Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Adeia Di Elferas    23/10/2021    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Bianca si era resa conto di aver agito senza pensare solo quando aveva intravisto sua madre sul portone della villa. All'improvviso aveva capito che chiunque avrebbe potuto vederla correre incontro a Troilo, abbracciarlo e baciarlo. Non le importava della propria reputazione – aveva imparato, vivendo a Ravaldino con la Tigre, ad ascoltare solo con un orecchio i pettegolezzi della gente – ma delle possibili implicazioni politiche che la notizia di una sua relazione con il De Rossi avrebbe potuto avere.

In ogni caso, pressata dalle esigenze del momento, lasciò per un istante da parte quel genere di ansie per concentrarsi sulla cosa più urgente.

Per evitare che Troilo si comportasse in modo sbagliato o negasse l'evidenza, andando solo a irritare la Leonessa, la Riario gli sussurrò in fretta, mentre cominciavano a camminare lenti verso la villa: “Mia madre lo sa.”

L'emiliano, le guance che diventavano ancor più rosse di quanto non fossero a causa del freddo, la guardò un istante e poi occhieggiò verso la Sforza. Sembrava intimidito, ma non lasciò la presa sulla spalla di Bianca, come se gli fosse impossibile separarsi da lei dopo quella lunga lontananza.

“Anche mia madre lo sa. E anche mio padre.” confessò lui, che aveva pensato di riferire solo in un secondo momento alla sua amata di essersi confidato coi genitori, anche se solo in parte.

“Tu sei un uomo di quasi quarant'anni.” gli ricordò lei, sollevando un sopracciglio, mentre il portone si avvicinava inesorabilmente: “Che tu abbia un'amante non credo che possa ritenersi un grande scandalo, nemmeno per i tuoi genitori...”

Il De Rossi avrebbe voluto ribattere, ma non fece in tempo. Caterina, facendo mezzo passo avanti, era andata loro incontro in modo plateale e stava salutando l'ospite con gentilezza, ma anche con un velo di sospetto. Era in abiti da camera, eppure, anche in quelle condizioni, emanava un'autorevolezza che all'uomo ricordò molto quella di un generale in battaglia.

“In che veste siete qui, messer De Rossi?” gli chiese infatti: “Come portavoce del re di Francia o per... Una visita privata?”

In imbarazzo, ma reso forte dal fatto che Bianca, nemmeno così vicina alla madre, lasciasse la sua mano, l'uomo gonfiò un po' il petto e rispose: “Non sono qui in veste ufficiale.”

“Buono a sapersi.” sospirò la Tigre, lanciando poi uno sguardo strano alla figlia, per poi tornare a Troilo: “Avete avuto modo di chiedere per me un permesso per andare nei boschi?”

L'uomo abbassò il capo e riportò: “Ho avanzato la richiesta. Per il momento non ho avuto risposta...” poi sollevò appena gli occhi ambrati verso la donna e soggiunse: “Ma se vorrete farlo mentre sono qui, nessuno potrà osare rimproverarvi nulla.”

“Lo dite voi.” fece la milanese, amara: “Ma potrebbe pregiudicare la mia condizione, lo sapete quanto me. Non siete abbastanza importante, per potermi difendere.”

Il De Rossi incassò il colpo e poi, deglutendo, mentre cominciava a cadere qualche sparuto fiocco di neve, sussurrò: “Avete ragione.”

Accarezzando comunque l'idea di approfittare davvero di quell'invito, magari di notte, in modo che nessuno davvero se ne avvedesse, e magari restando proprio al primo limitare del bosco, giusto per sentirne la voce e assaporarne il profumo, Caterina fece un cenno e concluse: “Sarete stanco. Vi andrebbe bene la stanza che vi ho assegnato la scorsa volta?”

Un po' rigido, l'emiliano annuì subito, lasciandosi sfuggire uno scambio di sguardi con Bianca.

“A me basta che non diate di che parlare alla servitù – mise in chiaro la Leonessa, ben interpretando la loro intesa – per il resto, non mi interessa se...” lasciò cadere la voce, trovandosi più in difficoltà di quanto avrebbe creduto.

“Questa neve mi ha inumidito anche le ossa... Sarà meglio che vada a cambiarmi.” disse Troilo, per rompere il silenzio che era venuto a crearsi.

Mentre i due uomini che lo scortavano arrivavano al portone, Caterina chiese se dovesse far preparare un alloggio anche per loro.

“No – rispose subito l'emiliano – loro alloggeranno in città. Ho solo chiesto che mi aiutassero coi bagagli. Non sono molti, ma...”

Ben felice di avere due ospiti in meno, la Leonessa agitò la mano in aria, come a dire che non erano necessarie altre spiegazioni e poi, rivolgendosi alla Riario, che continuava a guardare il profilo del suo innamorato, suggerì: “Bianca, vuoi accompagnare tu il nostro ospite nella sua stanza? Magari non ricorda la strada...”

“Davvero?” chiese la ragazza, che si era aspettata dalla madre una certa tolleranza, ma che si trovava spiazzata davanti a quello che sembrava un chiaro invito a passare un po' di tempo sola con Troilo.

Schiarendosi la voce e abbassando un istante lo sguardo, la Sforza annuì: “Vai.” permise una volta di più: “Dirò agli altri che abbiamo ospiti, ma che dovranno attendere mezzogiorno, per salutare messer De Rossi.” poi, con occhio sfuggente, si rivolse all'emiliano e aggiunse: “ I vostri bagagli ve li faccio portare in camera più tardi... Quando vi sarà di comodo, vorrei parlarvi di alcune cose. Noi due da soli.”

Troilo, rosso in viso e ancora frastornato per quell'accoglienza inattesa da parte della Tigre, disse subito di sì e assicurò: “Certamente.”

“Adesso andate.” fece Caterina, tornando a fissare il pavimento: “Prima che altri vi vedano andare di sopra assieme. È una cosa che per ora preferirei evitare.”

Senza farselo ripetere, l'emiliano e la Riario fecero come detto e nel giro di pochi secondi sparirono dalla vista della Tigre.

La donna ebbe giusto il tempo di fare un paio di sospiri, prima di trovarsi accanto Galeazzo che, svegliatosi da poco, si era accorto che c'era del movimento. Come lui anche Bernardino era comparso dal nulla e, in fondo al corridoio, la Leonessa scorse un paio di serve, tra cui Creobola.

“Dite ai vostri fratelli che messer De Rossi è tornato qui. Più tardi scenderà con noi a pranzo, e vorrei che siate tutti gentili, con lui.” spiegò in fretta la milanese, guardando soprattutto Galeazzo che, forse, era l'unico a poter capire davvero la situazione.

Mentre il Feo, un po' accigliato, annuiva, il Riario la guardò con insistenza e poi, invitando il fratello minore ad andare subito a riferire a Sforzino, chiese alla madre: “Messer De Rossi è tornato per questioni legate alla vostra condizione o..?”

In quel momento il sospetto della Leonessa divenne certezza. Aveva capito da tempo che Galeazzo e Bianca erano molto legati, eppure un po' la sorprendeva pensare che la figlia avesse parlato di Troilo al fratello. Anche se tra loro c'era un grande affetto e molta fiducia, si era convinta che quel genere di confidenza fosse ugualmente troppo personale. Evidentemente si sbagliava.

“No, no... Si tratta di una visita... Per interesse privato.” spiegò Caterina: “Ma gli altri è meglio che pensino che sia qui per motivi ufficiali. Voglio che si comportino con lui in modo esemplare, perché malgrado sia qui per altri motivi, si tratta pur sempre di un orecchio di re Luigi.”

Galeazzo annuì subito e poi promise: “Contate su di me.”

La Sforza lo ringraziò e poi, voltandosi verso le serve ormai vicine, ordinò: “Abbiamo un ospite, più tardi vi dirò quale stanza occupa e vi farò portare di sopra i suoi bagagli. Ah, e dite alle cuoche che poi scenderò a dare disposizione per la cena e per il pranzo di domani... Essendo Natale e avendo ospiti, voglio che si impegnino più del solito.”

Le due domestiche fecero un mezzo inchino, e così la Tigre fu libera di dedicarsi proprio ai due uomini di scorta di Troilo, che ancora attendevano fuori, sotto la neve. Erano visibilmente due soldati, ma il loro impiego temporaneo come guardarobieri sembrava calzare loro a pennello. Si fecero indicare il punto del salone dove lasciare i pochi bagagli del loro signore e poi, dopo essersi fatti spiegare dove lasciare il cavallo del De Rossi, dissero che avrebbero subito tolto l'incomodo, e così fecero.

 

“Sei arrivato in tempo per Natale...” disse Bianca, aiutando Troilo a togliersi la cappa da viaggio.

L'uomo annuì, oggettivamente soddisfatto di quello che era riuscito a fare e poi, grattandosi un po' la barba incolta, commentò: “Ho trovato molta neve, per strada... Ho temuto di non fare in tempo.”

La giovane gli sorrise e poi, avvicinandosi, lo baciò. Si sentiva così tranquilla, in quel momento, da sembrarle impossibile di aver trascorso settimane in attesa dell'emiliano, settimane di tensione, di noia, a volte perfino di sconforto. Adesso era tutto al suo posto: lui era lì, stava bene ed era tornato solo per lei. Addirittura, sapere che sua madre sapeva e che non disapprovava, le lasciava la mente abbastanza libera da poter accantonare anche tutte le altre ansie per un po'.

“Dovresti farti radere...” soppesò, passandogli la punta delle dita sulla guancia ispida: “O almeno lasciare che ti metta a pari la barba...”

“Più tardi – sussurrò lui, dopo aver ricambiato un bacio – mi raderò da solo, non preoccuparti.”

“Se vuoi posso farlo io...” suggerì la Riario, mentre sentiva il desiderio accendersi sempre di più, fino a coprire tutto il resto.

Troilo si bloccò un istante e fece un sorriso divertito: “Sei capace di sbarbare un uomo?”

Il suo tono era sorpreso, ma in senso positivo. In effetti, per lui, quella giovane donna che l'aveva preteso prima ancora che lui osasse fare un passo concreto verso di lei, era una novità continua. Fin dal primo momento l'aveva trovata fuori da ogni schema. Così com'era gentile e misurata quando necessario, allo stesso modo sapeva essere vorace e sfrontata quando serviva. Era dolce e premurosa come una madre e poi, all'improvviso, era in grado di farsi fiera e autoritaria. L'aveva amato fin dal primo momento come una donna matura, senza le ipocrisie o le ritrosie che ci si sarebbe potuti attendere da una ragazza nella sua posizione. Gli dava sicurezza e gli faceva capire che quella era la strada giusta, per entrambi.

“Sì, so anche sbarbare un uomo.” confermò la giovane, mentre, senza fermarsi, cominciava a sfilare il giubbone dalle spalle del De Rossi: “Ho insegnato anche a mio fratello Galeazzo a radersi, se è per questo... Anche se lui non vorrebbe che lo dicessi a nessuno...”

“Quando sarà il turno dei nostri figli, allora – commentò Troilo, afferrandola per i fianchi con fare quasi prepotente – insegneremo loro assieme come usare il rasoio...”

“Allora non hai cambiato idea...” sussurrò Bianca, mentre l'uomo la portava, passo dopo passo, verso il letto.

Le coperte non erano state cambiate da un po', ma avevano ancora un sentore fresco, di pulito, merito dei saponi da bucato prodotti dalla Tigre. Nel momento in cui l'emiliano vi fece adagiare la sua amata, i profumi dei fiori e dei frutti usati – tanti, intensi e poliedrici, impossibili da individuare singolarmente – li travolsero, acuendo il bisogno ormai irrefrenabile che avevano l'uno dell'altra.

“Tu hai cambiato idea?” domandò di rimando il De Rossi, senza bisogno di chiedere apertamente se l'argomento fosse l'avere dei figli assieme.

“No, non ho cambiato idea...” assicurò lei, stringendosi a lui e poi mettendosi sopra di lui, le mani che continuavano a spogliarlo, abito dopo abito: “Non ho più preso la mia pozione, da quando sei andato via l'ultima volta...”

Tirandosi su abbastanza da arrivare a baciarla sulle labbra, l'uomo se ne disse felice e poi, cominciando ad armeggiare con le sottane della Riario, diede voce all'unico vero dubbio che lo attanagliava: “Credi che tua madre pensi che noi stiamo...”

“Non mi interessa.” lo zittì subito lei, costringendolo, senza troppa fatica, a tornare a concentrarsi solo di loro, sui loro respiri veloci e sui loro corpi, che ormai, quasi svincolati dalla loro volontà, si inseguivano come predatore e preda.

 

Caterina aveva cercato di passare il resto della mattina in modo costruttivo. Aveva dato disposizioni alle cucine, aveva scelto accuratamente il vino da servire a cena e poi a Natale, si era equamente divisa tra Bernardino, che le chiedeva attenzioni in modo silenzioso, ma ostinato, e Galeazzo che, seppur meno insistentemente, era altrettanto sempre in cerca della sua vicinanza.

Era riuscita a non rimuginare granché sul fatto che sua figlia fosse ancora chiusa in stanza con il De Rossi, anche se ogni volta che si era trovata a passare per il salone, vedendo i bagagli dell'uomo ancora lì, immoti, aveva finito per pensarci.

Farlo, però, le aveva dato delle strane sensazioni. Non era tanto infastidita, o indispettita per quello che l'etichetta avrebbe definito semplicemente inaccettabile, ma era inquieta.

Da quando aveva lasciato Forlì in catene, non aveva quasi più pensato – non in modo positivo, almeno – alla compagnia maschile. Solo di recente aveva avuto dei momenti di profondo smarrimento, ma che, per un motivo o per l'altro, si erano sempre stemperati in un nulla di fatto.

Quel giorno, invece, le sembrava che la solitudine fosse diventata un macigno impossibile da sopportare e le memorie, belle, brutte, sfuggenti o importanti che fossero, degli uomini che erano stati suoi continuavano a rimbalzare nella sua testa, impedendole di concentrarsi veramente su altro.

Verso mezzogiorno si era rintanata nella sala delle letture, approfittando del fatto che Sforzino e frate Lauro erano scesi nelle cucine a implorare qualche assaggio delle pietanze che sarebbero state servite a pranzo, e si era messa a pensare.

Le sembrava di avvampare di continuo, faticava quasi a stare ferma. Non era paragonabile allo stato di inquieto tormento che aveva provato poco dopo la morte di Giacomo, ma non se ne discostava poi molto, nella sostanza.

“Dov'è Bianca?” la voce di Ottaviano la colse di sorpresa.

Il giovane era apparso quasi dal nulla sulla porta e teneva gli occhi torvi fissi su di lei. Da quando Caterina aveva interpellato Fortunati affinché scoprisse cosa stesse tramando il figlio, praticamente lei e il Riario non si erano più parlati.

“Perché lo vuoi sapere?” chiese la Tigre, sulla difensiva.

Sapeva che Ottaviano poteva essere l'unico vero problema, tra tutti i suoi figli. Cosa sarebbe capitato, se avesse scritto a qualcuno di importante che la figlia della Leonessa di Romagna aveva come amante un generale di Francia?

“Perché sono suo fratello, e sono il maggiore.” rimarcò lui, perdendo, però, un po' della sua baldanza.

“Cornelia ha chiesto di te, quando ho lasciato le Murate.” fece allora la Sforza, cercando il modo più veloce per zittirlo: “Se vuoi, possiamo farla venire qui alla villa con noi.”

Il Riario perse colore. Non aveva mai visto sua figlia e non intendeva farlo, non a breve, almeno.

“Non so nemmeno se sia davvero mia figlia.” soffiò, pentendosi subito di quelle parole.

La madre, infatti, non aveva preso bene quell'insinuazione, e si era alzata di scatto, furente, raggiungendolo in un solo passo. In quel momento i suoi occhi infuocati erano gli stessi che aveva avuto nei suoi anni di gloria, a Ravaldino, quando poteva comandare sul suo piccolo mondo senza temere rivali.

“Bestia che non sei altro – gli disse, con un filo di voce, ma abbastanza minacciosa da farlo indietreggiare – se la vedessi, ti troveresti davanti a uno specchio. Senza contare che sai benissimo che non può essere che figlia tua. Hai rovinato la vita anche a quella donna, non dimenticarlo mai.”

“Anche...” soppesò lui, stringendo poi i denti.

“Sparisci.” lo attaccò la Tigre, dandogli un colpetto alla spalla con la mano: “E non provare a fare nulla, riguardo tua sorella, o ti giuro che...”

“Non giurate nulla, non ce n'è bisogno.” ribatté lui, sottraendolesi: “So benissimo cosa mi fareste, se solo non aveste paura di essere additata come l'assassina di vostro figlio, oltre che una p...”

Lo schiaffo arrivò più in fretta e più violentemente di quanto Ottaviano si sarebbe aspettato. Con una mano sulla guancia arrossata, il giovane fece un breve cenno con il capo e se ne andò.

Arrabbiata con se stessa per quella reazione, che tuttavia non riteneva scorretta, la milanese si massaggiò le mani l'una nell'altra e poi, dicendosi che ormai doveva essere ora di pranzo, andò nella sala e attese che arrivassero anche gli altri.

I primi a raggiungerla, resi puntuali forse proprio dal desiderio di non contrariarla, furono Bianca e Troilo. Arrivarono a breve distanza l'uno dall'altra, tanto per evitare di suscitare domande da altri, arrivando assieme, e poi, di comune accordo, si sistemarono quasi ai due lati opposti del tavolo.

Caterina, a capotavola, li osservò un momento, prima di tornare a concentrarsi sulle posate e sul calice vuoto, come se fossero molto più interessanti della figlia e dell'emiliano. Faticava a sopportare gli sguardi complici che si scambiavano, i sorrisi che non riuscivano a trattenere, quell'aria impalpabile che sembrava unirli anche se adesso erano distanti. Sapeva benissimo come dovevano aver impiegato quel tempo che aveva deliberatamente concesso loro, e la urtò parecchio scoprirsi invidiosa di loro.

Schiarendosi la voce, mentre Galeazzo e Bernardino, gli ultimi che mancavano all'appello, si sistemavano uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, la Sforza annunciò: “Abbiamo qui con noi un gradito ospite, messer De Rossi.”

L'uomo ringraziò i presenti con un ampio gesto della mano e poi fece eco: “Per me è un onore essere qui con voi.”

“Passerà qui da noi anche il Natale e il Capodanno.” decretò arbitrariamente Caterina.

Il suo era un modo un po' goffo per far capire a Troilo che lei non l'avrebbe certo mandato via prima del tempo. Il De Rossi lo capì, e la ringraziò sentitamente.

Mangiarono tranquillamente, con frate Lauro che si perse, assieme a Sforzino, in una lunga disquisizione su come il Capodanno fiorentino differisse da quello che si festeggiava in casa Sforza, e dicendosi alla fine entrambi favorevoli a mantenere le usanze di famiglia.

“Se sarà il caso – concluse, ridacchiando, Bossi – festeggeremo anche il Capodanno fiorentino, quando sarà il momento!”

Tutti sorrisero benevoli, tranne Ottaviano, che, appena finito di ingurgitare anche l'ultimo cucchiaio di minestra alle verdure, si alzò e disse, cupo, già andandosene: “Madre, vi chiedo il permesso di ritirarmi.”

Nessuno commentò quella parentesi e il pomeriggio della Viglia di Natale trascorse tranquillo e pacifico, con frate Lauro che, istigato dal suo allievo e sostenitore, Sforzino, lesse vari passi del Vangelo e accettò di buon grado che Bianca si esibisse in qualche canto sacro a tema.

“Madonna Sforza – disse piano Troilo, proprio mentre la Riario intonava uno degli inni proposti da Bossi – se volete, sono pronto a parlarvi già oggi.”

La Leonessa, che non si era aspettata di arrivare al loro confronto tanto in fretta, guardò la barba incolta dell'emiliano e i suoi occhi color miele e poi accettò: “Dopo cena, allora. Nella sala delle letture.”

L'uomo la ringraziò, e poi, con un movimento garbato, si discostò appena e tornò nel suo angolo, lo sguardo a Bianca, e le guance un po' colorite, nascoste dalla barba rossiccia.

Caterina sentiva una stretta allo stomaco. Era stata lei stessa a chiedere quel confronto, ma adesso che solo la cena la divideva da quell'impegno, non si sentiva del tutto pronta. Aveva paura di sbagliare approccio e di finire per non capirsi con l'uomo che sua figlia amava. Voleva metterlo alla prova, certo, sondarne le intenzioni, ma doveva farlo con delicatezza.

Quando un servo venne ad annunciare la cena, proprio mentre frate Lauro si rammaricava di non potersi recare in chiesa per la Messa di Natale, né di poterla celebrare, non avendo quel che gli serviva per farlo, la Tigre fu la prima a scattare in piedi e lasciare la sala.

“Quando la cena sarà finita – ordinò a Creobola, non appena la incrociò – voglio che portiate una caraffa del vino che ho scelto per domani nella sala delle letture. E due calici.”

La serva, accigliandosi, chiese, per essere certa di aver capito bene: “Due calici?”

“La politica si fa meglio, con un po' di vino.” fece la Leonessa, sperando a tal modo di convincere Creobola che fosse solo la politica, l'argomento che lei e il De Rossi avrebbero trattato.

Sapeva che quella serva era abbastanza sveglia da capire che fosse Troilo, colui che avrebbe bevuto assieme alla Sforza nella sala delle letture, perciò ritenne inutile nasconderlo.

“Desidero che nessuno mi disturbi, mentre sarò con il nostro ospite – disse quindi – e...”

Ebbe un lungo attimo d'esitazione. Sapeva che sarebbe stata fraintesa, ma non le importava, se così facendo poteva preservare sua figlia dai pettegolezzi.

“E..?” la incalzò Creobola, mentre stavano per raggiungere la sala da pranzo.

“E voglio che nessuno disturbi messer De Rossi, mentre è in camera, di notte. Mai.” sottolineò con forza: “La sua camera la potrete riordinare quando sarà lui a chiedervelo.”

Rendendosi conto di essere stata messa apposta su una pista falsa, la serva fece buon viso a cattivo gioco e, sorridendo servizievole, rispose: “Come la mia signora comanda.”

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas