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Autore: DreamsWriter    02/09/2009    0 recensioni
Una vita tranquilla di 16enne sconvolta dal passato che ritorna,pieno di inganni e sete di potere,popolato da figure mitiche,un passato che costringerà la protagonista a fare i conti con un nuovo volto di se stessa.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sbatto le palpebre dopo un istante, un giorno, una settimana di incoscienza? Non saprei dire quanto, non ricordo assolutamente niente dopo la scena della stazione.
E il panico comincia a stringermi lo stomaco, mentre nella mia mente tutti i pezzi vanno al loro posto.
Sette giorni.
Un chiaro avvertimento che io avevo ignorato. Ma mandato da chi? Perché?
Mille e più domande mi affollano la mente, ma mentre cerco di muovermi e capire dove sono, intravedo qualcosa nel buio che mi circonda, una sagoma, una figura che si muove. Un fruscio e l’individuo si accorge del fatto che mi sono svegliata, anche se ancora non so esattamente da cosa.

Un attimo dopo la figura è accanto a me, e la prima cosa che mi colpisce è un intenso profumo di violetta, ma non ho tempo di registrare altri dettagli, perché la voce di quello che capisco essere un uomo mi avverte

Subito dopo, ecco di nuovo il buio e l’incoscienza.
Tempo dopo mi ridesto di nuovo da quello strano sonno, e sento di essere stesa su qualcosa di morbido. Apro finalmente gli occhi e guardandomi intorno intravedo una stanza a me sconosciuta avvolta in una semioscurità spezzata solo dai flebili fasci di luce provenienti dalle grandi finestre alle mie spalle.
Dove sono finita?
Scosto le morbide e leggere coltri che mi avvolgono, che vanno a cadere ai piedi di un letto immenso, che non è il mio, circondandolo simili a eteree nuvole rosa pallido, e poso i piedi nudi a terra, scoprendo un marmo freddo e lucido.
Mi avvicino alla finestra di fianco al letto e tiro lo spesso cordone che mi permette di aprire le pesanti tende e far entrare una luce accecante che illumina finalmente la stanza attorno a me.

La prima cosa che noto e che mi fa sussultare è un’enorme specchio che occupa metà parete dietro di me, e che in questo momento riflette il mio volto stupefatto circondato dai riccioli neri che cadono sciolti lungo la schiena e fra le pieghe della lunga camicia da notte rosa pallido che, non so come, indosso.
Mi avvicino al grande specchio e ne sfioro la cornice fittamente intarsiata cercando di dare un senso a quello che vedo. Sono in un’ampia stanza totalmente sconosciuta, dall’aria antica e riccamente decorata da ogni parte: grandi quadri alle pareti, letto sormontato da un baldacchino ricco di drappi color oro pallido, un imponente lampadario al centro del soffitto e chi più ne ha più ne metta.
Mi sembra di essere in un museo! Ma non mi voglio illudere, ho già capito che è tutto vero.
Qui non c’è l’aria tipica di un museo, niente di polveroso, niente cartelli, è tutto… vivo.
Sono ancora imprigionata in una bolla di stordimento che mi porta a vagare nella camera senza una meta, finché non mi ritrovo nuovamente accanto alla finestra, attraverso la quale vedo finalmente il mondo esterno … un mondo esterno completamente diverso da quello che ho conosciuto fino ad ora.
Un giardino enorme e verdissimo, con una larga fontana nel centro e statue di marmo disposte ordinatamente fra piante e cespugli perfetti, si estende di fronte a me, strappandomi un “Oh” di stupore.

Ma non faccio in tempo a formulare nessun altro pensiero, perché due colpetti alla porta interrompono la mia contemplazione, e sopraggiunge il panico mentre una voce calda e tranquilla attutita dallo spesso legno della porta esclama: “Signorina LeFevre, buongiorno! Siete già alzata?”

Sussulto nel sentire il cognome di origine francese di mia madre, nessuno mi chiama mai in quel modo.
La porta si apre ed entra un maggiordomo che pare uscito da un film, elegantissimo e composto, che si inchina a me tenendo sempre in perfetto equilibrio un largo vassoio d’argento sul quale troneggia una ricca colazione accompagnata da un mazzolino di fiori e un biglietto.

“Oh vedo che siete già sveglia, ne sono lieto, vi lascio la colazione insieme a un messaggio del vostro istitutore, se oggi vi sentite meglio potete riprendere le lezioni. La signora madre vi aspetta in salone appena dopo. Buona giornata”

Mi costringo a sorridere debolmente a quel breve discorso che mi lascia centinaia di domande vorticanti in testa.

Da quando qualcuno mi dà del voi? E mi porta la colazione in camera? E poi … istitutore??? Dove sono finita?
O meglio … Quando?
Mi sembra di essere in un documentario del 400’, o giù di lì.

Solo che io non sono Piero Angela e qui nessuno sta recitando.

Tra l’altro, perché non dovrei sentirmi bene? Non mi sembra di essere stata malata negli ultimi tempi … Comincio a chiedermi se sono veramente io, o sono entrata nel corpo di qualcun altro...Soltanto lo specchio mi dà la certezza di essere ancora me stessa … anche se catapultata in un mondo che non è il mio.
Decido di seguire semplicemente il corso degli eventi per non destare sospetti, intanto che cerco di capire cosa mi è successo, e come sistemare le cose.
Ma una piccola parte del mio cervello mi suggerisce che tutto questo non è successo per caso, c’è qualcosa di più, e non sarà facile far tornare tutto come prima.
Scelgo di ignorarlo e mi butto sulla colazione, dopotutto sono sveglia da ore senza aver ingerito ancora nulla, e il contenuto del vassoio sembra delizioso.

Una tazza di cioccolata fredda, due fette di pane caldo e una pesca.
Certo una colazione molto diversa da quella composta da latte e cereali al cioccolato che consumo quotidianamente a casa, ma ormai ho capito che qui non c’è niente di uguale a tutto quello a cui sono abituata, perciò mi adatto … e poi, non si rifiuta mai una cioccolata, anche se fredda!
Lascio il biglietto per ultimo, temo quello che potrebbe esserci scritto.

E intanto il profumo dei fiorellini appoggiati sopra al piccolo pezzo di carta invade la stanza … violette.
Violette!
Mi salta alla mente l’intenso aroma percepito durante la mia semi-incoscienza, e rischio di rovesciarmi la cioccolata addosso.
Poso la tazza, e addento con minuscoli morsi da topo una fetta di pane, per rimandare il più possibile il momento di aprire il biglietto, ma la curiosità sta montando, e so che non saprò resisterle a lungo.
Infatti, appena finita la prima fetta di pane, trangugio un ultimo sorso di cioccolata e, ignorando la seconda, afferro il biglietto.

“Cara Signorina LeFevre, sarei lieto, se la vostra salute lo permette, di riceverla oggi nelle vostre stanze private per riprendere la sua istruzione, e chiarire le questioni che vi starete ponendo in questo stesso momento. A presto, il vostro istitutore Brown.”

Per ora, questo fantomatico Brown sta solo creando altri dubbi, invece di risolvermene qualcuno. Non mi resta che scoprire dove siano le mie “stanze private” che non ho mai avuto e incontrare il mio istitutore.
Sto per dirigermi verso la porta, ma mi rendo conto che non posso certo presentarmi in camicia da notte, soprattutto con una camicia da notte così frivola.
Allora modifico la mia rotta e vado ad aprire le ante dell’imponente armadio che troneggia qualche metro più alto di me.

Spalanco gli occhi alla vista di abiti per i miei gusti assolutamente troppo eleganti per qualsiasi occasione, merletti, seta e broccato ovunque, fortunatamente accanto a semplice lino e cotone.
Punto verso questi ultimi e miracolosamente riesco a trovare in un angolo una semplice gonna di velluto blu, lunga ma meno ampia delle altre, e con un semplice orlo di perle e merletto, nulla in confronto agli innumerevoli ghirigori di ogni colore che ornavano gli abiti in cui ero incappata scorrendo il contenuto dell’armadio.
In un cassetto in basso riesco a scovare anche una camicia bianca a maniche corte e molto a sbuffo e ornata di complicati intrecci di pizzo sul petto, che mi fa sentire piuttosto ridicola ma mi evita l’imbarazzo di indossare uno di quei corpetti attillatissimi che riempiono i cassetti. In mancanza di scarpe da ginnastica, che sarebbero comunque decisamente inadatte a questa mise, scelgo un paio di scarpette bianche basse con laccetto, le meno pompose.
Mi accingo nuovamente a uscire, ma passando davanti allo specchio con un solo sguardo mi accorgo dello stato dei miei capelli, assolutamente impresentabili, come sempre al mattino. Porto la mano sinistra al polso dell’altro braccio in un gesto ormai automatico, ma lo trovo nudo e privo degli elastici che tengo sempre a portata di mano.
Accanto allo specchio, prevedibilmente, vedo una postazione da toeletta, e frugando qua e là trovo un nastro bianco che, con molta difficoltà, riesce a circondare saldamente i miei capelli ricci e ribelli, togliendomi l’aspetto di poco fa, selvaggio e decisamente poco decoroso per un ambiente simile.
Pur non sentendomi totalmente a mio agio in quegli abiti estremamente femminili ed eleganti, mi costringo a uscire e cercare l’unica persona che possa darmi qualche risposta, e che probabilmente mi aspetta già da un po’.

Fuori dalla porta si allunga un largo corridoio dal pavimento di terracotta, con pareti bianche quasi totalmente occupate da quadri o nascoste da grandi statue. Spaesata e senza saper orientarmi, decido di improvvisare e mi dirigo verso destra, ma fatti solo pochi passi vengo interrotta da una voce dietro di me.

“Buongiorno signorina Cloe! Sono lieta di vedere che vi siete ripresa!” Una voce femminile e giovane.
Voltandomi, infatti, incontro una ragazza che avrà non più di una ventina d’anni, dall’aria simpatica e gentile che si riflette in grandi e sinceri occhi blu, dai lunghi capelli castano chiaro legati in uno stretto e austero chignon alto.
Vestita di un semplice abito bianco e di un grembiule, sembra essere qualcosa di simile a una serva, o una cameriera, impressione sostenuta dal largo vassoio stracolmo che tiene in equilibrio fra le braccia.

Non sapendo bene come comportarmi, rispondo con un semplice sorriso e un “Buongiorno” a dire il vero un po’ esitante, ma lei sembra non accorgersene, fortunatamente, e sempre molto allegramente continua: “Sto portando la colazione a vostra madre, e vi ho visto andare verso la sua camera … se mi permettete, non svegliatela prima che le abbia servito la colazione, in questi giorni ha qualche giramento di capo e la innervosisce parecchio essere disturbata prima che io arrivi!”
Basandomi sulla mia conoscenza della storia, immagino che questa sia la cameriera personale di mia madre! Devo dire che la situazione assurda in cui mi trovo comincia ad affascinarmi, la curiosità prende gradualmente il posto della preoccupazione e dei dubbi, che rimangono come ombre ai margini dei miei pensieri in questo momento.

“Grazie per avermi avvertita … comunque stavo invece andando nelle mie stanze dove mi attende l’istitutore”Nonostante io non abbia la più pallida idea di dove siano le mie stanze private, ma ometto questo particolare nella conversazione.

“Ah, Carlo mi diceva che cominciate già oggi! Se vuole vi posso scortare, il signor maggiordomo mi ha accennato di un cambio di stanza, si trova appena prima delle stanze di vostra madre.”
Esulto dentro di me … Questa ragazza mi piace già, mi ha salvato dal girare in tondo per quel posto immenso.
“Certo, grazie mille, così eviterò di far attendere inutilmente il signor Brown, sei molto gentile.”

Facendomi cenno di passare avanti si schermisce con un sorriso a trentadue denti: “Figuratevi, servo sempre con piacere la signorina!”
Incamminandomi a fianco a lei devo mordermi la lingua per non farmi sfuggire una frase decisamente poco consona all’ambiente e all’epoca … presa dalla simpatia che questa ragazza mi ispira, stavo per proporle di chiamarmi semplicemente Cloe, ma evidentemente lei è una cameriera e io sono … nobile, perciò tutti mi danno del lei, voi … e fa un effetto!
Persa nei miei pensieri non mi accorgo che ci siamo fermate di fronte a un’imponente porta di legno rifinita di particolari dorati, e che la ragazza mi sta ancora parlando.

“… ed eccoci, qui vi attende il vostro istitutore. Vi auguro una buona mattinata, signorina Cloe!”

“Grazie Agata, porta i miei saluti alla signora madre”
Pronunciate queste parole mi si gela il sorriso in viso, ma la cameriera, inchinatasi prima di avviarsi svelta verso le stanze in fondo al corridoio, non si accorge di nulla.
Come diavolo faccio a sapere il nome di una ragazza che non ho mai visto in vita mia?
E poi … ‘Porta i miei saluti alla signora madre’! Da quando parlo in modo così pomposo? D’accordo, durante la conversazione mi sono sforzata di esprimermi in modo meno moderno, ma non mi era mai venuto così spontaneo e naturale come in questo momento.
Accorgendomi di essere lì impalata davanti alla porta da qualche minuto, mi riscuoto da questi pensieri assurdi senza riuscire a darmi spiegazioni e sono indecisa se bussare o meno … dopotutto sono le mie stanze … per sicurezza scelgo una via di mezzo: azzardo un timido ‘toc toc’ ed entro senza aspettare risposta.

Mi trovo in una stanza ampia e ariosa grazie a tre alte finestre che occupano la parete di fronte a me, molto simili a quella che ho visto nella mia camera, e ha proprio l’aria di una stanza da lezioni: un lungo tavolo basso e ovale al centro con le quattro gambe all’ insù e decorato da complicati intrecci ocra in mezzo, lunghi divani e poltrone tutt’intorno. Un grande pianoforte sotto la finestra di mezzo e soprattutto libri, tre enormi e altissimi scaffali stracolmi di libri.

Mentre osservo affascinata tutto questo, l’unica persona presente nella stanza oltre a me si schiarisce leggermente la voce e mi saluta : “Buongiorno signorina Cloe, lieto di conoscerla e di vedere che si è ripresa ed è pronta per cominciare le sue lezioni.”
Finalmente volgo gli occhi sulla figura seduta con aria disinvolta sulla poltrona nell’angolo più lontano e resto senza fiato.
Per essere un noioso e barboso istitutore, cavoli se è giovane e … affascinante, a dir poco! Ma che dico, affascinante? E’ bellissimo, indiscutibilmente.
Subito sento una certa quantità di sangue affluirmi alle guance: ma che mi salta in mente, è il mio istitutore! E dovrebbe avere almeno 30 anni! Anche se, accidenti, non li dimostra affatto.
Alto ma tutt’altro che smilzo, spalle larghe e un profilo perfetto, mi fissa con penetranti occhi scurissimi e con una strana sfumatura, quasi … scarlatta. Mentre parla si passa una mano fra i capelli scuri anch’essi e pettinati di lato, come immagino sia la moda di quest’epoca (bleah!) ben lontana dalla mia, ormai l’ho capito.
Un sorriso ampio e abbagliante si apre su quel viso perfetto e pallidissimo, quando si accorge della mia espressione a dire il vero un po’… inebetita.

"Immagino che sia ancora un po’ spaesata a causa del viaggio e non è mai facile cambiare, anche se dopotutto questa è sempre stata la casa della sua famiglia, non è vero?”
Oddio che figura, sono rimasta come una scema a fissarlo!

“Certo, mi scusi … Buongiorno a lei, la ringrazio della sua disponibilità.”

“Si figuri, sono qui apposta. Venga pure, si sieda”
Avanzo qualche passo e mi siedo lentamente sul divano più vicino alla sua poltrona. Non oso fargli domande, non so quanto posso fidarmi di lui, non voglio certo finire in un manicomio per aver raccontato di provenire dal futuro!
Intanto mi sento sempre più strana.
Lui mi fa domande sulla mia istruzione con il precedente insegnante, domande a cui so rispondere perfettamente.

E’ come se in me stessero riaffiorando memorie che non ricordavo di avere, come di una vita passata che non ricordo di aver vissuto.
E lui, questo strano istitutore, sembra capire esattamente il mio stupore, lo intuisco dagli sguardi ricchi di significato che mi rivolge annuendo lentamente, come se sapesse tutto di me.
Finiamo di parlare delle lezioni di pianoforte (che non ho mai saputo suonare fino ad ora, ma ormai mi sto abituando alle strane varianti di me stessa qui.) che vuole cominciare e sentendo suonare la campana di mezzogiorno, mi ricordo dell’appuntamento con mia madre in salone e rabbrividisco mentre una domanda che mi martella in testa da tempo riprende a tormentarmi… Chi sarà mia madre? E’ la stessa che ho lasciato alla stazione-sembra un secolo fa-oppure no? Ho quasi paura di scoprirlo, ma mi alzo accingendomi a salutare.
Il signor Brown però mi blocca.
“Ah signorina, a proposito di pianoforte, stavo pensando a qualche lezione un po’ speciale … Ho un altro allievo della tua età, figlio della mia compagna, che è molto bravo, e se a lei fa piacere vorrei invitarla nella nostra casa per seguire qualche lezione insieme a voi. Trovo che potrebbe essere molto … illuminante”
Con un sorriso malizioso conclude la proposta e attende la mia risposta. Non so perché, ma sento di doverci andare, forse solo perché sono alla disperata ricerca di risposte e non so più dove cercare, ma sento che è la cosa giusta da fare.

“Certo, ne sarei onorata.”

“Bene, allora sono già d’accordo con il suo cocchiere, la aspetto oggi all’ora del tè. A presto signorina Cloe”
Saluto anch’io con un leggerissimo inchino ed esco dalla stanza. Appena fuori appoggio la schiena alla porta e chiudo gli occhi.
Cosa mi sta succedendo? Io non appartengo a questo mondo … eppure pare che mi ci stia trovando meglio di quello che pensavo.
Inspiegabilmente.
Per la prima volta da quando mi sono svegliata, penso al mio vero mondo, e con una certa amarezza constato quanto sia stato facile non pensarci per tutto questo tempo, e mi rendo conto che non voglio che sia così. Io non voglio restare qui e dimenticare quello che sono! Voglio solo trovare una soluzione a questo grandissimo casino, ma ora come ora mi sento in un vicolo cieco. Cerco di scacciare la punta di nostalgia che mi assale pensando a come affronterebbero la situazione le mie due migliori amiche, tiro un respiro profondissimo e tento di calmarmi.
Per ora non posso fare nient’altro che lasciare che le cose seguano il proprio corso.
Devo cercare di entrare un po’ più in confidenza con Brown, perché il mio intuito mi dice che lui sa qualcosa...e quel profumo di violette mi insospettisce, è un dubbio costante.
Che Brown sia collegato in qualche modo al mio arrivo qui?

Oggi pomeriggio sarà una prima buona occasione per tastare il terreno.
Ho un certo timore per la lezione di pianoforte, nonostante nello stesso istante in cui lui ne ha parlato io ho sentito di sapere esattamente dove poggiare le mani quando me ne fosse stato messo davanti uno … mi dovrò fidare di questa nuova versione di me stessa che non conosco ancora bene.
Di sicuro in confronto all’allievo super bravo farò un’amara figura, ma quello l’ho già messo in conto appena ho notato il tono orgoglioso in cui Brown ne parlava.

La solita voce allegra, stavolta con una punta di apprensione, interrompe il filo confuso dei miei pensieri.
“Signorina? Signorina Cloe? State bene? Avete concluso il colloquio con il vostro istitutore??”

Agata.
Apro gli occhi di scatto e mi stampo un sorriso disinvolto in viso.
“Salve Agata. Certo sto bene, grazie, sono solo ancora un po’ spossata per il viaggio” spero di essere abbastanza convincente, “Il nuovo istitutore mi sembra molto affidabile e preparato, questo pomeriggio sono invitata da lui per una speciale lezione di pianoforte”
Agata sospira, tranquillizzata.

“Bene, mi avevate fatto preoccupare. Ad ogni modo sono felice che abbiate ripreso bene le vostre lezioni. Ho sempre voluto imparare a suonare il pianoforte, e ho sentito che la compagna del signor Brown ha un figlio molto dotato nell’arte della musica.”

“Se vuoi ti posso insegnare quel poco che so..”

Accidenti, mi è proprio sfuggito. Sono consapevole di aver violato le regole della società in cui mi trovo, ma in questo momento mi sento sollevata: non ho perso me stessa.
Agata per fortuna è una ragazza alla mano, come ho intuito dal primo momento, e non mi trova troppo strana.

“Oh, voi siete troppo gentile signorina, ma non avete certo tempo da perdere con una come me, figuratevi! Ma venite, so che la signora madre vi attende in salone per il pranzo, vi accompagno, l’ho appena lasciata nella sua stanza, era quasi pronta.”
Questa ragazza è una santa. Mi ha salvato per la seconda volta in poche ore.
Mi troverò anche bene in questo mondo, ma proprio non so orientarmi in questa casa gigantesca.
Percorriamo diversi corridoi e infine arriviamo in cima ad una grande scalinata che scende nel salone principale, con un soffitto altissimo e un lampadario enorme e intricato. Al centro un lungo tavolo da pranzo in legno, con lo stesso motivo che ho notato nella mia stanza delle lezioni, circondato da almeno una ventina di sedie in legno intarsiato coperte da cuscini bombati.
Ma non è lì che mi attende mia madre, infatti Agata prosegue verso una delle due porte laterali, che conduce a una stanza da pranzo più piccola della precedente ma più accogliente e meno dispersiva.

Lì mia madre mi aspetta seduta a un’estremità del tavolo, la mia mamma di sempre, solo un po’ più sontuosa ed elegante. Quella vista mi riempie il cuore di gioia e la Cloe che ho sempre pensato di conoscere sgomita per uscire da quella maschera, quell’altro volto di me stessa che mi sono dovuta creare qui, e mi spinge a correre incontro a mia madre per abbracciarla.
Un istante dopo temo di essermi spinta troppo in là, ma subito la risata cristallina di mia mamma mi fa capire che con lei non devo essere la maschera, ma posso essere semplicemente me stessa, solo un po’ più … nobile.
E per un momento non penso ad altro.
  
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