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Autore: Brume    26/10/2021    4 recensioni
Ho preso in prestito i nostri personaggi per raccontare una storia privata, accaduta quasi ottant’ anni fa.
Una storia in cui a due giovani viene vietato, a causa della differenza di ceto, di vivere serenamente il loro amore che nel frattempo ha dato un frutto: un bambino biondo, dagli occhi verdi. Mio padre. Provo a scrivere questa storia da almeno vent’anni e ci riesco solo ora, scomodando i personaggi di un manga e di un anime che ormai fanno parte delle nostre vite e Vi chiedo perdono , sinceramente, per aver tirato in causa e maltrattato i nostri beniamini. Non è una storia “ acchiappa- recensioni”, è una cosa mia, vedetela come un esperimento terapeutico che sento di condividere, che voglio condividere; si tratta comunque pur sempre di un testo che vorrei far evolvere e diventare qualcosa di più quindi, qualsiasi punto di vista, sarà comunque ben gradito.
Questa storia è scritta per te, Vittoria Martina Barbara Bonetti. E’ solo un tentativo, ma fatto con il cuore.
B.
STORIA SOSPESA PER MOTIVI TECNICI
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Generale Jarjayes, Marron Glacé, Oscar François de Jarjayes
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prima di tutto, le mie scuse.
Ho atteso parecchio prima di pubblicare e questo non è dipeso dalla mia volontà; purtroppo alcuni disguidi piuttosto importanti legati a questioni di salute di un mio caro non mi hanno lasciato nè tempo nè voglia per mettermi ad un pc.
Nei prossimi giorni, impegni permettendo, ricomincerò ad aggiornare le varie storie.
Barbara 




 

CAP. 10  Il matrimonio - parte prima 

 

Lo sguardo lontano andava verso alcune figure che passeggiavano attraversando il grande giardino da parte a parte: era uno sguardo stanco e gli occhi cerchiati da rabbia e pianto  segnavano il viso di Oscar che, da due settimane,  si trovava di fatto reclusa in quella che fino ad un anno  prima rappresentava la sua casa.
Girodelle era  a pochi passi da lei e  la osservava silenzioso,  spostando lo sguardo dalla donna e quel frugoletto che riposava ignaro e tranquillo; non una parola era ancora stata detta, nonostante i due condividessero quella stanza ormai da un paio d’ ore.  

 

“...Oggi potrebbe piovere”.

Fu questa la prima frase che il suo ex sottoposto  pronunciò dopo aver preso coraggio, pronunciata quasi con timore.
Oscar, di spalle, non fece un cenno; l’ uomo lasciò vagare gli occhi per la sala, si sistemò la giacca, cercò nuovi spunti di conversazione.

“...vorrei tanto aiutarvi, Oscar, ma se non mi dite nulla...vorrei parlare con voi, rendevi più semplici questi giorni….” provò ancora a  dire.

“...Voi, Girodelle? Voi vorreste darmi una mano? Avreste dovuto pensarci prima di accettare le pazzie di mio padre” sibilò lei  a denti stretti. Avrebbe voluto urlare,  ma il piccolo Gil si era addormentato da pochissimo tempo. Non era il caso. 


Girodelle non osò più dire nulla.
Si alzò e fece qualche passo avvicinandosi alla donna.
La sua mano si posò su quella di Oscar.

“Mi dispiace, davvero. Ma sappiate che io ho accettato di sposarvi non solo per le minacce che vostro padre mi ha mosso, ma perché, come sapete...vi ho sempre amata” disse; la voce bassa dell’ uomo scandì bene ogni singola parola.
Oscar tolse la mano da quella del conte cercando di trattenere la sua rabbia:  non tanto rivolta a lui, ma alla situazione. Girodelle era un uomo di sani principi, sapeva che l’ avrebbe trattata bene e amata ma...pensarlo come marito, no; non era fattibile.
Non era possibile. 

“Victor” disse trovando un filo di calma “ voi sapete meglio di me che questo matrimonio non sarà fattibile...preferisco morire, piuttosto che dare adito ai piani folli di un vecchio. Non è per voi, so che potreste essere un bravo marito, ma io amo un altro uomo, il padre di mio figlio. Se vi è qualcuno che voglio sposare, questi è Andrè” disse.
Lentamente, quindi, si voltò; fissò Girodelle.

“...Non ci si sposa per amore, Oscar. Lo sai meglio di me...nei nostri ambienti ha sempre funzionato così. In ogni caso, io non ti costringerò a fare qualcosa che non vuoi, ma non voglio nemmeno passare guai” rispose lui, trovando all’ improvviso il coraggio e la confidenza che gli erano da sempre mancati. 

“Mi dispiace: se a te manca il coraggio, cosa che pensavo tu avessi, a me non importa: io non resterò a lungo qui, appena Andrè si farà vedere scapperemo insieme...ma lontano, stavolta” rispose.
Nel mentre, Gil richiamò la sua attenzione. Le manine agitate in aria , segno che era sveglio, precedettero di qualche secondo il pianto del piccolo e Oscar si recò subito da lui.

“Fai come vuoi. Io ti rispetto e sarò sempre gentile con te, ma non rischierò la mia vita e quella del mio casato per incappare nella rabbia del tuo folle genitore. Purtroppo non posso fare altro” disse Victor.  Detto ciò si alzò, osservò ancora una volta la donna ed il bambino e poi, dopo un inchino, uscì.

 

Oscar strinse a sè Gil cacciando indietro le lacrime che iniziavano a scendere e si avvicinò al letto una volta accomodata, ricominciò a cullare il piccolo.
Dove sei, Fersen? Non dovevi aiutarmi? pensò fra sè , notando che il conte svedese ancora non era rientrato dagli affari che ormai da giorni lo tenevano lontano da Parigi “...ti prego, se ancora mi vuoi bene, fai qualcosa per me…” disse con un filo di voce, sperando che questi arrivasse presto.



 

...Qualche tempo dopo: febbraio 1790

“E’ inutile. Non mi piegherete mai, nemmeno continuando a picchiarmi tutti i giorni, come state facendo ora. Non me ne andrò da Parigi e non rinuncerò mai a lei”.
André, steso per terra rannicchiato in posizione fetale, pronunciò queste parole con quella poca voce che gli era rimasta. Sangue fresco e vivido si mischiava a quello rappreso, dal colore più scuro ed opaco, che riempiva gran parte del suo corpo. Il piede destro, fasciato con dei lembi di camicia, presentava una posizione innaturale.

Michel e Louis alzarono il bastone ancora una volta su di lui.
“Vedremo...vedremo! Siamo proprio curiosi di sapere quanto resisterai, eroe!” disse quest’ ultimo. Andrè, colpito ancora una volta, non disse altro e non fece sentire nemmeno un lamento. Si limitò a chiudere gli occhi e cercare di non pensare al dolore fisico e non solo che quella situazione stava procurando al suo cuore, sperando che quei due non andassero oltre.
“...una ultima volta, Grandier: accetterai il compromesso che il tuo padrone ha proposto? Rinuncerai a lei, andrai lontano?” chiese, ancora, Marcel. Lui non rispose; si strinse in sé stesso, attendendo i colpi che sarebbero arrivati.
Marcel e Louis , tuttavia, non fecero alcuna mossa; dopo avergli sputato addosso, senza dire nulla, uscirono da quella porta lasciandolo solo.

Andrè rimase fermo ancora per un po; solo quando fu certo che attorno a lui non vi fosse nessuno si trascinò verso il giaciglio di paglia e stracci, aiutandosi con i gomiti e le ginocchia, rabbioso, dolorante.
Verrò da te, Oscar. Verrò da te, amore mio pensò non appena riuscì a poggiare la testa su qualcosa di morbido, sicuramente più morbido della nuda pietra. 

Solo quello contava.

 

Passarono così i giorni dei quali perse ogni conto: giorni scanditi da botte, giorni scanditi da insulti, dal dolore.
Era sempre più debole  e sempre più solo; non aveva idea di dove si trovasse , essendo arrivato li bendato...e la febbre, da qualche tempo, non gli lasciava nemmeno il tempo di pensare. Però, almeno, i pestaggi si erano fermati: forse era troppo prezioso per essere ucciso senza pietà...forse poteva servire ancora a qualcosa.
Una svolta arrivò all’ inizio di marzo: da poco sveglio senza nemmeno sapere se fosse notte o giorno, sentì risuonare al di la della pesante porta metallica dei passi. Sembrava quasi… una persona che stesse cercando qualcuno...o qualcosa.
Istintivamente, gettò lontano il pane secco che stava mangiando e strisciò verso l’ angolo più remoto; li rimase in attesa.
Chi poteva fargli visita? I passi erano quelli di una sola persona, non sentiva altre voci.
“...Sono felice di averti trovato, Andrè! ” disse quella voce.
“Chi siete? Cosa volete?” chiese lui , dunque, con voce forzatamente baldanzosa.
La figura, avvolta in un pesante mantello, fece alcuni passi in avanti. Il doppiere illuminò un viso.
“Fersen…” disse Andrè, coprendosi il viso con le mani quasi non volesse farsi vedere in quelle condizioni  “Voi...qui…”
Il conte si avvicinò ancora.
Il suo viso sbiancò osservando le condizioni non solo della stanza ma anche dell’ uomo.
“Andrè...mio dio” disse appena, con voce quasi trasparente “ io...io...come vi hanno ridotto?”
L’ uomo nascosto nell’ angolo scoprì il volto.
“Cosa volete dire….come mai siete qui? Che...che parte avete in questa faccenda?” chiese.
Il conte tolse il mantello avvolgendolo intorno al corpo di Andrè. Inginocchiato accanto a lui, Fersen si accertò delle sue condizioni.
“ Io...sapevo che Jarjayes voleva trattenervi, ma non credevo fosse arrivato a tanto. Vi cerco da tempo, ma solo oggi ho scoperto questo passaggio e ...queste segrete. Mi dispiace ….” disse
.
Andrè iniziò a non capirci più nulla.
Dove si trovava ma, soprattutto, perchè Fersen si trovava li e lo stava cercando? Dove era Oscar? Stava bene?
“Vi prego...ditemi cosa sta accadendo… potrei...potrei impazzire” disse allora. Stretto nel mantello, il corpo debole ed emaciato sembro sentirsi meglio. Perfino la voce e la forza di parlare era tornata.
Fersen lo fissò con compassione.
“Siete nelle segrete di Palazzo Jarjayes...io ..ne ho scoperto l’ esistenza solo qualche giorno fa...perdonatemi se mi presento solo ora… perdonatemi, vi prego” disse, quasi implorandolo…
“Nelle segrete? Non ho mai saputo ve ne fossero…” disse Andrè, sorpreso quanto lui. I due si fissarono per un istante.
Quanti segreti aveva quella casa ed il suo padrone? Da quanto tempo andava avanti questa situazione? pensarono più o meno all’ unisono.
“Venite, ora. Vi sorreggerrò e probabilmente vi farò male. Resistete...vi porterò al sicuro” disse Fersen d’ un tratto , riprendendosi dalle sue elucubrazioni.
“Io...voi...dove volete portarmi? Dove..dove andremo? Dove è Oscar? E mio figlio?” domandò Andrè sentitosi sollevare da possenti braccia, cominciando ad agitarsi; Fersen parve non ascoltarlo nemmeno ma uscì, di gran carriera, da quel posto.
“...Ora vi porterò a casa mia. Qui a palazzo non c’è nessuno, sono tutti in chiesa” disse con voce triste.
“...per quale motivo?”chiese
“...per il matrimonio di Oscar e di Victor, Andrè. Vi prego, non agitatevi: risolveremo anche questo ma prima...prima devo portarvi al sicuro” disse.
Andrè perse qualsiasi colore dal viso. I suoi occhi stanchi si spensero, piano piano: ogni fibra del suo essere iniziò a tremare di rabbia e dolore.
La sua Oscar….la sua Oscar in sposa a Girodelle….strinse i pugni, Andrè, il corpo di tese; la testa ed il cuore sembravano scoppiare.
“Non è il momento Andrè, non ora: non possiamo fare nulla. Abbiate fede, abbiate forza” disse Fersen.Erano ormai arrivati davanti ad una piccola scalinata.
“...qui c’è una uscita, ci porterò sul retro di palazzo. Forza.Ve la sentite di camminare? Non credo di riuscire a portarvi fin lassù” disse il conte.
Andrè annuì.

Era distrutto, nel corpo e nello spirito, ma quella notizia...gli regalò una forza inaspettata. Non gli importò più nulla, non sentì la caviglia che ad ogni passo provocava fitte lancinanti.

Sentiva solo il suo cuore.
Rabbia.
Tristezza.

 

Fece quegli scalini contro ogni previsione, arrivando in cima senza fiato; lasciò allora passare Fersen, che aprì la porta. Un uomo passeggiava poco lontano, guardandosi intorno.
“State giù” disse ad Andrè, rannicchiaco contro il muro, ancora sulla scala; quindi si allontanò e, senza che nemmeno l’ altro se ne accorgesse, lo trapassò da parte a parte con la spada lasciandolo esanime sui piccoli sansi bianchi per poi tornare dal compagno.
I suoi occhi spiritati fissarono quelli di André.
“...Il mio cavallo non è lontano. Ora, ascoltatemi bene: rimanete fermo qui, io richiuderò la porticina, ho le chiavi. Sellerò il mio cavallo e verrò a prendervi; in qualche modo usciremo di qui” disse appoggiando le proprie mani sulle spalle di Andrè, che annuì.

“Che Dio ce la mandi buona” lo sentì dire nel richiudere la porta. 

Poi, il buio e l’ umidità lo avvolsero ancora una volta.

 
   
 
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