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Autore: ruka_019    27/10/2021    1 recensioni
Emma, Ray e Norman un anno e mezzo dopo essersi rincontrati, vivono in un proprio villaggio con tutta quanta la loro famiglia. Emma è ancora senza memoria, ma i suoi ricordi vivono di quelli dei suoi compagni. Tra le montagne, in normali giornate, alle prese con la vita di studenti e studentesse in un mondo dove sono al sicuro, molti di loro ancora riportano nella mente ferite di un passato che non riescono a dimenticare.
Dal testo:
"La giornata al Villaggio inizia alle sei in punto con gli orologi di tutti gli chalet che risuonano per le pareti in legno e i camini a sbuffare fuori fumo, anche in primavera. Chris non ha perso l'abitudine di gridare l'orario di sveglia, correndo in giro e dimenticando di mettersi i vestiti pesanti passando da struttura a struttura, collezionando così sgridate e raffreddori. Usciamo per fare colazione già vestiti, Ray ci mette sempre un po' di più ad alzarsi dal letto, conto i minuti per capire che tipo di giornata sarà oggi. Gli ci è voluto un quarto d'ora. La media è di otto minuti."
Note: LGBTQ+; omofobia/transfobia tra personaggi; salute mentale (PTSD, depressione, disturbi alimentari, disturbi d'ansia)
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Emma, Norman, Nuovo personaggio, Ray
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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WARNING: salute mentale, riferimento a disturbi alimentari con induzione di vomito, depressione, tentato suicidio, riferimenti anche a PTSD. Per favore prendete sul serio i warning.

-

Era diventata un'abitudine prendermi cura di loro…

La giornata al Villaggio inizia alle sei in punto con gli orologi di tutti gli chalet che risuonano per le pareti in legno e i camini a sbuffare fuori fumo, anche in primavera. Chris non ha perso l'abitudine di gridare l'orario di sveglia, correndo in giro e dimenticando di mettersi i vestiti pesanti passando da struttura a struttura, collezionando così sgridate e raffreddori. Usciamo per fare colazione già vestiti, Ray ci mette sempre un po' di più ad alzarsi dal letto, conto i minuti per capire che tipo di giornata sarà oggi. Gli ci è voluto un quarto d'ora. La media è di otto minuti.

-Buongiorno!- Emma è sempre raggiante e vestita di tutto punto quando lasciamo la nostra camera e andiamo insieme verso la mensa, il sorriso luminoso sul viso mentre ci saluta.

-Buongiorno.- ricambiamo io e Ray.

Fuori il freddo primaverile è pungente, aspro, in fretta intimiamo ai bambini, che indugiano a guardare un fiore o una farfalla, di entrare nella sala mensa. Ci abbiamo messo sette mesi a costruire tutto, l'uomo che si è preso cura di Emma ci ha aiutato con i progetti e abbiamo lavorato spesso giorno e notte, mentre la maggior parte dei bambini attendeva l'ultimazione in uno dei palazzi affiliati al clan Ratri per potersi trasferire lì tutti insieme. Al momento in pianta stabile viviamo in circa cinquanta da ormai quasi un anno, divisi tra i cinque grandi chalet. Sono tutti provvisti di camere da letto di gruppo o singole, bagni comuni, una grande sala riposo e all'esterno cassette per legna e attrezzi. Lo chalet numero uno è l'unico dotato di una grande cucina e della mensa. Per l'estate, quando il sole riscalda un po' la terra gelida delle montagne, abbiamo adibito un padiglione per mangiare. I bambini dello stabilimento tre di Grace Field ci sono tutti, anche i più piccoli hanno scelto di trasferirsi, mentre Un gruppo di coloro che Emma ha salvato da Goldy Pond vive altrove, dove sono impegnati con la scuola e una vita completamente nuova. Il gruppo di Oliver è stato uno dei principali aiuti che abbiamo avuto per costruire il nostro villaggio, non hanno voluto lasciare tutti i compagni che hanno trovato al rifugio. Anche Cislo, Barbara, Zazie, Vincent, Jin e Hayato sono voluti rimanere qui con me, nonostante Vincent viaggi spesso per lavoro, con Barbara e Cislo ad accompagnarlo. Ayshe ha scelto di rimanere per l'immenso spazio aperto e la libertà con i suoi cani. I tavoli della mensa sono grandi e vicini, ma incredibilmente nonostante il nostro numero elevato tutti hanno il proprio posto, solo pochi dei più piccoli sembrano divertirsi a scambiarsi e litigare sulla posizione migliore o sul piatto di cibo più grande. È stato merito di Yvette, che poche settimane dopo l'arrivo una mattina ha avuto una brutta crisi di pianto perché il suo posto era stato occupato e lei non sapeva più dove sedersi. Ray con pazienza dopo averla fatta calmare, ha proposto a tutti di scegliere un posto nei vari tavoli e di non cambiarlo senza chiedere il consenso dell'altra parte interessata. Ha funzionato, la famiglia intera che abbiamo costruito qui ne è sembrata rassicurata.

Yvette non è stata la prima ad aver sviluppato comportamenti atipici, ma non sono neanche in molti. La maggior parte dei bambini sotto i dieci anni ha perso molte delle memorie che non siano legate agli incubi nelle notti più nere, per questo ci sono sempre dei grandi negli chalet con loro, qualcuno a cui potersi rivolgere quando hanno paura. Ray si dirige nelle cucine senza dire nulla, ha lo sguardo basso, serio, avrei voluto abbracciarlo, ma questi sono i momenti in cui posso solo aspettare. L'attesa che il peggio passi senza fargli ancora più male di quel che già gli fa. È sempre una speranza inutile comunque. Si spezzerà ancora e io non potrò farci niente.

-Buongiorno, Norman. Emma.- Oliver ha il suo sguardo tranquillo, apparecchia e insieme con un braccio tiene Eugene.

Ci affrettiamo a dare una mano, passando piatti e sistemando tovaglie e posate. Nell'attesa che Ray, Gilda e gli altri addetti alla cucina escano con le porzioni da dividere. Emma si fa passare Eugene, che le si aggrappa al collo con un sorriso pacato.

Gli lancio un'occhiata, lui non ricambia mai, ma i capelli nascondono il suo non guardarmi negli occhi. -Non sei un po' grande per stare in braccio ad Emma?

Lui sposta il viso nell'altra direzione, silenzioso come sempre, è Emma a farmi la linguaccia. -Lascialo fare. A me non pesa.

E so che è la verità, perché si gira e gli fa un sorriso e gli chiede come ha dormito e Eugene risponde, sempre a bassa voce. Certe volte guardarla fa ancora male. È passato un anno e mezzo eppure continuo a chiedermi chi sia la persona davanti ai miei occhi. Sarebbe semplice se la testa potesse dar retta al cuore, solo questa volta, semplice se potessi accontentarmi di dire che lei è Emma e basta. A me sarebbe andato bene comunque. Che avesse scelto un altro nome o avesse sorriso in modo diverso. Con o senza ricordi. Eppure continua a far male, guardarla e sperare di essere riconosciuto. Guardarla e chiedermi chi ci sia a guardarmi di rimando. Lei le somiglia tanto alla Emma che ho conosciuto io, è lei per tutte le cose importanti, però spesso sento comunque la sua mancanza.

Phil arriva come un fulmine, si fionda su Emma, abbracciandola con un sorriso enorme. Deve aver avuto un altro incubo stanotte, perché si è svegliato più tardi del solito. Emma lo saluta e fa sistemare su una sedia Eugene a cui Phil si mette accanto dopo aver ottenuto il bacio sulla guancia da Emma, che ride e gli passa una mano trai capelli scuri. La parte complicata inizia quando tutti sono ai loro posti e il cibo entra fumante nella stanza. Ci sono grida, schiamazzi, i più piccoli corrono con i piatti in mano per avere la propria porzione. Ci occupiamo noi grandi di versare il latte o il succo d'arancia nei bicchieri, guardo Ray che si rintana in un angolo della stanza, ha iniziato ad odiare i rumori forti più o meno quando tutte le ferite nella sua mente hanno iniziato a venire fuori. Anche Yvette si innervosisce come lui e con loro tanti altri, Anna mostra segni di tensione sul viso, Oliver, anche se mantiene uno sguardo neutrale mascherando tutto. È stato bravo a prendere il posto di Emma nei due anni in cui l'abbiamo cercata. Lei al contrario gestisce ogni stimolo senza problemi, riprende anche tre bambini insieme e velocemente riporta tutto alla chiassosa calma abitudinaria.

Io, Ray ed Emma ci sediamo vicini, e con noi Don, Gilda, Anna e poi Oliver, Violet, Sandy e Paula, mentre Zack questa volta si è sistemato in un tavolo a parte con alcuni dei più piccoli e Zazie.

Gilda sembra sempre felice quando vede Emma, rassicurata dalla sua presenza. -Uffa mi manca dormire nella stessa stanza! Stiamo addirittura in due chalet diversi.

Don al suo fianco mangia di gusto. -Ma stai con me, che ti lamenti?

-Ma è diverso. E mangia come una persona normale, così ti strozzi.

Rido davanti all'espressione confusa di Don. -Cosa è diverso?

Gilda al contrario è esasperata, mentre Emma se li guarda con un sorriso incerto e tanto affetto.

-Beh tanto per cominciare, siamo due ragazze.- osserva la sorella, sistemandosi gli occhiali sul naso.

-Ma figurati, Emma è sempre stata un po' maschiaccio.- Don riceve una sberla da Emma e un'occhiataccia da Gilda.

Non posso far a meno di dargli il mio sostegno. -Però non ha tutti i torti su di te Ems.

Emma tira fuori la lingua contro di me, dichiarando così per la seconda volta nella mattina il suo scarso interesse nel mostrarsi matura. -Zitto tu.

Le scompiglio i capelli con un gesto della mano, ma non controbatto, torno a prestare la mia attenzione al piatto.

Oliver tiene in braccio uno dei bambini più piccoli, mentre mangia. -Allora, qual è il programma di oggi?

Anche questa è una ritualità, creiamo uno schema rigido, ognuno ha i suoi compiti, sa cosa deve fare, quando può riposarsi. Per la maggior parte di noi il vuoto è diventato qualcosa di pericoloso, una routine ben scandita ci da una parvenza di sicurezza. È per questo che ci siamo costruiti un nostro mondo a parte, quello abitato dagli umani non è adatto per tutti noi. Chi è riuscito ad integrarsi è stato accolto a braccia aperte, ma qui ci sono coloro che tra noi non sono mai riusciti in questa impresa. Non ci importa davvero, ci viene concessa abbastanza libertà finché non rompiamo le regole. Possiamo provvedere a noi stessi con allevamento e agricoltura nelle serre. La caccia è consentita solo in alcuni periodi dell'anno e in zone precise, non basterebbe per tutti coloro che vivono qui. Quindi noi quando non siamo a scuola lavoriamo per comprare molti beni di prima necessità in città. Anche se riceviamo un sussidio dalla famiglia Ratri. Non soffriamo la fame, il freddo o la solitudine. In un certo senso è davvero il miglior futuro possibile. Lo sarebbe stato davvero. Eppure c'è sempre un se, nei sorrisi, nelle belle giornate, nelle limpide notti estive, nelle stelle della nostra vita. Ci sarà sempre un se.

-Oggi i più piccoli sono a scuola dalle otto e mezzo alle quattro. Passerà il pullman come tutti i giorni a prenderli e riportarli.- snocciola Ray, che ha imparato a memoria ogni orario, ogni calendario, penso gli dia sicurezza, sapere queste rigide informazioni, è come la parvenza di controllo che ho io quando segno i minuti che lui ci impiega a svegliarsi. Sono solo il nostro modo di far ancora parte di questo mondo, di convivere con demoni molto più spaventosi di quelli reali. -Noi dobbiamo andare alle lezioni dalle nove all'una. Poi Anna e Zack andranno in farmacia, perché stanno finendo gli ansiolitici e per prendere alcuni antidolorifici, che possono tornare utili. Io, Emma, Gilda, Don e Oliver invece torneremo per essere qui quando torneranno i fratelli che vanno alle medie e che torneranno tra le due e mezzo e le tre. Intanto Norman dovrà essere in città per la logopedista e psicoterapeuta di Zazie che è alle tre…

Gli tocco una spalla bloccandolo, Ray sussulta e si irrigidisce. -È alle due.

-Ah.- sento la sua tensione nella voce, rabbia, fastidio, la mente che si blocca e ricomincia a funzionare nel modo sbagliato, mentre gli occhi si muovono agitati -Ho sbagliato. Mi ricordavo male. Doveva essere alle tre. È sempre alle tre. Perché oggi è alle due?

Gli stringo un braccio, mentre Anna si alza e va a prendere la solita tisana. -Va tutto bene, Ray. Ha chiamato durante la settimana e ha anticipato, ricordi? Per questo andiamo direttamente lì e non torno per casa.

-Sì, lo so.- tiene i denti stretti.

Mi chiedo se sia il caso di lasciarlo da solo oggi. Proprio oggi, che non ci saremmo né io né Anna. La ragazza intanto è tornata e gli fa bere il contenuto del bicchiere. Nel frattempo Oliver è stato abbastanza svelto da attirare l'attenzione degli altri su di lui. Parla con Emma e Gilda del pranzo, delle faccende di casa da fare. Tutti i bambini hanno il compito di tenere sistemate le loro camere, la pulizia è a cicli, ognuno si occupa del suo chalet, tranne per la sala da pranzo, quella è compito di noi maggiori. Ray si alza dopo aver finito, è rimasta metà del cibo nel suo piatto, ma nessuno glielo fa notare.

-Dove vai?- gli chiedo con una punta di apprensione di troppo.

Perché lui si gira, mi guarda e ancora c'è solo rabbia dentro di lui. -Al bagno, vuoi venire?

Sbuffo, ma è Emma ad intervenire. -Ray, sii più gentile. Siamo solo preoccupati.- ha il tono morbido, il tono con cui sgrida i fratelli più piccoli e Ray deve notarlo, perché dopo l'imbarazzo e quelli che so essere sensi di colpa, si gira con rigidità.

-Lasciatemi un po' in pace.- non sta urlando, è un sussurro, quasi un lamento, probabilmente solo un banale pensiero divenuto parole, qualcosa che avrebbe voluto tenere dentro, ma non c'è riuscito, non oggi.

Poi esce e io fingo tranquillità. Emma mi lancia uno sguardo, uno di quelli che usa quando prova a ricordarsi di me, ricordare cosa quella ruga sulla fronte significa, o cosa nasconde il meccanismo di quel sorriso. Alle sette i bambini sono tutti nei bagni a prepararsi e noi stiamo lavando i piatti e sistemando la sala da pranzo. L'assenza di Ray si fa sentire, ma nessuno dice davvero nulla. Conosciamo le giornate no. Le abbiamo vissute tutti quanti, quelle in cui alzarsi dal letto è una lunga battaglia, quelle in cui puoi solo piangere e tentare di non affogare nei tuoi stessi respiri. Certe cose non dovrebbero diventare la normalità. Eppure ad un certo punto lo diventano.

Vincent mi si avvicina mentre finisco di asciugare e riporre l'ultimo piatto, in una mano tiene tre pastiglie dall'aspetto innocuo e nell'altra un bicchiere con dell'acqua. -Non le hai ancora prese, Norman.

Sorrido, anche gli altri seguendo il suo esempio hanno iniziato a chiamarmi con il mio nome. -Ti ringrazio.

Le ingoio tutte insieme, hanno smesso di darmi effetti collaterali ormai da un paio d'anni. All'inizio i dosaggi dovevano essere molto più forti, in parte per i sintomi che avevamo cominciato ad avere tutti, un po' per l'inesperienza dei medici. Adesso verso sera mi lasciano un po' intorpidito i primi due giorni, ma le assumo una sola volta alla settimana. Barbara tra noi è quella ad aver reagito peggio, hanno prodotto un farmaco specifico solo per lei, ma raramente ancora ha delle forti crisi. Lei però è ottimista, ha trovato tanti motivi per lasciarsi alle spalle la rabbia di Lambda, a modo nostro lo abbiamo fatto tutti. In realtà so che i viaggi di Vincent, il suo lavoro è tutto puntato a trovare la cura definitiva. Vorrei dirgli di smetterla, Barbara glielo ripete spesso. Ma in fondo è solo un modo diverso che lui ha per fare i conti con un passato che sarà sempre l'ombra del nostro futuro.

-Allora oggi a che ora avete il treno per l'aeroporto?- chiedo, mentre mi dirigo di nuovo in sala per controllare che non ci sia bisogno di me.

Vincent lancia un'occhiata al suo orologio da polso. -Poco dopo l'appuntamento di Zazie. Vi diamo uno strappo lì, ascoltiamo cosa dicono i medici e poi ci dirigiamo in aeroporto.

Annuisco. Zazie sta giocando con alcuni dei bambini, Chris sembra averlo preso in simpatia, anche Jemima sta spesso con lui. A loro è servito poco per diventare suoi amici, capire il suo modo differente di comunicare. Ma la sua vita in questo mondo non sarà semplice, non lo è mai stata, neppure trai demoni. Qui però è diverso, non si tratta più solo di sopravvivenza, e io non posso fare a meno di chiedermi cosa potrà fare o come sarà il suo futuro, probabilmente non quello che facciamo tutti noi altri. Non che a Zazie importi davvero, so che lui è felice così. Siamo al sicuro. Tuttavia alle volte avrei solo voluto altro per lui, per tutti. Anche per Yvette che piange perché i cambiamenti la spaventano o che odia il rumore, Chris che lo sa e non ha più suonato la pentola per svegliarci, per Anna che ha avuto attacchi di panico ripetuti e paralisi del sonno dovuti ad un disturbo di stress post traumatico, che per tornare a dormire ha impiegato mesi di terapia e anni di farmaci mai finiti, per Barbara, Cislo, Vincent che devono essere sempre preoccupati di quelle pasticche che ci permettono di continuare a vivere, per Don che si finge forte, ma poi le sue urla la notte sono sempre le seconde peggiori, e poi c'è Oliver con l'ansia costante che gli ha causato gravi problemi alimentari anni addietro, Sandy e Paula che hanno traumi scavati nella mente, Thoma e Lannion che devono dormire insieme per riuscire a chiudere occhio davvero, che per addormentarsi avevano bisogno che rimanessi lì con loro e promettessi che non era tutto un sogno, che non si sarebbero svegliati di nuovo circondati dai demoni. E Ray. Ray è quello per cui ogni giorno mi alzo e prego, ogni sera prima di addormentarmi lo guardo con la speranza che quella notte, quella sarà la prima notte in cui non mi sveglierà urlando e piangendo, in cui non ripeterà i nomi dei fratellini che ha lasciato morire, in cui non chiederà di sua madre, la notte in cui lo vedrò dormire e alzarsi e sorridermi che è già mattina. Per lui prego chiunque perché smettano di farlo stare così, di odiare se stesso credendo di meritarlo. Prego, ma non c'è nessun maledetto Dio ad ascoltarmi. Nessun Dio a ridarmi indietro Emma, nessun Dio a restituirmi Ray. Ci sono solo demoni e mostri sotto un letto, ombre nell'armadio delle nostre menti. E c'è Ray, che urla e piange e ogni tanto mi chiede di morire. Mi chiede perché sia vivo lui e tutti gli altri no. E io vorrei che vedesse il mondo come lo vedo io, vorrei che capisse che non c'è un perché, che questo mondo era matto fin dall'inizio.

-Norman, smettila di preoccuparti per tutti noi.- mi dice Vincent, mollandomi una sberla dietro la nuca -Noi stiamo bene. Ci hai portato ad una vita meravigliosa. Zazie… lui se la cava, vedi? A lui basta tutto questo. Ha te e ha noi. E per quel che riguarda noi altri, siamo vivi. Certe volte basta. Non è più sopravvivere è vivere. Inizia a farlo anche tu, intesi?

Sorrido. Sopravvivere, è l'unica cosa che sapevamo fare, sembra quasi difficile pensare che ora possiamo semplicemente vivere. -Okay. Sì. Ma e se volesse fare altro? Zazie dico. Non… le psicologhe, tutte quelle che ho visto, hanno parlato di gravi handicap mentali. Ora un po' parla, ma non potrà andare a scuola come tutti gli altri. Non ne è in grado.

Vincent si stringe nelle spalle, anche Cislo si affianca a noi, scuotendo la testa con un sorriso sul volto. -Chissà. Scusate se origliavo, ma dai ascolto a Vincent questa volta, capo… cioè Norman. Ieri Zazie ha detto Vincent per chiamarlo. Ci credi? Io non ci avrei creduto. Ma è successo. Non andrà a scuola come gli altri? Così sia. Farà altro. Si prenderà cura di questi ragazzini e loro si prenderanno cura di lui. Funzionano così le cose con Emma o sbaglio?- Cislo mi fa un mezzo sorriso e non posso non ricambiarlo, anche Vincent tira le labbra nel tentativo di sorridere. -Voglio dire non tutti possono essere dei geni come te che andrai all'università e farai un lavoro importante. O possono avere la memoria di Ray. Che poi anche lui è il punto, no? Con la testa così come farà a fare tutto? Non farà tutto. Nessuno può fare tutto. Ognuno fa secondo le sue possibilità. E noi altri ci siamo per questo.

Vincent annuisce. -Quindi ora smetti di ossessionarti. E vai a vestirti che è quasi ora.

L'autobus passa alle otto e tutti i bambini sono pronti per quell'ora, salgono salutandoci a gran voce, anche i ragazzi che devono andare alle medie si fanno trovare pronti. Impiegheranno una mezz'ora per arrivare, quel pullman ci è stato messo a disposizione dalla famiglia Ratri. La nostra scuola è leggermente più distante, ma la raggiungiamo in dieci minuti di treno. Io, Emma, Ray, Gilda, Don, Anna, Nat, Oliver e il suo gruppo, frequentiamo il liceo nello stesso edificio, degli esami d'ingresso ci hanno smistato nei differenti anni di corso, sono tutti al penultimo anno di studio, eccetto Anna, Nat, che si trovano indietro di due anni, mentre io, Emma e Ray siamo stati ammessi all'ultimo anno. Possiamo prendere parte anche ad alcune lezioni pre-universitarie. Non stiamo sempre insieme, e sono le ore che passiamo separati quelle che mi pesano di più. Emma in classe chiacchiera sempre, spesso è stata ripresa e ci accompagna a tutte le nostre aule per correre solo poi alla propria. È in qualche modo rassicurante averla accanto, mentre fa scivolare un biglietto nella mia direzione, chiedendo se ho voglia di fermarmi alle macchinette con lei, per poi dirmi di passarlo anche a Ray. Certe volte mentre chiacchieriamo lungo i corridoi ci sono voci a seguirci, sussurri di chi vede i marchi sul nostro collo, i segni di un passato indelebile che ancora ci perseguita. Chissà se è per questo che tutti gli adolescenti ci evitano, nei corridoi, non incrociano il nostro sguardo, in classe preferiscono parlare sottovoce lanciandoci rapide occhiate. I più piccoli non hanno questi problemi, spero che per quando saranno più grandi il mondo sarà un po' più pronto di quanto non lo è per noi. Emma si è fatta tanti amici, c'è sempre qualcuno a salutarla e lei sorride raggiante, però è il genere di persona che non sa tenere dentro nulla, che alle occhiate che ci lanciano risponde sempre con un cosa hai da guardare?, che risponde senza timore a chi qualcosa ad alta voce ogni tanto l'ha detta. Emma non è fatta per il silenzio.

Quando la campanella suona la fine delle lezioni, usciamo tutti insieme, ci salutiamo alla stazione dove vengo raggiunto da Vincent, Barbara, Cislo e Zazie. La psicologa non ci dice nulla che già non sapessi, e quando Zazie esce ha imparato una nuova parola famiglia, e allora le cose che ancora possono andare al posto giusto, lo fanno. Il treno di ritorno è pieno e caotico, Zazie si innervosisce e borbotta nella sua strana lingua, lui in realtà è facile da capire per chi ha la volontà di farlo. A casa fa freddo, ma è un freddo familiare, di quelli che dentro il cuore portano calore. Perché Emma sorride al nostro arrivo e poi aspetta chi torna da scuola alle due e mezzo per metterci a tavola, nell'attesa dei più piccoli. Il pranzo della settimana è sempre quello più tranquillo, le voci contenute, le risate sussurrate a bassa voce per non disturbare la quiete di quelle case sole. In ricordo del timore di quel vuoto, non ci allontaniamo mai gli uni dagli altri. In un certo senso l'istinto di non essere mai soli per proteggerci a vicenda, non riesce a sparire.

La sala ricreativa dello chalet tre dove dormiamo io, Ray ed Emma è la più grande, ci rifugiamo lì per quell'ora che ci separa dal ritorno dei più piccoli, che arriveranno e reclameranno ogni attenzione, ogni risata, ogni gioco, ogni grida di quel villaggio che abbiamo costruito per tutti noi. Ray però oggi sparisce di nuovo dopo aver mangiato e mentre tutti gli altri si sistemano sul divano io mi allontano. È solo paura. Paura che rivivrò di nuovo quello che è stato solo due anni fa. Paura che questa volta farò tardi. Ray non capisce. Emma neppure. Anna però sì. Quando sento i suoi colpi di tosse dal bagno il sangue mi si gela, lì dove dovrebbe scorrere c'è solo ghiaccio. Ray è piegato a metà sul water, la porta del cubicolo aperta. Trema. Trema e piange. Ma in un attimo è tutto finito. È a terra ansimante. L'odore acre nell'aria si diffonde rapido e fastidioso. Poi arrivano i singhiozzi, quelli che gli fanno coprire il viso con le braccia, mentre scarico al suo posto e uno scalpiccio di piedi mi raggiunge dal corridoio. È Emma. So che è lei senza voltarmi. Quel ritmo ho imparato a riconoscerlo molti anni fa. Però invece di pensare a lei, a quello che vedrà, a cosa capirà, mi concentro su Ray, che è lì e piagnucola, mi chiede di andare via, di non guardarlo così. Mi accuccio accanto a lui e gli accarezzo il viso, scosto i capelli appiccicati dal sudore, mentre lui si nasconde.

-Ray, va tutto bene. È passata. Sono qui.- gli parlo piano, con un sorriso tirato sul viso, senza smettere di toccarlo.

Lui continua a piangere. -No. Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Mi dispiace. Mi dispiace.

Sembra l'unica cosa che è capace di dire, mentre la parole vengono annegate da singhiozzi bagnati e appiccicosi.

Scuoto la testa e mi abbasso ancora un po', lo spazio è stretto, angusto. -Non è colpa tua.

-Sì, invece.- la sua voce è strozzata, quasi agonizzante -L'ho fatto io. L'ho voluto io.

Rabbrividisco, non sono sicuro di cosa stia parlando, ma non so se voglio davvero saperlo. Forse in fondo la verità è che lo so, ma preferisco non pensarci, non pensare che è arrivato anche a questo. -Ray, andiamo in camera, va bene? Tra poco torneranno gli altri, so che non vuoi che ti trovino qui.- non mi permetto di dire così, perché implicherebbe che c'è qualcosa che non va, perché gli lascerei credere che c'è qualcosa di sbagliato, di rotto dentro di lui.

Ray però scuote la testa e si rannicchia, avvicinando il suo corpo al mio, cercandomi, dietro il velo del pianto, dietro il velo di quella sofferenza che è totalizzante, è una pugnalata nella sua e nella mia anima. -No. Mi dispiace. Non posso.

-Sì, che puoi. Sono qui apposta. Posso portartici io, ma devi aiutarmi.

A quel punto si fa collaborativo. Sapere che sarebbe successo, non è mai come viverlo. Viverlo è un incubo, un incubo che però è la realtà, un incubo che mi stanca, che è sfiancante da vivere e da gestire, che mi fa desiderare di urlare e piangere, ma il mio dolore è nulla rispetto al suo. Rispetto a quell'odio che lo ha spinto ad autoindursi il vomito in quel bagno, lontano da noi. Lo sollevo con una certa fatica e lui nasconde il viso nella mia spalla e si aggrappa a me con le mani, le due dita che si è infilato in gola bagnate, senza smettere di piangere e poi inizia con i nomi, i nomi di chi ha lasciato morire, i nomi di chi non poteva salvare, i nomi di chi era solo un bambino per poter aiutare. I nomi sono la parte peggiore, perché quando inizia con i nomi, finirà con il chiedermi di lasciarlo morire e io finirò per vederlo piangere ancora mentre lo tengo con me abbastanza a lungo perché torni a stare meglio, meglio abbastanza da uscire dalla stanza e sorridere ad Emma. Emma che è lì con gli occhi spalancati. Che mi guarda e mi implora con una sola occhiata di permetterle di aiutare. Di non lasciarla dietro una porta chiusa come gli altri bambini. Eppure è stata lei a chiudersi dietro quella porta. Lei ad essere sparita nel tempo di un battito di cuore. Lei che l'attimo prima c'era e quello seguente aveva lasciato un vuoto incolmabile dove avrebbe dovuto esserci il suo sorriso.

Penso per un attimo che potrei dirle di andarsene, potrei dirle di andare a chiamare Anna e sparire. Ma Anna questa mattina ha preso di nuovo l'ansiolitico, non posso coinvolgerla. -Emma, apri la porta della nostra camera?

Lei rimane interdetta, sorpresa, ma solo per un attimo, poi corre a farlo, e si ferma lì a guardarci mentre entro e con il fiato corto appoggio Ray sul suo materasso. Gli sfilo ciabatte e calzini e lo copro con le coperte, lui afferra una mano con la sua, mentre continua a piangere singhiozzi soffocanti. Mi siedo accanto a lui e premo il mio corpo sopra il suo da sopra, accatezzandolo sul viso, sulla nuca, sulle orecchie e le mani.

Guardo Emma. -Puoi andare a prendere un po' d'acqua? Non… non dire nulla agli altri, chiudi la porta e se Anna chiede ho avuto solo qualche effetto collaterale dei farmaci.

Lei mi fissa di rimando e c'è qualcosa nei suoi occhi che non sono sicuro di conoscere. Sembra paura, ma la Emma con cui ho vissuto tutta la mia vita non ha mai avuto paura, non così. -Vuoi chiudermi fuori ancora?

Scuoto la testa, vorrei urlare che non è il momento, non è il momento per pensare a lei, alle sue ansie, alle sue preoccupazioni, non posso pensare anche a questo, a questo muro di ricordi, questo edificio di silenzi che abbiamo posto tra di noi. Adesso c'è Ray, che è venuto giù di nuovo, con cui dovrò ricominciare da capo, a cui dovrò tenere la testa finché non si addormenterà esausto e sarà tardi nella notte. A cui dovrò consolare lacrime che saranno anche rabbia verso di me. Ma non per colpa sua. Però poi in fondo c'è anche Emma in tutta questa grande equazione, l'abbiamo tagliata fuori quando l'unica cosa che avevamo sempre desiderato era averla dentro, nelle nostre anime, nei nostri sorrisi, nelle nostre vite, in qualsiasi casa avessimo mai trovato arrivando qui. E quando l'abbiamo avuta non è stato nel modo giusto.

Quindi respiro calma dentro ai polmoni per poter gestire anche questo. Mentre Ray cerca il mio calore dentro cui rifugiarsi, prima che arrivi la parte peggiore. -Non ti sto tagliando fuori questa volta. Parleremo di tutto. Di questi anni. Di Ray. Di qualsiasi cosa tu voglia. Ma Ray deve avere la gola che gli brucia per il vomito e sta piangendo. Avrà bisogno di acqua. Quindi per favore, io non posso lasciarlo qui. Tu vai e chiudi la porta e poi torna e parleremo quando dormirà.

Emma annuisce, però invece di uscire, prima si avvicina e lascia un bacio sulla fronte di Ray, gliela accarezza, mentre lui piange e le dice di andare via, che la odia. Lei però gli tira un sorriso. -Ti voglio bene. Così tanto Ray. Non ne hai idea.

A quel punto esce e la porta si chiude con un tonfo sordo dietro di lei. Io mi sistemo sotto le coperte, abbracciandolo, mentre Ray si gira verso di me e si nasconde nel mio petto. Ascolta il battito del mio cuore con una mano vicino alla giugulare e li conta. Ad un certo punto dice mamma. E poi di nuovo tornano i nostri fratelli. Conny, Hao, Sadie, Michelle, Olivia, Robert…

-Non è colpa tua Ray.- gli bacio la fronte, c'è ancora odore acre a diffondersi dal suo fiato.

-Li ho lasciati morire tutti. Mi sono salvato perché loro sono morti.

-Lo so, ma ci siamo salvati anche noi così.

-Ma io lo sapevo. Potevo salvarli.

-No Ray, non potevi.

-Li ho usati. E loro mi volevano bene. Ho guardato Conny partire.

-Non è colpa tua.

-Anche Emma. Ho lasciato che si facesse male. Non l'ho fermata. Sono stato io a dirle di trovare un modo. Sono stato io. Avrei dovuto… mi dispiace. Sono stato io. Perché sono vivo? Lo odio, lo odio, lo odio.

-No, Ray. Ti prego, andrà meglio, okay? Andrà meglio.

-Non lo merito. Non merito di vivere. Dovresti lasciarmi qui anche tu. Lasciarmi come mi hanno lasciato tutti. Mamma, Emma. Dovresti lasciarmi anche tu. Perché io non merito di vivere. Non merito nessuno.

-Non ho alcuna intenzione di dar retta a quello che ti sta dicendo la tua testa in questo momento. Tu non sei così.- sono parole al vento, Ray le sente, le ascolta, ma non ci crede -Perché lo hai fatto nel bagno?

-Perché è quello che merito. Dovrei solo morire. Perché mi costringi a vivere? Non lo voglio, lo capisci?- non ha neanche la forza di urlare, i singhiozzi inghiottono tutto il suo fiato -Lasciami solo morire. Per favore.

Scuoto la testa e lui torna a piangere, mentre gli accarezzo la testa. -Non posso, Ray. Non posso.

Quando Emma arriva lui è in silenzio, gli occhi semi aperti, non è come se non fosse consapevole di lei o di me. Ma la sua mente non sta processando le cose come dovrebbe, e lui ci guarda, ci sente, ma non dice nulla, non ne è capace, non piange neppure più. C'è solo vuoto, un vuoto buio e freddo dove mi odia perché non gli ho permesso di morire neanche questa volta. E io continuo a baciargli la fronte e ad accarezzarlo piano, perché so che è quello che merita. Lo meritava anche prima, prima che i danni fossero troppi, prima di arrivare a stare così. Meritava carezze, baci, amore, abbracci, il calore di una famiglia che non ha mai potuto avere. Lo facciamo bere, non si oppone davvero, anche se forse in fondo avrebbe preferito il bruciore nella gola, ma non gli ho permesso neanche questo. L'orologio ticchetta lo scorrere del tempo, dentro la stanza non si sente nulla, solo tre respiri e un singhiozzo ogni tanto. I bambini bussano, senza entrare. Dicono da oltre la porta che ci vogliono bene. E Ray piange di nuovo e insiste che non lo merita, finché si calma.

È notte fuori dalle finestre, ma dentro era notte da molto prima, quando finalmente Ray si addormenta. Il respiro si fa regolare, poi tempo dopo le palpebre si abbassano, a tentoni, temendo quasi il buio che c'è dietro. I muscoli sono lasciati per ultimi, si rilassano piano, uno dopo l'altro cedono al sonno, mentre continuo a stringerlo. Emma è accucciata a terra, accanto al letto, la testa pesante ma gli occhi ben aperti. Ogni tanto ci guarda, poi torna a fissare altro, persa in non so quali pensieri.

-Dorme?- mi chiede a bassa voce.

Io respiro un bacio sulla tempia di Ray e annuisco. -Dorme.

La vedo torcersi le dita della mano, le une con le altre. -Hai detto che mi avresti spiegato.

Annuisco. -Sì. Cosa vuoi sapere?

-Tutto.- soffia tristezza in un alito come di vento -È… è sempre così?

-La maggior parte delle volte. Quando entra in queste fasi è un po' imprevedibile. Ma era la prima volta che si induceva il vomito.

Emma singhiozza, adesso li sento i rumori del suo pianto, prima c'era Ray a coprire tutto il resto. -Lui… lui se lo è fatto?

Sospiro e lo guardo, il viso arrossato, ma finalmente rilassato, la bocca un po' aperta. -Sì. Non è neanche la parte peggiore. È solo un nuovo fondo che ha toccato.

-E qual è? Qual è stata la parte peggiore?- trema, chissà se vuole sentirlo davvero, ma ho promesso.

Quindi tiro un sospiro, uno di quelli lunghi e lenti, che scandiscono i rapidi battiti di un cuore che ancora ricorda notti di paura. -Un anno dopo che siamo arrivati qui senza di te… ti stavamo cercando. Ray ha provato ad uccidersi. Lo abbiamo trovato io ed Anna. Gli altri non lo hanno mai saputo, è stato lui a chiedermelo quando si è svegliato. Penso… penso avesse toccato il fondo già da un po'. Ma non ce ne siamo accorti. Gli incubi li avevamo tutti, Ray non ha avuto mai attacchi di panico, non era come Anna che aveva cominciato a farsi distante e apatica. Quindi… non so perché non me ne sia accorto. Noi eravamo sempre insieme. Pianificavamo la prossima mossa e lui sembrava sempre così tranquillo, equilibrato, voleva trovarti così tanto. La tua mancanza ci aveva legato e io semplicemente… avrei dovuto guardare. I segni c'erano. Molti di noi sono andati un po' da alcuni psicologi, alcuni ancora prendono ansiolitici e pasticche per dormire, ma non più regolarmente, solo nelle brutte giornate. Ad Anna per un po' hanno dato degli antidepressivi. Lui non ha mai… mostrato nulla. Era più emotivo. Solo questo. E poi lo abbiamo trovato.- quelle scene le ho ancora dietro il buio quando chiudo gli occhi, eppure poi li riapro e lui è qui, tra le mie braccia -Era distrutto quando si è svegliato. Ma non è mai stato per la sua vita. Non gliene importava nulla. Era distrutto perché aveva lasciato che fossimo noi a trovarlo. Forse distrutto perché era vivo. E poi si è sentito in colpa. Perché aveva infranto la promessa che ti aveva fatto. Era così mortificato perché continuava a desiderare di… a desiderarlo anche se c'eri tu. Anche se tu lo avevi salvato una volta e gli avevi chiesto di non farlo.

-Perché?

-Perché è malato, Emma. Perché nostra madre lo ha ferito in un modo che né tu né io possiamo capire. Aveva dei segni profondi nella sua mente. Solo che il bisogno di sopravvivere aveva reso tutto dormiente. È stato lo stesso per tutti. Si chiama stress post traumatico. Quando è arrivato qui come tutti si è rilassato, le ferite si sono fatte sentire. Solo che poi tu eri sparita. E lui era troppo vulnerabile. È arrivato al punto di rottura. Il cervello è un organo, può ammalarsi come qualunque altro e il suo ha un brutto mostro dentro che se lo mangia vivo ogni tanto.

Emma si tira in piedi, tremante e mi guarda. -Ci sono degli psicologi…

Mi alzo anche io senza guardarla, gli occhi bassi. -Non vuole.

-Non vuole, cosa?- sta alzando la voce, mi allontano per non svegliarlo.

-Non vuole che qualcun altro lo veda così. Lui non vuole guarire. Non pensa di meritarlo.

-Beh non mi importa niente. Certo che non pensa di voler guarire, è la sua testa ad essere malata, lo hai detto tu. Trasciniamolo a vedere qualcuno appena riuscirà ad alzarsi dal letto. O portiamolo anche domani, non mi importa. Non possiamo…

Rabbia ribolle dentro di me, rabbia che in realtà è solo stanchezza, tristezza, preoccupazione. -Ma ti senti quando parli? Non è un cavolo di bambino. Non posso obbligarlo.

Emma però mi si avvicina con altrettanto fuoco nei polmoni. -Sì, che puoi. Vuoi aspettare che la prossima volta si ammazzi davvero? Perché finirà per farlo. Lo ha già quasi fatto una volta. Anzi due. Oppure vuoi aspettare che ad ucciderlo sia la sua fame autoimposta? Per quanto ne sappiamo questa cosa del rigettare tutto potrebbe andare avanti da settimane, mesi o anni. Vuoi che muoia?!

-Stai zitta!- urlo e so che Ray si è svegliato, perché ha nascosto il viso sotto le coperte e si è rannicchiato, vorrei andare da lui, ma non ora, non così -Tu non c'eri. Tu non c'eri! Sono io che l'ho quasi perso. Non tu! Tu non ne avevi idea, non avresti saputo nulla. Tu non ci sei stata questi anni, sei stata tu a sparire e a ridurlo così. Quindi non venirmi a fare la predica su come gestisco questa cosa. Perché non sai niente. Avresti potuto dircelo… ma non lo hai fatto. Lo hai lasciato così a sentirsi in colpa. Hai lasciato anche me a sentirmi in colpa. Prenditi le tue maledette responsabilità, sono io a prendermi cura di Ray. Non tu. Tu hai fatto la tua stupida scelta quando hai stretto quella promessa.

Me ne vado. Non piango davanti a lei. Lo faccio più avanti, scese le scale, con le ginocchia che cedono sotto il mio peso e sotto il macigno che ho portato da solo. Di nuovo. Mi dispiace, Emma. Singhiozzo rabbia. Rabbia perché non è colpa di Emma tutto questo. Non è mai stata colpa sua. E la vera ragione di questa rabbia è che non ho nessuno da poter incolpare.

~~~

Note dell'autore: okay come avrete già visto dai warning è stato un capitolo parecchio pesante anche da scrivere. Ovviamente non sono né un medico né uno psicologo, se state vivendo situazioni di disagio fate riferimento a qualcuno di fidato in famiglia o tra gli amici e, se siete nelle condizioni di poterlo fare, recatevi da una figura indicata per la situazione. Spero il capitolo vi sia comunque piaciuto e vi abbia interessato abbastanza de seguire la storia per i successivi. Il prossimo aggiornamento sarà sabato in mattinata probabilmente... Se vorrete recensire la storia, ne sarei davvero contento. Sono ben accetti commenti per far notare eventuali problemi o per esporre vostre opinioni in merito a come ho trattato eventuali tematiche più o meno delicate.

   
 
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