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Autore: Aky ivanov    24/10/2021    2 recensioni
31 Ottobre 2009.
Megumi contemplò il televisore soppesando avidamente l’idea di chiamare il numero in sovraimpressione nello spot pubblicitario della linea assistenziale per l’infanzia.
I soli quaranta giorni di conoscenza con Gojo Satoru erano bastati ad aprirgli gli occhi.
Non abbastanza, al peggio non c'era mai limite.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Fushiguro Megumi, Gojo Satoru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dolcetto o scherzetto?! 🍬

 

31 Ottobre 2009

 

Megumi contemplò il televisore soppesando avidamente l’idea di chiamare il numero in sovraimpressione nello spot pubblicitario della linea assistenziale per l’infanzia. Non era stato vittima di violenza fisica, suo padre l’aveva solo abbandonato dopo la morte prematura della moglie regalando a lui una sorellastra indesiderata e per sé una fuga con la matrigna. Gli assistenti sociali l’avrebbero ascoltato comunque, no? I suoi attuali e molto probabilmente futuri problemi comportamentali – se solo fosse arrivato all’adolescenza – era certo che sarebbero stati legati a veri e propri traumi psicologici più che a lesioni corporee.

I soli quaranta giorni di conoscenza con Gojo Satoru erano bastati ad aprirgli gli occhi.

«Gojo-san, il suo costume è fantastico!»

La stufetta alogena roteò nella ristretta cucina alle spalle di un’euforica Tsumiki impegnata a trotterellare allegramente intorno al diciannovenne allampanato per nulla dispiaciuto di essere al centro dell’attenzione. Megumi non comprendeva tutta quell’insana allegria. Il loro disonorevole tutore si era autoinvitato in casa per la quinta volta quel mese mostrando il risultato del suo nuovo sperperamento di denaro: un appariscente e aderente tutina verde acido completata da una gigantesca testa di drago.

Megumi aveva pensato che l’uomo andasse seriamente a rubare da qualche parte di notte usando la loro casa come base segreta per la fuga. Le doti atletiche per entrare dalle finestre sicuramente non gli mancavano ma il telegiornale più volte controllato non aveva mai riportato notizie di gioiellerie svaligiate o grossi uomini d’affari derubati dopo ogni sua visita.

«Non è un po’ troppo vecchio per fare dolcetto o scherzetto?»

Satoru si portò drammaticamente le mani sul cuore asciugandosi una lacrima inesistente dagli occhioni neri cartonati. Megumi stoicamente non batté ciglio fissandolo come se avesse davanti un bambino mai cresciuto e fosse lui l’unico adulto responsabile presente in quella casetta. Ridicolo e fin troppo veritiero.

«Megumi! Non trattarlo male!»

Tsumiki era subito accorsa in difesa di quell’estraneo preso tanto a cuore per sua somma sfortuna. La sua sorellastra vedeva nel buono in tutti, anche in sgorbi come l’uomo che civettava in lungo e in largo le sue doti di salvatore di orfani, insegnandogli in gran segreto parole che non avrebbe probabilmente dovuto conoscere fino alla pubertà. Atteggiandosi infine a classico genitore pungente davanti a Tsumiki, chiedendogli pure da chi avesse imparato tali oscenità quando al limite della pazienza gli aveva urlato di “andare a farsi fottere” la scorsa settimana. Non sarebbe caduto di nuovo nello stesso tranello dalla parte del torto.

«È lui che si rende ridicolo da solo»

«Oh, povero me! Cosa ho fatto per meritarmi tutto ciò?!» il melodrammatico atto di Satoru stordì i presenti in cucina in una struggente propensione delle braccia verso Megumi immediatamente scalato indietro di qualche sedia «Il mio figlioccio mi detesta, mi offende, mi tratta persino male…dove ho sbagliato?!»

«E lo chiede anche?» ribadì seccamente il bambino restringendo le labbra all’occhiata fulminante della sorella.

«Megumi, è ingrato da parte tua trattarlo così!»

Tsumiki si era accucciata accanto all’ammasso verde caduto in ginocchio sul pavimento dove un fazzoletto enorme bianco – il lenzuolo che avrebbe dovuto essere non meno di cinque minuti prima il costume da fantasma che Gojo inutilmente aveva provato a fargli indossare – sventolava davanti al nasone ingombrante della maschera. Simbolicamente il drago si stava soffiando il naso, praticamente Gojo soffiava oltre l’apertura della bocca per far muovere la stoffa distante buoni venti centimetri dalla vera faccia.

Megumi sospirò sconsolato conscio di combattere una battaglia persa, era perennemente invischiato in quel due contro uno da fargli sembrare tale lotta vecchia di anni e non poche settimane. Le fauci spalancate mostrarono il volto distorto in un inquietante sorriso quando sua sorella fu troppo concentrata su di lui per badare al pazzoide accolto in famiglia, spingendolo a riaprire stizzito il libro pur di non dargli alcuna soddisfazione.
Mossa errata e infruttuosa, con il suo menefreghismo aveva solo attirato maggiormente su di sé la brutta copia di Peter Pan geneticamente modificata. Satoru si era avvicinato in una sola falcata spingendogli il muso cartonato sul libro volato immediatamente per terra. Caricandoselo in spalla senza il minimo sforzo.

«Mi lasci andare!» le gambe e le braccia scalciarono nel vuoto mentre Tsumiki coprì la bocca per non ridere apertamente dinanzi al cattivo umore del fratello e all’allegria ancora esternata dal giovane «La deve smettere di prendermi come un sacco di patate, lo vuole capire?! Tra l’altro senza permesso!»

«Dobbiamo festeggiare Halloween piccolo asociale!» la rispostaccia di Megumi venne inghiottita da una serie di imprecazioni borbottate all’allegra pacca approdata sul suo sedere «Non ti fa bene leggere sempre, diventi lunatico. E se lo sei mi tratti male, ed io ci soffro così tanto Megumi-chan!» la confidenza per nulla sincera accompagnò l’atterraggio di Megumi sul bancone della cucina dal quale le gambe penzolanti non toccavano terra «Se io soffro anche zia Ieiri soffre nel sentire i miei dolori genitoriali, anziché concentrarsi sui suoi testi sarebbe troppo occupata a smaltire la rabbia e ignorerebbe i suoi studi. Comincerebbe a fumare sigaretta dopo sigaretta fino ad esaurire le scorte mondiali e questo sai cosa comporterebbe? Lo sai?! Una guerra Megumi-chan! Vuoi davvero che una giovane studentessa di medicina perda l’opportunità della sua vita per andare a combattere nello Zimbabwe per l’ultima pianta di tabacco? Lo vuoi davvero?! Difendi la sua vita indossando questo costume da fantasma!»

Megumi fissò scioccato l’enorme bocca del drago sproloquiante senza sosta non avendo necessita di incontrare un paio di occhi azzurri per scoprire cosa avesse assunto il suo tutore per indire quella serie di sequenze temporali senza senso, tutto per convincerlo ad andare a fare dolcetto o scherzetto. Gojo era così al naturale e non era un bene quando il numero della salvezza in televisione era ormai stato sostituito dalla pubblicità di un prodotto dimagrante.

«Gojo-san lei si ascolta quando parla?» chiese cautamente domandando contemporaneamente a sé stesso perché fosse ancora il solo a farsi interrogativi sulla sanità mentale dell’uomo «Dovrebbe smetterla di assecondare quello stupido libro sui metodi di persuasione ed educazione infantile che ha comprato al mercato del pesce, inventare parenti o stragi nel mondo per commuovermi non funziona… tra l’altro, credo che lei nemmeno sappia dove si trovi lo Zimbabwe»

«Sei di ghiaccio Megumi-kun»

Satoru cambiò repentinamente umore abbandonando la facciata fintamente spaventata, preferendo guardarlo pensieroso con le mani sui fianchi, imitato da Tsumiki più intimidatoria dell’uomo. Le maniche squamate della bestia rompevano qualunque barlume coscienzioso, decorate con cerchietti informi sovrapposti su tutte le braccia in doti artistiche che un bambino come lui avrebbe potuto realizzare meglio.

«Suvvia, Megumi-chan non fare l’asociale!»

«Lei è infantile, nemmeno i miei compagni di classe fanno così tanta confusione» bofonchiò esasperato voltandosi nella direzione opposta a braccia incrociate «In più, lei non è un vero drago e Halloween non è nemmeno una festa giapponese. Non ha senso festeggiarla»

«Megumi!»

Tsumiki si precipitò a dare pacche sulla schiena al loro ospite caduto in depressione sul pavimento sotto di lui, rimproverando con gli occhi il fratellino concentrato spudoratamente altrove.

«Ci sono!» ridestatosi improvvisamente Satoru uscì dall’appartamento sbatacchiando la coda legata in vita contro ogni mobile dell’atrio, lasciandosi alle spalle il rumore di un vaso rotto prima di rientrare distruggendone un altro «Questo ti dimostrerà che sono un drago!»

Megumi sgranò gli occhi terrorizzato alla vista di una bottiglia di liquore ad alta gradazione e un accendino. Il primo ingurgitato e il secondo avvicinato alla bocca.

«No, aspetti! Sì fermi!»

 

 

 

Megumi starnutì stringendosi la coperta addosso sulla barella dell’ambulanza. Tsumiki dietro di lui ringraziò educatamente il paramedico accettando la tazza di cioccolata calda, il volto illuminato a scatti dai lampeggianti azzurri.

«Che fiamme alte!»

Megumi face del suo meglio per ignorare l’ammirazione decantata dall’uomo seduto accanto a lui. La loro casa era andata a fuoco, completamente bruciata. Tutto per colpa di un idiota e la sua idea geniale di giocare al mangiafuoco davanti i mobili di una cucina interamente realizzata in legno, quasi arrostendo anche lui al primo soffio.

«Certo che è proprio uno spettacolo perfetto per questa serata»

Alla parola “spettacolo” Megumi ruotò lentamente la testa verso la sua sinistra. La capoccia da drago non esisteva più, gli strati di cartapesta e colla vinilica erano stati i primi a prendere fuoco sulla testa del proprietario. Era stato un miracolo per i paramedici che i capelli e la faccia ne fossero usciti intatti, una sfortuna per lui. Non aveva avuto nemmeno quel briciolo di soddisfazione di vederlo sofferente.

«Si rende conto che a causa sua non abbiamo più una casa?!»

Satoru spostò l’azzurro contornato da ciglia argentee dritto verso i suoi occhi, una serietà disarmante impressa nei lineamenti del volto che spinsero Megumi a deglutire. Dopotutto, aveva una coscienza anche il suo tutore e doveva portare rispetto alle persone più grandi. Forse in cuor suo anche lui si stava davvero dispiacendo di aver distrutto la sua casa per puro divertimento.

«Lo capisco Megumi-kun» da terra, nell’angolo fino a quel momento non considerato, Satoru sollevò una zucchetta plastificata di medie dimensioni scoperchiandola autorevolmente davanti a lui «Sarai scioccato, non fare complimenti»

Megumi squadrò il mucchio colorato di cioccolatini e caramelle straripanti avvertendo la pressione sanguigna salire. Il corpo umano non l’aveva ancora studiato a scuola, ma quell’espressione l’aveva letta così tante volte nei suoi libri da comprendere perfettamente il suo stato d’animo attuale. Omicida. Voleva prendere ogni singolo involucro e infilarlo incartato nella bocca del suo tutore fino a farlo soffocare, farlo risorgere, ripetere la stessa fase almeno quindici volte.

«Io e Tsumiki non abbiamo più un posto dove vivere e lei mi offre delle caramelle?!»

Il pompiere di passaggio si fermò a contemplarli e Megumi poté sentire il compatimento a distanza. Satoru aveva scaricato la confezione di dolcetti ad una perplessa e silenziosa Tsumiki tirando fuori dalla maglia il libro tanto odiato e una penna.

«Offrire dolcetti per consolare il bambino…non funziona» scuotendo affranto la testa Gojo bagnò la punta della penna sulla lingua sbarrando il testo in esame «Sei proprio un bambino complicato Megumi-chan»

Megumi sbatté la coperta sulla barella ignorando i richiami di sua sorella. Scese i gradini dell’ambulanza dimenandosi come un pazzo quando fu tirato indietro fino a trovarsi seduto sulla pedana del veicolo tra le gambe allungate di Satoru.

«Ah -ah, non puoi andartene in giro così» la sorella per la prima volta incerta si precipitò accanto a lui per evitare un ulteriore fuga o aiutarlo in una probabile rappresaglia, Megumi non lo capiva «Non vi preoccupate, vi troverò io un’altra casa e fino ad allora potete restare da me»

«No!» gridò impanicato Megumi.

«Davvero?» domandò speranzosa Tsumiki.

I due fratelli alla contrastante e contemporanea risposta si guardarono in cagnesco sotto lo sguardo divertito di Satoru intento a sgranocchiare un torroncino a cioccolato, seguito da una caramella frizzantina all’arancia e un cioccolatino alla nocciola. Megumi avrebbe preferito vivere per strada piuttosto che sotto lo stesso tetto di un pazzo, perché sua sorella non lo capiva?

«Tutto risolto allora!»

«Cosa?... No! Io non voglio vivere con lei!»

«Megumi! Gojo-san ci sta offrendo un tetto per evitare di dormire in strada!»

«Dopo che ce lo ha tolto dandogli fuoco!»

Gongolando allegramente Gojo prese in braccio entrambi i bambini – faticando molto di più a tenere fermo quello più indisciplinato – dirigendosi a grandi falcate quasi saltellando verso una strada qualunque, incurante degli urli dei paramedici e del capo dei pompieri al seguito. Sorridendo spudoratamente ai fantasiosi nomi con cui il bambino arrabbiato lo stava chiamando mentre la lunga coda bruciacchiata strisciava sul marciapiede.

«Possiamo andare a fare dolcetto e scherzetto! Megumi-chan la prossima volta non aspettare una casa bruciata per uscire a divertirti!»

«Lei è un pazzo da internare!»

«Dove?» cinguettò l’interessato euforico depistando gli inseguitori tra le caotiche vie di Tokyo «All’interno di una dimensione parallela da cui non potrei più uscire per stuzzicarti se non con una tecnica maledetta d’annullamento messa perfettamente a punto per volontà del mio carceriere?»

«Perché deve complicare anche le cose più semplici?!»

«Devi pensare in grande per poter contenere me» il sorrisetto affilato inquietò Megumi più delle pittoresche decorazioni a tema streghe e fantasmi delle abitazioni «Sono la persona più forte che esista, ricordalo sempre»

«Gojo-san bussiamo lì!»

Tsumiki interruppe la cupa aria di sfida calata tra i due ragazzi, indicando una delle tante porte del complesso di appartamenti verso la quale Satoru corse quasi travolgendo gli altri bambini sul marciapiede pur di accaparrarsi il primato. Sostituendo l’imbronciato Megumi nel coro scrosciante dell’apertura, orgoglioso della piccola bambina per aver scelto inaspettatamente proprio quella direzione.

«Dolcetto o scherzetto?!»

 

Nanami, in pigiama sulla soglia, osservò il suo caffè prima di tornare a fissare incerto il trio domandandosi quale problema avesse la nuova marca acquistata al supermercato.
Gojo Satoru non era spostato, tantomeno aveva figli.
Il caffè doveva essere scaduto.

 

 

Note finali

Ho rispolverato la mia cartella di fanfiction trovando questa storia originariamente creata per un progetto di drabble (sì, sto ridendo anche io…proprio 200 parole sono) >.>

Ultimamente sono fissata con i personaggi bambini, è la terza storia anche se in fandom diversi dove li uso come protagonisti in meno di tre giorni. L’autunno mi fa proprio venire la voglia di scrivere, che brutta fine…ma per una volta posso orgogliosamente augurare buon Halloween in tempo!! *^*

Un grazie a chiunque leggerà la storia e mi raccomando, i dolcetti non hanno età! 🧡
Autoconvincetevi come Satoru!

 

Alla prossima,

Aky

 

 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Gege Akutami; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro

 

   
 
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