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Autore: Kimando714    27/10/2021    2 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 5 - YOU CAN LOOK BACK, BUT DON'T STARE




 
“Non si chiede il perché quando si parla di amore”[1]

 
Andarsene da Venezia, e soprattutto allontanarsi dall’appartamento, gli stava facendo bene. Aveva bisogno di cambiare aria, cercare di distrarsi il più possibile, mettere una certa distanza tra sé e certi pensieri che ormai lo seguivano da troppi giorni.
Il centro di Ferrara era vivo anche quel pomeriggio, nonostante il rigido freddo invernale e il tempo che minacciava pioggia da un momento all’altro. Il chiacchiericcio e il caldo che si respirava dentro al bar in cui si trovava Pietro, poi, contrastava nettamente con il senso di vuoto e di desolazione che vigeva ormai a casa sua, a Venezia.
Erano passati dieci giorni esatti da quando Alessio si era chiuso alle spalle la porta dell’appartamento – di quello che era stato il loro appartamento, e che d’ora in avanti sarebbe stato solo di Pietro -, lasciando la sua vecchia stanza vuota, spoglia delle sue cose.
Erano dieci giorni che Pietro tornava con il pensiero sempre alla stessa immagine, l’immagine di Alessio che se ne andava tirandosi dietro due valigie ricolme e pesanti, e trascinandosi dietro di sé anche l’ultima ventata di vitalità rimanente in quella casa.
Ed erano dieci giorni, inevitabilmente, che Pietro si sentiva perso. Completamente disorientato, un dolore tenue ma costante che non se ne andava, che cercava di ignorare ma che restava sempre lì, a fargli sentire il respiro pesante e un peso nel petto che cominciava a mal sopportare davvero.
Era come se qualcuno gli avesse strappato un pezzo di carne, lasciandolo incompleto e incapace di continuare la solita vita di sempre.
Prima o poi ci avrebbe fatto l’abitudine – d’altro canto aveva un talento innato per crogiolarsi nel dolore e aspettare che questo diventasse una normale routine tipica della sua vita-, ne era sicuro. Per il momento, però, considerava quegli ultimi dieci giorni come tra i peggiori mai passati negli ultimi anni.
-Allora, come ti sembra vivere in una casa tutta per te?-.
Pietro sbuffò debolmente, non curandosi nemmeno di alzare lo sguardo verso il suo interlocutore. Si limitò a buttar giù l’ennesimo sorso di prosecco, tanto per poter ritardare il momento in cui avrebbe dovuto rispondere.
Quando finì di bere poggiò nuovamente il bicchiere sul tavolo, e lanciò un’occhiata veloce nella direzione di colui che gli era seduto di fronte e che era in attesa di una risposta.
-Alla grande, direi, ho preso in considerazione l’idea di buttarmi giù dal balcone- ironizzò Pietro, rivolgendogli un finto ghigno – Anzi, no, prossimamente mi butterò sotto un treno. Almeno potrei vantarmi di aver fatto la stessa gloriosa fine di Anna Karenina -.
-Davvero la sua morte è stata gloriosa?-.
-Se reputi glorioso suicidarsi per un amore che non ha futuro alcuno e perché la società non ti accetterà mai, allora sì, lo è decisamente molto-.
-Ho sempre detto che dovresti smetterla di leggere certi libri e fare l’intellettualoide. Il tempo dei poeti maledetti e dei bohemien è finito da un po’-.
-Sono sempre più convinto di essere nato nell’epoca sbagliata- replicò Pietro – Cercherò di farmene una ragione: non tutti hanno la fortuna di nascere nel posto giusto al momento giusto-.
Risero entrambi, piano, dopo quell’insolito scambio di battute. Pietro rimase ad osservare per un po’ Alberto: era da un anno circa che non lo vedeva, e anche se impercettibilmente lo vedeva cambiato, allo stesso tempo gli sembrava sempre lo stesso. Era sempre alto e sottile, con quel viso pallido ed allungato incorniciato dai capelli scuri più lunghi del solito. Forse lo vedeva più sorridente: la vita doveva andargli bene, tra la sua nuova ragazza e l’imminente laurea.
Sì, doveva proprio passarsela bene.
Gli faceva piacere rivedere Alberto così sereno, così allegro. Inevitabilmente si sentiva anche un po’ invidioso: Pietro poteva anche essere già laureato alla triennale da un anno, e fidanzato con Giada, ma l’unica cosa a cui riusciva a pensare, incessantemente, era Alessio.
Alessio che se n’era andato, Alessio che ora conviveva con Alice. Alessio che avrebbe voluto dimenticare, ma che inevitabilmente continuava a riempirgli la mente.
-Comunque non hai risposto alla mia domanda- riprese Alberto, lanciando un’occhiata d’intesa a Pietro.
-Ti ho risposto, invece- ribatté lui, abbassando per qualche secondo gli occhi – E poi, anche se non lo avessi fatto, sapresti già la risposta-.
-Te la passi così male?-.
-Tu come ti sentiresti al posto mio?-.
Alberto sorrise appena, amaramente e a tratti malinconico, di fronte a quella che sembrava essere una risposta evidente.
Pietro scostò lo sguardo, sentendosi inevitabilmente a disagio; non gli dispiaceva parlare con Alberto, ma forse non si sentiva ancora del tutto in forma per affrontare un argomento simile. La ferita per l’abbandono di Alessio era ancora aperta e dolente, e la voglia per affrontare una discussione proprio su quello sembrava non essere mai esistita.
-Comunque credo sia meglio così-. Alberto riprese a parlare improvvisamente, costringendo Pietro a tornare a guardarlo con aria interrogativa.
-So che tu potresti non essere d’accordo con me, ma credo sia meglio che tu e Alessio vi prendiate un po’ di tempo in cui vivere separati-.
-Parli come se fossimo una coppia sposata-.
-Se guardiamo solo dal punto di vista del domicilio, beh, lo eravate-.
Pietro buttò fuori l’aria pesantemente, come se avesse appena concluso una maratona. Non poté evitare di lanciare un’occhiata torva a Alberto: si sentiva distrutto, e lui veniva a parlargli di coppia sposata? Per alcuni secondi accarezzò l’idea di abbandonarlo lì, senza nemmeno voltarsi indietro.
Rimase lì, invece, in attesa che Alberto continuasse, e sperando di non doversi pentire di non essersene andato subito:
-Voglio solo dire che, negli ultimi anni, le cose non sono andate troppo bene tra voi due-.
-In realtà non andavano bene solo perché non ha ancora accettato l’idea che io stia con Giada- ribatté Pietro, sommessamente. Era abbastanza sicuro che fosse effettivamente così: negli ultimi due anni, d’altro canto, i loro litigi e le incomprensioni c’erano state solamente quando c’entrava Giada. Per il resto, tutto era sempre andato bene, almeno in apparenza. Come prima che Giada entrasse a far parte delle loro vite.
-In due anni non ha ancora smesso di fartela pagare- annuì Alberto, scuotendo il capo quasi divertito.
Pietro rise a sua volta, piano, il ricordo di mille litigi avuti con Alessio a causa di Giada che, inevitabilmente, gli riaffiorava nella mente:
-Alessio è sempre stato così: se qualcosa non gli va bene, insisterà fino a quando non la avrà vinta-.
Alessio aveva il dono di saper essere ostinato e testardo fino alla morte. Caratteristica che non aveva facilitato affatto le cose, soprattutto da quando aveva saputo di Giada.
Forse era successo quel giorno, forse tutto era cambiato da lì in poi.
E, se le cose fossero andate diversamente, allora forse sarebbe potuta andare meglio. Da quel che ricordava sapeva solo che, così come tutto era proseguito per la testardaggine di Alessio, tutto era cominciato allo stesso modo grazie alla sua ostinazione.


 
Sbuffò sonoramente, lo sguardo che vagava da un angolo all’altro del corridoio, senza alcun risultato. Tra tutti gli studenti che stavano camminando in quello spazio chiuso non riusciva a distinguere Pietro. Come al solito.
Alessio si sistemò meglio la tracolla sulla spalla, cominciando a camminare indispettito verso una meta sconosciuta. Era in pausa, alla lezione dopo mancava ancora una mezz’ora abbondante, e non sapeva dove andare: era troppo spazientito per restare tranquillo in una qualsiasi aula studio a cercare di studiare qualcosa, era troppo innervosito per restarsene in compagnia di Nicola o per cercare Alice, ed era troppo curioso e sospettoso per decidere di mollare l’ennesima ricerca di Pietro proprio in quel momento.
Era da quando era finita la lezione di statistica che l’aveva completamente perso di vista, come capitava regolarmente ormai da un mese e più. Aveva avuto solamente il tempo di vederlo alzarsi dal suo posto, salutarlo velocemente e seguirlo con lo sguardo fino ad oltre la porta dell’aula.
E Pietro era letteralmente sparito. Un’altra volta.
Non aveva nemmeno avuto il tempo di inventarsi una scusa per cercare di trattenerlo, niente di niente: si era dovuto rassegnare nuovamente all’idea di vederlo andarsene come un fuggiasco.
Alessio sbuffò di nuovo, fermandosi per qualche secondo davanti al vetro bagnato di una finestra: pioveva ancora piuttosto forte, e l’idea di sfidare la pioggia per andarsene in giro per il cortile esterno dell’università non lo attraeva per niente. Ma forse fuori di lì avrebbe trovato Pietro, magari intento a fumarsi l’ennesima sigaretta. Era piuttosto improbabile fosse quello il motivo delle sue continue fughe, ma tanto valeva fare un tentativo, per una volta: non aveva mai controllato, in fin dei conti, se quell’idea fosse totalmente fuori dal mondo.
Era strano, Pietro. Un po’ lo era sempre stato, ma mai come in quegli ultimi mesi.
Quando non c’erano lezioni era capace di sparire per ore intere, lasciando Alessio e talvolta anche Nicola a domandarsi dove poteva sparire sempre. E poi tornava sempre, magari con qualche scusa nuova, altre volte con spiegazioni più o meno plausibili, ma sempre con i capelli più arruffati e i vestiti più in disordine di prima di andarsene.
Fargli domande era sempre stato del tutto inutile: per quanto Alessio sapesse dimostrarsi insistente, Pietro riusciva sempre ad eludere qualsiasi suo quesito. Rimaneva sempre sul vago, altre volte riusciva persino a sviare il discorso in maniera esemplare. Ormai doveva aver sviluppato una certa abilità nell’evitare di rispondere a domande a cui, evidentemente, non voleva rispondere affatto.
Erano già un po’ di giorni che Alessio si era messo in testa di scoprire dove andasse a finire ogni volta. Ma le giornate piovose e gelide di gennaio passavano inesorabilmente, e la situazione era ancora statica, sempre al punto di partenza: Pietro scompariva, come se finisse sempre in una qualche stanza sconosciuta a tutti gli altri studenti.
E ad Alessio non rimaneva altro che la delusione e l’ostinazione di scoprire cosa ci fosse sotto quella situazione assurda.
Percorse i metri restanti del corridoio, svoltando l’angolo e proseguendo verso l’uscita sul retro. Restare un po’ fuori, in ogni caso, gli avrebbe fatto bene: aveva bisogno di respirare un po’ d’aria fresca, per riordinare le idee e ritrovare la lucidità per decidere sul da farsi.
Arrivò alla porta d’uscita, e la spinse per aprirla. Rabbrividì non appena una folata di vento lo investì, e si strinse il più possibile nelle spalle per cercare di trattenere quel poco calore che il cappotto riusciva a donargli. La tettoia sopra la sua testa lo riparava almeno dalla pioggia battente, evitandogli di finire completamente bagnato nel giro di pochi secondi. Quella zona del cortile non era mai molto frequentata, e in quella giornata, oltre ad Alessio, lì fuori sembrava non esserci anima viva. Faceva troppo freddo e pioveva troppo forte anche per i fumatori più incalliti ed audaci.
Alessio buttò fuori l’aria, una nuvola di condensa che si formò subito davanti al suo viso e che scomparì dopo pochi attimi; sentiva il gelo pungente pizzicargli la pelle del viso lasciata scoperta dalla sciarpa, i capelli che cominciavano a prendere umidità e a gonfiarsi impercettibilmente.
Si strinse le braccia contro il petto, e si domandò ancora una volta dove diavolo poteva essere finito Pietro. Perché continuava ad andarsene via così? Non sembrava esserci una ragione apparente.
Negli ultimi giorni si era chiesto spesso se dietro tutto quello non ci fosse la fantomatica ragazza con cui si frequentava. In fin dei conti, di lei non si sapeva praticamente nulla, a parte il fatto che usciva con Pietro già da novembre; per il resto, Pietro non aveva mai fatto parola su altro.
Alessio non era mai riuscito a captare un nome, un dettaglio su di lei, un possibile volto da collegare. Poteva anche benissimo non esistere affatto, per quel che ne sapeva.
Eppure era un’ipotesi che non aveva scartato: possibile che Pietro si incontrasse con lei, durante quelle pause? Poteva benissimo essere anche lei una studentessa di quella facoltà, anche se Alessio non riusciva a capire per quale motivo la sua identità dovesse rimanere un segreto così grande.
Forse avrebbe dovuto lasciare perdere, non invischiarsi in affari che, in fin dei conti, non lo riguardavano. Era sicuro che prima o poi Pietro gli avrebbe spiegato tutto – o almeno ci sperava-, anche se rimanere così all’oscuro era una tortura a cui Alessio era stanco di sottoporsi ogni giorno.
Forse avrebbe dovuto semplicemente dargli più tempo – anche se erano passati già diversi mesi, anche se il tempo passava e tutto rimaneva statico come il primo giorno-, dargli fiducia. Fidarsi di lui.
Alla fin fine era piuttosto infantile quel che stava facendo: davvero aveva bisogno di spiare e inseguire Pietro, per capirci qualcosa di quel che stava succedendo? Prima o poi tutto sarebbe stato più chiaro.
Era l’unico pensiero a cui potersi aggrappare per trovare la forza di lasciar perdere.
Fece per tornare dentro, ormai fin troppo infreddolito e prima di cambiare nuovamente idea, quando delle risate in lontananza lo distrassero. Dovevano essere di due persone – probabilmente di una ragazza ed un ragazzo- che si stavano avvicinando sempre di più: le sentiva ogni secondo più vicine, mentre parlavano e ridacchiavano insieme.
Non seppe bene cosa lo convinse a restarsene lì, ma dopo pochi attimi si rese conto di aver fatto la scelta migliore: la voce maschile gli era sembrata famigliare non appena fu abbastanza nitida e vicina.
Cercò di appiattirsi il più possibile contro il muro, non appena scorse le due figure sgusciare fuori dall’angolo dell’edificio, e fermarsi appena sotto il perimetro coperto dalla tettoia.
Sebbene fosse di spalle, Alessio non aveva alcun dubbio sul fatto che quello fosse Pietro. Ne avrebbe riconosciuto la voce anche tra mille, ed ora, nel ritrovarselo praticamente di fronte, non aveva più alcun dubbio che fosse proprio lui.
“E così, alla fine, sei stato tu ad aver trovato me”.
Alessio cercò di scorgere chi fosse la ragazza con Pietro, ma per quanto si sforzasse non riusciva a vederla bene in volto neanche lontanamente: era coperta dal corpo dell’altro, troppo bassa rispetto a Pietro per essere scorta da chiunque fosse dietro alla sua schiena.
La vide passargli le braccia attorno alle spalle, aggrappata a lui e più vicina che mai. Probabilmente avrebbe preferito conoscerla in un qualsiasi altro modo, quella che probabilmente era la ragazza con cui si stava frequentando Pietro; cominciava a sentirsi fin troppo in imbarazzo, nel scorgerli baciarsi e stringersi.
La sentì dire qualcosa, dopo quel bacio che ad Alessio era sembrato durare per dei secondi interminabili, e quasi prese un colpo nel notare che – e ne era quasi sicuro- aveva per certo già sentito quella voce.
Non sarebbe riuscito a ricollegarla a nessun volto famigliare, ma non gli era per niente nuova. Era di qualcuno che aveva già incontrato, che conosceva, anche se non riusciva a ricordare chi fosse.
Cercò di passare in rassegna velocemente quante più ragazze conosceva del loro corso, ma nessuna sembrava essere quella giusta. Non riusciva a farsi venire in mente nessun altro, anche se la convinzione di conoscere quella voce non lo voleva abbandonare.
Restarsene lì, in ogni caso, significava farsi scoprire nel giro di pochi minuti. Immaginava che Pietro e la ragazza non sarebbero rimasti lì fuori ancora a lungo, non in una giornata così gelida e piovosa come quella. Non gli rimaneva altro che cercare di rientrare nel modo più silenzioso possibile, sperando che nessuno dei due si accorgesse proprio in quel momento della sua presenza.
Alessio cercò di girarsi verso la maniglia della porta, restando il più possibile appiccicato al muro e compiendo movimenti lenti e felpati. Non aveva nemmeno il coraggio di girarsi per controllare che nessuno dei due si fosse ancora accorto di nulla: si sentiva troppo in imbarazzo, e troppo in colpa per essersi intromesso così che a malapena riusciva a tenere lo sguardo sulla ragazza e Pietro.
Riuscì ad arrivare con una mano alla maniglia, abbassandola in secondi che gli parvero lunghissimi. Sembrava essere quasi riuscito nel suo intento di rientrare furtivamente, quando la porta, aperta pian piano, si mise a cigolare in un modo che fece gelare il sangue ad Alessio.
Chiuse gli occhi, in un gesto di stizza e timore: ora il coraggio per girarsi era venuto completamente a mancare, sostituito ormai dalla certezza di essersi messo nei guai con le sue stesse mani.
Cercò di immaginarsi, in pochi attimi, lo sguardo che Pietro avrebbe assunto nell’accorgersi che c’era proprio lui lì fuori. Come diavolo avrebbe potuto spiegargli il motivo per cui si trovava lì? Se la sarebbe presa molto? Sicuramente il tutto non sarebbe passato inosservato, e non gli rimaneva altro da fare se non affrontare la realtà.
Alessio si girò di scatto, talmente velocemente che a fatica si accorse che Pietro aveva sciolto l’abbraccio con il quale stringeva la ragazza a sé; era già girato nella sua direzione, come Alessio già si aspettava, il viso che assumeva un’espressione sempre più stupita e preoccupata allo stesso tempo. Sembrava essere lui quello più spaventato tra loro due.
-Oh, Pietro, ti stavo cercando, sai, per chiederti una cosa di ... – Alessio farfugliò le prime parole che gli vennero in mente, una scusa che non reggeva nemmeno lontanamente. Ma si bloccò, le parole morte in gola, quando finalmente posò gli occhi sul volto della ragazza che, finalmente, si ritrovava di fronte.
Rimase in silenzio, ammutolito, gli occhi che si spostavano velocemente dal volto bello e austero della Cavalieri a quello pallido di Pietro.
Sperò che si trattasse di uno scherzo, sperò di aver equivocato tutto, che non fosse come aveva pensato.
Sperò quasi che i suoi occhi lo stessero ingannando, perché se era quella la realtà e la verità che tanto aveva cercato, forse avrebbe preferito non conoscerla affatto.
-Alessio- Pietro lo aveva chiamato con un filo di voce, crucciato e agitato come era stato ben poche volte. Alessio fece un passo indietro, abbassando il volto e muovendolo continuamente in un cenno di diniego.
-Non sarei dovuto venire qui-.
Non fu sicuro che Pietro fosse riuscito davvero a sentire quelle parole appena sussurrate, e non se ne curò nemmeno. Afferrò di nuovo la maniglia della porta, spalancandola per poi richiudersela alle spalle subito dopo. Si incamminò lungo il corridoio talmente in fretta che non riuscì a sentire l’ultimo richiamo di Pietro.
Sentiva solamente il suo respiro pesante, il rumore dei passi frettolosi che rimbombava, e il cuore che continuava a martellargli nel petto.
Era solo una sensazione, la sua, che lo assaliva ad ogni passo: la sensazione che, d’ora in avanti, tra lui e Pietro non sarebbe stato più lo stesso.


 
-Già, sembra sia così- riprese Alberto, scostandosi una ciocca di capelli scura finitagli davanti agli occhi con un gesto veloce ed elegante – Anche se lo trovo esagerato: all’inizio poteva non piacergli Giada perché non la conosceva, ma dopo tutto questo tempo ... Sembra quasi strano-.
-Mi ha già spiegato più volte cosa non gli piace di lei- borbottò Pietro, con poca convinzione. In realtà si trovava perfettamente d’accordo con Alberto: anche lui avrebbe legato ad Alessio e al suo rifiuto categorico verso Giada l’aggettivo strano.
-Ma non ti ha mai convinto fino in fondo-.
Pietro alzò lo sguardo verso Alberto: sembrava che gli avesse appena letto nella mente, o forse, semplicemente, i suoi pensieri sembravano essergli dipinti in viso, fin troppo facili da capire e decifrare.
Pietro sbuffò piano, accarezzandosi con le dita il mento in un gesto di presunta riflessione, che in quel caso gli serviva solo per avere più tempo per rispondere.
Sentiva gli occhi di Alberto continuare a dardeggiare su di sé, ma niente in lui tradiva alcuna impressione di fretta nell’avere una conferma da parte di Pietro. Aveva imparato ad essere paziente: forse erano stati proprio gli incontri tra loro degli ultimi due anni ad insegnarli ad aspettare il momento giusto per avere tutte le risposte che cercava.
-O forse sono solo io che ho sempre sperato ci fosse altro dietro- si decise a parlare finalmente Pietro, evitando accuratamente il contatto visivo con Alberto – Sai, qualche volta mi sono ritrovato a pensare perfino che non gli andasse giù Giada solo per ... Per gelosia. O qualcosa di simile-.
Pietro si torturò le mani, sentendo le gote arrossarsi sempre di più. Si imbarazzava facilmente nell’esprimere ad alta voce quei pensieri che si era sempre tenuto per sé: si sentiva un po’ patetico, uno che vedeva cose che non esistevano solo per autoconvinzione.
Sì, si sentiva decisamente patetico.
-Forse ho solo e sempre sperato che dietro la sua ostilità ci fosse la paura di perdermi. Che anche per lui fosse lo stesso, lo stesso di quello che provo io- continuò, sperando di apparire meno disperato agli occhi di Alberto di come invece doveva sembrare.
Alberto si lasciò andare ad un sorriso amaro, che nulla aveva di spensierato o di divertito. Forse stava provando compassione per lui, pensò Pietro. Forse gli faceva addirittura pena, nel sentirlo parlare così, come non era mai successo.
Pietro si schiarì la gola, ancora a disagio e per niente in pace con se stesso.
La verità era che, in fondo, nemmeno lui credeva che Alessio potesse davvero vederlo come qualcos’altro che non fosse ricollegabile alla loro amicizia. Cercava di convincersene per non rimanere deluso ad ogni loro abbraccio, ad ogni loro contatto fisico o ad ogni frase che poteva fargli sperare qualsiasi cosa da parte di Alessio. Si ripeteva la stessa frase da due anni: “sono cose che ti stai immaginando solo tu”.
Eppure, in alcune situazioni degli ultimi anni, la sensazione che non tutto fosse frutto della sua immaginazione c’era stata eccome. Era come se qualcosa gli sfuggisse in continuazione, come se tutto nel suo insieme risultasse chiaro, ma incompleto.
Era la stessa sensazione che aveva quando aveva una parola sulla punta della lingua, ma che continuava a non ricordare. Lo stesso gli capitava con Alessio, soprattutto da dopo l’aver scoperto di Giada.
Ma continuava a vagare alla cieca, senza capire davvero a che fosse dovuta quella sensazione di non chiarezza e di mancanza. E allora tornava a pensare che fosse tutta una sua impressione, dettata dall’amore frustrante e distruttivo che provava per Alessio.
-Sono un illuso, vero?-.


 
Già prima di girare la chiave nella toppa ed aprire la porta si sarebbe dovuto aspettare quella situazione. Era tutto il giorno che ci pensava, a come sarebbe stato tornare a casa quella sera, e a quanto pareva ci aveva indovinato in pieno.
Per tutto il resto della giornata Alessio non gli aveva rivolto la parola, nemmeno il più fugace degli sguardi. Semplicemente era andato avanti come se Pietro nemmeno esistesse. Posti lontani a lezione, nemmeno un saluto quando Alessio era uscito per andare a prendere il treno per tornarsene a Venezia da solo.
Pietro non aveva cercato di avvicinarsi. Qualche ora gli sarebbe di sicuro servita per abituarsi alla novità, per digerire il pugno che doveva essergli sembrato di aver ricevuto.
E poi, in fin dei conti, qualche ora di solitudine sarebbe servita anche a lui. Doveva abituarsi alla consapevolezza che, inaspettatamente, qualcuno fosse venuto a sapere di lui e Giada nel momento peggiore possibile. Il fatto che quel qualcuno fosse proprio Alessio, poi, rendeva le cose ancor più complicate.
Aveva aspettato almeno un’ora prima di andarsene a sua volta alla stazione di Mestre per prendere il primo treno diretto a Venezia, e in quell’ora restare con Giada, nell’ufficio di lei, non era servito a calmarlo: per quanto lei avesse cercato di rassicurarlo, nonostante avesse detto mille volte che non ci sarebbero stati problemi, lui si sentiva tutt’altro che tranquillo. Paradossalmente non era il fatto che lei fosse un’insegnante e lui uno studente ad agitarlo, quanto il fatto che, ora che anche Alessio sapeva, la loro relazione assumeva contorni più reali. Forse solo in quel momento cominciava a rendersi veramente conto del casino in cui si era immerso fino al collo.
Ora, dopo ore ed ore passate ad immaginarsi gli scenari più terribili, finalmente giungeva il momento della verità; non credeva di essersi mai sentito più ansioso di così, nel tornare al suo appartamento.
Gettò sbrigativamente il cappotto sul divano, prima di dirigersi verso la sua stanza. Si fermò sulla soglia per alcuni secondi, buttando una veloce occhiata alla porta della camera di Alessio, socchiusa e dalla quale si intravedeva la luce accesa.
Doveva averlo sentito entrare, ma nessun saluto era arrivato da parte sua. Ancora una volta aveva fatto finta di nulla, come se in quella casa non ci fosse stato nessun altro.
Pietro sbuffò debolmente, entrando nella sua camera e lasciando a terra la tracolla con un gesto stizzito. Si sedette sul bordo del letto, le mani giunte e la schiena ricurva. Quell’atmosfera tesa che si era respirata non appena entrato in casa se l’aspettava, ma a malapena riusciva a sopportarla. Avrebbe dovuto lasciar stare Alessio ed aspettare una sua mossa? Conoscendolo sapeva che avrebbe anche potuto attendere in eterno senza mai avere una sua reazione, non in quel genere di situazioni. Probabilmente sarebbe stato lui a doversi muovere per primo, anche se ciò avrebbe significato rompere quella finta calma che vi era ancora.
L’idea di doversi alzare da quel letto, uscire dalla sua stanza e dirigersi verso quella di Alessio non lo allettava fino in fondo: gli sembrava di essere un condannato diretto al patibolo. Immaginava già che sarebbe stato tutt’altro che facile, anche se non sapeva quale grado di difficoltà avrebbe potuto raggiungere quella faccenda.
Per quanto avrebbe preferito rimanersene lì in preda a mille dubbi, fece forza sulle gambe, ergendosi in piedi. Qualcosa gli diceva ancora di restarsene lì, di non cercare Alessio, non ancora, ma continuò in ogni caso a muovere dei passi lenti e felpati, come a non voler nemmeno rivelare la sua presenza sempre più vicina alla camera dell’altro attraverso il rumore.
Non ci impiegò molto ad arrivare davanti alla porta socchiusa; gettò un’occhiata all’interno, trovando Alessio seduto alla scrivania e girato di spalle. Immaginava stesse studiando – o perlomeno che ci stesse provando, o che semplicemente stesse facendo finta di farlo-, anche se non poteva dirlo con certezza. Lo sentì sbuffare piano tra sé e sé, la mano destra che sembrava tenere una penna in mano, e con la quale sembrava star scrivendo qualcosa su qualche foglio.
Pietro si schiarì la gola, prima di aprire maggiormente la porta e fermarsi sulla soglia. Alessio apparentemente non reagì a quel segnale della sua presenza: rimase girato, in rigoroso silenzio. Non sembrava minimamente interessato a ciò che gli stava accadendo intorno.
-Ti disturbo?- Pietro tentò di nuovo, in maniera più diretta. Se già l’inizio doveva essere così ostico, non osava immaginare cosa sarebbe potuto succedere da lì in poi.
-Se anche ti dicessi di sì te ne andresti?-.
La voce di Alessio era parsa chiara e fredda, senza farsi attendere troppo nel dargli quella risposta sarcastica e infastidita allo stesso tempo.
-Credo proprio di no, quindi facciamo finta che non stai affatto disturbando-.
Non si era ancora girato, nemmeno per guardare Pietro in faccia per pochi secondi, continuando a scrivere e girare fogli come se nulla fosse.
Pietro incassò il colpo senza sapere che altro dire. Era evidente che c’era qualcosa che non andava – come era prevedibile-, ma non si era nemmeno del tutto aspettato una reazione simile.
-Stai studiando?- si morse il labbro inferiore, deciso a ignorare la provocazione dell’altro e tentare di riportare il dialogo ad una certa serenità.
Alessio non doveva essere dello stesso avviso:
-Fa qualche differenza?-.
-Possiamo parlare civilmente? E in modo serio?- sospirò Pietro, la tensione che già cominciava a farsi sentire anche per lui. Conosceva già la risposta a quella sua domanda: non vi era nessuna premessa positiva in tutto quello, e no, di certo non poteva pensare che il prosieguo sarebbe stato anche solo lontanamente civile e senza tiri mancini. La risposta di Alessio non arrivò, nemmeno dopo vari attimi. Sembrava aver deciso definitivamente di ignorarlo, e a quell’impressione Pietro non riuscì a trattenere uno sbuffo sonoro. Alessio sembrava del tutto intenzionato a rendergli le cose ancor più difficili di quel che già erano.
-Mi vuoi parlare, cazzo?- sbottò stizzito Pietro, alzando la voce e cercando inutilmente di controllare il nervoso. Cominciava già a perdere il controllo, ed erano solo all’inizio.
Alessio si bloccò di colpo, pur restandosene in silenzio anche stavolta. Pietro lo vide posare sulla superficie della scrivania la penna che teneva in mano, i fogli sparsi in disordine finalmente lasciati stare.
Si girò finalmente verso Pietro, lo sguardo duro negli occhi azzurri  e i tratti del viso tesi che lasciavano ben pochi dubbi su come avesse preso la notizia di Giada.
-Sei tu che devi dirmi qualcosa, non il contrario-.
Pietro rimase spiazzato, sbigottito e in completa balia dello sguardo duro e freddo che Alessio gli stava rivolgendo. Riusciva a percepirne tutta la rabbia solo guardandolo in viso, e non riusciva a capire se fosse dovuta al fatto di non avergli detto nulla per mesi di Giada, o se fosse per qualcosa che ancora non era riuscito a capire.
-Posso spiegarti tutto- farfugliò, ben consapevole che a poco sarebbe servito cercare di calmarlo. Lo sbuffo che arrivò da Alessio confermò ciò che già immaginava.
-Evita queste odiose frasi fatte, per favore. Anche perché non credo proprio tu possa spiegarmi tutto, non stavolta-.
Pietro si stupì nel notare l’arroganza con cui Alessio gli si era appena rivolto. Continuava a guardarlo nel peggiore dei modi possibili, fregandosene di essere troppo diretto e tagliente.
A Pietro sembrò per un attimo di essere tornato indietro di quasi tre anni, al loro primo litigio che li aveva portati ad allontanarsi per quasi un anno intero. Rivedeva la stessa aggressività di allora negli occhi di Alessio, e sentiva la stessa rabbia e il medesimo nervoso salirgli in corpo di fronte a quelle frasi sprezzanti che gli erano appena state rivolte.
-Non c’è niente di male in quello che stiamo facendo. E poi te l’avrei detto, al momento giusto-.
Alessio scattò in piedi di colpo, facendo quasi sobbalzare Pietro, che a stento dovette resistere per rimanere immobile ed evitare di indietreggiare. Non si sarebbe aspettato una reazione così improvvisa, non in quel momento e non dopo quelle parole.
-Al momento giusto? Non fate nulla di male?- Alessio era ormai rosso in viso per la foga con cui stava parlando, restandosene a debita distanza da Pietro – Ti senti quando parli, almeno?-.
-Si può sapere qual è il problema?- sbottò nuovamente Pietro, spazientito e infastidito. Non riusciva a capire dove volesse andare a parare Alessio: poteva anche non approvare la sua storia con Giada, ma a che gli serviva portar avanti una discussione del genere?
Alessio gli lanciò un’occhiata talmente fredda che Pietro non riuscì nemmeno a muovere un muscolo.
-Ce ne sono talmente tanti che non so neanche da quale partire-.
Gli si fece un po’ più vicino, un sopracciglio alzato:
-Che ne dici del fatto che vai a letto con una tua prof con quindici anni più di te?- parlò ancora Alessio.
Pietro rimase in silenzio, le mani strette a pugno e le unghie che cominciavano a conficcarsi nella carne. Ricambiò lo sguardo duro di Alessio, colpito nel vivo e tutt’altro che intenzionato ad abbassare la testa. Continuava a non capire cosa potesse renderlo così iroso, e sebbene quella dell’età potesse essere una ragione, Pietro continuava ad aver la sensazione che non stesse dicendo tutta la verità.
-Sono dieci anni. E in ogni caso non mi risulta che sia ancora nostra prof-.
-Credi che questo cambi davvero le cose?-.
-Io non ci vedo nessun problema, davvero!- Pietro aveva cercato inutilmente di abbassare la voce, fallendo miseramente; cominciava ad infervorarsi per davvero, non riuscendo ad evitare di allargare le braccia in un gesto di stizza – Siamo entrambi maggiorenni, consenzienti, e abbastanza grandi per decidere da soli cosa fare-.
Alessio gli lanciò l’ennesimo sguardo di biasimo, una smorfia di disappunto dipinta in viso mentre scuoteva la testa:
-Non ci credi neanche tu- sospirò a fondo, quasi la rabbia fosse improvvisamente evaporata e trasformatasi in esasperazione – Non ne sei nemmeno convinto, ma a questo punto … -.
L’occhiata che gli lanciò stavolta Pietro non la seppe interpretare, ma sapeva già che l’avrebbe tormentato ancora a lungo.
-Sei pur sempre liberissimo di scegliere da chi, come e quanto farti usare come misero divertimento.
-Che stai dicendo?-.
Pietro lo guardò con stanchezza. Arrivati a quel punto riusciva a capire quanto potessero essere vicino al punto di non ritorno.
-Oh avanti, Pietro!- Alessio abbandonò definitivamente qualsiasi parvenza di calma, alzando la voce e muovendo velocemente qualche passo verso di lui, ormai la distanza tra di loro quasi nulla – Credi davvero che gliene importi di te? È una trentenne in carriera che frequenti da quanto, qualche mese? Pensi davvero che se volesse una cosa seria sceglierebbe un ventenne al secondo anno di università, e per di più suo studente? Lo sai anche tu, in fondo, che la cosa non sta in piedi-.
Pietro tacque, accusando il colpo e cercando di non darlo a vedere. Era quello che pensava Alessio, allora? Che lui fosse soltanto un ripiego? Che non fosse degno per essere voluto sul serio da qualcun altro?
Cominciava ad avvertire un groppo in gola che gli impediva di parlare, di urlare quanto avrebbe voluto. Quelle parole, dette da Alessio, facevano ancora più male che se fossero state dette da chiunque altro.
-Quindi secondo te se ne sta solo approfittando?- mormorò, d’un tratto disinteressato a continuare quella discussione. Avrebbe solamente voluto far tacere Alessio ed andarsene di lì il prima possibile.
“Che diresti se sapessi la verità?”.
Gli venne voglia di piangere, ma non l’avrebbe mai fatto, non davanti ad Alessio in quel momento.
“Cosa diresti se sapessi che in realtà sono io che sto usando lei per dimenticare te e me stesso?”.
-Credo solo che non appena si stancherà ti mollerà per qualche suo coetaneo con cui metter su famiglia tra qualche anno- replicò Alessio, non più urlando ma risultando allo stesso modo tagliente – Vuoi che vada avanti o ti basta così?
-Potrei volere anch’io qualcosa di leggero, nulla di serio- mentire su quell’argomento lo metteva sempre in difficoltà, e a stento Pietro riuscì a non farsi prendere dalla rabbia e sputare in faccia ad Alessio la realtà dei fatti – Magari voglio solo distrarmi, divertirmi. D’altro canto ho vent’anni, ho tutto il diritto di farlo-.
“Parli anche se non sai niente di tutto quello che mi sta succedendo”.
-Ti butti via così facilmente solo per distrarti?-.
Stavolta fu Pietro a farsi avanti, forse in modo così minaccioso che intravide, anche solo per qualche secondo, l’ombra del timore adombrare gli occhi azzurri di Alessio.
-Sta attento a cosa dici-.
Si era avvicinato pericolosamente, fregandosene completamente di poterlo spaventare. A quella distanza così ravvicinata riusciva quasi a notare tutte le sfumature delle sue ridi azzurre e rabbiose.
-Non sai un cazzo, e parli lo stesso- gli sibilò addosso Pietro – Non mi butto via affatto, ho deciso io di stare con lei, non mi ha certo costretto. E sono consapevole dei rischi, che tu ci creda o no-.
Sentiva il respiro accelerato, il cuore martellargli in petto ad una velocità incredibile.
-Magari per una buona volta sei tu ad essere dalla parte del torto. Non sei infallibile, proprio per niente-.
Vide Alessio irrigidirsi ancor di più, e per una frazione di secondo gli sembrò quasi di vederlo sbigottito da quelle parole. Era in difficoltà, per la prima volta da quando quel litigio furibondo era iniziato.
Era lui, stavolta, ad essere stato ferito da Pietro.
-Forse no, ma qui non serve essere infallibili per capire come andrà a finire-.
-Se ne sei convinto-.
Pietro si allontanò di qualche passo, ben deciso a frapporre un bel po’ di metri di distanza tra sé ed Alessio. Si sentiva distrutto, completamente distrutto.
-Fammi il favore di tenerti fuori da questa storia, perché non sono affari tuoi, Alessio, non lo sono neanche un po’. Se decido di andare a letto con una mia prof di dieci anni più di me, lo faccio e basta, che ti piaccia o no. Non devo rendere conto a te per questo-.
Era stato doloroso e difficile guardarlo in viso, mentre gli diceva quelle parole. Era doloroso anche solo il pensiero di dirgli di stargli lontano, e pensare di aver tramutato quei pensieri a voce lo faceva sentire ancor peggio.
-Faresti meglio a pensare alla tua relazione, non alla mia-.
Pietro gli voltò le spalle, ben deciso ad andarsene da quella stanza; era già sulla soglia, quando la voce di Alessio lo raggiunse ancora una volta, esasperata e rancorosa come non credeva di averla mai sentita:
-Come vuoi. Come preferisci, davvero. Ma non venirmi a cercare quando ti renderai conto che di lei non puoi fidarti. E non venire a piagnucolare da me quando tutto sarà andato a rotoli- gli disse ancora – Potresti avere chiunque, una persona migliore, eppure … -.
Non concluse la frase, e Pietro preferì ignorarla, fare finta che non avesse detto più nulla dopo quei secondi di pausa.
“Saresti tu quella persona?”.
Si sforzò di non girarsi verso di lui, rimanendo immobile dove si trovava. Non voleva guardare in faccia Alessio ancora un volta, non quando, guardandolo, non avrebbe fatto altro che ricordarsi tutto il dolore che stava provando in quel momento.
-Non lo farò. Anche perché non succederà nulla di tutto quel che credi tu-.
Uscì dalla stanza senza voltarsi indietro, il dolore al petto che si faceva sempre più nitido, e la voglia di buttarsi sul letto, chiudere gli occhi e dimenticarsi della realtà, sempre più necessaria.


 
Pietro si passò una mano sul volto, chiudendo gli occhi per un attimo fugace: certi ricordi riuscivano ancora a ferirlo e a farlo sentire inadeguato e incompreso anche a distanza di due anni, come se fosse un qualcosa appena successo.
Cercò di scacciare dalla mente quelle immagini, riaprendo gli occhi neri e puntandoli verso Alberto, che sembrava ancor più pensieroso di prima.
-Chi lo sa, dalla vita non si può mai sapere- borbottò lui, a mezza voce. Venne interrotto da un sonoro sbuffo di Pietro prima ancora che potesse aggiungere altro:
-Non essere idiota. Lo so bene che ormai non ho alcuna speranza. È ovvio, direi-.
“Perché ormai ci siamo allontanati in un modo che mi pare quasi impossibile da riparare del tutto”.
Non lo disse a voce, però, le parole appena pensate gli morirono in gola.
Alberto si limitò a sospirare, arrendevole: non sembrava intenzionato a contraddire Pietro, almeno non su quel punto, e non dopo aver rischiato di farlo quasi urlare.
-Anche se secondo me non è proprio così inesatto dire che ha paura di perderti. Hai detto che non sembrava troppo entusiasta di andare a convivere con la sua ragazza, no?- proseguì, diplomatico, molto più calmo di quanto non fosse Pietro.
-Potrebbe non esserlo per il semplice fatto che questo è un passo importante. Non perché non voleva abbandonare me- replicò Pietro, scettico. Avrebbe avuto bisogno di un altro bicchiere di alcool, in quel momento.
-Ma un po’ di convinzione ci sarebbe dovuta essere, in ogni caso- insisté Alberto, per nulla intimorito dall’espressione stizzita di Pietro – E invece, che fa? Ti dice che se ne va a vivere altrove giusto poco prima di preparare le valigie per paura della tua reazione, sembra più ad un passo dal buttarsi da una finestra che altro, e dice che è confuso il giorno stesso che se ne deve andare. Tutto molto logico, oserei dire-.
Pietro sbuffò nuovamente, guardandolo in cagnesco: non riusciva a capire se Alberto lo stesse dicendo per reale convinzione o solamente per farlo sentire meno solo e penoso. In un caso o nell’altro, comunque fosse, rischiava di volerlo prendere a pugni sul serio.
-Forse non dovrei raccontarti tutte queste cose. Finisci sempre per sembrare uno psicologo che cerca di analizzare me ed Alessio- sbottò, rendendosi conto di star apparendo ancor più acido, ma decidendo di dire ciò che pensava ugualmente.
-Oh, avanti, a te non sembra insolito?-.
Pietro si passò nuovamente una mano sul viso, conscio di non aver alcuna risposta adatta per controbattere a quella domanda di Alberto. Ma certo che lo trovava insolito, lo era sicuramente, ma poteva esserlo per motivi totalmente diversi da quelli in cui lui sperava e per cui si illudeva inutilmente.
-Se ti dicessi che mi sembra strano finirei solo per illudermi. Di nuovo. E questa è l’ultima cosa che voglio-.
Illudersi. Forse era proprio quello che stava tentando di evitare.
Perché illudersi e cadere a terra sarebbe stato facile, fin troppo semplice; era rialzarsi e cercare di guardare avanti, con la certezza che tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento fosse solo un’utopia, il passo più difficile di tutti.
In fin dei conti, di illusioni ne aveva avute fin troppe, fino a quel momento. E tutte le peggiori, le più difficili da superare, erano tutte inevitabilmente legate ad Alessio.
Non avrebbe saputo dire quale potesse essere la peggiore: ce n’erano state tante, troppe da ricordare.
Forse una delle tante che doveva ancora superare era - quasi ironicamente- l’illusione che, dopo l’entrata di Giada nella sua vita, le cose sarebbero andate meglio.
Che tra lui ed Alessio sarebbe andata meglio.
La realtà era che, invece, per loro due non sembrava potesse esserci pace alcuna.
Quella era stata un’illusione spezzata piuttosto difficile da accettare.


 
Pietro sospirò pesantemente, sistemandosi meglio sul divano e sprofondando tra i cuscini. Aveva rinunciato ad uscire per la tempesta che si stava scatenando fuori, anche se, pur di evitare il clima teso e pesante che si era creato in casa, avrebbe preferito quasi annegarsi o prendersi un malanno sotto la pioggia.
Erano già le dieci di sera, e si sentiva sveglio come non mai. Non poteva nemmeno utilizzare la scusa del sonno per potersi ritirare in camera sua.
Tenendo il telecomando in mano continuava a fare zapping, soffermandosi su ogni canale per non più di dieci secondi; nulla sembrava attirare anche solo minimamente la sua attenzione, nemmeno per mitigare anche solo superficialmente il suo malumore e la noia che provava in quel momento.
Quel lasso di tempo di pace e immobilità durò ancora per poco: pur facendo finta di nulla avvertì chiaramente i passi di Alessio avvicinarsi al salotto, lenti e pesanti. Non sembrava voler nascondere la sua presenza sempre più vicina.
Era passata già una settimana dal loro litigio, e da allora non si erano scambiati nemmeno la minima parola: la mattina avevano preso a far colazione e prendere il treno separatamente, e anche a lezione facevano in modo di incrociarsi il meno possibile. Pietro aveva preso a studiare il più possibile nelle aule studio dell’università, ritardando sempre di più il rientro a casa; anche la sera avevano cominciato a cenare ognuno per conto proprio, in orari del tutto diversi.
Sembravano una coppia di separati in casa, due sconosciuti che erano finiti a vivere insieme senza nemmeno riuscire a spiegarsi il come o il perché.
Cominciava seriamente a detestare quella situazione, ma era altrettanto deciso a non fare il primo passo: era convinto che fosse Alessio a doversi scusare, a dover fare uno sforzo per cercare di riavvicinarsi. E a quel pensiero perdeva qualsiasi speranza di chiarimento: era pronto a scommettere che Alessio sarebbe stato capace di portare avanti quella situazione assurda anche per mesi, piuttosto che passare sopra al suo orgoglio
Nemmeno lui era pronto a cedere, tutt’altro: dopo quello che si erano urlati si era sentito umiliato, ferito come non mai. Sapeva che quel genere di ferite non si sarebbero rimarginate presto e con facilità.
Si era chiesto spesso che sarebbe successo, se in uno degli ultimi giorni avesse deciso di spiegare ad Alessio come stavano realmente le cose. Già si immaginava la sua faccia, nel momento in cui gli avrebbe detto che stava con Giada solo per dimenticare l’amore che provava per lui, che lo faceva sentire così sbagliato.
Di sicuro le cose sarebbe peggiorate ancor di più.
E per quanto avesse cercato di riflettere sul motivo per cui Alessio poteva aver reagito così, non era arrivato alla benché minima risposta. Non gli piaceva Giada? Non la conosceva praticamente per niente. La considerava troppo vecchia? Trovava la sua reazione comunque troppo esagerata. Pensava fosse un’approfittatrice? Quello l’aveva messo nero su bianco, lo aveva detto, ma anche così c’era ancora qualcosa che non lo convinceva affatto.
Pietro aveva quasi preso in considerazione la gelosia, ma aveva accantonato subito quell’ipotesi: per quanto ci sperasse, in un certo senso, non poteva certo essere così.
Alessio un giorno avrebbe anche potuto ricambiarlo, ma quel giorno sarebbe anche potuto non arrivare mai. Stava con Alice, era felice con lei, e Pietro non era altro che un caro amico con cui condivideva l’appartamento. Non sarebbe mai stato diverso da così.
Soprattutto non avrebbe potuto farlo restando all’oscuro del segreto che Pietro si stava tenendo stretto.
-Posso sedermi?-.
Pietro quasi sobbalzò, nell’accorgersi che la voce di Alessio gli era giunta da molto più vicino di quanto si aspettasse. Si voltò verso la sua sinistra, notandolo in piedi accanto a sé, mentre lo guardava con un’espressione indecifrabile dipinta in viso. Non si era minimamente reso conto di poterselo ritrovare così vicino, e men che meno si aspettava che lo avesse raggiunto per parlargli.
Erano le prime parole che si rivolgevano dopo giorni, ed erano parole pronunciate da Alessio.
Pietro si sentì completamente impreparato a quella situazione che si stava creando.
-Fino a prova contraria questo è anche il tuo divano- bofonchiò, schiarendosi la voce per non sembrare troppo rauco.
Vide Alessio annuire, prima di riportare gli occhi alla tv. Alessio gli passò davanti, velocemente, andandosi a sedere a sua volta sul lato libero del divano, troppo piccolo e stretto per permettergli di restare ad una discreta distanza da Pietro. Le braccia e le spalle quasi si sfioravano, anche se nessuno dei due aveva il coraggio per voltarsi verso l’altro.
A Pietro, quella vicinanza, fece strano: erano da giorni che non si ritrovavano nella stessa stanza da soli per più di qualche minuto, figuriamoci a quella distanza misera. Riusciva quasi a sentire il respiro di Alessio, il calore del suo corpo e il profumo che usava sempre. Nonostante la rabbia che provava ancora verso di lui, nonostante il rancore, avrebbe solamente voluto abbracciarlo o essere stretto da lui.
Avrebbe solamente voluto girarsi una volta per tutte, baciarlo, dirgli che Giada non significava niente per lui, che non sarebbe mai stata in grado di sostituirlo.
Si trattenne a stento, cercando di concentrarsi sulla tv, ma le immagini che Rai News 24 stava mandando in onda, riguardanti le dimissioni di Napolitano non riuscivano a distrarlo a sufficienza.
Sentì Alessio sospirare pesantemente, e cercò di non girarsi verso di lui per la curiosità. Era stato lui ad avvicinarsi per primo: ora non poteva nascondere la mano dietro la schiena, non dopo aver lanciato il sasso.
Pietro continuò a fare finta di nulla, e gli attimi seguenti gli parvero infiniti e dilatati, almeno fino a quando non sentì Alessio schiarirsi la voce e parlare piano:
-Non so come dirlo, o da dove cominciare ... -.
Si interruppe di nuovo, e fu in quel lasso di tempo e di silenzio che Pietro si decise finalmente a voltare il capo nella sua direzione. Alessio aveva il viso contratto, e gli occhi abbassati.
-È  che a volte mi sembra che tutto mi sfugga di mano, e quando succede reagisco sempre d’impulso. E nel peggiore dei modi-.
-Nel peggiore dei modi? È un eufemismo- Pietro non riuscì ad evitare di esternare quel pensiero. La verità era che, per quanto tutto quello potesse sembrare assurdo, non si sarebbe mai aspettato di arrivare a quel punto.
Si morse il labbro inferiore, però, indeciso se dire quelle parole fosse stata una buona idea: di certo non era il modo migliore per iniziare quella che si preannunciava come una tutt’altro che semplice chiacchierata con Alessio.
-Anche se ti dicessi che non avrei dovuto dirti così quelle cose, non posso negare di pensarle davvero. Mi dispiace soltanto che sia andata così-.
Pietro si ritrovò ad annuire tra sé e sé:
-E non ti dispiace comunque di avermele dette?-.
-Preferiresti qualcuno che ti mente, dicendoti quel che tu vuoi sentirti dire, piuttosto che dirti ciò che pensa sinceramente?-.
Alessio gli sorrise amaramente, un sorriso che non aveva nulla di allegro o vivace, un sorriso che, anziché illuminargli le iridi chiare, gli rabbuiava il viso. A Pietro non rimase altro che rimanere in silenzio, soppesando il significato di quelle parole pronunciate a mezza voce.
-Se preferisci la prima opzione, sai che non sono io la persona giusta da cui aspettarti qualcosa del genere- riprese Alessio, la voce meno fredda e i lineamenti del viso meno tesi – Se ho detto quel che ho detto è solo perché sono preoccupato per te. Preoccupato a morte. E anche arrabbiato da morire, non lo nego. Sono arrabbiato da morire perché, se non lo avessi scoperto da solo, non me lo avresti detto ancora per chissà quanto tempo-.
-Non te l’ho detto proprio perché immaginavo una tua reazione simile a quella che hai avuto. Ovvero un totale rifiuto- borbottò Pietro, lo sguardo fisso davanti a sé e del tutto intenzionato a non incrociare quello dell’altro subito dopo aver pronunciato quella mezza bugia. Sentiva la rabbia diminuire nettamente, e ciò che lo sorprendeva di più era che, come se non bastasse, cominciava a sentirsi addirittura in colpa per avergli mentito e per ciò che si erano detti.
Si sentì tremendamente patetico, sotto scacco e con una dignità ormai fin troppe volte calpestata da se stesso – e dai suoi desideri- per primo.
-Ho solamente paura che tu possa ricevere l’ennesima delusione. Ho paura che qualcuno ti sfrutti per i suoi comodi per poi abbandonarti subito dopo essersi stufato- Alessio continuò a parlare, e per un secondo a Pietro parve quasi di notare la sua voce spezzarsi – E ho paura che, quando succederà questo, farà troppo male a te, e farà altrettanto male a me-.
Respirò nuovamente a fondo, passandosi una mano sul viso, e spingendo Pietro a tornare a guardarlo. Sembrava essere in preda all’emotività e alla fragilità che Alessio cercava sempre di nascondere a chiunque.
-Farà male per non aver cercato di proteggerti-.
Pietro sentì un lieve sorriso nascergli sulle labbra, quasi inconsciamente; si girò appena dall’altra parte, come a non voler renderlo visibile ad Alessio.
-Non ho bisogno che qualcuno mi protegga, cerca di stare tranquillo. Abbi solo un po’ di fiducia-.
-Non è questione di non aver fiducia in te-.
-A me importa solo che tu voglia il mio bene, accettando anche le mie scelte. Chiedo forse troppo?-.
Pietro tornò con gli occhi al viso di Alessio, in attesa. Percepiva tutta la difficoltà in cui lo aveva messo nel porgli quella domanda, glielo leggeva in ogni gesto ed in ogni particolare del volto: la distingueva nel mascella contratta, nelle rughe che si erano formate sulla fronte crucciata, anche nell’azzurro cupo delle iridi.
Nonostante Alessio tentennasse e fosse ancora in silenzio, Pietro era sicuro di conoscere già la risposta che attendeva.
La risposta più sincera che stava cercando da Alessio.
-Forse sì- disse infine – Non posso prometterti che lascerò perdere. Non posso farti una promessa che non sono sicuro di poter mantenere-.


 
C’erano state promesse che aveva chiesto ad Alessio di mantenere, e che, inevitabilmente, non erano state mantenute. Alessio non si era mai nascosto dietro a nessuna giustificazione, almeno: sapeva di non essere riuscito a mantenere la parola, e Pietro sapeva che, ancora adesso, si portava dietro i segni di quelle colpe.
-E tu, invece, quando ti deciderai ad andare avanti con la tua vita?-  mormorò Alberto dopo diversi minuti di silenzio, durante i quali aveva fermato un cameriere per farsi portare un bicchiere d’acqua – Ora che Alessio se ne è andato, e che quindi lo vedrai molto meno, potrebbe essere il momento giusto per superare la sua ombra e guardare avanti-.
-Non credere sia facile- replicò Pietro, consapevole di star giocando una partita già persa in partenza – Non posso dimenticarlo così, con uno schiocco di dita-.
-Vero, ma non puoi nemmeno fossilizzarti così. Non puoi più permettertelo-.
Alberto lo guardò con durezza, con una severità che Pietro gli aveva visto ben poche volte negli occhi. Era sempre stato apprensivo quando si andava a toccare quell’argomento: forse aveva davvero paura che facesse la stessa fine di Anna Karenina, pensò Pietro con ironia ed amarezza allo stesso tempo. D’altro canto, anche lei, come lui, si era ritrovata divisa tra l’agiatezza e la normalità che poteva darle il marito, e la passione irrefrenabile e desiderio proibito che provava per Aleksej Vronskij.
“Piuttosto ironico che in ogni disgrazia simile ci sia sempre di mezzo un Alessio”.
-Sai, sono passati due anni, eppure siamo ancora qui, a parlare delle stesse cose- continuò Alberto, la stessa severità negli occhi e anche nella voce – Continuo  a chiedermi quando smetterai di guardare al passato, quando prenderai in considerazione di dire la verità almeno a Giada, e forse anche ad Alessio. Dovresti davvero farlo-.
Pietro continuò a tacere, forse troppo consapevole che Alberto avesse ragione per potergli muovere qualche critica.
-Non puoi continuare a vivere dietro ad una maschera, a fingere di essere un altro che non sei-.
Pietro sospirò di nuovo, torturandosi nuovamente le mani e prendendo tempo. Non avrebbe saputo che dire a Alberto: forse lui stesso si vergognava della sua vigliaccheria, della sua incapacità di ammettere ciò che era e ciò che provava. Gli sembrava tutto troppo grande per lui, troppo difficile da affrontare davvero.
-Una volta avevi detto che avrei potuto scegliere se continuare a fingere o se uscire allo scoperto- Pietro abbassò lo sguardo, rimanendo immobile con le mani giunte sopra al tavolino – Forse ho preso una decisione, anche se tu non la accetti-.
La memoria andò indietro di due anni, all’inverno del 2015: rivedeva se stesso e Alberto seduti ad un tavolino di un bar a Piano Veneto, a parlare delle stesse cose di cui stavano discutendo in quel momento.
Forse aveva ragione Alberto, di nuovo, definitivamente. Era come se Pietro avesse continuato a guardarsi indietro, per tutto quel tempo, dimenticandosi di avanzare; era rimasto fisso a quell’attimo, e nulla, a parte loro seduti ad un anonimo tavolo di un qualsiasi bar, sembrava essere cambiato davvero nella sostanza.
-La tua sembra più una costrizione che ti sei auto imposto, più che una scelta- sentì la voce di Alberto giungergli a mezza voce, come se avesse preferito abbandonare la furia severa e apprensiva che aveva avuto fino ad un minuto prima – Guardati: sei già distrutto ora. Che ne sarà di te quando saranno passati altri due anni? Se fosse una scelta consapevole, perlomeno, la vivresti con più serenità. Mentiresti comunque, certo, ma almeno non sprofonderesti ogni volta che pensi a Giada o ad Alessio-.
-Forse non sono ancora pronto- Pietro cominciò ad agitarsi, gesticolando febbrilmente e non sapendo che altro dire in sua difesa – Forse non sono pronto a fare coming out, forse non sono pronto a dichiararmi ad Alessio, forse non sono nemmeno pronto a lasciare Giada-.
-Di nuovo preferisci non prendere una decisione-.
Pietro sbuffò sonoramente, passandosi di nuovo le mani sul viso, e trattenendosi dall’alzarsi ed andarsene.
Alberto non sapeva come ci si sentiva, non sapeva cosa volesse dire passare quel che stava passando lui da un tempo che sembrava infinito. Per quanto potesse comprendere, non poteva davvero capire cosa volesse dire vivere così. Che ne sapeva lui di cosa significava prendere una decisione simile? Non era lui a doversi esporre così, senza alcuna garanzia.
Non era lui a dover prendere una decisione simile, con un rischio così grande nel caso la via scelta fosse quella che gli avrebbe fatto perdere tutto.
-Un giorno la prenderò. Quando avrò il coraggio necessario per farlo-.
A Alberto sembrò finalmente bastare quella risposta: si limitò ad annuire lentamente, con una lentezza tale che a Pietro parve quasi di essersi solo immaginato il suo gesto. Forse gli erano bastate quelle parole, ma non ne era convinto fino in fondo, Pietro ne era sicuro. Riusciva a leggergli la delusione negli occhi, nei tratti tesi del viso spigoloso.
Passarono alcuni minuti prima che Alberto aprisse bocca di nuovo, prima di richiuderla subito. Provò a parlare ancora una volta, prima di dire finalmente ciò che gli premeva di più:
-L’unico problema è che temo che quel giorno potrebbe arrivare troppo tardi-.
Pietro non disse nulla, silenzioso ed immobile come era stato fino a quel momento.
Capiva bene quel timore di Alberto. Lo capiva bene perché era anche una delle sue paure più grandi. Temeva che potesse diventare realtà ancor prima di poter anche solo prendere in considerazione l’idea di agire.
Temeva che, una volta smesso di rimanere attaccato al passato, sarebbe stato troppo tardi per cercare di avere un futuro migliore.


 
Piano Veneto non sembrava essere cambiata molto dall’ultima volta in cui c’era stato. Non ricordava quanto tempo fosse passato, potevano essere poche settimane come qualche mese.
Alberto aveva insistito parecchio per trovarsi proprio lì, al solito bar del paese – “Come quando eravamo al liceo!” gli aveva detto, tanto per convincerlo a presentarsi-, lo stesso bar dove nell’estate di due anni prima aveva rivisto Alessio dopo mesi di silenzio. Lo stesso bar dove avevano ricominciato a riallacciare i rapporti, dove lo aveva sentito cantare svariate volte, dove tutto sembrava essere ricominciato una seconda volta tra loro due.
Ora, invece, a quel tavolino, non c’era Alessio di fronte a lui: il viso magro e allungato di Alberto non gli ricordava per niente i tratti morbidi e maturi di Alessio.
Anche Alberto, d’altro canto, non sembrava molto cambiato. Forse ancora più sbarazzino del solito – di quando erano al liceo, come avrebbe detto Alberto stesso-, l’aria rilassata che Pietro gli stava invidiando profondamente. L’atmosfera universitaria sembrava avergli giovato in tutto e per tutto.
-All’università come va?- chiese Pietro, dopo aver buttato giù un sorso di caffè bollente. Faceva freddo anche all’interno del Babylon, e d’altro canto sarebbe stato difficile trovare qualche ambiente abbastanza caldo in quel periodo dell’anno, a metà novembre.
-Quando non sono in giro per la città posso anche permettermi di studiare e passare gli esami- rise Alberto, un sorriso astuto disegnato sulle labbra – E tu, veneziano d’adozione, hai passato almeno un esame in più di due anni?-.
-Li ho passati tutti, malfidente che non sei altro- sorrise a sua volta Pietro, per una volta divertito per davvero.
-Mi stai dicendo che il prossimo anno potresti anche laurearti? Santo cielo, allora l’apocalisse deve essere proprio vicino-.
-Ripeto: sei malfidente. Molto malfidente-.
Era sempre così, tra di loro: nonostante fossero mesi che non si vedevano, tutto rimaneva lo stesso, come quando ai tempi del Virgilio si vedevano ogni giorno in classe. C’era la stessa confidenza, lo stesso affetto malcelato di sempre: era una delle poche sicurezze che riuscivano ancora a rincuorare Pietro.
Gli aveva fatto piacere poter rivedere Alberto per il suo compleanno; in un certo qual senso, andarsene da Venezia per qualche giorno e rivedere un amico con cui non parlava da tempo gli stava facendo bene. Sentiva il bisogno fisico e morale di parlare con qualcuno al di fuori della stessa cerchia di persone che vedeva sempre a Venezia.
E, soprattutto, aveva bisogno di parlare con qualcuno che non fosse Alessio.
-Con Giada come va?- gli chiese nuovamente Alberto, che per festeggiare i suoi ventun anni si era tolto lo sfizio di ordinare uno spritz.
-Va. Tra poco è un anno che stiamo ufficialmente insieme-.
Pietro buttò giù quel che rimaneva del suo caffè, rischiando di bruciarsi la lingua e la gola.
-Un bel traguardo, direi. E Alessio la tiene sempre a distanza o comincia a trovarla più simpatica?- continuò Alberto, d’un tratto più serio. Pietro si morse il labbro inferiore, tutt’altro che contento della direzione che stava prendendo quel discorso: a tratti cominciava a pentirsi di aver parlato a Alberto di quella situazione assurda già diversi mesi prima. A quanto pareva, con suo sommo rammarico, era destinato a parlare di Alessio in ogni occasione possibile.
-Né l’una né l’altra, semplicemente cerca di dimostrarle quanto non la sopporta ad ogni occasione che gli si presenta-.
Pietro sperò che il discorso fosse morto lì. Evitò lo sguardo di Alberto, concentrandosi su ciò che la tv affissa alla parete di fronte a lui stava mandando in onda: le immagini di terrore che arrivavano da Parigi, dopo gli attacchi terroristici di qualche giorno prima, gli fecero gelare per un attimo il sangue nelle vene.
-E tu continui a non prendere posizione, immagino-.
Quella di Alberto non era stata una domanda; era un’affermazione qualsiasi, come se stesse descrivendo un fatto oggettivo che stava avvenendo sotto i suoi occhi. Non c’era nulla di dubbioso, nelle sue parole: era come un principio matematico: era così e basta.
Pietro prese un respiro profondo, prima di parlare; non aveva voglia di mettersi a litigare con Alberto, non in uno dei rari incontri che avevano durante l’anno.
-Cosa dovrei fare? Mollare Giada così finalmente Alessio la smetterà?- sbottò stizzito, già esasperato.
-No, semplicemente dovresti dirgli di avere più rispetto. Sei suo amico, dovrebbe comportarsi bene con la tua ragazza già solo per questo. Almeno in sua presenza- replicò Alberto, come se fosse un’ovvietà.
Pietro sospirò di nuovo, sconsolato: la faceva facile, lui. Alberto non viveva nella sua stessa situazione, non rischiava di perdere la persona che amava da un momento all’altro. Non avrebbe potuto capire, già lo sapeva.
Quella consapevolezza cominciava a stargli stretta, a mandarlo in crisi più di quanto non avrebbe voluto.
-Non ci riesco-.
A Pietro uscirono così, quelle parole, in maniera del tutto istintiva. Per un attimo aveva creduto di aver solo immaginato di averle pronunciate; poteva averle dette solamente nella sua testa, tra sé e sé, anziché averle dette ad alta voce e imboccare una via che sembrava sempre più senza ritorno alcuno.
Non sapeva bene dove si stesse cacciando o fino a che punto sarebbe arrivato, ma non aggiunse altro e non si corresse. Forse era solo la stanchezza per tutti quei segreti che si portava dietro, a renderlo così coraggioso e imprudente allo stesso tempo.
Alberto continuava a guardarlo fisso, lo sguardo confuso come se non avesse capito nulla di quel che Pietro aveva appena detto:
-A far cosa?-.
Pietro rimase a fissare ancora lo schermo della tv, apparentemente inespressivo, ma completamente infuocato dentro di sé. Per la prima volta si ritrovava di fronte ad una scelta, in bilico tra due possibilità completamente diverse; non aveva nemmeno mai contemplato l’idea di potersi confessare con qualcuno, tantomeno con Alberto, eppure quell’occasione gli si era appena presentata davanti, in tutto il terrore e il senso di liberazione che gli stava portando.
Non si era mai immaginato fino a quel momento un bivio del genere: poteva parlare sinceramente con qualcuno, per la prima volta in più di un anno passato a tenersi tutto dentro, oppure poteva continuare a fingere, a mentire a chiunque. A cercare di scappare dalla realtà, a non trovare il coraggio nemmeno per ammettere ciò che pensava davvero.
Gli occhi scuri di Alberto dardeggiavano ancora in attesa su di lui, lucidi e pieni di curiosità. Davanti a quegli occhi Pietro sentì quasi un senso di vertigine, come poco prima di una caduta in un burrone.
Stava letteralmente saltando nel vuoto, e nonostante la paura, sapeva già che si sarebbe buttato una volta per tutte.
-A difendere Giada, a dire ad Alessio che dovrebbe smetterla. Non ce la faccio-.
-Ma che vuol dire?-  replicò Alberto, stringendo le labbra e con un’espressione alquanto confusa dipinta in viso – Dì ad Alessio di chiudere il becco, semplicemente-.
A Pietro venne da ridere, una risata sommessa ed amara che contribuì a disorientare ancor di più Alberto. E Pietro continuava a ridere e a scuotere piano la testa, come se avesse appena ascoltato una battuta divertente e sardonica. Gli ci volle qualche attimo per riprendere serietà e tornare con lo sguardo oltre le spalle di Alberto, come se stesse parlando ad un’altra persona presente lì con loro:
-La verità è che non mi interessa molto se insulta Giada. Non voglio difendere lei e mandare a quel paese Alessio. Non voglio-.
-Ma perché? Davvero, non riesco a capirti- sbottò infine Alberto, frustrato. Era evidente che non riuscisse a comprendere fino in fondo ciò che Pietro stava cercando di fargli capire.
-Perché se mi chiedessero di scegliere, tra Giada ed Alessio, io ... -.
“Se lo dico ora, non potrò più tornare indietro”.
-Io sceglierei Alessio. Sceglierei Alessio sempre. Anche se al posto di Giada ci fosse chiunque altro ... Sarebbe sempre lui che vorrei-.
Pietro non si rese nemmeno bene conto di averlo detto sul serio e ad alta voce. L’aveva detto così velocemente che aveva rischiato di farfugliare, di mangiarsi le parole e risultare incomprensibile.
Ma alla fine l’aveva detto. L’aveva detto, per la prima volta in tanti mesi, l’aveva detto a qualcuno.
La sensazione di liberazione e di sollievo che sentì nascere si mischiò subito al terrore di ciò che sarebbe potuto succedere da lì in poi.
Giocava a carte scoperte, ora. Non c’era più via di ritorno.
-Credo di non aver capito bene- borbottò Alberto, dopo interminabili attimi di silenzio teso. A Pietro bastò guardarlo in viso per un secondo per capire che, invece, aveva capito benissimo: aveva lo stesso sguardo stralunato e stupito di chi sa di aver capito bene qualcosa, ma che non riesce ad ammettere la veridicità dei fatti.
-Io invece credo che tu abbia capito benissimo. In fin dei conti non c’è molto da capire-.
Pietro si sforzò di non aggiungere altro, di lasciare il tempo necessario a Alberto per rendersi conto bene della notizia e di ciò che gli aveva appena rivelato. Si morse il labbro inferiore, pur di tacere: l’attesa di una qualsiasi reazione da parte dell’altro si stava rivelando snervante, dolorosa perfino fisicamente.
Voleva sapere cosa stava pensando, cosa ne pensava, e allo stesso tempo, forse, non voleva saperlo affatto. Si era esposto enormemente, ed ora temeva di cadere rovinosamente a terra. Forse ne sarebbe uscito ferito peggio di quanto aveva creduto.
Alberto aveva abbassato lo sguardo, e a Pietro sembrò che fosse perso in mille pensieri. Aveva la stessa espressione concentrata e confusa di quando, a scuola, gli si presentava davanti agli occhi uno strano esercizio di matematica.
Passarono almeno due minuti prima che Alberto si decidesse ad alzare nuovamente il capo, rivolgendosi a Pietro in quello che era poco più che un sussurro:
-Da quanto?-.
Pietro respirò pesantemente, scostandosi una ciocca di capelli scuri dalla fronte in un gesto che tradiva il suo nervosismo.
-Non lo so di preciso. Lo so da più di un anno, ma non so quando è cominciato tutto. Può essere dal primo minuto in cui l’ho visto, come da due anni solamente, non saprei. Me ne sono reso conto e basta-.
Alberto annuì, ancora pensieroso e a tratti preoccupato:
-Ma ne sei sicuro?-.
-Direi che il tempo per pensarci non mi è mancato- replicò Pietro, ironico e a tratti divertito. Guardare Alberto con quell’espressione lo faceva quasi ridere: era comico a tratti, da quanto la sua espressione sembrava marcata.
-Sì, ma ... Tu e Alessio? O meglio, tu innamorato di Alessio? Sul serio?- Alberto si sporse d’un tratto verso di lui, iniziando a gesticolare freneticamente ed in un modo che lasciò Pietro alquanto disorientato – Insomma, mi sembrava di aver capito aveste un certo feeling, ma non pensavo fino a questo punto. Soprattutto perché non riesco ad immaginarti con un uomo. Che poi, pensi di essere gay? Ti piace un ragazzo, è vero, ma potresti essere bisessuale o pansessuale, o forse è solo un caso e sei comunque etero-.
-Alberto- Pietro cercò di interrompere quello sproloquio prima che fosse troppo tardi, già mezzo stordito da tutte quelle parole che Alberto aveva pronunciato fin troppo velocemente – La vedo ardua per un uomo etero innamorarsi di un altro uomo, anche fosse solo una volta nella vita. E non lo so se sono bisessuale o gay o pan, non mi sono mai innamorato di un altro uomo, ma allo stesso tempo non ho mai avuto relazioni particolarmente soddisfacenti con le ragazze che ho avuto. Non so se sono gay. Probabilmente con il tempo lo capirò meglio-.
Si era detto e ridetto quel discorso nella sua testa talmente tante volte che ormai lo sapeva a memoria. Aveva cercato di essere il più sincero e spontaneo possibile, e c’era riuscito.
-E Giada? Stai con lei, nonostante tutto. E fino a prova contraria, lei è una donna- puntualizzò Alberto, senza però alcuna dose autoritaria o derisoria. Sembrava sinceramente confuso, più che scandalizzato, e Pietro si sentì in ogni caso piuttosto sollevato nel poterlo constatare.
-La verità è che sto con lei solamente per cercare di non pensare ad Alessio. E perché … -.
Esitò per qualche secondo, prima di parlare:
-Non me la sento di provarci con dei ragazzi. Non ho la benché minima esperienza, non saprei neanche da dove iniziare- spiegò Pietro, consapevole di essere arrossito nel parlare di quell’argomento – E poi forse non voglio davvero sapere se sono gay. In questo momento ho una confusione in testa ed una paura che non ti immagini neanche-.
-Però sei sicuro di quel che provi per Alessio- concluse Alberto, in un’affermazione che sembrava comunque in cerca di una conferma. Era ancora dubbioso ed incerto, Pietro lo percepiva: non era ancora convinto, forse pensava addirittura che fosse tutto uno scherzo.
Sentì un nodo alla gola impedirgli di parlare, e dovette deglutire più di una volta prima di cercare di articolare una qualche parola. Ora cominciava a sentirsi più spaventato che altro, più giudicato.
Sarebbe sempre stato così, una volta rivelato il suo orientamento, i suoi sentimenti?
C’era davvero qualcosa di sbagliato in lui e in ciò che provava per Alessio?
-Se fossi nei miei panni e sapessi come me la passo tutte le ore in cui siamo a casa insieme e da soli, non avresti dubbi nemmeno tu-.
Alberto sembrò soppesare quelle parole, rimanendosene in silenzio. Anche Pietro non disse altro: cominciava a sentirsi in imbarazzo, a non essere capito. Non pretendeva che Alberto condividesse ciò che pensava: gli sarebbe bastata un po’ di comprensione, di compassione tra amici.
Gli serviva solamente qualcuno con cui parlarne, con cui sfogarsi una volta per tutte. Non si aspettava altro, se non un po’ di empatia.
Abbassò il capo, sentendo lo sguardo di Alberto insistentemente su di sé: probabilmente era indeciso se dirgli qualcosa o se rimanere in silenzio, continuando a fissarlo in quella maniera un po’ inquietante. Solo quando quella sensazione si fece davvero fastidiosa Pietro alzò gli occhi, facendo un cenno a Alberto: a quel punto, se voleva dire qualcosa, tanto valeva dirla e farla finita lì.
-Ti ecciti pensando a lui e ti fai certi pensieri su voi due insieme?-.
Pietro quasi si strozzò con la sua stessa saliva, guardando in cagnesco Alberto, che, invece, sembrava realmente curioso dalla sua eventuale risposta.
 -Ma che razza di domande mi fai?- sibilò, le gote letteralmente infuocate e improvvisamente accaldato.
-Questo è il primo passo per capire se qualcuno ti piace. Anche solo fisicamente- spiegò tranquillamente Alberto, come se fosse una ovvietà. Sembrava molto più a suo agio di prima, come se fosse riuscito a digerire la notizia almeno già in parte. Pietro, inevitabilmente, si ritrovò ad arrossire ancora di più, profondamente in imbarazzo e con la volontà di volersi sotterrare il prima possibile.
-Dalla tua faccia devo dedurre che la risposta alla mia domanda è sì?- proseguì Alberto, trattenendosi a stento dal ridere.
-È  ovvio che faccio certi pensieri- borbottò Pietro, a denti stretti e cercando di non far trapelare troppo il disagio in cui si trovava – Non che mi senta a mio agio ad ammetterlo-.
-Non è che sia solo attrazione fisica? È bello, magari ti affascina il proibito, o forse vuoi provare inconsciamente qualcosa di nuovo-.
Pietro rimase in silenzio, riflettendo. Riusciva a capire il punto di vista di Alberto, lo capiva eccome: per Alessio aveva provato attrazione fisica sin da subito, lo ricordava bene. Lo trovava attraente, particolare e unico nei suoi difetti, bello a suo modo. Non poteva certo negarlo: era la verità, gli piaceva da quel punto di vista, ma era solo uno dei tanti punti di vista da cui poteva guardarlo e da cui poteva rendersi conto che gli piaceva.
Non c’era solo quello, e non era nemmeno la cosa fondamentale.
Riusciva a rendersi conto che, se pensava ad Alessio, la bellezza non era la prima cosa che gli veniva in mente.
E, anche si fosse trattato unicamente di attrazione fisica, ciò non avrebbe comunque  fatto di lui un uomo  eterosessuale. Su quello, ormai, volente o meno, doveva metterci definitivamente una pietra sopra.
-È  bello, sì, ma quando lo guardo non vedo quell’aspetto di Alessio- Pietro iniziò a torturarsi le mani, mentre cercava di trovare le parole adatte e mentre percepiva Alberto osservarlo, in attesa – Vedo l’Alessio che riesce a rendere migliori le mie giornate anche con un solo gesto, vedo l’Alessio pigro che non si alzerebbe dal letto la mattina nemmeno con le cannonate. Vedo l’Alessio che si farebbe in quattro per coloro a cui tiene, e l’Alessio che non sta zitto se deve criticare qualcuno o se non è d’accordo su qualcosa, anche a costo di sembrare sempre polemico e incontentabile. Vedo l’Alessio ostinato e testardo che non rinuncia ai suoi obiettivi nemmeno quando ormai sembra impossibile andare avanti-.
Si fermò per qualche attimo, immagini che gli tornavano in mente da un passato che non sarebbe riuscito a collocare temporalmente, non in quel momento. Rivedeva nella sua testa ogni singolo abbraccio, ogni singolo gesto e carezza che c’era stata con Alessio. Riportò alla mente le parole peggiori che si erano urlati in faccia, così come le parole d’incoraggiamento e d’affetto malcelato che si erano lasciati sfuggire quasi involontariamente.
Rivide le lacrime rigare il viso di Alessio, e lo sguardo duro ed ostinato che a volte gli aveva rivolto.
Non si trattenne, quando sentì nascere spontaneamente un sorriso appena accennato sulle labbra.
-È ovvio che mi piace fisicamente, ma è ancora più bello tutto quello che mi trasmette con i gesti e le parole. Lo è talmente tanto che a volte è doloroso come non so cosa- ammise a mezza voce – È doloroso perché so già che, per quanto io possa volerlo, lui non mi vedrà mai nella stessa maniera in cui io vedo lui e perché non sono sicuro che riuscirò mai ad ammettere ciò che provo o quel che sono-.
Pietro si sentì come svuotato, nudo davanti agli occhi di Alberto in tutte le sue debolezze. Ora, rimanendo in silenzio in attesa di una qualunque risposta dell’altro, si sentiva in imbarazzo, quasi incredulo per essere riuscito a dire qualcosa del genere.
Dire ad alta voce quelle cose che si era tenuto dentro per così tanto tempo, che aveva pensato e ripensato mille volte nella sua testa, e dirle a qualcun altro era strano, inaspettato e liberatorio: riusciva a sentirsi più leggero, nonostante le gote ancora arrossate per un po’ di vergogna. Non si era mai lasciato andare a dichiarazioni simili, non prima di quel momento: aveva paura di aver esagerato, di essere sembrato completamente fuori di testa, anche se aveva cercato di non rinunciare nemmeno un secondo alla sincerità dovuta in quel momento.
-Come sei melenso- lo prese in giro affettuosamente Alberto, ridendo appena e sorridendogli, nonostante Pietro avesse ricambiato con uno sguardo torvo e duro. L’ilarità di Alberto durò comunque poco: dopo alcun attimi riprese la stessa espressione seria di prima, pensierosa e a tratti malinconica.
-Ho capito che intendi dire, in ogni caso-.
-Non saprei in che altro modo spiegartelo, come mi sento- mormorò Pietro, come a volersi giustificare. Il sorriso di Alberto, comunque, era riuscito a rilassarlo almeno in parte. Si sentiva più calmo, meno soggetto a possibili giudizi.
In fin dei conti poteva addirittura affermare che fosse andato tutto bene.
-Ti sei spiegato bene, invece- riprese Alberto. Fece una breve pausa, prima di riportare gli occhi su Pietro con uno sguardo attento e riflessivo:
.Anche se, onestamente, non me lo sarei mai aspettato. L’unica cosa che non capisco, però, pur cercando di trovare una risposta, è: perché continui a fingerti qualcuno che palesemente non sei?-.
Pietro rimase immobile, preso contropiede. Quella di Alberto era una domanda legittima, più che logica: anche lui, al suo posto, se lo sarebbe domandato.
Stava tutto lì, in quella domanda a cui Pietro non era mai riuscito a dare una risposta. Perché aveva troppa paura? Perché la vita che aveva gli faceva comodo, perché gli andava bene così? Perché aveva paura di perdere Alessio, di perdere la faccia e la dignità?
Perché?
Alberto sembrò quasi leggergli nella mente, quando riprese a parlare esitante, delicatamente:
-Voglio dire: se sei convinto di essere innamorato di Alessio, e di essere attratto dai ragazzi, perché hai deciso comunque di stare con Giada e tirarla dentro ad una storia destinata a finire in partenza? A me sembra quasi che, così facendo, tu stia ingannando due persone che sono all’oscuro di tutto. Perché?-.
-Non lo so- sputò Pietro, d’istinto, senza averci pensato realmente – Ho paura di essere rifiutato da Alessio. Certo, potrei mollare Giada, anche se così non farei altro che pensare a lui ancor di più di quanto già non faccia ... Ma dirlo ad Alessio? O ancor peggio, fare coming out con tutti quelli che conosco? No, davvero, no. Perderei tutto, definitivamente, e sarebbe solo per colpa mia-.
-Non puoi esserne certo-.
-E invece lo sono!- scattò nuovamente Pietro. Era conscio che Alberto avesse ragione, lo sapeva, ma continuava a sentirsi confuso, spaventato, cieco davanti alla realtà.
-Nessuno si aspetterebbe una notizia del genere da me. Su di me- borbottò, passandosi le mani sul viso in un attimo di debolezza – Non mi vedrebbero più allo stesso modo-.
Di nuovo quella sensazione di nudità apparente era tornata a farsi sentire, inducendolo a nascondersi, a chiudersi in se stesso come per proteggersi da sguardi indiscreti. E sapeva che dello sguardo di Alberto poteva fidarsi, ma non ce la faceva.
Cominciava a sentirsi stanco per tutto e per tutti.
-Ma restando in silenzio, continuando a fingere e a fare finta di nulla, non risolverai niente. Niente, Pietro- anche Alberto aveva abbandonato l’aria calma ed esitante, d’un tratto più convinto e battagliero – Tutto rimarrà uguale a come è adesso, e tu ... Tu rimarrai così, in bilico tra due persone, a star male perché continuerai a tenerti tutto dentro e a vivere una vita che, a quanto pare, non è la tua-.
Pietro si costrinse a riportare gli occhi sul viso di Alberto, il groppo in gola che tornava presente impedendogli di parlare.
-Davvero vale la pena di vivere una vita che non ti appartiene, pur di non affrontare la realtà?-.
-Non ho scelto io di essere così, o di provare questo per Alessio- ribatté piano Pietro, senza alcuna forza o convinzione nella voce.
Vide Alberto annuire, a tratti esasperato, forse rassegnato.
Rimasero in silenzio entrambi, per diverso tempo. Pietro non avrebbe saputo dire quanti minuti fossero passati, quando Alberto, con un respiro profondo, riprese a parlare:
-Vero, non lo hai scelto tu. È capitato: non si può scegliere chi amare- fece un altro respiro, poggiando entrambe le mani sulla superficie lucida del tavolino, e congiungendole – Ma si può scegliere di smettere di nascondersi. Puoi scegliere se amare apertamente una persona-.
Pietro abbassò gli occhi definitivamente, lasciandosi cullare dalla voce profonda e famigliare di Alberto, dalla sensazione dei suoi occhi su di sé.
-La scelta sta tutto qui: preferisci continuare a vivere una vita falsa senza cambiarla e rischiare, o preferisci trovare il coraggio necessario per vivere ciò che sei?- gli chiese, lo sguardo di Alberto che sembrava inchiodare Pietro a quell’attimo – Non è detto che rischiando ti vada bene, anzi, può andarti malissimo. Puoi perdere molto, ma credi davvero che preferiresti aver il rimorso per non aver fatto nulla, per non averci provato, invece che avere il dispiacere per qualcosa che non è andato come volevi? Sta a te trovare una risposta. Sei tu che sceglierai-.


 
Scegliere. Sembrava facile, per come allora l’aveva detto Alberto. E forse lo era davvero, forse era sul serio così facile decidere quale fosse la cosa migliore per lui.
Ma a Pietro non era stato concesso scegliere, non fino a quel momento. Non aveva scelto di innamorarsi, non aveva scelto di rischiare di perdere tutto.
E non avrebbe potuto scegliere, non fino a quando avrebbe continuato a guardarsi indietro, rimanendo fermo ad un passato che non poteva più cambiare.


 
“Non può esserci pace per noi, solo miseria o la felicità più grande”[1]






[1] citazioni tratte dal film Anna Karenina (2012)
NOTE DELLE AUTRICI
Vi avevamo promesso un capitolo bello lungo e corposo, e in effetti è stato così! E  vi avevamo anche promesso qualche retroscena dei due anni del salto temporale tra Youth e Growing, et voilà: abbiamo avuto alcuni scorci ambientati nel 2015, tra febbraio e novembre (cogliete i riferimenti storici effettivamente accaduti sparsi qua e là per capire più precisamente i mesi in cui si ambientano!), dove abbiamo scoperto un po’ di cose … Come i motivi resi palesi da Alessio che causano la sua contrarietà alla relazione tra Pietro e Giada. Pietro ha come l'impressione ce ne siano altri non ben specificati ... Sarà così davvero?
Scopriamo poi che esiste almeno una persona che sa dei segreti di Pietro, ed è proprio Alberto (con sua conseguente reazione un po' troppo scioccata ... Non fate certe domande imbarazzanti come lui durante un coming out, per favore 😂). E il suggerimento che ha ricevuto Pietro, oltre a prendere una decisione definitiva, è anche quello di lasciare Giada e smettere di ingannarla. Insomma, ci ritroviamo in una posizione di maggior cautela che è quella di Pietro, spaventato dall'idea di ritrovarsi non accettato e isolato da tutti, e con quella espressa di Alberto, ovvero assumersi le proprie responsabilità ed eventualmente provare ad uscire dal guscio (o meglio, dall'armadio). Voi in chi vi rivedete di più?
Nel frattempo vi diamo appuntamento a mercoledì 10 novembre, con un capitolo decisamente più spensierato degli ultimi!
Kiara & Greyjoy

 
   
 
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