Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart
Segui la storia  |       
Autore: Verfall    22/10/2021    2 recensioni
Sappiamo bene come si siano svolti i due incontri del 26 marzo, ma cosa è avvenuto subito dopo entrambi? In questa serie di missing moments cercheremo di ripercorrere i pensieri e le azioni non solo di Ryo e Kaori, ma anche di altri personaggi che nell’opera non hanno avuto modo di esprimersi tanto quanto avrei desiderato. Un intimo viaggio corale alle origini della storia che tanto amiamo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideyuki Makimura, Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
California, dicembre 1971 – Un nuovo inizio II
 
«Vi giuro, signori, che l’essere troppo consapevoli è una malattia,
un’autentica, assoluta malattia»
 Fëdor Dostoevskij, Memorie del Sottosuolo
 
Un furgoncino sporco e ammaccato si fermò con una sgommata, sollevando un ampio polverone che, nel buio del tardo pomeriggio, non si notò affatto. Aveva appena raggiunto un altopiano semidesertico dopo aver percorso una sentiero sterrato alla sola luce della luna; l’autista aveva guidato senza difficoltà con i fari spenti grazie ad anni di esercizio. Quest’ultimo aprì la portiera, dopo aver litigato con la maniglia, e uscì dal mezzo imprecando.

«Jeez, non ho mai visto una schifezza del genere» borbottò mentre si avviava verso il portellone posteriore che aprì con un sonoro calcio.

«Señores, il vostro viaggio finisce qui» disse in tono conciliante, spostandosi di lato.

Poco dopo cinque uomini, dall’aspetto piccolo e smunto, sgusciarono fuori stringendo tra le mani dei minuscoli fagotti.

«Siamo poco fuori città, le luci che vedete in lontananza sulla sinistra sono la zona industriale di Chula Vista; una mezz’oretta di cammino e sarete arrivati.

«Noi… Non sappiamo come ringraziarvi…» mormorò uno degli uomini avvicinandosi a Frank e stringendogli le mani «Se non fosse stato per voi, noi a quest’ora non saremmo vivi»

«Ah, nessun problema. Quella gentaglia non meritava nessuna pietà e per noi è stato un gioco da ragazzi» esclamò l’uomo, ritirando la mano leggermente imbarazzato.

«Buena suerte» disse loro prima di richiudere il portellone.

«Gracias señor, vaya con Dios!» gli disse di rimando l’uomo che si era fatto portavoce dei suoi compagni.

Il piccolo gruppo si mise in marcia, verso quella città che rappresentava per loro il sogno di un futuro migliore. Moon li seguì con lo sguardo per qualche istante prima di stiracchiarsi e avvicinarsi alla portiera del passeggero.

«Allora Prof, notizie?» domandò appoggiandosi con gli avambracci sul bordo del finestrino abbassato.

«Ssssh» gli disse l’uomo, zittendolo con un gesto della mano.

Kenji era chino sulla sua trasmittente, le cuffie strette alle orecchie con le mani e, a giudicare dall’espressione corrucciata, il segnale doveva essere disturbato.
Frank sbuffò e iniziò a ciondolare accanto al veicolo; era da quando avevano fatto fuori quegli schiavisti, poco prima del confine, che il Professore si era attaccato a quella trasmittente emettendo di tanto in tanto parole totalmente sconnesse, certamente il suo linguaggio in codice. Immaginava fosse subentrata qualche difficoltà, ma era certo che ne avrebbe parlato appena risolto tutto. Per fortuna quell’ammasso di ferraglia aveva tre sedili anteriori, così aveva potuto scambiare qualche parola con Ryo durante il tragitto, altrimenti si sarebbe annoiato a morte.
Proprio in quell’istante sentì i passi di quest’ultimo avvicinarsi a lui mentre si grattava distrattamente la testa.

«Mamma mia Frank hai guidato da fare schifo, mi sento lo stomaco sottosopra» gli disse il ragazzo fermandosi poco più avanti di lui.

«Vedi che con quel rottame è già tanto se siamo arrivati fin qua, e poi non si può chiamare strada quella che abbiamo fatto. Non sono ancora capace di fare miracoli»

«Sì, lo so Mr. Permaloso» gli disse Ryo in tono allegro e, dopo avergli dato nuovamente le spalle, fece qualche altro passo in avanti; sembrava scrutare il terreno.

L’americano si mise subito in allarme «Che c’è my boy? Hai notato qualcosa di strano?»

Ryo non rispose subito, si limitò a inginocchiarsi e a posare una mano per terra.

«Guarda… Questo è l’unico punto in cui il terreno, nonostante la posizione, sembra accennare una leggera discesa» e, girandosi verso l’uomo, sentenziò serio «Quindi è il punto migliore per pisciare senza il rischio di bagnarsi i piedi»

Frank si sentì un emerito cretino per avergli dato corda e, dopo essersi passato una mano sugli occhi, gli diede uno scappellotto sulla nuca.

«Sei proprio un idiota Ryo, lo sai?»

Il ragazzo sghignazzò e, dopo essersi alzato, iniziò ad aprire la patta dei pantaloni «Sono un tuo allievo, no?» gli disse con fare innocente.

L’uomo sospirò sconfitto e gli si affiancò «Allora ne approfitto anch’io di questa tua mirabolante scoperta» disse mentre armeggiava con la cinta.

«Ehi, però non sbirciare» gli intimò Ryo dopo qualche istante, lanciandogli un’occhiatina divertita.

«Non ne avrei motivo, voi asiatici siete così sottodotati» sbuffò in un tono di superiorità.

«Sottodotato a chi? Vedi che roba!» gli urlò, indicando l’oggetto della disputa con enfasi.

«Scemo, perché mi vuoi far vomitare? Non mi interessa il tuo amico» esclamò esasperato l’uomo, tenendo a freno i suoi entusiasmi con un gomito.

«Insomma la volete smettere di fare questo baccano?»

La voce del Professore li riportò subito all’ordine e i due si ricomposero, imbarazzati come due scolaretti.

Kenji si lasciò andare a un sospiro esasperato, sebbene internamente fosse lieto che quei due avessero la voglia di scherzare. Soprattutto Ryo, che si era incupito di colpo quella mattina dopo che erano sbarcati dalla petroliera.

«Ho contattato il mio fedelissimo di San Diego ed è arrivato adesso a Chiula Vista: ci siamo dati appuntamento nei pressi di una cava di ghiaia dismessa, nelle vicinanze del fiume Otay. Per i documenti non ci sono stati problemi» e, passandosi le dita sui baffi, continuò contrariato «Purtroppo a quanto pare c’è stato un errore di valutazione e la nave che dovrei prendere parte all’alba da Long Beach… Questo scardina un po’ i miei piani, ma penso che rimandare la partenza di alcune ore non cambi molto le cose. Vorrà dire che verrò a Los Angeles con voi e ne approfitterò per salutare una persona»

«Davvero? Quindi siamo diretti lì?» domandò curioso Ryo, segretamente contento che il Professore restasse con loro un po’ di più.

«Sì ragazzo mio, ma non sarà la vostra sede definitiva» e girandosi in direzione di Frank aggiunse «Una certa persona non ha fatto altro che darmi fastidio, sebbene stessi lavorando per lei. Credo che tu voglia tornare nella tua San Francisco, no? Un mio amico mi ha dato conferma di aver trovato quello che cerchi»

Gli occhi di Frank si spalancarono per lo stupore e si ritrovò incapace di emettere alcun suono. Era intimamente commosso per quello che il Professore aveva fatto per lui, e sentì nascere nel cuore la speranza di poter avverare finalmente il suo sogno di incontrare sua figlia.

«Beh, che hai da guardarmi come un pesce lesso? Se avete finito con i vostri bisognini salite subito a bordo, non voglio perdere altro tempo in questo postaccio» e così dicendo, l’uomo si avviò verso il furgoncino.

Ryo guardò entrambi gli uomini e fu felice per Frank: quello era il suo regalo di addio da parte del Professore e si chiese se l’uomo avesse in serbo qualcosa anche per lui.
---
 
«Frank, dove hai la testa? Dovevi girare a destra, non proseguire dritto!»

«Anche lei Prof, potrebbe dirmele in anticipo queste cose?» borbottò l’uomo mentre accostava la macchina e, con una manovra azzardata, faceva inversione di marcia.

«Ah, di questo passo arriveremo a Los Angeles tra dieci anni»

«Se vuole può guidare lei» sbottò Moon, lasciando per qualche istante le mani dal volante.

«No grazie, sono stanco… Lascio fare a te. E poi, non sei stato tu a insistere nel volere la macchina di John e a rifilargli quella caffettiera di furgoncino? Beh, ora che l’hai avuta guida» rispose candidamente Kenji portandosi le mani dietro la nuca «Poverino, mi chiedo se quell’ammasso di ferraglia abbia retto fino a San Diego»

Uno sbuffo esasperato mise fine alla discussione e così, senza ulteriori problemi, una Ford Falcon del ’64 celeste con tettuccio bianco si inserì nella Interstatale 5 in direzione Los Angeles. Illuminati dalle luci artificiali della metropoli, i tre uomini si concessero un po’ di silenzio; in realtà Ryo non aveva più aperto bocca da quando era salito in auto dopo aver salutato l’uomo del Professore, e sembrava non averne l’intenzione. Schiacciato contro la portiera, osservava con meraviglia infantile lo spettacolo che gli si presentava davanti.
Erano arrivati negli Stati Uniti solo da poche ore e non faceva che ripetersi come tutto sembrasse più grande: auto, case, strade, ogni cosa sembrava fuori misura in quel posto, quasi a sottolineare l’opulenza di quella nazione che, fino a poco tempo prima, aveva supportato i suoi nemici. Guardava fuori senza soffermarsi davvero su quel carosello di luci che sfilava davanti ai suoi occhi, consapevole di quanto poco conoscesse quel mondo; mondo in cui sia Frank che il Professore si sentivano perfettamente a loro agio.
Loro avevano ricordi di una vita prima della guerriglia, mentre lui non ricordava niente se non delle sfuggevoli sensazioni che non sarebbe riuscito a definire in alcun modo.
“Sono diverso dagli altri” si disse, rendendosi conto per la prima volta di quel dato di fatto: non aveva una casa in cui tornare e nessuna famiglia ad aspettarlo e, forse, non avrebbe avuto nessun futuro.
Fece un profondo respiro e, dopo essere scivolato leggermente in avanti, reclinò la testa sul bordo del sedile, appoggiando la fronte sul finestrino. Osservò uno spicchio di cielo e non gli era mai sembrato così buio e privo di stelle.
 
⁓ ⁓ ⁓
 
Mentre il ragazzo era immerso nelle sue riflessioni, i due uomini seduti sui sedili anteriori si scambiarono un lieve cenno d’intensa e decisero di lasciar stare Ryo. Frank lo scrutò dallo specchietto retrovisore e, appena intravide lo sguardo serio e assorto del ragazzo, piegò lievemente le labbra in un moto di affetto. Poteva solo provare a immaginare cosa gli stesse passando per la testa in quel momento, ma sapeva anche che non ci sarebbe mai riuscito. Gli mancavano le capacità del Professore, non sapeva indagare così a fondo nell’animo umano; con gli anni, però, aveva capito che Ryo, per quanto non lo desse a vedere, aveva la tendenza a isolarsi e rimuginare quando qualche cosa lo impensieriva, e non accettava nessun tipo di interferenza mentre era in quello stato. Nemmeno da uno di loro due. Sapeva anche che, una volta passato il momento, sarebbe stato lui stesso a ritornare il ragazzo di sempre.

«Allora Prof, me lo vuole dire finalmente da chi stiamo andando?» domandò a voce bassa, spezzando il silenzio che aleggiava da troppo tempo nell’abitacolo.

«Non ancora, lo scoprirai a tempo debito» fece l’uomo con un sorriso furbo «Diciamo che è un mio vecchio amico con cui ho mantenuto i contatti durante questi anni, seppur in modo discontinuo. Lui sta aspettando solo il vostro arrivo perché avevo dato per scontato di partire da San Diego, ma visto che il mio piano è saltato gli farò proprio una bella sorpresa, ehehe» ridacchiò soddisfatto.

«Allora temo che sia il diavolo in persona» borbottò l’americano mentre armeggiava con la mano destra nel taschino della camicia per prendere una sigaretta.

«Non credo che sarebbe felice di questa definizione. E poi dovresti ringraziarlo, è stato lui a rintracciare tua figlia»

Frank strinse il filtro tra i denti «No, se c’è una persona che devo ringraziare è solo lei Prof»

«Suvvia Moon, non ho fatto niente di che»

«Invece ha fatto molto, se non si fosse interessato dubito che il suo amico si sarebbe attivato per trovare Mary. Quindi è solo lei che devo ringraziare» ed espirando il fumo dalle narici concluse «Avrà sempre la mia eterna gratitudine per questo. Anche se… Non so come potrò presentarmi davanti a lei. Non deve essere bello scoprire di avere un padre come me» disse leggermente afflitto.

Kenji lo squadrò con la coda dell’occhio; avrebbe voluto dirgli altro, ma non voleva rovinare la sorpresa che aveva iniziato a organizzare già durante il loro ultimo mese in Guatemala.

«Non preoccuparti, sono certo che sarà molto comprensiva»
 
⁓ ⁓ ⁓
 
Ryo sentiva i due uomini confabulare tra loro, ma non diede molta importanza alla cosa, alla fine sapeva che stavano rimediando a modo loro al silenzio che aveva involontariamente portato nell’abitacolo. Rialzò il capo e ritornò a osservare fuori dal vetro, notando come il paesaggio fosse cambiato. In quel momento le luci si erano fatte più lontane, ma sembravano non finire mai. Lui era abituato a vedere villaggi, o comunque piccoli paesi distanti l’uno dall’altro in modo inequivocabile. Lì invece le costruzioni si susseguivano senza soluzione di continuità, tanto che si chiese se fossero ancora a San Diego; aveva perso la cognizione del tempo, ma non aveva fretta di recuperarla e si lasciò cullare da quel veicolo, così comodo per gli standard a cui era abituato, che scivolava senza scossoni su quella strada liscia così diversa dai sentieri sterrati e dalle strade accidentate della sua vecchia vita. Si grattò distrattamente il mento che si era fatto ispido per la barba non fatta: era inutile, si sentiva un po’ a disagio, così fuori posto e così ignorante. Tutte sensazioni che odiava profondamente. Avrebbe dovuto lavorare duramente per colmare le sue lacune, consapevole che la sua ottima conoscenza delle tecniche di guerriglia e il saper padroneggiare con sicurezza invidiabile ogni tipo di arma non fossero i soli requisiti fondamentali per potersela cavare in quella giungla fatta di palazzi alti come non avrebbe mai immaginato esistessero.

«Che dice Prof, accendo un po’ la radio? Per quanto riguarda la musica sono rimasto parecchio indietro»

La voce di Frank giunse a interrompere il flusso dei suoi pensieri lugubri e, subito dopo, l’abitacolo venne invaso dalla voce esagitata di uno speaker che elogiava “il singolo che stava raggiungendo la vetta delle classifiche internazionali”. Ryo si mise composto, chiedendosi cosa diavolo significassero quelle parole, ma poi si diffuse una melodia delicata che gli suscitò all’istante una certa malinconia. No, non aveva mai sentito una musica del genere, abituato com’era alle canzoni popolari del Centro e Sud America, dai ritmi e melodie ben diverse. Lo stesso Frank non gli aveva mai cantato niente dicendo fosse terribilmente stonato, mimandogli solo delle pose assurde di un certo Elvis che lo avevano fatto spanciare dalle risate. Il delicato accompagnamento di piano e archi continuò ad accarezzargli le orecchie e Ryo chiuse gli occhi, provando a concentrarsi sul testo, per fortuna il cantante aveva una pronuncia più pulita rispetto all’uomo che aveva parlato poco prima.
 
[…] Imagine there's no countries/ It isn't hard to do/ Nothing to kill or die for […]1
 
Riaprì gli occhi di scatto, leggermente turbato da quelle parole. Si era sentito chiamare in causa: lui aveva ucciso giorno dopo giorno, aveva rischiato più volte di morire, e tutto questo perché? Qual era il motivo che lo aveva trascinato in quella spirale infernale? Era la prima volta che ci rifletteva seriamente in quanto prima non ne aveva mai avuto la possibilità, o forse, più semplicemente non aveva potuto permettersi di avere alcun dubbio.
“Per sopravvivere. Ho combattuto per restare in vita. È la legge del più forte, è così che va avanti la natura. Il debole soccombe affinché il più forte possa continuare a muoversi su questa terra” si disse e, inconsapevolmente, strinse le mani a pugno sopra le sue cosce. Certo, loro avevano combattuto per aiutare i civili, per salvarli dalle angherie dell’esercito e dei suoi mercenari, ma quell’ideale non modificava la sua realtà: quando si trovava sul campo di battaglia c’erano solo lui e il suo nemico e, se fosse crepato in qualche assalto, poco sarebbe importato alla loro causa superiore. Con gli anni quella guerra era diventata ‘sua’ semplicemente perché si era ritrovato a vivere lì, e non aveva avuto altra scelta se non quella di trascinarsi, giorno dopo giorno, con la consapevolezza di dover migliorare sempre di più, di non poter mai davvero abbassare la guardia se voleva vedere un altro mattino.
Fu in quel momento, quando l’accordo finale sfumò per fare posto a una canzone più ritmata, che realizzò davvero il significato delle parole che il Professore e Frank gli avevano detto sulla petroliera. No, non doveva più pensare come un guerrigliero, non doveva più accettare passivamente gli ordini impartiti dal suo superiore; avrebbe avuto più libertà da quel momento in poi. E avrebbe dovuto provare a vivere, trovare uno scopo, un motivo per aprire gli occhi che non fosse quello della mera autodifesa. Bellezza, una persona cara... Erano tutti concetti fuori dal proprio sé eppure, a detta dei due uomini, così sentiti e così necessari per avere la forza di combattere qualsiasi cosa. Doveva ampliare i suoi orizzonti interiori, proprio come stava facendo con quegli esteriori.
“Sì, ma come?” e, mentre formulava quella domanda, portò il suo sguardo verso sinistra e osservò il profilo di Frank. Avrebbe vissuto con lui da quel momento in poi, una delle poche persone in cui nutriva una profonda fiducia, e che lo aveva aiutato ogni volta che aveva potuto. Avvertì del calore all’altezza del petto e arcuò le labbra in un leggero sorriso. Per il momento si sarebbe assicurato di ricambiare tutto ciò che l’uomo aveva fatto per lui, e si ripromise di offrirgli tutto il suo supporto. Forse non era una motivazione abbastanza forte per vivere, ma in quel momento sembrò sufficiente per rinfrancarlo. Una parte della sua inquietudine scivolò via e si sentì d’un tratto più leggero, pronto a lasciare le sue malinconiche riflessioni a un altro momento.
Con la mano destra abbassò veloce la manovella del finestrino e venne investito all’istante da una folata ghiacciata che gli scompigliò i capelli.

«Ehi Ryo, sei impazzito forse?» gli urlò Moon contrariato, visto che quella corrente d’aria improvvisa gli aveva spento la sigaretta «Vuoi farci ammalare tutti?»

«Dai Frank, non essere noioso» gli rispose Ryo, sporgendosi fuori con la testa mentre con un braccio teso saggiava la resistenza dell’aria.

«Fosse estate non avrei nulla in contrario, ma a dicembre specialmente dopo il tramonto fa parecchio freddo, soprattutto ora che stiamo lasciando Oceanside e ci aspetta un bel tratto dove saremo solo noi, le montagne e l’oceano»

Ryo chiuse gli occhi, inspirando profondamente «Senti Frank, questa scatoletta non può andare più veloce?»

«Eh?» domandò confuso.

«Dicevo, è questo il massimo che sai fare come pilota?» gli fece Ryo, girandosi verso di lui con un sorrisetto furbo.

«Ah, è la guerra che vuoi allora?» rispose ricambiando lo sguardo di sfida.

«Frank che vuoi fare? Vedi che-» disse il Professore leggermente preoccupato, ma fu incapace di proseguire perché interrotto dal rombo del motore portato al massimo dei giri.

«Allora, che ne dici my boy?»

«Ora iniziamo a ragionare!» esclamò Ryo esaltato, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, prima di rifiondarsi con la testa fuori dal finestrino.

«Poi faremo i conti! Non so davvero chi sia il più piccolo fra voi due» borbottò di malumore il Professore, mentre si alzava il pastrano fino in testa per ripararsi dal vento impetuoso.

Ryo si lasciò andare a una risata liberatoria, galvanizzato dalla sensazione del vento sul suo viso e dalla velocità che lo spingeva contro il sedile. Avrebbe voluto che quel viaggio non finisse mai.
 
---
 
Erano quasi le otto di sera quando la Ford Falcon raggiunse l’estesa area metropolitana di Los Angeles. Ryo, una volta placati i suoi entusiasmi, aveva continuato a osservare il panorama, diventando particolarmente attento appena iniziarono ad attraversare i centri abitati; si sentiva stranamente attratto dalla pletora di luci artificiali dai mille colori, trovandole uno spettacolo interessante per lui che era abituato alle tenebre notturne. Di tutt’altro stato d’animo era Frank che, spazientito, osservava in tralice il Professore che, chino sull’atlante stradale, era intento a cercare la giusta uscita per lasciare l’Interstatale.

«Allora Prof, dobbiamo proseguire o no?» domandò Moon, tamburellando le dita sullo sterzo.

«Non lo so» rispose l’uomo mentre si abbassava gli occhialini sulla punta del naso.

«Come?! Tra poco c’è una biforcazione e devo sapere se proseguire o girare a destra!»

«Sì, lo so Frank, non mettermi fretta»

«Ma no, che fretta, possiamo tranquillamente fermarci in mezzo alla strada!» esclamò esasperato l’americano «Ah, mi sento la gamba destra totalmente intorpidita, ormai è tutto il giorno che guido, peggio di un camionista»

«Almeno hai un altro lavoro da fare appena inizierai a far schifo con le armi»

«Vada al diavolo» sbottò Frank «Ryo, vedi questo vecchio? Non diventare mai come lui»

«Vecchio a chi, eh?» scattò Kenji colpendogli la testa con l’atlante «Non posso farci niente se manco da Los Angeles da più di vent’anni, e per di più questo stradario non è neanche aggiornato»

Ryo sghignazzava internamente nel vedere quei due che creavano un’accoppiata pilota – copilota tra le più improbabili.

«Ma si può sapere dove diavolo stiamo andando? L.A. non è mica così piccola, mi serve il luogo preciso, così almeno posso farmi un’idea»

«Dobbiamo raggiungere North Hollywood, quindi per logica dobbiamo proseguire verso nord»

«A Hollywood?» esclamò sorpreso Frank «E chi stiamo andando a trovare? Liz Taylor?»

«Ti piacerebbe, eh? Comunque ho detto North, è leggermente diverso… Dovrebbe essere accanto all’Hollywood Burbank Airport… Ah, dannazione, questa parte della mappa si trova proprio vicino l’attaccatura del foglio»

«Prof, destra o sinistra?» chiese esasperato «Mancano 500 metri»

«Mmmh, ecco…Vediamo… Forse, ah sì forse…»

«Mi vuole rispondere sì o no? Non voglio sbagliare strada e guidare per un’altra ora inutilmente!» sbraitò Frank ormai agitato e rosso in viso.

Kenji rialzò la testa, si sistemò gli occhiali con noncuranza e, dopo aver richiuso lo stradario, disse candidamente «Mantieni la corsia di sinistra e prosegui in direzione Sacramento» dopo di che si sistemò meglio sul sedile.

«E ci voleva tanto per dirmelo?» sbottò l’americano ancora furente mentre passavano lo svincolo «Dopo che mi ha fatto dannare per mezz’ora…» ma si interruppe nel sentire una risatina soffocata. «Non mi dica…» sibilò «Non mi dica che ha fatto finta di non sapere la strada?!»

«Eheheh mio caro Moon, è così bello vederti perdere le staffe» ridacchiò Kenji «Non ho mai visto qualcuno diventare rosso come te! E per di più a chiazze; vedi, proprio sulla fronte, per non parlare delle guance e-»

«Prof, vuole diventare anche lei rosso a suon di schiaffi?»

«Su su, non puoi limitarti solo a fare scherzi, bisogna saperli anche accettare da parte degli altri. Capito Ryo?» disse girandosi verso il sedile posteriore «Mi raccomando, non risparmiarti con questo permalosone»

«Non si preoccupi Professore, non gli darò un attimo di pace» rispose il ragazzo facendogli un occhiolino complice.

Frank scosse la testa sconsolato e lasciò andare un sospiro «Ripeterà questa sceneggiata anche più tardi?»

«Certo che no, hai la tendenza a diventare isterico quando sei di cattivo umore e ci tengo a non morire in un incidente» commentò angelico l’uomo, passandosi distrattamente le dita sui baffi «Uscita 148. Vedi di non sbagliare, voglio essere lì prima che sia troppo tardi per rimediare una cena»

«Ci terrei anch’io visto che non abbiamo pranzato» chiuse Frank, accendendosi l’ennesima sigaretta della giornata.


Il resto del viaggio si svolse senza intoppi e nel tempo previsto i tre uomini, dopo aver percorso diverse strade che a Ryo sembrarono tutte uguali, si fermarono nei pressi di una delle tante villette con giardino che costellavano Califa Street.

«Eccoci arrivati» esclamò il Professore soddisfatto, uscendo veloce dall’abitacolo «Ah, non ne potevo più di stare seduto»

«Quindi abita qui l’uomo del mistero» commentò Frank mentre si sistemava i pantaloni.

Ryo non disse niente, limitandosi a squadrare la villetta bassa dal tetto spiovente. Il prato era decorato da palme e aiuole ben sagomate e, dalle persiane accostate, filtrava una luce calda. Case così belle non ne aveva mai viste.

«Deve essere davvero ricco per potersi permettere una casa del genere» si lasciò sfuggire.

«Beh, sì i soldi non gli mancano ma credimi ragazzo mio, le persone davvero ricche non vivono in queste casette» gli rispose prontamente il Professore e, senza ulteriori indugi, si avviò verso il vialetto lastricato, fermandosi sul pianerottolo illuminato da una lanterna appesa sopra il portone.

Appena Frank e Ryo lo raggiunsero suonò il campanello. Dopo pochi istanti la porta si aprì e un ragazzino alto e magro, dai capelli rossi e il viso cosparso di efelidi, li guardò con occhi indagatori.

«Chi siete?» domandò cauto.

«Amici, abbiamo un appuntamento con tuo padre» rispose il Professore sorridendo.

«Ah sì? E chi devo riferire?»

«Golden Gate, 1948. Digli questo, lui capirà»

«Aspettate qui» disse il ragazzetto, prima di socchiudere la porta.

Ryo guardò il Professore con aria interrogativa ma, nel vederlo così sereno e padrone della situazione, decise di non fargli domande. Qualche istante dopo avvertì dei passi pesanti avvicinarsi alla porta, che venne spalancata con un colpo secco.

«Non ci credo, anche tu qui vecchia volpe!» esclamò l’omone sorridendo selvaggio «Che bella sorpresa!»

Il ragazzo fu sorpreso nel vedere quell’uomo possente, poco più basso di lui, massiccio e con una lunga barba curata, abbassarsi e stritolare in un abbraccio il Professore.

«Sono felice di vederti anch’io vecchio orso, o forse dovrei chiamarti Papa adesso» disse Kenji mentre si riprendeva da quella stretta d’acciaio.

«Sempre aggiornato su tutto Prof» disse l’uomo allegro «Quindi sono loro i due uomini?» domandò spostando lo sguardo.

«Sì, ti presento Frank Moon e Ryo Saeba» disse Kenji, facendosi indietro.

L’uomo li squadrò velocemente da capo e piedi e commentò con un sorrisino «Così voi avreste capacità eccezionali… E tu ragazzo? Sei davvero il fenomeno che mi è stato descritto?» domandò fissando Ryo negli occhi.

«Non mi ritengo tale, sono stato un semplice guerrigliero» rispose sentendosi leggermente a disagio per quell’occhiata penetrante.

«Mmmh, eppure qui dentro vedo un fuoco ben diverso… Beh, mi piacciono i ragazzi così!» esclamò dandogli una robusta pacca sulla spalla.

Ryo arcuò leggermente l’angolo della bocca abbozzando un sorrisetto; era confuso da quello sconosciuto. Avvertiva a pelle che era un uomo molto pericoloso, ma nei suoi modi non si scorgeva altro che una rustica giovialità. In quel momento, però, il suo udito sensibilissimo avvertì il debole scatto di un cane armato. L’assenza di aura omicida non gli impedì di agire d’istinto e, in un movimento fulmineo, prese la Python da sotto il pastrano e sparò in alto senza prendere la mira, basandosi solo sul rumore che aveva sentito.

«Ma che…?» esclamò il Professore, ma si bloccò appena vide una pistola cadere dal tetto.

«Are you crazy, motherfucker? Do you wanna kill me? Holy shit!» urlò una voce in alto e, alzando la testa, tutti poterono intravedere nell’oscurità un uomo aggrappato a un abbaino.

Il padrone di casa esplose in una fragorosa risata «Ah ragazzo, mi sa proprio che il vecchio aveva ragione! Neanche io mi ero accorto di nulla» e vedendo lo sguardo decisamente confuso di Ryo aggiunse «Era solo una prova per testarvi, ho chiesto a Will di simulare un’imboscata…Ehi Will, tutto a posto lassù?» chiese alzando la testa.

«Sì capo, per fortuna ha colpito solo la pistola» disse l’uomo mentre si rimetteva in piedi.

«Bene, e sei stato bravo ad avere montato il silenziatore ragazzo, se no avremmo creato un bel po’ di trambusto nella zona» e sfregandosi le mani concluse «Entrate signori, immagino siate stanchi e affamati; tranquilli qui c’è sempre posto per gli amici»

I tre uomini entrarono in un disimpegno quadrato su cui si affacciava una scalinata in legno e due porte ai lati. L’ambiente era pregno di tabacco e polvere da sparo, una casa sicuramente fuori dal comune, come il suo proprietario. Ryo si guardò intorno curioso e, cercando lo sguardo di Frank, capì che anche lui era confuso quanto lui.

«Prof» sussurrò l’americano «Ma chi è quest’uomo?»

L’uomo fece un sorrisino prima di rispondere «Ralph Thorson2. Ti facevo più perspicace Frank»

«Cosa?!» Moon rimase impalato con gli occhi spalancati, mentre il Professore si accingeva a seguire il padrone di casa nella cucina.

Ryo, nel vedere quella reazione, capì di non voler essere più l’unico all’oscuro di tutto.

«Lo conosci?» chiese all’uomo.

Frank annuì lentamente «Era molto noto a San Francisco, ma è la prima volta che lo vedo» e guardandolo negli occhi rispose alla sua muta domanda «È uno dei più famosi bounty hunter della California»

«Che fate impalati come stoccafissi? Su venite qui, per fortuna è avanzato dello stufato» urlò Thorson dalla stanza adiacente e i due non se lo fecero ripetere due volte.

 
Ryo si rese conto di morire di fame solo quando si trovò sotto al naso un abbondante piatto fumante. Si avventò sul cibo con voracità mentre il Professore aggiornava Thorson circa il loro viaggio.

«Quindi sei in partenza caro Prof?» domandò accendendosi un sigaro.

«Sì, sai bene che qui rischio troppo. Ho intenzione di tornare alle mie origini» rispose Kenji, intento a mangiucchiare un po’ d’insalata.

«Sicuro che stare in Giappone sia la scelta giusta?»

«Certo, per me l’importante è stare lontano dagli Stati Uniti. Anche l’Europa è un luogo ‘caldo’ per così dire, quindi direi che sì, il Giappone è perfetto. Lì non corro rischi, non mi conosce quasi nessuno» e, appoggiando la mano sul mento, aggiunse in un tono che Ryo non gli aveva mai sentito «E poi sono quarant’anni che vi manco»

Ryo alzò gli occhi e fissò per qualche istante il Professore, gli era sembrato a un tratto più addolcito. Quando incontrò il suo sguardo, però, vide l’uomo di sempre e si chiese se fosse stata solo una sua impressione dato che Frank stava continuando imperterrito il suo pasto.

«Come ti avevo accennato, non era nei miei piani venire fin qui ma i miei uomini di San Diego non sono stati molto attenti e solo all’ultimo minuto mi hanno riferito che, la nave cargo su cui dovrei imbarcarmi, in questo periodo salpa da Long Beach. Beh, questo succede quando non mi occupo delle cose in prima persona. Approfitterò della tua ospitalità ancora per poco, il tempo di riposarmi un attim-»

«Ma non mi disturbi affatto Prof» disse l’ospite disegnando ampi cerchi di fumo con la bocca «Per me potresti restare anche a lungo, ormai questa casa è un porto di mare! Ad ogni modo, comprendo le tue motivazioni e non voglio trattenerti oltre, ci tengo a saperti ancora vivo» aggiunse facendogli un sorrisetto.

Kenji si limitò ad annuire e continuò il suo pasto frugale, ragion per cui le attenzioni di Thorson si spostarono su Frank.

«Allora ginger head» esordì mentre dava un’altra boccata al suo sigaro «Prof mi ha detto che sei di San Francisco»

«Infatti» rispose leggermente risentito per quel nomignolo.

«Di cosa ti occupavi?»

Frank represse a stento un rutto prima di rispondere «Robetta di poco conto. Facevo parte di una banda specializzata in piccoli furti, truffe e bische clandestine» e cercando una sigaretta proseguì noncurante «Andava tutto discretamente bene, fina a quando decidemmo di unirci a un boss mafioso, occupandoci dei suoi affari più sporchi e rischiosi… Alla fine lui stesso ci ha traditi perché iniziava a vederci come una minaccia e così sono finito dietro alle sbarre. Bel periodo di merda quello» commentò espirando il fumo lentamente.

Nonostante avesse il viso concentrato sul suo piatto, Ryo non si perse una parola di quel dialogo; era la prima volta che sentiva parlare Frank del suo passato e rimase genuinamente sorpreso nello scoprire che aveva fatto parte della malavita. Lo conosceva abbastanza bene da sapere che non aveva l’indole di un criminale, e immaginò che doveva aver avuto le sue buone ragioni per aver tenuto quella condotta.

«Dopo qualche tempo ci dissero che potevamo scegliere di arruolarci per andare in guerra o restare a marcire in carcere, e io non me lo feci ripetere due volte, avrei fatto qualunque cosa pur di scappare da lì. Il resto è abbastanza scontato: ho frequentato un corso breve diventando un marine e poi sono partito per la Corea; al ritorno, poi, c’è stato il Guatemala. Soddisfatto big man?» domandò con un sorrisino.

Thorson piegò le labbra in un sorriso feroce «Sei proprio un bel tipino, mi sei simpatico» e così dicendo si allungò verso il pensile alla sua sinistra per prendere una bottiglia di whisky che stappò coi denti.

«Alla tua salute» disse riempiendogli il bicchiere.

Frank lo alzò leggermente verso di lui per svuotarlo in un solo sorso.

«La storia che mi hai raccontato coincide con quello che alla fine sono riuscito a sapere su di te. Sarai stato un criminale da quattro soldi, ma con buone probabilità te la caverai molto bene col tuo nuovo lavoro. Sarà strano trovarsi dall’altra parte della barricata, no?» disse il bounty hunter.

Frank lanciò uno sguardò in direzione del Professore che se ne stava tranquillo a pulirsi gli occhiali con la tovaglia.

«Non meravigliarti Frank» disse quest’ultimo «È normale che un professionista come lui facesse le sue ricerche, considerando che aveva qualcuno da cercare»

«Sei tu che hai rintracciato mia figlia? Sta bene?» domandò all’uomo.

«Ehi, frena con le domande man!» esclamò Thorson alzando le mani «In realtà ho delegato il compito a un mio caro amico con cui ho lavorato quando mi trovavo a San Francisco. Ha faticato parecchio, tuttavia alla fine è riuscito non solo a trovare tua figlia, ma anche a entrare in contatto con lei. Mi ha detto solo che sta bene e che vuole incontrarti, non so altro»

Ryo notò come le spalle di Moon si rilassarono nel sentire quelle parole; sapeva che per lui era la fine di una lunga agonia.

«Tieni» disse sempre Ralph mentre porgeva a Moon un biglietto e un foglio ripiegato «Qui ho scritto l’indirizzo dell’ufficio di Pooch3 – è il nome del mio uomo –, mentre l’altro devi consegnarlo a lui. È il vostro ‘lasciapassare’ per così dire. Mi ha telefonato proprio stamattina per chiedermi se foste arrivati, c’è una grossa taglia e non vede l’ora di metterci le mani, il solito impaziente. Sono certo che andrete molto d’accordo, due bounty hunter con le vostre abilità sono davvero rari al momento»

«Come mai?» domandò Frank mentre riponeva i fogli nel taschino della camicia con cura.

«Purtroppo la maggior parte degli uomini più in gamba è ancora impegnata in Vietnam4, non so se ne sei al corrente»

«Il Prof ci ha accennato qualcosa; è un altro Paese che non conosce la pace da troppo tempo e questo è più che sufficiente per capire come stanno le cose. Le abbiamo ben vissute»

«Parole sante» sbuffò l’uomo passandosi la mano sulla folta barba «Ad ogni modo, i rientri sono iniziati da poco e spero che entro l’anno prossimo le tempistiche promesse vengano rispettate. Sono certo che la situazione si farà parecchio interessante appena ci sarà più competizione, per quel periodo dovreste esservi fatti già un nome»

«Puoi giurarci, sentirai parlare di noi in continuazione tanto da non poterne più»

Thorson si lasciò andare a una grassa risata «Ah sei proprio un pallone gonfiato, sai Moon? Però è per questo che mi stai simpatico» e girandosi finalmente verso Ryo, che aveva ormai ultimato il suo pasto, aggiunse «Mi raccomando ragazzo, mi aspetto grandi cose da te»

Approfittando dell’atmosfera distesa, gli uomini si lanciarono andare a due brindisi: uno per l’imminente partenza del Professe e un altro per il nuovo lavoro di Frank e Ryo.

«Bene signori, direi che è il momento che andiate a riposare. Avete della facce da far spavento e non manca molto tempo alle quattro» disse l’ospite alzandosi e facendo loro strada.

«Grazie Thorson»

L’omone si girò verso Frank, che si trovava subito dietro di lui, e gli cinse le spalle con il suo braccio possente «Di niente my friend, come along!» e così abbracciati salirono le scale.

«Sapevo che sarebbero andati d’accordo, per certi versi sono simili» commentò a mezza voce Kenji.

«Prof» domandò Ryo, che era accanto a lui «Ma come vi siete conosciuti voi due? Quello che ha riferito al ragazzino c’entra con il vostro incontro per caso?»

L’uomo gli lanciò un sorriso sibillino «In un certo senso sì… Comunque non è una storia molto interessante, diciamo che lavoravamo in ambiti diversi ma in sostanza simili» e senza aggiungere altro iniziò a trotterellare sulle scale, lasciando dietro di sé un Ryo con più domande che risposte.
 
---
 
Un russare calmo e ritmato riempiva una camera da letto in cui si trovavano un letto a due piazze e un divanetto. Dalla finestra filtrava il debole fascio di luce proveniente da un lampione distante. Tutto era silenzio nella casa, ad eccezione del canto dei gufi insieme al suono di qualche macchina solitaria che giungevano dall’esterno.
“Notte senza luna” pensò Ryo seduto sull’ampio davanzale, con la gamba sinistra piegata contro il petto e la destra a ciondoloni.
Ci aveva provato a dormire, aveva ceduto il letto al Professore e a Frank prendendo per sé il divanetto, sicuro che – stanco com’era – sarebbe crollato incurante della scomodità. E invece, mentre i due uomini avevano raggiunto Morfeo in pochi minuti, lui non era riuscito a lasciarsi andare. Aveva chiuso gli occhi ma il sonno non era arrivato; aveva passato minuti interminabili a rigirarsi, a sgombrare la mente, ma nulla sembrava poter funzionare. Esasperato da se stesso, alla fine aveva deciso di alzarsi e appollaiarsi su quel davanzale, sperando che quella vista così poco interessante lo aiutasse nella sua impresa. Razionalmente sapeva di aver bisogno di riposo, erano quarantott’ore che non chiudeva occhio e la stanchezza poteva avere effetti disastrosi.

«Un buon soldato deve essere in grado di recuperare le forze anche nei momenti più impensabili. Meglio un finto sonno che beccarsi una pallottola in fronte per poca prontezza di riflessi»

Si mise una mano sulla fronte sentendosi stupido.
“Perché continuo a pensare come se fossi ancora un guerrigliero? Perché le sue parole continuano a rimbombarmi in testa?”
Strinse gli occhi con forza, cercando di cacciarle via. Voleva svuotare la mente ma non ci riusciva, quel silenzio e quel buio non facevano che far riaffiorare ricordi sopiti. Appoggiò la fronte al vetro, come aveva già fatto in macchina, sperando che quel contatto freddo lo aiutasse a tornare padrone di sé.
“Devo riuscire a riposare. Almeno per mezz’ora. Quanto vorrei smettere di pensare…”
Mentre ripeteva quelle frasi come una lenta litania, respirò profondamente e cercò di rilassare i muscoli il più possibile.
In quel momento non c’erano che lui e il buio più completo offertogli dalle palpebre serrate. Amava le tenebre, lo sorprendeva sempre come ogni cosa perdesse il suo colore con il calar del sole. In un certo senso lo trovava tranquillizzante: tutto veniva uniformato, i dettagli si perdevano, ci si poteva nascondere facilmente in quel mondo fatto di nero e delle sue impercettibili sfumature. Proprio come il suo mondo interiore. Lasciò andare, lentamente, un sospiro lungo e sommesso. Si sarebbe concesso di abbandonarsi al suo vero stato d’animo ancora per un altro po’, preparandosi a dover indossare nuovamente la sua solita maschera; non poteva permettere in alcun modo che Frank e il Professore si preoccupassero a causa del suo umore cupo.
 
---
 
Una pioggerellina fredda e insistente avvolgeva la città e la Terminal Island, dando un aspetto spettrale alle mastodontiche cataste di container e alle imponenti gru. L’umidità rendeva l’aria più pungente di quanto non fosse, ma Ryo non se ne curò particolarmente.

«Bene, direi che è arrivato il momento dei saluti»

Il Professore si girò verso di loro con un mite sorriso «Per quanto odi gli addii, mi vedo costretto a farli, eh»

Senza dire altro, fece un cenno a Frank e si allontanarono in direzione di un container poco distante, che forniva un luogo abbastanza discreto.

«Aspetta lì Ryo, tra poco tocca a te» gli urlò l’uomo alzando la mano.

Il ragazzo si limitò a sorridergli e, cacciando le mani in tasca, iniziò a camminare pigramente avanti e indietro, facendo attenzione a non intralciare la strada ai membri dell’equipaggio che si apprestavano a salire a bordo. Vide i due uomini confabulare seri per qualche minuto, poi Frank si slanciò verso il Professore, abbracciandolo e dandogli delle affettuose pacche sulla schiena; quel semplice ma fugace gesto lo fece sorridere lievemente. Per uomini come loro le dimostrazioni di affetto era quanto mai rare. L’americano si allontanò dal Professore e, senza voltarsi, iniziò a camminare lungo la banchina; fu allora che Ryo si avvicinò all’omino che lo fissava con occhi acuti.

«Bene Baby Face» esordì schiarendosi la voce «Prima di andare mi preme dirti alcune cose»

Ryo lo guardò leggermente incuriosito mentre si sistemava gli occhialini sul naso.

«Da oggi vivrai e lavorerai con Frank. Lui conosce questo mondo meglio di te, perciò cerca di non essere troppo testardo come tuo solito e ascoltalo»

“Mi sembra di essere tornato a quando ero bambino” pensò tra sé il ragazzo nel sentire quelle raccomandazioni, così simili a quelle che il Professore gli rivolgeva spesso quando era un piccolo guerrigliero.

«Allo stesso tempo, però, tienilo d’occhio e assicurati che non faccia nessuna sciocchezza. E soprattutto guardagli le spalle quando lavorerete; in tutta onestà, credo che tu sia più bravo di lui sotto alcuni aspetti»

«Non mi sarei mai aspettato un complimento simile» disse Ryo, celando malamente l’orgoglio che quelle parole gli avevano provocato.

«Non ti gonfiare come una mongolfiera ora!» lo rimbeccò l’uomo, facendogli un sorrisetto «Te lo dico perché, molto probabilmente, Frank perderà la sua freddezza una volta che tornerete a San Francisco. Lì troverà sua figlia e qualcosa mi dice che è proprio il tipo di padre che si rincretinisce con la sua bambina…» e guardandolo negli occhi, improvvisamente serio, continuò «Per questo Ryo devi fare il possibile per non permetterti alcuna debolezza simile»

Il ragazzo lo studiò, iniziando a intuire dove l’uomo volesse arrivare «Ho capito, devo restare solo»

«Non fraintendere ragazzo: non intendo solo nel senso letterale del termine. Comprenderai che in questo lavoro le notizie e i buoni agganci sono tutto, perciò devi conoscere quanta più gente possibile. Però devi fare molta attenzione ai legami, lì non puoi permetterti distrazioni, soprattutto in ambito sentimentale»

«Ma Prof, a me non interessa legarmi a nessuna!» obiettò con foga.

«Lo so, ma devi fare attenzione lo stesso. Le donne quando vogliono possono essere diaboliche, noi uomini certe volte ragioniamo troppo con il nostro bassoventre e, quando ce ne accorgiamo, è troppo tardi» e, mettendogli una mano sul braccio, continuò «Ti ho detto che la bellezza è la linfa vitale per non soccombere nel nostro mondo. Per me le donne costituiscono una parte principale di questa bellezza, perciò ti dico: divertiti, inebriati di loro ma fallo entro determinati limiti. Non frequentare nessuna “brava ragazza”, fai il cretino quanto vuoi ma concretizza solo con donne davvero libere e non interessate a intraprendere una relazione. Il tuo cuore deve restare libero, slegato da qualsiasi sentimento…Se amassi davvero una donna per te sarebbe impossibile lavorare bene, sarebbe troppo rischioso; ci vuole molta forza, forse troppa…»

Ryo notò gli occhi dell’uomo adombrarsi di malinconia, proprio come era capitato durante la cena, e si chinò leggermente verso di lui «Prof?»

Kenji lasciò il suo braccio con un mezzo sorriso che non raggiunse gli occhi.

«Non è niente ragazzo» disse ondeggiando la mano «Che sia chiaro, però, questo non vuol dire che devi inaridirti. Abbi cura delle persone che ti circondano, metti la tua vita al servizio degli altri. Alla fine è una cosa che hai fatto durante la guerriglia, no? Noi siamo uomini d’ombra, ed è lì che dobbiamo mantenere il nostro margine di azione. Ah, cerca di mantenere sempre profilo basso, non vorrei che qualche ex mercenario si mettesse alla vostra ricerca per uno stupido regolamento di conti. Hai capito Ryo?»

«Sì» rispose sicuro, sebbene dentro di lui non si sentisse affatto così. Stava immagazzinando così tante informazioni e avvertiva così tante emozioni che faticava a mantenere la sua facciata imperturbabile.

«Ne ero sicuro» e, con un movimento fluido, fece scivolare qualcosa nella tasca del pastrano di Ryo «Questo è un piccolo pensiero per quando sarai a San Francisco. Fanne buon uso» disse facendogli l’occhiolino.

«Grazie mille Prof, non doveva»

«Forse, ma credo proprio che ti sarà utile. È una lista dettagliata dei migliori locali della città, con valutazioni e annotazioni» commentò in modo complice.

«Lo apprezzo moltissimo» rispose il ragazzo ridacchiando per quel regalo così particolare.

L’uomo, poi, si chinò per prendere i due borsoni ai suoi lati e iniziò ad allontanarsi di qualche passo prima di girarsi nuovamente verso Ryo.

«Comunque, sappi ragazzo mio che avrò sempre tue notizie e, in caso di necessità, troverò il modo di contattarti. Il nostro non è un addio, sento che ci rivedremo in futuro. Buona fortuna Baby Face» e così dicendo l’uomo si incamminò verso lo scivolo dell’imponente mercantile.

«Prof!» lo chiamò Ryo dopo qualche istante, come se si fosse risvegliato da uno stato di torpore.

Avrebbe voluto dirgli quanto la sua partenza gli dispiacesse, quanto lo stimasse e lo considerasse l’unica persona a cui doveva la sua attuale vita, chiedergli perché trapelasse della tristezza nei suoi occhi, ma quel marasma di pensieri si condensò in un'unica parola.

«Grazie»

Si sentì leggermente frustrato per la sua incapacità di esprimersi come avrebbe voluto, ma forse quella sola parola fu sufficiente. Il Professore gli rivolse un sorriso sincero che gli arrivò dritto al cuore. E, senza dire altro, gli diede le spalle e sparì dentro la stiva della nave.
 
---
 
Era da poco passato mezzogiorno quando i due uomini fecero il loro ingresso a San Francisco dopo un viaggio abbastanza silenzioso. Frank non si era mai sentito così agitato. Qualche ora prima aveva detto addio all’uomo che stimava di più al mondo e che, senza rendersene conto, aveva rappresentato un riferimento sicuro in quegli anni, ed entro poche ore avrebbe visto sua figlia. Sbirciò con la coda dell’occhio il ragazzo seduto scomposto alla sua destra, e lo vide sonnecchiare a braccia conserte con la testa appoggiata al finestrino. Sorrise nel vederlo così, quando dormiva sembrava davvero un bambino con braccia e gambe troppo lunghe, tanto da non sapere mai come sistemarle bene.
“Non mi meraviglia che sia crollato, stanotte non ha chiuso occhio” pensò riportando gli occhi sulla strada. Alla fine anche lui era un guerrigliero di un certo livello; per quanto potesse essere stanco non si permetteva mai di lasciarsi andare a un sonno profondo, e si era accorto di come Ryo era sgusciato fuori dal divano e aveva passato quelle poche ore di riposo sveglio. Intuiva che il ragazzo avesse più di una pensiero per la testa, e il fatto che il Professore non fosse più con loro lo impensierì non poco; sapeva che Ryo non si sarebbe mai confidato con lui e si augurò solo che il ragazzo non si mostrasse troppo duro con se stesso. Lui avrebbe fatto il possibile per supportarlo, di questo ne era certo, anche se non si sentiva allo stesso livello del Professore e di Kaibara. Strinse i denti nel ricordare il suo vecchio amico e un’ombra di tristezza gli offuscò gli occhi verdi.
“Chissà cosa starà facendo ora… Perché è successo?”
In cuor suo voleva ancora bene a Shin, ed era profondamente amareggiato per come la guerra lo avesse contagiato con la sua pazzia. Eppure, lui aveva avuto Ryo. Possibile che suo figlio, come lo aveva definito lui stesso, non fosse stata una condizione sufficiente per salvarlo? In fondo, avevano entrambi vissuto le stesse cose e, ripensandoci, gli sembrava incredibile di non essere impazzito con lui.
“La differenza, però, era che io ero ormai disilluso e, abituato a vivere tra le ingiustizie e nella criminalità, non mi aspettavo niente di buono dalla vita. Invece lui aveva un animo più puro, aveva sempre sperato in una risoluzione di quel conflitto. Mi sono chiesto più volte come poteva essere così ingenuo… Io stesso speravo che si fortificasse di più, ma non avrei mai pensato che sarebbe degenerato fino a quel punto.” Strinse con nervosismo lo sterzo; gli dispiaceva molto che alla fine, l’unica vera vittima della follia dell’uomo fosse stata il ragazzo accanto a lui.
In quell’istante Ryo aprì gli occhi e si stiracchiò rumorosamente.

«Allora, siamo arrivati?» domandò allungandosi sul sedile.

«Sì. Purtroppo, però, c’è molto traffico e ci metteremo un po’ per arrivare a destinazione» rispose Moon, risvegliato dai suoi pensieri.

«Hai bisogno di aiuto? Vuoi che prenda lo stradario?»

«No, my boy. Conosco questa città come le mie tasche, non ho bisogno di indicazioni» rispose tranquillo mentre prendeva il pacchetto di sigarette «Eppure… È difficile spiegarlo, la città sembra la stessa ma allo stesso tempo è così diversa. Temevo proprio questa sensazione…»

«Che sensazione?» domandò Ryo accendendosi una sigaretta.

«Di sentirmi spaesato, come se fossi un estraneo a casa mia» rispose, sbuffando una nuvola di fumo «Alla fine credo sia inevitabile. Sono passati molti anni da quando sono andata via e le cose cambiano, che ci piaccia o no»

«Il vantaggio di non avere una casa è che non c’è modo di soffrire per queste cose»

Frank si irrigidì a quelle parole appena sussurrate. Dunque era così che si sentiva Ryo? In fin dei conti quella che poteva aver considerato casa sua erano le foreste impervie delle montagne del Guatemala, non certo posti in cui si avesse voglia di tornare e, per il resto, non aveva nessun altro legame con il mondo.

«In realtà non soffro poi così tanto» disse ad alta voce, spontaneamente «Col tempo ho imparato che sono le persone che ci circondano a farci sentire a casa piuttosto che il luogo in sé. Ricordatelo Ryo»

Gli lanciò un’occhiata e fu felice di leggere della sorpresa in quegli occhi sempre così impenetrabili. Non sarebbe mai riuscito a dirglielo esplicitamente ma, una parte di lui, si augurava che Ryo lo considerasse la sua casa, proprio come lui lo considerava, ormai, da molto tempo.
 
---
 
Sotto una fredda pioggerellina la Ford Falcon si fermò su Bryant Street, proprio accanto a una palazzina a due piani di un grigio stinto che eguagliava il colore del cielo di quel giorno. Ryo, una volta uscito dall’auto, si guardò intorno, osservando il largo viale e il caotico traffico.

«Proprio di fronte al Palazzo di Giustizia… Bah, immagino che per un bail bondsman sia il luogo migliore, ma lo odio lo stesso» sospirò Frank mentre lo raggiungeva sul marciapiede «Entriamo dai, ci stiamo bagnando per bene» e così dicendo lo precedette, aprendo la porta a vetri del locale.

Ryo lo seguì senza aggiungere altro; aveva approfittato del viaggio per riposare un po’ e doveva ammettere che gli aveva fatto bene, si sentiva più lucido. All’interno li accolse una saletta rivestita di listelli di legno in cui troneggiava una piccola scrivania, anch’essa di legno di noce, che si abbinava a una moquette marroncina, sporca e lisa in diversi punti. L’ambiente aveva un’aria parecchio decadente – oltre che soffocante – e Ryo chiese a Moon se non avessero sbagliato posto.

«No, no l’indirizzo è questo. C’è nessuno?» domandò a voce alta, sbattendo il pugno sul tavolo.

Dopo qualche istante, da una porticina sul retro fece la sua comparsa un ometto sparuto, sulla sessantina abbondante, vestito con una camicia bianca e un pantalone scuro con bretelle nere in bella vista. Osservandolo meglio, Ryo notò come il viso allungato fosse incorniciato da finissimi capelli nero pece, unti all’inverosimile per poter sostenere l’ardito riporto che andava da orecchio a orecchio.
“Dovrà tingersi i capelli con la pomata delle scarpe” pensò il giovane, osservandolo incuriosito.

«Eccomi, ditemi signori» disse l’uomo mentre si sfregava le mani.

«Salve, stiamo cercando Pooch» rispose Frank.

«Sono io in persona»

«Bene, abbiamo un messaggio per lei» e, mentre diceva questo, prese dalla tasca interna del pastrano un foglietto ripiegato.

Pooch lesse velocemente le poche righe e subito dopo il suo sguardo si illuminò «Ah ma siete voi! Potevate dirlo subito senza perdervi in stupide formalità»

Senza perdere tempo, l’uomo li condusse nel suo piccolo ufficio con una cordialità che sfociava nel molesto. La curiosità di Ryo si tramutò subito in confusione: quell’uomo parlava a macchinetta, sciorinando una serie di cifre, percentuali e nomi che per lui ancora erano del tutto insignificanti. Osservò di sfuggita Frank e lo vide in difficoltà, incapace di contenere quel fiume di parole in cui si inseriva con stentati monosillabi.

«Attualmente c’è un caso molto ghiotto, un serial killer ricercato e tuttora a piede libero. Se vi ha mandati Papa allora dovete essere formidabili come lui. Come ti ho già anticipato Frank – ormai siamo colleghi, non te la prendi se ti do già del tu vero? – io prendo come commissione il venti percento, mentre Tom – che era l’uomo che lavorava con me, Dio l’abbia in gloria – si accontentava di prendere il cinque percento della taglia ma, poiché siete in due, direi che potremmo rivedere la somma… Un momento che prendo carta e penna e facciamo un po’ di calcoli. Ah ragazzo – Ryo giusto? Sì certo, ricordo proprio così – vorresti del caffè? L’ho appena preparato, trovi la macchinetta nell’archivio – è la porta proprio di fronte a questa – e, se non ti dispiace, potresti portarcene una tazza ciascuno? Sai com’è, noi abbiamo una certa età e anche il caro Frank ha proprio la faccia di uno che vuole una buona tazza di caffè – e il mio, modestamente, è eccellente»

Ryo, totalmente stordito da tanto ciarlare, si alzò limitandosi ad annuire e uscì dalla stanza.
“Non gli si può mettere un silenziatore in bocca? Di certo eviterò di passare il tempo con lui, non voglio rimbambirmi sempre così” pensò tra sé mentre in poche falcate raggiungeva l’archivio, che si dimostrò essere una stanza grande il doppio dell’ufficio, con tre dei quattro muri ricoperti da una spartana libreria metallica strabordante di fascicoli, raccoglitori e fogli. Sul lato libero, quello accanto alla porta, vi era un lungo bancone utilizzato come scrivania su cui era posizionata una macchinetta che Ryo intuì essere quella del caffè, considerando il liquido all’interno della brocca di vetro. Stava per riempire tre tazze sbeccate quando notò i poster appesi al muro davanti a lui: erano immagini di una certa grandezza raffiguranti diversi pianeti ma, tra tutte, lo colpì particolarmente l’immagine di un’eclissi.
 
Ryo si stava sgranchendo il collo, leggermente irrigidito per la posa statica che aveva assunto per lungo tempo. I fucili di precisione erano dei bei bestioni, ma esercitarsi con loro significava imparare a sparare appostato nei luoghi più scomodi, attento a controllare anche il più impercettibile movimento del corpo. E Shin era un maestro fin troppo esigente.
«Non abbiamo ancora finito, ricorda che fin quando non centrerai i bersagli al primo colpo non mollerai il fucile»
«Sì, lo so» rispose reprimendo uno sbuffo esasperato e, senza perdere altro tempo, riposizionò la canna del fucile sull’incavo del braccio sinistro, sostenuto a sua volta dal ginocchio sinistro.
Nell’osservare il mirino, però, gli sembrò che non ci fosse più la luce di qualche minuto prima. Alzò gli occhi e notò il sole scurito in un angolo.
«Ma che sta succedendo?»
Kaibara lanciò un’occhiata veloce al cielo prima di emettere sereno «Nulla di grave, è un’eclissi di sole5. Dai, continuiamo»
«Eh? E che vuol dire?» domandò il ragazzino.
Era più forte di lui, si era fatto subito riconoscere per la sua spiccata curiosità e da bambino non si era risparmiato con le domande. Voleva sapere, voleva capire più cose possibili, e giustificava il suo modo di fare dicendo che così poteva essere pronto a ogni evenienza. In realtà lo faceva per sentirsi più sicuro e avere tutto sotto controllo; e questa era una cosa che, crescendo, aveva scoperto piacergli molto. Ormai era entrato nella fase della pubertà – almeno così gli aveva detto il Professore – e stava imparando a convivere con un corpo in continua mutazione, con quella voce ora stridula e ora roboante e con quei nuovi desideri che pericolosamente gli si affacciavano alla mente. Aveva temuto il peggio quando si era trovato in balìa di eventi che non aveva saputo definire, e invece stava semplicemente diventando un uomo. Solo nel fisico, però, perché lui agiva, pensava e viveva come un uomo già da molti anni.
Shin conosceva bene quel suo lato del carattere, perciò decise subito di assecondarlo, anche perché era l’unico modo per farlo tornare concentrato all’addestramento.
«In poche parole, capita a volte che la luna si trovi esattamente tra la terra e il sole. Si parla di eclissi totale quando la luna riesce a coprire completamente il sole, e il cielo si oscura come se fosse notte… Ma qui credo che assisteremo a una parziale, vedremo il sole farsi più piccolo come adesso, ma non farà davvero buio» concluse mentre stringeva gli occhi nell’osservare il fenomeno sulle loro teste.
Ryo stava per fare altre domande quando Kaibara lo sorprese, dicendo in un sussurro.
«A quanto pare Amaterasu si sta nascondendo da noi»
«E chi sarebbe Amaterasu6
L’uomo lo osservò come se si fosse reso conto solo in quel momento di aver parlato ad alta voce.
«Niente, è una vecchia leggenda giapponese» rispose mentre si accendeva una sigaretta «Ma immagino tu voglia sentirla lo stesso»
Ryo annuì semplicemente, predisponendosi all’ascolto. Erano pochi i momenti in cui Kaibara si lasciava andare, raccontandogli qualcosa che proveniva dal suo passato, e il Giappone era un elemento ricorrente in quelle memorie. A lui piaceva ascoltare quelle storie, poteva evadere un po’ dalla sua realtà e, allo stesso tempo, gli sembrava di poter conoscere meglio l’uomo.
 
Ryo continuò a osservare quelle foto, sorridendo mentalmente per quella leggenda che gli era piaciuta subito; non era male immaginare che il sole fosse una dea bellissima che era uscita dal suo nascondiglio grazie a un balletto a luci rosse.

«E tu chi sei?»

Ryo, perso nei suoi pensieri, non si era reso conto dell’arrivo di una persona alla sua destra. Si voltò e vide una giovane ragazza, molto bella, dai lunghi capelli ramati che, appoggiata alla porta con le braccia conserte, lo guardava con espressione strafottente. Quegli occhi verdi gli erano familiari e in pochi secondi capì chi aveva di fronte.

«Beh, sei per caso muto Bruce Lee?»

«Eh?»

«Ah, finalmente hai parlato» rispose allegra la giovane «Anche se emettere versi gutturali non si può considerare parlare... Forse non somigli tanto a Bruce Lee quanto a Tarzan» e, senza dargli il tempo di rispondere, continuò avvicinandosi a lui «Allora, per caso sei venuto per lavorare con Pooch? Scommetto che sei scappato qui per metterti in salvo, quando inizia a parlare è difficile farlo smettere»

«Non scherzi neanche tu» commentò mentre versava il caffè nelle tazze.

«Come hai-»

«Ryo, quanto tempo ci stai mettendo per quel caffè?» la voce di Frank interruppe la ragazza, e Ryo alzò la testa giusto per vedere l’uomo fermarsi a pochi passi dalla stanza, con gli occhi sbarrati per la sorpresa.

Anche la giovane si era girata nel sentire quella voce e un leggero tremore del labbro inferiore tradì la sua agitazione.

«Mary…» sussurrò Frank «Sei tu Mary, vero?»

La ragazza si limitò ad annuire e tanto bastò all’uomo che, in uno slancio, la strinse tra le braccia.

«Non mi sembra vero… Finalmente figlia mia, finalmente…»

Dopo un’iniziale momento di rigidità, anche Mary ricambiò l’abbraccio del padre, cominciando a singhiozzare silenziosamente sulla sua spalla. Ryo li osservò con tenerezza; davanti a lui un padre e una figlia si erano ritrovati dopo molti anni. Non si erano mai visti eppure l’affetto che provavano era reale, forte, lo poteva percepire nitidamente. Per un attimo avvertì una stretta gelida all’altezza del petto: ne conosceva la causa ma si impose di non pensarci, di non rendere reali quelle emozioni dando loro una definizione. Non poteva permetterselo.

«Ah, alla fine vedo che le presentazioni non sono state necessarie» esclamò Pooch soddisfatto «Su Mary, smettila di piangere o allagherai tutto l’archivio»

«Vai al diavolo!» gli borbottò contro la ragazza, sciogliendo l’abbraccio e passandosi i dorsi delle mani sugli occhi arrossati.

«Bene, ora ti riconosco. Devo ancora definire gli ultimi dettagli con tuo padre e poi vi lascio liberi, intesi?»
 
---
 
Ryo camminava sulla 19th Street senza fretta, godendosi il tiepido sole di quella mattina. Era appena uscito di casa sentendosi decisamente di troppo. Aveva trascorso la notte a casa di Mary, dormendo sul tappeto del soggiorno visto che l’appartamento era davvero piccolo, composto da una cucina openspace, due minuscole camere e un bagno cieco. Non si lamentava certo per quello, era abituato a riposare su una spartana stuoia – se non proprio direttamente per terra – e lui stesso aveva insistito per quella sistemazione lasciando a Frank più comodità, però aveva avvertito una certa tensione nell’aria durante la colazione. Dovevano parlare quei due, non era stupido, e si era accorto che i non detti e le domande gravavano su di loro come macigni. E lui sapeva farsi da parte quando era necessario. Non si era meravigliato nel vedere l’espressione felice della ragazza quando aveva detto di voler fare due passi e lei stessa l’aveva accompagnato con fin troppo entusiasmo alla porta, consigliandogli di fare un salto al vicino Mission Dolores Park7.
“Che antipatica, mi ha praticamente cacciato” pensò tra sé mentre ricordava i fatti di qualche minuto prima “Farò bene a trovarmi una stanza da qualche parte, non posso certo restare lì.”
Si fermò per accendersi con calma una sigaretta e, una volta messe le mani nelle tasche del pastrano blu, riprese la sua placida camminata. Non aveva una meta precisa, perciò decise di approfittarne per studiare i dintorni e iniziare ad avere un’idea chiara del posto in cui si trovava: una vecchia abitudine, retaggio delle lunghe perlustrazioni che si effettuavano ogni volta che si spostava il campo, e che ritenne utile anche per la sua nuova attività. Era importante conoscere la città per sapersi destreggiare al meglio, proprio come aveva fatto nella giungla. Stinse le labbra a quell’ultimo pensiero.
“Diamine, quando la smetterò di fare riferimento al passato?”
Sospirò leggermente, poi decise di concentrarsi e iniziò a tenere a mente i nomi delle varie traverse con i rispettivi sensi di marcia, ed eventuali vicoli ciechi o cortili. Dopo alcuni minuti, la strada alberata iniziò a mostrare una leggera pendenza che portava all’ingresso in salita di un parco.
“Deve essere quello il famigerato parco” pensò accigliatosi “Beh, in fin dei conti posso concedermi una piccola sosta lì.”
 
⁓ ⁓ ⁓
 
Frank rimase immobile per qualche istante a fissare la porta. Ryo era uscito e si trovava da solo con sua figlia, una perfetta sconosciuta. Per quanto l’avesse sempre amata, ingenuamente la sua mente sembrava non aver processato il fatto che Mary non fosse più la neonata paffuta e sorridente della foto ma una ragazza di quasi diciassette anni. Respirò profondamente e si voltò. Recuperare gli anni perduti era impossibile, però poteva conoscerla meglio, capire cose le piaceva e cosa odiava… Scoprire se aveva preso qualche lato del suo carattere. Piccole cose che un padre che vede crescere i propri figli dà per scontate ma che per lui erano assolute novità. La vide appoggiata al tavolo della cucina, le mani dietro la schiena, il suo sguardo fisso su di lui. In quel momento le sembrò fiera e coraggiosa, con un cipiglio particolare che gli ricordò dolorosamente la sua ex compagna.

«Sei più vecchio di quello che pensavo» disse sua figlia senza giri di parole.

«Che?» l’uomo strabuzzò gli occhi.

«Dico che porti molto male la tua età… Non hai neanche quarant’anni e la tua fronte è tutta un reticolo di rughe, per non parlare delle zampe di gallina» continuò seria, sebbene negli occhi riuscì a scorgere uno scintillio impertinente.

“Allora qualcosa da me l’ha presa” pensò soddisfatto.

«Beh, nella giungla non esistono creme idratanti. E poi, parli adesso che sei poco più di una bambina, ma vedrai che tra qualche anno starai messa peggio di me… È la genetica» commento avvicinandosi a lei.

«Genetica un corno! Punto primo, non sono una bambina e, punto secondo, quella pelle incartapecorita non mi verrà neanche a cento anni!» esclamò risoluta.

Frank sghignazzò «Vedo che hai un bel caratterino»

«Sì, lo diceva anche mia madre» emise in uno sbuffo.

L’uomo notò l’espressione della giovane adombrarsi, così decise di cambiare argomento – sebbene una parte di lui voleva sapere cosa fosse successo alla donna.

«Non avrei mai immaginato che tu fossi in quell’ambiente, vederti lì e scoprire che lavori per Pooch mi ha davvero sorpreso»

«In negativo o in positivo?»

«Beh… Ecco…» borbottò «Non saprei. Io speravo facessi una vita più normale, questo ambito è molto rischioso, in particolare per una donna» e, abbassando la testa, aggiunse piano «Sai, in realtà temevo mi avresti disprezzato. Io… Quello che ho fatto… Quello che sono stato in questi anni…»

La ragazza fece pigramente il giro del tavolo e si sedette su un sedia.

«Su, vieni qui» gli disse indicandogli il posto a capo tavola «Mettiti comodo, perché non ti farò alzare fino a quando non mi avrai raccontato tutta la tua storia» e incontrando il suo sguardo sorpreso aggiunse «Ho sempre voluto sapere di più su dite… Papà»

Frank riuscì miracolosamente a trattenere le lacrime e, sorridendole grato, la raggiunse.
 
⁓ ⁓ ⁓
 
Ryo aprì gli occhi e, dando un’occhiata all’ombra che le palme vicine proiettavano sul prato, capì che si era fatto mezzogiorno. Si rialzò e decise di tornare indietro, sperando che quei due avessero finito con i loro discorsi, anche perché il suo stomaco iniziava a farsi sentire.
“Chissà se il pranzo sarà migliore della colazione… Quella ragazza è totalmente incapace di cucinare, spero di non morire intossicato” si disse mentre si metteva in marcia.
Si era intrattenuto più del previsto in quel parco; non sapeva se fosse dovuto alla bella giornata o alle numerose madri con prole che lo animavano, ma Ryo aveva avvertito un senso di benessere che lo aveva portato a sedersi sull’erba umida, appoggiando la schiena al tronco di un albero. Aveva voluto godersi quegli attimi di tranquillità consapevole che, presto, avrebbe dovuto iniziare a guardarsi le spalle come aveva sempre fatto in vita sua. Nell’osservare quei bambini giocare, rincorrersi felici, ridere sotto lo sguardo delle madri, si era chiesto se fosse mai stato così anche lui. Non ricordava niente della sua vita prima dell’incidente aereo, e non sapeva se fosse meglio così o il contrario. Con un sospiro aveva interrotto quelle riflessioni, considerandole inutili. Lui il suo passato lo aveva, iniziava con l’odore di bruciato e la vista di lamiere accartocciate, ed era proseguito tra polvere da sparo, sangue e sudore. Era fortunato per essere ancora in vita e tanto bastava per essere soddisfatto della sua infanzia. Con quei pensieri aveva chiuso gli occhi, cercando di sgomberare la mente. Lo aveva sorpreso come la quasi totalità delle persone presenti parlasse in spagnolo e per lui fu facile cogliere sprazzi delle loro conversazioni: problemi con i mariti, figli capricciosi, pettegolezzi sul vicinato, e la sua mente aveva processato quelle informazioni, cercando di farsi un’idea di che cosa fosse la normalità. Gli era sembrato un esercizio divertente e si ripromise di ripetere l’esperienza appena possibile.
Ormai fuori dal parco decise di allungare leggermente la strada ma, camminando a passo svelto, arrivò presto in prossimità della palazzina a tre piani che, non le sue forme squadrate, stonava con le restanti abitazioni di legno più antiche. Ritrovò il portone accostato esattamente come lo aveva lasciato, perciò entrò senza problemi e salì silenzioso le due rampe di scale. Arrivato sul pianerottolo, però, avvertì una voce femminile palesemente incredula e allarmata. Guidato dall’istinto si appiattì contro la porta, respirando appena, riuscendo così a sentire la conversazione all’interno.
 
⁓ ⁓ ⁓
 
«Non ci credo, mi stai prendendo in giro!» esclamò Mary agitata.

«Abbassa la voce» le disse Frank, con un gesto della mano.

«Sì, scusa» ammise, portandosi una mano alla bocca «Ma non riesco a immaginare una cosa tanto crudele… Mi sembra impossibile!»

L’uomo si passò una mano sugli occhi. Doveva immaginarselo che la curiosità della ragazza non si sarebbe fermata solo alla sua vita e, non contenta, lo aveva bombardato di domande su Ryo. All’inizio si era mostrato restio, non voleva dirle niente al riguardo, ma sua figlia era stata fin troppo convincente e alla fine aveva ceduto.

«Purtroppo questa è la verità Mary» sussurrò.

«E ora come sta?»

«Bene, gli effetti della droga sono spariti senza causare danni, ma è stato tra la vita e la morte per molto tempo, e la sua ripresa si è mostrata lenta e molto dolorosa. Lo ricordo molto bene quel periodo, è un miracolo che sia ancora vivo»

«E che ne è stato di quel Kaibara?»

«Lo allontanammo dal gruppo, disgustati per quello che aveva fatto. Purtroppo, però, appena Ryo fu in grado di camminare, scoprì casualmente dove si trovava e andò ad affrontarlo, deciso a voler uccidere l’uomo che lo aveva tradito. Non deve essere stata una scelta facile, in fondo Kaibara è stato davvero un padre per Ryo e infatti, nonostante il male che gli aveva fatto, lui non riuscì a uccider-»

Frank si blocco di colpo, non finendo la frase; avvertì distintamente una presenza fuori la porta.
Col cuore in gola raggiunse in pochi passi il pomello e spalancò la porta di scatto. Davanti a lui c’era Ryo, teso e con occhi carichi di una rabbia a stento contenuta.

«Ryo…»
 
⁓ ⁓ ⁓
 
«Perché?» domandò con voce dura «Perché l’hai detto?»

Senza aspettare una risposta lo superò dandogli una spallata, e si avvicinò alla ragazza che lo fronteggiava leggermente impaurita.

«Soddisfatta? La tua curiosità è stata appagata?» domandò caustico mentre stringeva i pugni.

Per quanto fosse intimorita da quel ragazzo che la fulminava con gli occhi, Mary trovò la forza per fronteggiarlo.

«Non fraintendere big boy, ho solo chiesto a mio padre di raccontarmi la sua vita. Voglio conoscerlo meglio visto che nessuno ha mai voluto dirmi qualcosa su di lui» e dopo aver fatto una breve pausa continuò «Tu fai parte della sua vita, anche molto da quanto ho capito, perciò mi è sembrato giusto sapere anche qualcosa su di te. Riconosco, però, di aver sbagliato, sarebbe stato corretto chiedertelo direttamente»

Ryo piegò gli angoli delle labbra in un sorrisetto sprezzante «Sarebbe stata fatica sprecata»

«Ryo» disse Frank facendosi avanti «Lei non ha nessuna colpa, sono solo io da biasimare. Ti chiedo scusa, ma puoi stare tranquillo, ciò che ci siamo detti non uscirà da questa casa»

“Proprio come aveva detto il Professore, non sono passate neanche quarantotto ore e si lascia già rivoltare come un calzino da questa ragazza” pensò Ryo amaro.

«Ah sì? E come fai a essere sicuro che non andrà spifferando in giro tutto ciò che le hai detto?» gli domandò tagliente.

«Perché sono una professionista e quando do la mia parola la mantengo» ribatté seria.

«Tu? Una professionista?» e così dicendo le diede le spalle.

In quell’istante Mary afferro un coltello dal tavolo e glielo lanciò contro. Senza voltarsi Ryo si mosse lievemente, schivandolo senza problemi.

«Mary?!» esclamò Moon sorpreso.

«Passabile, ma non abbastanza per me» commentò Ryo atono.

«Sei davvero insopportabile!» sbottò la ragazza palesemente alterata. In un attimo fece il giro del tavolo e lo raggiunse, strattonandolo per un braccio.

«Senti, non pensare di essere l’unico a detenere le sofferenze del mondo!» gli urlò contro «Sì, probabilmente potresti vincere il premio per la migliore infanzia di merda, ma ormai è passata, no? Mi dispiace sinceramente per quello che ti è successo e lo giuro, se ti può tranquillizzare, terrò la bocca cucita. Mi interessava solo conoscere che vita avesse fatto mio padre… Non prenderla sul personale perché non era mia intenzione»

Ryo la osservò con la coda dell’occhio e la vide con la testa abbassata, intenta a respirare profondamente per ritrovare la calma. Dentro di lui era abbastanza certo che lei non rappresentasse un pericolo, perciò iniziò a sentire la tensione scivolargli via dalle spalle. La rabbia, però, era ancora cocente, viva sotto la sua superficie imperturbabile. Non andava fiero del suo passato e soprattutto quell’ultimo capito era qualcosa con cui faceva ancora i conti e, forse, non avrebbe mai smesso di farli. La sua rabbia era soprattutto rivolta contro se stesso, per quello che era stato e per come non era riuscito a evitare di diventare una bestia sanguinaria. Odiava sé stesso, odiava Kaibara, odiava sentirsi così. Si rese conto, però, che alla fine era sbagliato sfogare le sue frustrazioni su quella ragazza; si sarebbe limitato ad ammonire Frank in privato. Poteva provare a comprendere la debolezza che l’uomo aveva avuto nei confronti di sua figlia, ma voleva assicurarsi che quelle confidenze non diventassero un’abitudine.

Sospirò pesantemente prima di guardare la ragazza «Perché sei entrata in questo ambiente?»

Mary sobbalzò e alzò il capo verso di lui, non aspettandosi di sentirlo parlare.

«Mi sembra giusto, un passato per un altro passato» e così dicendo si allontanò da lui, dirigendosi verso la finestra alla loro sinistra.

«Tanto vale iniziare dal principio. Ho sempre vissuto con mia madre da che ho memoria, e non siamo mai andate molto d’accordo. Vivevamo in un bilocale abbastanza decadente, non molto lontano da qui. Lei non aveva tempo, o forse non aveva molta voglia di gestirmi, perciò mi lasciava spesso con mia nonna materna. Le cose, però, iniziarono a peggiorare quando trovò lavoro in un casinò: potevo avere sette anni più o meno, e da allora cominciò a disinteressarsi completamente a me. Praticamente vivevo con mia nonna che mi faceva da madre, e le poche volte che si faceva vedere andava sempre di fretta perché doveva incontrarsi con i suoi amici. C’era poco dialogo fra noi, per lo più finivamo quasi sempre col litigare, e immancabilmente non perdeva occasione per rinfacciarmi quando somigliassi troppo a mio padre. Lui era un argomento quasi intoccabile e se le facevo delle domande diventava ancora più nervosa»

Mary fece una pausa e Ryo la vide rivolgere uno sguardo furtivo in direzione di Frank; l’uomo era impallidito e fissava la ragazza con sorpresa mista a dolore. Intuì che quella storia gli era nuova tanto quanto lo era per lui.

«Le cose sono continuate così fino alla famosa Summer of Love8, in parole povere un mega raduno di hippie qui a San Francisco; musica, droga, sesso, nessuna regola… È mancata un mese da casa e poi, i primi di gennaio di tre anni fa se n’è andata via con uno che aveva conosciuto lì. Mi ha espressamente chiesto di non cercarla più e infatti attualmente non ho idea di dove si trovi, né intendo saperlo»

«E poi come hai fatto?» domandò Frank visibilmente turbato.

«Per fortuna c’era la nonna, ma non aveva molti soldi perciò lasciai la scuola e mi misi a cercare un lavoretto; ironia della sorte lo trovai proprio nel casinò dove aveva lavorato mia madre. Purtroppo agli inizi di quest’anno la nonna è venuta a mancare. L’affitto della casa era troppo alto per me, così mi sono trasferita da una collega che subaffittava una stanza»

Mary si avvicinò a suo padre e gli mise affettuosamente una mano sulla spalla «Non è necessario che tu ti affligga per quello che ho detto. In confronto alla vita che avete fallo laggiù direi che non mi posso lamentare» disse guardando gli occhi tristi dell’uomo.

Moon si limitò a schiarire la voce «E perché hai lasciato il tuo lavoro per questo?»

«Direi che è iniziato tutto per caso. Pooch era un cliente abituale e, a un certo punto, ha iniziato a frequentare sempre il tavolo da poker che dirigevo. È sempre stato gentile con me, fin troppo chiacchierone certo, ma non si è mai sbottonato sulla sua vita privata e non avevo idea di che lavoro facesse. Poi, verso i primi di maggio mi ha chiesto se volevo cambiare lavoro, dicendo che cercava una segretaria. L’idea non mi dispiaceva, così ho iniziato a collaborare con lui e non me ne pento; la paga è buona e in più mi ha aiutato a trovare questo appartamento. Solo dopo qualche tempo mi ha confessato che, in realtà, aveva avuto l’incarico di cercarmi e che mio padre sarebbe potuto tornare a breve. Per me che ti credevo morto è stata una sorpresa, ed ero fuori di me dalla gioia quando ho scoperto che eri vivo e ti trovavi in Centro America. Ero felice ma allo stesso tempo impaurita, desideravo che tu fossi fiero di me e che mi volessi tenere al tuo fianco, perciò ho iniziato a prendere lezioni di tiro e autodifesa con Pooch – non sembra ma ci sa fare. Ho atteso ogni giorno il momento del tuo arrivo, impaziente di poterti mostrare le mie capacità in modo che, una volta qui, avremmo potuto lavorare insieme»

Mary prese leggermente fiato prima di continuare «Ieri il mio sogno si è avverato però, quando ti ho visto accompagnato… Ammetto di aver provato invidia nei confronti di Ryo»

Il ragazzo si accigliò nel sentire quella confessione ma rimase impassibile, decidendo invece di spostarsi e andare verso la finestra, dando così le spalle ai due. Un suo tentativo di dar loro un po’ di intimità.

«So che è stupido, ma ho avvertito una fitta di gelosia nel sapere che lui ha potuto trascorre tanto tempo con te, mentre io non ne ho avuto la possibilità… In realtà era questo il motivo principale alla base della mia curiosità, volevo scoprire chi fosse veramente il ragazzo che tratti come un figlio – perché è così, si vede chiaramente. Sapere se meritava il tuo affetto…»

Seguì qualche istante di silenzio, in cui ognuno elaborò ciò che era stato detto fino a quel momento. Ryo fissava la strada attraverso il vetro su cui si rifletteva il suo viso, e vide le sue labbra piegate in un sorriso amaro. Che qualcuno potesse provare invidia e gelosia nei suoi confronti era stato sempre l’ultimo dei suoi pensieri, e non l’avrebbe mai pensato minimamente possibile. Alla luce di quel racconto, però, riuscì a comprendere i motivi che avevano spinto la giovane a sentirsi e a comportarsi in quel modo. Non poteva farci niente, per quanto fosse bravo a mantenere un contegno glaciale, il suo cuore era ben lontano dall’essere algido, sempre pronto a empatizzare con chiunque avesse sofferto. In quel momento avvertì un grande vuoto al posto della rabbia che lo aveva colmato irrazionalmente e fu così che capì di essere passato oltre, di aver perdonato l’incidente di poco prima.

«Ryo» chiamò infine Mary con un filo di voce.

Il giovane si limitò a muovere di tre quarti il viso, giusto per riuscire a intravedere la ragazza abbracciata al padre.

«Ti chiedo scusa per come ti ho parlato prima. Ora che sento pienamente l’amore di mio padre nei miei confronti, mi rendo conto di essere stata molto infantile. Io… Vorrei che diventassimo buoni amici, possiamo ricominciare da capo?»

Ryo tornò a fissare la finestra mettendosi le mani in tasca. Si prese qualche istante prima di dichiarare con noncuranza che, se voleva il suo perdono, doveva offrirgli un pasto decente. A quelle parole Mary ritrovò il suo solito umore e, dopo aver indossato il cappotto, si fiondò fuori per prendere qualcosa dal ristorante messicano vicino, assicurando che lo avrebbe trovato buonissimo.
Una volta soli, Ryo si voltò e fissò Frank negli occhi con un’espressione eloquente.

«Non temere my boy. Questa è la prima e ultima volta che ne parlo, hai la mia parola» gli disse l’uomo sincero.

Ryo si limitò ad annuire e senza fretta prese e accese una sigaretta. Si fidava di lui, non aveva nulla da temere.

«Va bene, non parliamone più» disse allungando il pacchetto in direzione dell’uomo.

Frank gli sorrise e si avvicinò: con quel piccolo gesto Ryo gli aveva dimostrato che avevano fatto pace e, in silenzio, fumarono insieme come se niente fosse accaduto.

____________________________________
 
1 Naturalmente la canzone in questione è Imagine di John Lennon, pubblicata come singolo negli Stati Uniti i primi di ottobre del 1971 e assieme all’album omonimo – uscito il mese prima – fu un successo commerciale mondiale. Il singolo infatti raggiunse il terzo posto della Billiboard Hot 100 e la prima posizione nelle classifiche britanniche e canadesi (solo per dirne alcune).
 
2 Specifico subito che ho scelto di mantenere l’originale definizione per distinguerla dal bounty killer visto che in italiano entrambe le figure sono tradotte generalmente come “cacciatore di taglie”.
Ralph “Papa” Thorson (1926 – 1991) è stato uno dei bounty hunter più famosi di sempre, entrando nella leggenda e nell’immaginario collettivo grazie anche al film The Hunter del 1980 che tratta la sua vita in modo romanzato. Figura sfaccettata e complessa, è stato tra le tante cose un rinomato astrologo, campione di bridge e un vescovo protestante. Ha lavorato su circa 5000 casi, tra cui la cattura della famiglia Manson. Abitava davvero a North Hollywood (ma la strada l’ho scelta io dopo una passeggiata con Streetview, come sempre!). Il ragazzino che apre la porta al Professore in realtà è il figlio che la compagna di Thorson, Dotty Barras, aveva avuto da una precedente relazione (i due poi avranno una figlia, Brandi, nel 1973) e si chiama Kenny, coincidenza che mi ha fatto sorridere.
 
3 A. Boyd Puccinelli, detto Pooch, ha lavorato davvero con Thorson per quasi dieci anni, fino al 1958 quando il bounty hunter si trasferì a Los Angeles. Purtroppo non ho trovato molte informazioni su di lui, se non che era un bail bondsman (garante della cauzione), ovvero una figura con cui collaborano i cacciatori di taglie. Solitamente costituita da un’agenzia, il bail bondsman si impegna a far presentare un imputato al processo, pagandone la cauzione e ricevendo in cambio una commissione non rimborsabile per il servizio offerto dai suoi agenti.
 
4 Il 1971 fu un anno abbastanza caldo per quanto riguarda le proteste contro la guerra del Vietnam (che complessivamente è durata dal 1955 al 1975), e in tutto il Paese ci furono diverse manifestazioni. L’allora Presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, aveva attuato già dal ’69 la cosiddetta “Vietnamization” ovvero un programma di addestramento delle truppe sud vietnamite per permettere un graduale rientro dell’esercito statunitense; proprio nel ‘71 Nixon aveva annunciato che entro il febbraio ’72 altri 45.000 soldati sarebbero stati ritirati dal fronte.
 
5 Riferimento all’eclissi del 12 novembre 1966 che interessò principalmente il Sud America, con avvistamenti anche in Centro America.
 
6 Nel manga Ryo fa riferimento alla leggenda di Amaterasu nell’episodio di Sara; quando la bambina corre a nascondersi nel ripostiglio dice (citando la versione Panini): «Amaterasu si è ritirata nella grotta a quanto pare». Questo, però, non è l’unico momento in cui se ne parla, e per questo devo ringraziare l’edizione della Panini in quanto sia le scan della Star Comics che quelle in inglese, con la loro traduzione troppo “addomesticata”, fanno perdere un dettaglio importante. Qando Kaibara si presenta a casa di Ryo, dopo essere riuscito a farsi aprire la porta da una titubante Kaori, esclama: «Finalmente sei uscita dalla grotta, bella Amaterasu!». Ciò mi ha convinta che non poteva essere in nessun modo una coincidenza, perciò credo proprio che sia stato Kaibara a raccontare la storia a un giovane Ryo.
 
7 Il parco, situato dove c’era un antico cimitero ebraico, si trova nel quartiere Mission, il più antico della città. La metà della residenti è latina, solo un terzo è bianca e la componente asiatica è presente con circa l’11% degli abitanti. Rispetto agli altri quartieri della città la criminalità qui è maggiormente presente, perciò a pelle l’ho sentito come il luogo migliore in cui far alloggiare Ryo durante il suo soggiorno a San Francisco. Per di più, Mission confina con Castro, zona diventata centro della comunità gay statunitense a partire dalla seconda metà degli anni sessanta, e successivamente cuore della comunità LGBT in generale. Considerando l’approccio disteso che Ryo ha con i gay bar a Tōkyō, assolutamente non scontato per quel periodo (e purtroppo ancora oggi non lo è), mi piace pensare che il giovane Ryo abbia conosciuto quegli ambienti già nel periodo statunitense.
 
8 La Summer of Love si svolse nel quartiere di Haight-Ashbury che, già dal ’65 venne visto come il centro della cultura hippy. Nel maggio del ’67 migliaia di giovani si misero in viaggio verso San Francisco per quella che doveva una sorta di pellegrinaggio per riaffermare un rinnovamento spirituale, innescato dai movimenti di controcultura e con una conseguente rivoluzione musicale (manifesto dell’evento fu la canzone San Francisco “Be Sure to Wear Flowers in Your Hear” cantata da Scott McKenzie). L’inizio della Summer of Love coincise con il solstizio d’estate e termino agli inizi di ottobre del ’67.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart / Vai alla pagina dell'autore: Verfall