiate con annesse interminabili conversazioni.

Il particolare che lo colpì più di tutti fu proprio quello. “E ti ha lasciato venire qui pur sapendo che fossi così impreparata?” osservò, interrompendola.

Per un secondo Claire restò interdetta, per poi recuperare. “Come ti ho già ripetuto più volte, passare tutto quel tempo insieme deve avermi fatto guadagnare la sua fiducia. È l’unica spiegazione che riesco a darmi. Non so, avrà pensato che fossi pronta. Del resto, non leggo nel pensiero, non ho idea di cosa gli sia passato per la testa quando ha deciso di affidarmi questo compito.” 

Esasperato dall’ennesima risposta inconcludente, Dean si mise le mani sui fianchi. “Ma è assurdo, lo capisci? Deve pur averti spiegato come fare, come comportarti per non apparire sospetta! Non può averti mandato qui completamente allo sbaraglio!”

“Cosa vuoi che ti dica? Sai meglio di me com’è fatto, lui non spiega mai niente!” si difese Claire, alzando la voce. 

Era visibilmente agitata, ma questo non lo indusse a lasciar perdere, anzi. “Puttanate.” ribatté infatti, in tono più pacato ma non meno accusatorio; poi, dopo una breve pausa, scosse la testa. “Senti, davanti agli altri non ho voluto infierire, ma la verità è che non ti credo. Dovrai inventarti qualcosa di più convincente per farmi cambiare idea.” 

Intimorita dall’intensità del suo sguardo, lei deglutì, cominciando a indietreggiare. “Perché fai così? Vuoi punirmi per averti messo nei casini con gli altri? Ti ho già detto che mi dispiace…”

“Non me ne faccio niente delle tue scuse.” disse lapidario, parlandole sopra.

Il modo in cui la guardava si faceva sempre più intenso e Claire non riusciva a nascondere il nervosismo. “E allora cos’è che vuoi?” domandò con voce malferma.

“La verità!”

Quell’urlo improvviso la fece sobbalzare, spaventandola a tal punto che all’ennesimo passo indietro non si accorse di un sasso che sporgeva da sotto la sabbia e inciampò, finendo per terra. 

Dean incombeva su di lei, lo sguardo privo della minima traccia di compassione. “Finora ogni singola parola uscita dalla tua bocca non è stata altro che una bugia. Quindi è questo che voglio da te: la pura e semplice verità. E se ti ostini a non collaborare dovrò ricorrere a metodi meno ortodossi per convincerti a farlo.” Pronunciò l’ultima frase più lentamente, per essere sicuro che il suo reale significato andasse a segno.

Messa all’angolo, Claire si ammutolì. La non troppo velata minaccia fece scattare qualcosa nella sua testa, una consapevolezza che contribuì a fomentare il panico che si era già fatto strada dentro di lei, fino a diventare lampante sul suo volto. “Tu non vuoi aiutarmi…” mormorò, scossa da fremiti ormai incontrollabili. “Venire fin qui era solo una scusa per farmi confessare chissà cosa. Tu e Najat eravate d’accordo, dovevo capirlo…” 

Quando iniziò a indietreggiare la seguì, facendosi avanti con un leggero ghigno sulle labbra. “Brava, ci sei arrivata.”

A quel punto, il terrore che si era impadronito di lei si tramutò in istinto di sopravvivenza. Tuttavia, anziché attaccarlo per prima, si alzò di scatto, voltandogli le spalle e incespicando nella sabbia nel tentativo di scappare in direzione dell’accampamento, ma i riflessi di Dean furono più rapidi. Il tempo di percorrere solo pochi metri e Claire si ritrovò di nuovo a terra.

“Lasciami andare!”

Non potendo muovere le braccia perché bloccate dalla sua presa, tentò di divincolarsi con le gambe, che però Dean provvide subito a mettere fuori uso premendovi sopra le sue; poi, con un movimento fulmineo la girò sulla schiena, inchiodandole i polsi a terra in una morsa serrata. 

I loro visi erano a un paio di centimetri l’uno dall’altro. Lo sguardo grigio ghiaccio di Dean fisso in quello atterrito di Claire. 

“Ti prego…” lo implorò singhiozzante, il petto che si alzava e si abbassava come fosse colta da un incontenibile attacco d’ansia. “Se mi fai del male, stavolta Juliet non ti perdonerà. Ti prego…”

Furbo giocare quella carta, Dean dovette riconoscerlo. E forse avrebbe anche funzionato, se solo le sue intenzioni fossero state fin dall’inizio quelle che credeva lei. Pur non mollando la presa, sostituì l’espressione intimidatoria con una più rassicurante. “Non ti farò del male, Claire. Adesso respira e cerca di calmarti.” 

Nonostante la sua voce non emanasse più alcun sentore di minaccia, dapprima lei non sembrò convinta. Rimase a fissarlo ancora un po’ con aria carica di diffidenza e Dean intuì che stava cercando di capire il da farsi. Vedere il suo respiro tornare pian piano regolare lo spinse ad allentare la presa sui suoi polsi, fino a liberarli del tutto e permetterle di tirarsi su a sedere.

Seduti entrambi sulla sabbia, si studiarono reciprocamente per un paio di minuti. 

“Che significa?” esordì Claire per prima.

“Era un test. Volevo vedere fino a che punto sarebbe arrivata la tua capacità di controllo.” 

Lo disse con una semplicità e pacatezza che la lasciarono spiazzata. “Sei uno a cui proprio non piace perdere tempo.” constatò con una leggera vena di risentimento.

“Scusami se sono stato un po’ brutale, ma non c’era altro modo. Dovevi credere che stessi facendo sul serio.” 

“Direi che ha funzionato. A un certo punto ho pensato davvero che volessi uccidermi.”

Sul volto di Dean comparve un sorriso sghembo. “Era necessario metterti in una situazione di forte stress. Solo così avresti permesso all’istinto di prendere il sopravvento e a me di valutare il tuo stato emotivo.” spiegò.

“Ebbene, professore, come sono andata?”

“Non c’è male. Il fatto che alla fine tu abbia pensato soltanto a metterti in salvo senza attaccarmi ti colloca a un livello intermedio. Abbiamo ancora un bel po’ di strada da fare, ma devo ammettere che pensavo peggio.”

Lei alzò un sopracciglio, lanciandogli un’occhiata eloquente. “Devo considerarlo un complimento?” ironizzò piccata.

Dean ridacchiò, alzandosi in piedi e porgendole subito dopo la mano per aiutarla a fare lo stesso. Non che ne avesse bisogno, ma dopo averla spaventata in quel modo se ne sentì in dovere. “Forza, mettiamoci al lavoro.” 

“Aspetta…” lo fermò, d’un tratto tornando seria. “Quindi le tue accuse… Anche quelle erano finte o è vero che non mi credi?”

In effetti si trattava di una domanda legittima, che scioccamente Dean si rese conto di non aver previsto. In verità, al momento nemmeno lui poteva dire di avere le idee chiare in proposito. Se le avesse assicurato di crederle avrebbe mentito, ma non gli andava neanche di metterla sulla difensiva continuando a torchiarla con i suoi sospetti, perciò preferì non entrare troppo nel merito della questione. “Vedremo. Dipenderà da come ti comporterai d’ora in avanti. Siamo appena all’inizio.” replicò, restando sul vago. 

Per un attimo Claire rifletté sulle sue parole, forse nel tentativo di convincersi a farsele bastare, e alla fine sembrò riuscirci. “Lo sai che da adesso in poi prenderò ogni cosa che dirai come una provocazione, vero?”

“Sì.” confermò lui con un sospiro di rassegnazione. “Infatti sarà tutto più complicato.”

 

-o-

 

I giorni seguenti passarono in fretta, con Dean che si divideva tra l’addestramento di Claire e le riunioni che Najat organizzava sempre più di frequente con gli altri capi tribù. Juliet, invece, era ormai assorbita dalle sue mansioni in infermeria, mentre Rachel trascorreva più tempo nella tenda di Laurenne che nella loro. Erano quasi sempre in giro e non si vedevano granché, se non la sera, quando erano tutti troppo stanchi per fare conversazione. 

Di conseguenza, Rachel non era ancora riuscita a trovare un attimo per parlare a Mark della sua sospetta gravidanza, o più probabilmente la prospettiva la spaventava a tal punto da spingerla a evitarlo ogni volta che se ne presentava l'occasione. E quale occasione migliore se non la partenza con Laurenne. Dopo settimane di studio e svariati tentativi, infatti, si sentiva finalmente in grado di aprire un portale, così aveva chiesto alla sciamana di accompagnarla in Scozia per recuperare alcuni ingredienti che crescevano solo nella serra di Margaret. Sapeva di correre un rischio e, a dirla tutta, l’idea di tornare in un posto a cui era legata una delle peggiori esperienze della sua vita non la entusiasmava, ma non c’era altra scelta. Inoltre, essendo sole, avrebbe potuto chiedere a Laurenne di visitarla e stabilire una volta per tutte se era incinta o no. Non se la sentiva di dirlo a Mark senza prima averne la certezza. 

“Ehi.”

Immersa in quella miriade di pensieri, sobbalzò vistosamente quando la voce di Mark, di ritorno dall’allenamento, esordì alle sue spalle e per nasconderlo si finse indaffarata a controllare l’interno della sua sacca da viaggio. “Ciao.” rispose in maniera distratta, imprecando dentro di sé. Fino all’ultimo aveva sperato di riuscire a svignarsela senza incontrarlo.

Lui, però, non parve notare la sua improvvisa agitazione. “Sei tornata presto, oggi.” constatò con un lieve tono sorpreso, prima di accorgersi della borsa ricolma di roba. “Che cosa fai?”

“I bagagli. Io e Laurenne partiamo. Staremo via un paio di giorni.” spiegò telegrafica, pur rendendosi conto che si trattasse di una previsione piuttosto ottimistica. “Cosa?” L’espressione sul volto di Mark si fece confusa. “E me lo dici così?”

La domanda la infastidì. -Come dovrei dirtelo?- avrebbe voluto rispondere. “È stata una decisione improvvisa. Abbiamo tradotto parte degli ingredienti e ce n’è uno in particolare che si trova solo in un determinato periodo dell’anno. Per nostra fortuna, sembra sia proprio questo.” mentì spudoratamente senza guardarlo, mentre spingeva a forza le ultime cose nella sacca. Omise di proposito la destinazione, perché già immaginava la discussione che ne sarebbe scaturita e non aveva alcuna voglia di affrontarla.

“Okay, allora vengo con voi.” stabilì deciso, prendendola in contropiede. “Il tempo di prepararmi e…”

Frustrata, Rachel lasciò cadere con malagrazia la borsa in terra. “No.” sentenziò con un sospiro e, quando finalmente si voltò per guardarlo lo vide alquanto smarrito.

“Che vuol dire no?” le chiese, aggrottando la fronte.

“Vuol dire che preferirei che restassi qui.”

“Perché? Potrei esservi utile. E poi non mi va che ve ne andiate in giro da sole, potrebbe essere pericoloso. Non sono tranquillo…”

Possibile che non lo capisse? Più continuava a starle addosso, più lei provava l’impulso di allontanarsi. Era quello il motivo principale per cui non voleva dirgli niente. “Fai sul serio? Saremo solo noi due a raccogliere erbe in un posto sperduto, che vuoi che succeda? E se anche dovesse, potrei sempre pensarci io.”

“Usando la magia? No, è una pessima idea e lo sai. Ha un brutto effetto su di te.”

Ecco che tornava alla carica con quel discorso. Rachel ne aveva talmente fin sopra i capelli da dover fare appello a tutta la pazienza residua per non tirargli qualcosa addosso. “Punto primo: non mi riferivo alla magia, posso farcela anche senza, visto che se ben ricordi ho seguito il training da guerriera prima di te. Punto secondo: mi alleno da settimane e ormai riesco a padroneggiare i miei poteri senza svenire ogni due secondi. Punto terzo: la decisione è presa e se pensi di riuscire a convincermi hai fatto male i conti.” Detto ciò, non gli concesse alcuna replica, afferrò la borsa e si diresse a passo svelto all’uscita, ansiosa di cambiare aria. 

“Ray.” 

Quando lo sentì chiamarla, il tono della sua voce era diverso, quasi intristito, e la stessa cosa traspariva dal suo viso nel momento in cui si girò a guardarlo. 

“Cosa c’è?” gli chiese spazientita.

“Dovrei fartela io questa domanda.”

Rachel allora incrociò le braccia e sospirò, fissando prima il terreno e poi lui. “Senti, non ho tanto tempo a disposizione. Se hai qualcosa da dirmi, fallo.” tagliò corto.

Colpito dai suoi modi bruschi, Mark si irrigidì. “Penso che dovresti essere tu a parlare. Non sono certo io quello che ultimamente si è isolato dal mondo. È evidente che qualcosa ti tormenta.”

Esasperata, alzò gli occhi al cielo. “Quando la smetterai di starmi col fiato sul collo?” 

Adesso era sulla difensiva e lui se ne accorse. Forse per questo cercò di moderare i toni, facendosi 

più accomodante. “D’accordo, forse hai ragione.” riconobbe. “Magari ti sono stato troppo addosso di recente, ma è perché sono preoccupato per te…” Tentennò su quell’ultima parola. “Per noi.”

Lei lo fissò stranita. “Ma di che parli?”

“Oh, andiamo! È un po’ ormai che sei fredda, distante, sempre nervosa. Prima parlavamo di tutto, mentre adesso guardati, sembra che basti la mia sola presenza a infastidirti.”

Era la prima volta che glielo faceva notare in modo così esplicito e per un istante Rachel restò interdetta, con le parole di Mark che continuavano a ripetersi nella sua testa. “Ti sbagli. Non è così.” riuscì a dire infine, ma continuava a mentire a lui e a se stessa, e ne era consapevole.

“E allora spiegami com’è. Spiegami che ti succede.” insistette lui, serio in volto. “Mi conosci, non ce la faccio a ignorare i problemi. Devo capire. So che stai prendendo molto sul serio questa faccenda della pozione e che portare il peso di tante responsabilità deve essere difficile per te, ma…”

“No, non lo sai.” lo interruppe. “Non puoi neanche immaginare come mi sento.” Nessuno di loro poteva, per questo era piombata nella solitudine più nera da quando Margaret l’aveva lasciata. Con lei aveva perso il suo punto di riferimento, l’unica persona in grado di sostenerla e comprenderla davvero.

A dispetto delle previsioni, Mark non rimase offeso. Anzi, dopo la sua risposta sembrava sentirsi colpevole più che risentito e ne ebbe la conferma quando le si avvicinò, guardandola comprensivo. “Va bene, non lo so.” ammise, prendendole le mani tra le sue. “Ma non significa che non possa condividere questo peso insieme a te. Per favore, lascia che ti aiuti.”

Con lo sguardo basso sulle loro dita intrecciate, Rachel non poté fare a meno di sorridere amara. “A parole sembra facile, ma in quanto a fatti? Cosa potresti fare nel concreto, ci hai pensato? La realtà è che sono sola, Mark. L’unica che può accollarsi questo compito sono io, è inutile prendersi in giro.” sentenziò.

“Che ti prende? Non è da te piangerti addosso così.”

“Ultimamente ho fatto parecchie cose che non sono da me...” La frase le sfuggì senza quasi rendersene conto e lì per lì sperò che passasse in sordina, che Mark non ci badasse. Speranza vana.

“Che vuoi dire?” le chiese infatti, tornando a scrutarla confuso.

Rachel però non aveva neanche il coraggio di guardarlo, figurarsi quello di aprire bocca.

Il suo stato di agitazione lo spinse a vederci chiaro. “Parla con me.” la spronò, usando un tono più conciliante. “È questo che fanno le coppie, condividono i problemi e cercano di affrontarli insieme. Di qualsiasi cosa si tratti, non mi escludere.”

A quel punto, gli occhi di Rachel incontrarono di nuovo i suoi e capì di non poter più tenere per sé quel segreto. Lentamente ritrasse le mani e, preso un bel respiro, confessò: “Ho un ritardo.”

Tuttavia, la reazione di Mark non fu quella che si aspettava. Non parlò subito, limitandosi a sbattere le palpebre nel tentativo di assimilare l’informazione appena ricevuta. “In… in che senso?” farfugliò poco dopo, spiazzandola completamente.

“Quale senso vuoi che abbia? Ho un ritardo di due settimane e non era mai successo prima che noi… Insomma, hai capito.” 

Al che finalmente lui sembrò realizzare, o almeno fu ciò che dedusse dalla sua espressione. “Oh…” mormorò con lo sguardo vitreo di chi ha subito uno shock.  

Anche dall’esterno Rachel riusciva a immaginare gli ingranaggi nel suo cervello lavorare senza sosta, ripercorrendo gli eventi del recente passato nel tentativo di ricostruire l’accaduto. 

“Aspetta, credi che sia stata quella volta a Roma…”

Non vedeva come questo potesse essere rilevante, ma comunque annuì. “A giudicare dalle tempistiche, è probabile.” confermò secca. “In ogni caso, non sono sicura di essere davvero incinta. Potrebbe trattarsi solo di stress.”

“Se però lo fossi cambierebbe tutto.” 

Prima che potesse fermarlo, iniziò a camminare avanti e indietro con una mano tra i capelli, farneticando di cose come rimandare il college, trovarsi un lavoro e altri sproloqui che in un momento del genere non avevano senso di esistere. Rachel era talmente incredula che, quando tutto a un tratto Mark smise di straparlare e la attirò a sé per coinvolgerla in un abbraccio, rimase impietrita a lasciarlo fare.

“Amore, è… meraviglioso.” le disse con la voce rotta dall’emozione.

Tutto si sarebbe aspettata, fuorché la notizia lo rendesse così euforico. Anzi, anche se non ne andava troppo fiera, aveva quasi sperato che ne rimanesse sconvolto quanto lei. Reagendo in quel modo non faceva che complicare le cose. “Smettila, okay?” Lo spinse via, insofferente al contatto tra i loro corpi. “Tanto non lo terrò.”

Lui rimase a fissarla basito. “Cosa?”

“Non terrò questo bambino, ammesso che ci sia. Non esiste, perciò levatelo dalla testa.” Fu difficile pronunciare parole tanto dure, ma doveva chiarire la sua posizione prima che Mark cominciasse a fantasticare sulla loro bella famiglia felice.

“Perché dici così? È una cosa bella…”

“No, invece!” ribatté esasperata. “Abbiamo diciannove anni, Mark, tutta la vita davanti e io non ho intenzione di rinunciare ai miei progetti per un… incidente.” Esitò sull’ultima parola, temendo di esagerare. “Insomma, guarda dove siamo! Se non riesco a preparare quella dannata pozione, non sconfiggeremo mai Nickolaij e saremo costretti a nasconderci per il resto della nostra vita! Un bambino ci rallenterebbe. E poi vuoi davvero che viva in un mondo del genere?” Di colpo Rachel non riuscì più a contenere tutta la frustrazione di quei giorni e la sfogò su di lui. Non si capacitava di come potesse anche solo pensare di tenere il bambino, era una follia.

Dopo un attimo di smarrimento, il volto del ragazzo si rabbuiò, segno che avesse preso consapevolezza della divergenza di opinioni tra loro. “Quindi hai già deciso.”

Rachel allora ritrovò un po’ di calma. “Sì. Il destino di tutti dipende da me, adesso non posso pensare ad avere un figlio. Non sono pronta e non lo voglio.” sentenziò determinata.

“E il mio parere non conta? C’è anche mio figlio lì dentro.”

“Te l’ho detto, potrebbe essere un falso allarme...”

“Ma potrebbe non esserlo.”

“Non ha importanza!” urlò a quel punto, snervata dalle sue insistenze. 

Per un momento Mark rimase scioccato da tanta freddezza. “E di me? Ti importa di me? Perché se hai già preso la tua decisione mi chiedo cosa tu me l’abbia detto a fare.” 

“L’ho fatto perché era giusto che lo sapessi.”

“Certo, per avere la coscienza pulita.” replicò, cogliendola di sorpresa. 

Aveva ragione. Il solo motivo per cui gliene aveva parlato era perché una vocina nella sua testa le aveva detto di farlo e non perchè lo voleva davvero. Per quanto le bruciasse di essere stata scoperta, non poté biasimare lo sguardo carico di risentimento che Mark le stava rivolgendo in quel momento. “Ora devo andare. Laurenne mi sta aspettando.” tagliò corto, preferendo interrompere la discussione prima che degenerasse ulteriormente. Tutto ciò che voleva era uscire da quella maledetta tenda, così non perse altro tempo e fece per andare, ma la voce di Mark la raggiunse prima che mettesse piede fuori.

“Che ti è successo, Ray?” le chiese ancora una volta, più intristito che in collera. “Da quando siamo stati in Scozia non sei più la stessa. Dov’è finita la ragazza di cui mi sono innamorato?”

Ferma sulla soglia, lei impiegò un paio di secondi a trovare la risposta. “Probabilmente è rimasta fuori da quella grotta.”

 
   
 
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