Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Miky_D_Senpai    23/10/2021    1 recensioni
Il diario mentale di uno studente che non ha ancora capito il mondo che lo circonda, tenendo per sé una regola che è chiara solo alla sua famiglia. Nascondendo con un velo di apatia il rispetto per un'unica persona, riempiendo i propri vuoti con una devozione cieca.
Sopra le leggi di una società che ai suoi occhi cade a pezzi, ma non abbastanza alto da poter godere di una buona visuale sul mondo che lo circonda.
Dal testo:
"Volevate la solita storia sulla scuola? Su quei college americani tutti fighetti in cui c’è sempre il “cattivo ragazzo” che sta con la timida secchiona di turno, che la persuade a passare nel lato oscuro? “Lato oscuro” che poi è semplicemente in penombra.
[...]
... l’avevo notato dalla finestra, fermo nel viale del mio appartamento, di fronte al mio citofono. Mi diverte vederlo sbiancare ogni volta che pronuncio il suo nome."
[AU contemporanea, quasi tutti i personaggi, provate a shippare e lui vi ucciderà]
[Nota dell'autore: Ringrazio chiunque sia passato o passerà a leggere. Devo ammettere che è la prima volta che finisco una long del genere su Efp quindi grazie di tutto il supporto, alla prossima!]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Nella mia brevissima esperienza di feste e party a casa Smith, ciò che ne procede l’inizio è sempre sul filo del collasso nervoso, soprattutto quando resti un minuto buono ad osservare la pesante porta rinforzata prima di bussare. Riesco a capire la sensazione di inferiorità che prova Eren ogni volta che resta imbambolato a fissare il mio campanello per paura di aver sbagliato orario e disturbarmi.
Fortunatamente di solito mi salvo da queste occasioni per la mia fantastica nomea da antisociale scorbutico che nessuno vuole attorno in momenti che dovrebbero essere felici e spensierati. Ma di solito sono il primo a fare di tutto per evitare di essere presente a certe bolge selvagge piene di alcol e accompagnate da musica spazzatura resa apprezzabile solo dai loro movimenti goffi.
Sarebbe una scena divertente, se riuscissi a spegnere la voce nella mia mente che mi ricorda che quelle persone impegnati in spasmi muscolari definiti come “ballo” senza rispetto per il termine.
Mi ritrovo sul suo pianerottolo da solo, aspettando che Isabel finisca di fare le scale e sperando che non arrivi completamente sudata. La costringerei a farsi una doccia.
Nei quarantacinque secondi che sono passati da quando, al piano terra, mi ha detto che sarebbe riuscita ad anticiparmi, ho notato quanto lungo e vuoto fosse il corridoio che divide gli appartamenti di quel piano. Una strana sensazione e un leggero senso di claustrofobia iniziano a pervadermi le budella.
Non mi era mai sembrato così vuoto e ostile.
Il fiume di pensieri arriva finalmente alla risoluzione nel momento in cui più voci provenienti dalle scale si intromettono nel silenzio.
«… poi ho scelto questa seguendo il tuo consiglio» Riesco a sentire solo parte di ciò che la rossa stava raccontando alla coppietta che la accompagna.
«Hai fatto bene, è veramente carina» le risponde, appena compare nel mio campo visivo, Hanji. La quattrocchi viene subito catturata dalla mia presenza e lascia sul posto sia la mia accompagnatrice che il suo fidanzato.
«Levi!» Per la prima volta riesce quasi a contenersi e a smorzare l’urlo fastidioso che usa per pronunciare il mio nome. Forse quello è un luogo dove riesce a rispettare anche le persone che ha intorno, dimostrando di tenere più ai timpani di sconosciuti che ai miei.
«Tutto questo tempo perché ha tentato di rapirti?» chiedo ironicamente all’altra, ignorando di sana pianta la mora, il cui sguardo viene accentuato dalla luce ocra della lampadina che è troppo debole per andare la montatura dei suoi occhiali, ma abbastanza diffusa per lasciar intravedere ogni dettaglio del corridoio.
In quell’attimo che serve all’espressione della secchiona per cambiare accennando un broncio, faccio in tempo a notare un cavo lasciato libero per terra e ad afferrare il corpo lanciato come era abituato a fare Dante.
«Idiota, guarda dove vai» la riprendo, essendo quasi stato schiacciato dal suo peso. Fortunatamente ho spostato il baricentro in tempo, puntandomi sui piedi e reggendola per qualcosa di morbido.
«Non così forte» commenta guardandosi il seno strizzato sotto le mie dita e continua a ridere sotto i baffi mentre la spingo via. Non capisco che strano rapporto sia quello con Moblit, ma a lui non sembra interessare la quantità di frecciatine che la sua ragazza mi lancia.
Vederlo senza mascherina rende il suo sguardo un pochino più severo, nonostante non sia passato all’azione nemmeno stavolta. Gli restituisco la quattrocchi come fosse una rigida tavolozza di legno mentre Isabel ci guarda sorridente.
È proprio lei, senza indugiare come stavo facendo io fino a due secondi fa, a suonare il campanello.
 
Non siamo in ritardo, ma l’enorme dimora Smith è già gremita di gente.
Alla porta ci accoglie molto garbatamente Mike, vestito con un’eleganza degna di una cena di galà nella reggia di sua maestà, per questa occasione invece direi che è esagerato e basta.
Nella sua mano c’è un calice di vino rosso che probabilmente sta portando in giro da una buona mezzora, agitandolo solo gentilmente per sentirne la fragranza. Ormai anche i professori hanno capito che lui ha due possibilità: andare a fare il sommelier o il cane antidroga. Io punterei ai tartufi, ma la decisione finale spetta a lui.
L’appartamento è sconvolgente come al solito. I due piani su cui si divideva riuscivano a contenere efficacemente l’ammasso di persone che si era radunato per quella serata. Anche se sarebbe andato tutto contro le attuali restrizioni in linea teorica, erano riusciti a restare nei numeri per ora permessi.
Le alte librerie coprono le pareti e diffondono una luce marroncina per tutta il resto dell’abitazione. Tenendo lo sguardo alzato sembra di essere in una biblioteca, riuscendo a ignorare l’arredamento più familiare e accogliente presente al primo livello.
Quelli che sono già arrivati sono sparsi per le rampe di scale che portano al soppalco a forma di anello. Che ci sovrasta. Ovunque ci si gira, attraverso i gradini e sopra il corrimano, ci sono tonnellate di libri, come se li utilizzassero per nutrirsi.
La cosa che tento di immaginare, dopo quegli istanti di totale ammirazione, è il motivo per cui non li hanno ancora impacchettati, lasciandoli tutti ancora lì per lasciare la solita atmosfera intellettuale che si respira insieme alla colla che tiene insieme tutte quelle pagine.
Ma quella sembra l’unica decorazione ancora presente. Sulle mensole, i ripiani e gli altri mobili mancano tutte le foto, le scatole, i vassoi e i piccoli oggetti che erano sparpagliati a creare quel disordine regolamentato. Uno strano effetto domestico che ora è stato sostituito da una strana asetticità compensata dalla presenza di più persone del dovuto.
Per rimediare alla situazione hanno direttamente attuato un piano astuto, essendo due appartamenti uniti possono ospitare il doppio dei partecipanti. Mi mette un po’ a disagio dover chiudere un occhio su delle regole messe in atto per una pandemia di scala mondiale, ma è per lui che lo faccio.
 
Come ci si potrebbe aspettare da quel gruppo così eterogeneo e strano, il brusio di sottofondo cessa per concentrarsi sui nuovi arrivati ogni volta che la porta di ingresso viene aperta. Mentre ogni volta che il campanello o il citofono annunciano altri partecipanti ripetono stupidamente “Chi è?” oppure “Porta!”, come un gruppo di manguste sull’attenti. Avrei dovuto portare dei croccantini.
Al nostro arrivo quegli sguardi si soffermano su di me con curiosità, evidentemente non si aspettavano di vedermi, forse è colpa della camicia. Petra invece sembra più concentrata nel fulminare Isabel senza contenersi, nonostante di fronte abbia Erd.
Non potrei lontanamente immaginare di intraprendere un triangolo con tutti quei lati aggiuntivi inutili. Odio dover fare i ripassi di geometria con quello zuccone di Eren, poi ho in mente soltanto riferimenti ad angoli troppo ottusi.
La castana non sembra intenzionata a fermarsi a quell’occhiataccia, anzi marcia verso di noi con fare battagliero e irritato. La serata inizia con il piede giusto.
Una serie di cenni distratti diretti alla coppietta felice davanti a me, precede un cambio repentino della sua espressione in quello che sembra lo sguardo di un predatore incazzato. Non affamato, sottolineo.
«Cosa fai insieme a lei?» mi chiede, guardandomi con odio. È l’unica persona che può farlo mantenendo le pupille parallele al terreno, dato che siamo alti uguali.
Non mi sento obbligato a darle una spiegazione, d’altronde non devo rassicurarla o giustificare la mia scelta. Vorrei semplicemente lasciarla cuocere nel suo steso brodo, ma non sembra un confronto che posso evitare, soprattutto per la grandezza ridotta di quegli ambienti.
«Mi accompagna qui, come tu accompagni… Gunter o Erd?» le chiedo con un certo sarcasmo, fingendo di non sapere la risposta.
Ma come al solito non si accorge della frecciatina, forse il neurone è troppo impegnato a riflettere sulle argomentazioni che doveva tenere pronte per mandare avanti quell’inutile discussione.
«Ovviamente Erd» risponde, anche se fino a qualche ora prima la risposta sarebbe stata diversa «Ma non potevi chiederlo al tuo amico Farlan, così sembrate una coppia!»
La guardo quasi senza parole. Come può dire o pensare queste cose di fronte alla diretta interessata senza controllare che le parole uscite dalla sua bocca abbiano un senso logico.
«Può fare quello che gli pare o no?» interviene la rossa prima che altri possano elaborare uno stratagemma per sviare l’attenzione «E poi dovresti preoccuparti delle tue relazioni, qui nessuno sa quando finisce una e inizia l’altra!»
Finalmente l’ingranaggio sembra funzionare, ma i suoi occhi si tingono di rosso e inizia a sbraitare qualcosa di incomprensibile sul farsi i cazzi propri e sul non immischiarsi. Ho smesso di ascoltarla due parole dopo, quando quel rumore che solitamente produce si è trasformato in uno starnazzare caotico.
La situazione finisce per degenerare al punto che Erd è costretto a bloccarla, allontanandola di peso dall’altra. Sono sicuro che nonostante sia più piccola, Isabel se la potrebbe cavare benissimo in uno scontro a terra senza regole. Comincio a preoccuparmi per la fine che potrebbe fare l’altra, appiccicata al muro o a un albero, non si potrebbe mai sapere.
Fortunatamente all’arrivo di Erwin la situazione si calma di colpo.
Austero, opprimente. La sua presenza da sola riesce a portare ordine e calma nelle menti di quegli idioti e fa tornare la loro attenzione verso lo scopo di quella serata, che non deve essere oscurato dai soliti screzi.
Si è affacciato dal soppalco, uscendo dalla porta della sua camera da letto facendo di proposito più rumore del necessario. La camicia e i piccoli accessori in pelle che si possono notare legati ai suoi polsi sono decorati da dettagli ricamati e piccoli smeraldi.
Non l’avevo mai visto sfoggiare tanto quel tipo di bracciali o collane, ma deve essere proprio l’ultima carta per l’ultima occasione. Scendendo le scale si può notare la cura con cui quei pantaloni marroni sono stati stirati, le scarpe lucidate, i capelli sono tirati da un lato mantenendo una linea perfetta e non so come, ma riesco a immaginare il suo profumo da qui.
Sento di essere il suo esatto opposto, non ho bisogno di controllare lo stato dei miei abiti, ai miei capelli sono riuscito a dare un minimo di senso. Ma i miei pensieri non si fermano soltanto all’aspetto.
È come paragonare un cane randagio a un cucciolo domestico.
Anche la sua perfezione mi fa incazzare.
«Andiamo a prendere qualcosa da mangiare?» mi domanda Isabel, dopo l’attimo che le serviva per rimettere a posto la testa. La risposta distratta che riceve, con un mio semplice movimento del capo, è accompagnata dall’entusiasmo genuino e affamato di Hanji.
«Ci sono le pizzette» esclama Moblit, sapendo perfettamente cosa fare per far felice la sua ragazza. Il suo stomaco almeno.
Avvicinandoci al buffet riesco finalmente a staccare gli occhi dal padrone di casa, prelevato in maniera coatta dai suoi compagni di classe presenti per qualche ultima foto insieme. Davanti a noi noto la coppia che più dava speranze alla mia accompagnatrice: Auruo era intento nel vano e terribilmente pietoso tentativo di distrarre la ragazza patata dalle cibarie del suo piattino.
Le due ragazze di fronte a me si voltano sorridendosi a vicenda, avevano continuato a fare congetture su quanto potesse andare male la serata per lui, ma le loro speranze non erano mai state ripagate in una maniera così soddisfacente. Si è anche fatto la permanente per coronare quel disastro annunciato.
È rimasto in disparte per ascoltare lo sclero, probabilmente immaginandosi al mio posto come desidera da tempo e per una volta avrei pagato fosse veramente così.
Quella tavola dove abbiamo più volte consumato pasti nel corso di questi anni porterebbe alla mente molti più ricordi se non stessi vivendo quel momento così intensamente, guardando le due del quarto anno litigarsi con la primina un pezzo di focaccia. Non riesco a immaginare di lasciare tutto come sta facendo Erwin.
Mentre sono assorto in pensieri positivi e malinconici verso chi conosco, riflettendo su come in quella situazione perderei sia le fonti delle mie irritazioni che i sacchi da boxe con cui le sfogo, una presenza viscida e repellente si avvicina di soppiatto.
«Alcune donne proprio non le capisco» Il modo di inclinare il suo busto, per venirmi a dire con discrezione qualcosa che già si poteva capire: lui non capirebbe qualsiasi essere femminile, nemmeno l’ausilio di un manuale lo salverebbe.
«Abbiamo visto tutti come hai fallito, non incolpare qualcun altro» Se le cerca a volte.
Non so come riesca a partorire certi pensieri, che siano suoi o del topo morto con la permanente che ha in testa. Sembra un toupet per via del netto gradino che caratterizza quel tipo di taglio.
Se ne resta un momento imbambolato, proprio mentre Erwin sta raggiungendo il centro della sala. Come altri non sta prestando la giusta attenzione a lui, alcuni dovevano finire i loro stupidi discorsi e i soliti aneddoti senza né capo né coda usati per lamentarsi dei professori.
È passato poco più di un mese e hanno già trovato più motivi per lamentarsi dell’intero corpo docenti dell’anno scorso. Invece lui è lì, vestito di tutto punto, pronto a darci il suo ultimo saluto come rappresentante degli studenti e come amico.
 
Dei flash iniziano a prendere piede nella mia mente, non sono sicuro siano soltanto frutto di esperienze passate, forse la fantasia sta prendendo le redini del mio cervello. O riesco a sognare a occhi aperti.
«Devi fare piano»
Una richiesta non ascoltata, forse nemmeno recepita nel momento culmine.
«Ci sono gli altri cazzo» un sospiro spezzato «sono ancora tutti di là»
Un momento di esitazione, prima di continuare con la stessa convinzione, ma provocando una tensione minore, cercando di confortare e di collaborare.
Paziente, con gli occhi socchiusi, l’interlocutore in realtà non attendeva altro e mosso dalla voglia di accontentare quella necessità, segue i movimenti.
Chiusi in quella camera, isolati dal resto.
A cosa cazzo sto pensando? Sembra uno di quei video su Tiktok che mandano ogni tanto sul gruppo, o a me per sbaglio. Ottima scusa considerando che nella descrizione finisco sempre per leggere: “invialo al tuo ragazzo basso”.
Mi riprendo un momento, continuando a guardare nella sua direzione. Non riesco a collegare il suo volto a quello che stavo guardando, ma sono sicuro del fatto che la presenza era simile alla sua.
Preferirei tornare a chiudere gli occhi per immaginare un universo parallelo in cui nulla di tutto questo sta accadendo, ma sono bloccato nel mio pessimismo. Non esiste nessun universo alternativo, nessuna seconda trama, nessun altro modo di rimediare.
Questo è il mio presente e non sono abbastanza sicuro di riuscire ad affrontare il futuro che mi aspetta.
   
 
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