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Autore: PrimbloodyBlack    27/10/2021    0 recensioni
(la pubblicazione continuerà su Wattpad) Skye faceva parte di una della famiglie più importanti del regno. Suo padre, braccio destro del re, l'aveva educata ad una vita di sfarzo e lusso. Tutto ciò che voleva era suo, le bastava solo chiedere. Ma l'unica cosa che lei voleva era l'unica che non gli era concessa. Essere libera.
Dopo la morte della madre Margaret, il padre sprofondato nella depressione, aveva riposto tutto il suo amore morboso verso la figlia. La teneva chiusa nell' enorme dimora impedendole di uscire e quindi di cercare marito. Aveva ormai raggiunto i diciassette anni ed ogni donna della sua società aspirava ad uno sfarzoso matrimonio. Ma a lei fu negato anche di amare. Tentò più volte di fuggire ma sempre in vano.
Solo una volta si era avvicinata alla libertà ma un incontro alquanto magico aveva cambiato tutto.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Never got the chance
To say a last goodbye
I gotta move on
But it hurts to try
How do I love again?
How do I trust again?
-Sasha Sloan

 

1 anno prima circa

 

Per quanto lo desiderasse, sapeva che non avrebbe mai ottenuto ciò che sognava.

Era da molto che gli incubi non l'avevano torturata durante la notte. Ogni genere di paura, colpa, tormento, veniva riportato a galla in ogni fredda notte che aveva passato nella sua stanza da sola o in compagnia di qualcuno che non conosceva. Tremava e scattava, con ogni chiusi, palpebre serrate in un misto di confusione e terrore. Ricordi di fuoco e sangue, urla e gemiti. Lame che tagliavano carne, sangue che zampillava dalle ferite mortali. Qualcuno aveva tentato di chiuderle gli occhi, qualche suo genitore forse, non ricordava. Ma le immagini di morte le aveva impresse nella sua testa. A volte se ne dimenticava, quando il sole riscaldava il cielo, ma la notte, nei suoi sogni ed attraverso gli occhi e la pelle tortuosa dei suoi clienti, ricordava. E come si sentiva? Non lo comprendeva nemmeno lei. Confusa, disorientata, forse anche un pizzico di odio. Ma nei confronti di chi? Forse aveva da troppo tempo smesso di domandarsene e ne aveva speso troppo a cercare di proteggersi nel modo sbagliato. La solitudine per lei era molte cose, stranamente era sia una pugnalata che uno scudo. 

Questa volta, quest'unica volta in cui aveva finalmente preso una decisione per se stessa, niente aveva tormentato il suo sonno. Nessun ricordo, nessun incubo ricorrente. In pace e piena di calore, e non era per via della fiamma in lei. Sorrise nel sonno. Nessuno la vide farlo, ma era accaduto veramente, le sue labbra si erano piegate in un lieve sorriso per la prima volta. Sogni di libertà e gloria la riempirono, ma poi l'avrebbero svuotata al risveglio. Voleva rimanere nel suo mondo immaginario, voleva rimanere sdraiata nel morbido letto intagliato con un semplice ma bellissimo legno, in una piccola casa circondata dal verde. Ma la realtà chiamava, prepotente e violenta.

Si svegliò di soprassalto. Il passo svelto e gli inconfondibili tacchi che scuotevano il terreno si avvicinarono prima ancora che lei potesse scendere dal letto, o per lo meno alzare la testa.

"Emily, cara." Madame Stock entrò nella camera dell'Elfa senza riguardo o delicatezza. A suo seguito c'era un suo bravo. "Oh!" Guardò Talema con stupore.

Emily si girò verso la porta, ancora mezza addormentata. Guardò prima Talema, che la osservava con la coda dell'occhio, e poi la sua padrona. Spalancò gli occhi, alzò la schiena e si mise a sedere come se il cuscino fosse diventato improvvisamente bollente. 

"Mia signora." La ragazza chinò la testa, Talema la segui subito dopo con evidente colpevolezza.

"Che ci fai qui, Talema?"

La mezza Succube alzò gli occhi, ritrovandosi difronte braccia conserte e viso severo. 

Che le era passato in mente? Così sciocca, così incosciente... 

"Chiedo perd-"

Un improvviso fuoco si accese sulla sua guancia. I suoi occhi spalancati si fissarono sulla mano ancora in aria della sua signora. Di rado veniva picchiata, ma questa volta fece particolarmente male, non solo fisicamente. Aveva per una volta fatto qualcosa per se stessa e doveva pagarne le conseguenza. 

"Gideon mi ha detto che ultimamente sei stata molto... insolente." Si passò un fazzoletto di stoffa profumato sulla mano che aveva colpito il bel volto dell'ibrida. "Non pensavo così tanto, però." Ripose il fazzoletto dentro la tasca della gonga lunga e posò lo sguardo sull'Elfa. "Emily?"

"Sì, Madame Stock." Chinò nuovamente il capo evitando il contatto visivo.

Una lunga pausa. La donna in attesa.

"Fuori dal letto!" urlò spazientita. "Entrambe."

Quasi volarono e si misero ai piedi di Madame Stock come segno di perdono.

"Alzatevi, su, non fatemi perdere tempo," mormorò sbuffando. "Emily, da oggi torni a lavorare." L'Elfa annuì frettolosamente. "Tu." Talema la fissò con la paura di chi sapeva di aver raggiunto il limite. "Vattene semplicemente via dalla mia vista." Sventolò la mano verso la porta. "Su, su."

Talema lanciò un ultima occhiata verso Emily. Aveva ancora il volto pallido e lo sguardo sofferente, ma quando i loro occhi si incrociarono la bionda si sforzò di rilassare lo sguardo. Ma Talema non era un idiota.

Se ne andò espirando aria che aveva trattenuto per troppo tempo. Non poteva permettersi di fare cose così stupide. Era stata scoperta sul fatto. In un posto dove era vietato entrare e nel letto sbagliato. Si domandò se ormai era il caso di tornare nella stanza dei suoi clienti. Se fosse stata un'altra schiava l'avrebbero già fustigata, ma qui la sua bellezza doveva essere preservata, soprattutto la sua. Quanto si sbagliava... Non erano state tante le volte in cui aveva disobbedito, ma poche erano già abbastanza, e lei sembrava averlo dimenticato. Scosse la testa. Ritornò sui suoi passi. Basta così. Ma per quanto ne fosse convinta, devo comportarmi bene, c'era ancora una punizione che non aveva scontato, quella che si sarebbe rivelata la peggiore di tutte.

I giorni successivi Emily tornò a lavorare e le ore di lavoro di Talema diminuirono. Ma se da un lato ne era estremamente contenta, dall'altro non sopportava più la vista di Emily. Era stanca, sempre. Debole e lenta. Non osava immaginare le sue prestazioni con i clienti, le venne il magone. E nonostante le continue domande: Cosa hai? Che medicine ti hanno dato? E' venuto un guaritore?

L'Elfa rispondeva sempre dei vaghi sì e dei decisi "sto bene".

"Pensi che sia stupida?" sbottò alla fine. "Parlami!"

"Lasciami!" le ringhiò spingendola via.

"Sei malata, dimmelo." 

Emily rimase in silenzio. 

"Ehi!" le prese il poso con la forza. L'Elfa rimase con lo sguardo voltato dalla parte opposta.

Aprì la bocca per dire qualcosa, oppure erano solamente le sue labbra che tremavano. Erano così assorte nella discussione che non notarono le due figure sulla porta. Un uomo basso, pelle scura, i muscoli in bella vista, un Incendiario al soldo di Madame Stock, era già entrato nella stanza. Insieme a lui un altro bravo, dalle orecchie a punta e la pelle candida, attendeva a qualche passo di distanza.

"Fuori," disse il bravo.

"Perché?" domandò scontrosa, frustrata dalla discussione appena interrotta.

"Fuori!" esclamò andandole incontro.

"Va bene, okay." Emily le prese la mano e una volta di spalle, l'uomo diede una potente spinta ad entrambe.

"Puttane," mormorò.

Talema voleva girarsi, e letteralmente mandare a fuoco quell'uomo. Senti la fiamme dentro di lei. Pronte ad ardere ed invadere ciò che c'era fuori. Lei le tenne a bada. Cosa avrebbe potuto fare?

Uscendo dalla loro stanza, notarono che non erano le uniche. Mentre il bravo scorbutico le guidava fuori, l'altro entrò e si chiuse la porta alle spalle.

"Ma che..." sussurrò.

Erano tutti riuniti nella sala centrale, l'unica abbastanza grande da accogliere tutti gli schiavi della casa. Nonostante ciò erano tutti spalla contro spalla. Era la prima volta da quando si trovava lì che si svolgeva una riunione del genere. Qualcuno a pochi passi da lei sussurrò qualcosa. L'unica parola che riuscì a capire fu "ladra". Il suo cuore sobbalzò. Non aveva nemmeno il coraggio di girarsi verso Emily e pronunciargliela. Le sue mani cominciarono a sudare, la sua fronte seguì immediatamente dopo.

"Le ho messe di nascosto dentro la sacca di un cliente," la rassicurò l'Elfa, "Quel bravo non troverà nulla."

Tutto il gruppo di schiavi era circondato dai soliti bravi che facevano la guardia, e davanti a loro Madame Stock rimaneva in silenzio. No. In attesa. Dal corridoio, sulla sua destra, compari un bravo con una ragazza tenuta per il polso. La lanciò davanti la sua padrona e cadde ai suoi piedi. Le corna appena accentuate, la pelle bianca come l'alabastro, i capelli neri a caschetto scombinati. Naya.

I versi sommessi della ragazza si mescolarono con i bisbigli nella sala. E poi, sorprendentemente, qualcuno posò gli occhi su di lei. In quei pochi secondi in cui Naya si alzò e Madame Stock mostrò l'oggetto in mano, la sua mente aveva già capito. E quando Madame Stock la guardò, scoprì che il limite l'aveva già superato da tempo.

"Dove hai preso questo?" Madame Stock mostrò a Naya, probabilmente per la seconda volta, l'oggetto che aveva in mano. "Rispondi." Il bracciale riflesse la luce incontrando gli occhi blu di Talema.

La voce di Naya tremò, forse per la paura o per i sensi di colpa. "Talema," pronunciò la sua bocca.

Madame Stock già la stava guardando, prima ancora che il suo nome avesse lasciato la lingua della ragazza.

Ha fatto tutto questo per spettacolo.

Naya si girò verso i suoi spettatori, che a loro volta fissavano la mezza Succube. Senza che Madame Stock diede l'ordine un bravo si fece strada tra gli schiavi. Ma prima ancora che l'omone fosse ad un passo da lei, il bravo che era entrato nella sua camera comparì nella sala.

"Mia signora!" La sua profonda voce mascolina echeggiò nella sala e nel cuore di Talema.

"No..." disse lei, una lacrima già pronta a rigarle il viso.

Il bravo aveva il braccio alzato, tra le dita qualcosa riflesse la luce, e i suoi occhi ne furono colpiti una seconda volta. Pugnalata dopo pugnala, non riuscì a veder più nulla.

Madame Stock sorrise. Porse la mano e l'uomo fece cadere nel suo palmo la moneta, regalata, non rubata, di Sienna.

Maledetto sia il giorno in cui si era lasciata andare, maledetta lei che si era mostrata fragile difronte ad una sconosciuta.

"In una delle crepe del pavimento," disse lui contento, "una fortuna averla notata."

"Mi dispiace." Furono le ultime parole che pronunciò. Dirette ad Emily, ma senza guardarla, perché i suoi occhi non riuscivano a separarsi da quelli di Madame Stock. Il bravo la prese per la nuca, come fosse un animale da addomesticare, e la trascinò davanti la sua signora. Gli schiavi  si tirarono indietro facendoli passare, tra un sospiro ed un sussurro. Qualcuno tra la folla la chiamò sciocca. Quanto avevano ragione!

Il bravo la spinse giù, la faccia contro il pavimento. Le ginocchia piegate.

"Come hai potuto?"

Anche se non era stato suo il bracciale, era stata comunque lei a consegnarlo a Naya. Che stupida che era stata, troppo abbaglianta da quel gesto d'amore per vedere il furto. Lei l'aveva consegnata a Naya, proprio lei e non il ragazzo. Non aveva reportato un furto, questo non la rendeva meno colpevole. Giustificarsi non l'avrebbe aiutata, anche perché...

"Come hai potuto..." Gettò la moneta accanto al suo volto. Gli occhi di Talema si posarono su di essa. "Cosa dovrei farti?" La sua voce era composta, con un inquietante calma. "Suggerimenti?"

Gli schiavi erano muti, nemmeno più sussurri, solo sgomento silenzioso.

"Perché hai rubato una moneta, schiava mia?"

La sua bocca tremò. Anche quella di Naya aveva tremato. Sì, Naya aveva solo paura, pensò lei. Perché mai dovrebbe preoccuparsi per una come me, continuò a dirsi. Pensò a tutt'altro pur di non affrontare quel momento.

Cosa le sarebbe successo adesso che l'avevano scoperta non con uno ma con due misfatti. L'avrebbero finalmente torturata come è consono fare agli schiavi insolenti o avrebbero preferito una punizione mentale? Quale sarebbe stata peggio?

Poi l'avrebbe scoperto.

"È colpa mia!" gridò una voce calda e familiare. Nemmeno un briciolo di esitazione.

"Emily..." disse Madame Stock con un leggero fastidio nel tono.

"Il bracciale è stato un dono dell'Incubo da lei venduto, mia signora, per la ragazza Succube. Talema è stata solo un tramite, non sapeva. E la moneta è mia."

Telema aveva sgranato gli occhi. Voleva voltarsi e guardarla. Fissarla negli occhi fin quanto avrebbe potuto. Ma la mano ferrea suo collo la teneva a terra, la guancia premuta contro la polvere.

"Un particolare da te omesso."

Naya tremò sotto la donna.

"Perché?" domandò con voce aspra.

"Io-" La ragazza cominciò a piangere, sopprimendo i singhiozzi per cercare di parlare. "Non... pensavo fosse-" un ultima scarica di tensione "importante."

"Ma lo è."

Talema sentì gelo nel sangue. Non stava parlando direttamente a lei, ma sentiva il peso delle colpe sia di Naya che le sue sulle spalle.

"Emily," il tono di voce cambiò, quasi materno, "comprendo."

Talema corrugò la fronte, per quanto potesse farlo.

"Vieni nel mio studio."

Le scarpe lucide della donna sparirono dalla vista di Talema.

"La Succube bugiarda nelle sbarre, l'altra chiudetela a chiave in camera."

Naya continuò a piangere mentre il bravo se la metteva in spalla. Più facile portare in braccio un corpo che trascinarlo per le scale.

La presa su Talema si alleviò, seguita subito dopo da uno scatto potente che la portò sui due piedi.

"Andiamo," disse aggressivo subito dopo averla tirata su come una piuma.

Talema si mosse tra gli schiavi, Emily già scomparsa insieme a Madame Stock. Raggiunse la camera sotto lo sguardo del bravo.

"E stai buona."

La porta fu chiusa a chiave. La sua mente un miscuglio di emozioni. Calore nel petto. Gelo nelle ossa.

Rimase lì sul suo freddo letto per tutta la giornata. La porta rimase chiusa a chiave e nessuno, mai, passò davanti la sua stanza. Non le fu dato cibo, forse era questa la sua punizione. Digiuno per chissà quanti giorni. Non era raro che qualche schiavo venisse punito in questo modo, così la pelle rimaneva pulita e liscia, pronta all'uso in qualunque momento. Stava calando la sera e presto sarebbero arrivati i clienti. Nonostante il bordello è aperto per tutta la giornata, il flusso maggiore è, ovviamente, di notte, anche se delle orge pomeridiane non mancano mai.

Emily non si era ancora fatta viva e quando la serratura della porta scattò si immaginò di trovarsi l'amica sulla soglia accompagnata dal bravo di turno. Il bravo c'era, su quello ci aveva preso, ma la persona che accompagnava non era di sicuro una ragazza con boccoli biondi e aggraziata. Era un uomo, un Puck per precisare. La guardò con un sorriso strano sotto i folti baffi, come se avesse appena visto un gioiello. Era uno sguardo che in molti le avevano rivolto, non tutti hanno la fortuna di trovare un demone della lussuria in un bordello, vivono troppo emarginati per finire in un posto così. Ma c'era qualcosa di inquietante in quei occhi che la scrutavano. Era così fissata sull'uomo che non notò l'altro. 

Il Puck entrò nella stanza seguito da quello- 

Talema stava pensando ai peggiori insulti possibili, il più gentile sembrò essere "stronzo", ma molti altri le passarono nella testa avente come protagonista principale colei lo concepì.

Gideon.

Il bravo entrò per ultimo appostandosi accanto la porta. C'erano due cose che Talema non capiva: il perché stessero in camera sua e non lei in una camera affittata, e perché il bravo era dentro a sorvegliare e non fuori.

Gideon teneva la mani dietro la schiena come era suo solito fare, assumendo quella postura da nobile che tanto gli piaceva, con la sua giacca porpora e baffi arricciati.

"Lui è Garrus." 

Il Puck sorrise di più chinando il capo in segno di saluto.

"Dovrai servire questo gentiluomo stasera." Gideon sorrise con soddisfazione. I suoi occhi glaciali che fissavano quelli di Talema con malizia. "Ma, le tue danze accadranno qui."

Garrus rise, un rumore gutturale e fastidioso.

La porta era chiusa, il bravo nella stanza, Gideon nella stanza.

Non dirmi che vuole rimanere.

"Tieni, caro." Le mani dietro la schiena si sgiunsero rivelando una frusta attorcigliata. "I tuoi soldi trasformati in piacere."

"Padrone Gideon-" disse con panico. L'uomo l'azzittì con una mano alzata.

Pregare non sarebbe servito, piangere ancora meno. E poi non gli avrebbe mai dato quella soddisfazione. A questo porco non avrebbe dato lo spettacolo che desiderava. Non gli avrebbe regalato nemmeno la soddisfazione di gemito. Il dolore della frusta non le era nuovo, era capitato in precedenza. Un piccola botta sulle gambe per una parola di troppo, una sulla schiena per non aver parlato affatto quando interpellata. Era una schiava da anni ormai, conosceva il dolore della pelle che si apriva sotto un colpo di frusta. Ma ora era diverso, ora avrebbe subito traumi continui per un ora, forse due? Pregò che non fossero due. 

"Al suo servizio," e si chinò con una riverenza.

Aveva paura. Un immenso e abissale terrore. Ma non avrebbe soddisfatto l'ego marcio di Gideon.

"Signor Garrus," disse gentile, "non faccia il timido."

Ti farò bruciare. Un giorno. Lo giuro.

"E' tutta sua."

La notte è ancora lunga, dicono gli amanti intrecciati l'un l'altro. Sei bellissima, dice il giovane alla propria amata.

Le aveva sentite anche lei quelle parole dolci, ma a lei arrivavano taglienti come lame e aspre di sangue. La sua bocca non emetteva suoni, nessun urlo, nessun gemito, solo un leggero squittio, ma questo solo dopo la prima ora di servizio.

Era finita. Spettacolo servito. Piacere soddisfatto.

Il piacere di Garrus, ovviamente. I bisogni di Gideon rimasero insoddisfatti. Non aveva visto la ragazza rompersi, e questo lo fece sentire come se fosse in astinenza. Un fastidio incombente al petto che lo fece scattare in piedi e piegare il collo come se volesse scrocchiare le ossa. Nervoso, forse anche furioso. Che bello spettacolo per gli occhi di Talema, che piacere che provò. La sua unica soddisfazione. Forse soffrire in quel modo era valso qualcosa. Ma in lei qualcosa si era davvero rotto, un frammento di lei che ormai era caduto. Pezzi di lei sparsi in quella stanza. Aspettò che uscissero per cominciare a raccogliere se stessa. Brandello dopo brandello, e finalmente fu libera di piangere. E pianse come non aveva mai fatto.

Dormì sul letto di Emily quella notte, il suo le sembrava sporco. E come ogni volta, i terrori della notte erano venuti a farle visita e a salutarla, promettendole che sarebbe stata l'ultima. Mentivano sempre.

La mattina dopo si svegliò con dolori su tutto il corpo. La sera si era lavata con delicatezza sentendo con le dita  solchi sulla schiena, ma non aveva trovato il coraggio di guardarsi. Ma adesso sentiva di nuovo i colpi. Le faceva male stare dritta e le tremavano ancora le gambe. Voleva continuare a stare distesa sul letto, ma sarebbe stato meglio lavorare che rimanere fissa a guardare il soffitto e a pensare. Ne aveva fatte di esperienze brutte, questa era stata una di quelle. Quel Puck, Garrus, era un eunuco, e l'unico modo per lui per trarre piacere era vedere sangue che zampillava attraverso una frusta. Talema era convinta che sarebbe stato un perfetto schiavista se ne avesse avuto l'occasione.

Dopo essersi vestita si diresse in infermeria come Gideon le aveva ordinato. A quanto pare quel Puck aveva pagato anche per le sue cure mediche. Non è solito. Talema ipotizzò che fosse stata Madame Stock a fare questo compromesso. "Potrai farle quello che vorrai, ma in compenso dovrai pagare anche per le cure."  

"Deve aver pagato una fortuna, sei massacrata." 

Talema si trovava distesa su un lettino con la schiena scoperta. Il guaritore la osservava, toccandole la pelle con la punta delle dita, mentre l'infermiera della casa era lì per assisterlo.

"Non farà male, quindi stai ferma."

Con la coda dell'occhio vide le mani dell'uomo protratte sopra la sua schiena per poi circondarsi di una aura viola. L'uomo chiuse gli occhi per concentrarsi e assunse un espressione arcigna. E poi Talema lo sentì. La sua pelle si mosse, si richiuse. Era una sensazione strana, come dita che cercassero di richiudere dei tagli, che premevano per impedire la fuoriuscita di sangue. Ma Talema sapeva che non era così. Quella era la magia di un mago che si era specializzato nell'arte della guarigione. E dopo venti minuti in cui sentì il suo intero corpo toccato e ricucito da milioni di dita, finalmente quel bagliore viola scompari.

"Bene, ho finito." L'uomo si asciugò la fronte con un fazzoletto di stoffa e si sedette sulla sedia. "Un po' d'acqua, grazie." L'infermiera si mosse subito.

Talema si mise seduta, con lui difronte ancora spossato e stanco, e si rivestì. 

"Sono sorprendenti quei vostri marchi."

Come ogni schiavo, anche Taleva aveva un piccolo marchio tra le scapole. Non era nulla di speciale, tre rombi con quello al centro leggermente più grande di quelli ai suoi lati. Rappresentavo la nascita, la vita, e la morte e di come queste sarebbero sempre appartenute a qualcun altro, o più semplicemente, una catena.

"Per quanto si possa scavare nella pelle, quel marchio rimane sempre," disse ammaliato. "Che magia stupenda."

Talema sapeva che non stava glorificando la sua schiavitù o quella degli altri. Era solo un uomo di mezza età che praticava la magia ed era affascinato da essa. Ma quello le fece ricordare il dolore che provò durante la marchiatura. 

Intanto l'infermiera era tornata con un bicchiere d'acqua.

"Vai pure, ragazza," disse prima di sorseggiare.

Talema si alzò dal lettino. Quando era entrata non c'era stata traccia di Emily e l'Elfa non era tornata in camera per la notte.

"Signorina Mintie," disse rivolgendosi all'infermiera. "L'Elfa che ultimamente stava sempre qui, per caso lei sa dov'è?"

"Ti consiglio di parlare con Madame Stock, io non posso dirti nulla, Talema." Le fece uno sguardo strano. Talema sentii come se la donna volesse parlarle attraverso gli occhi. "Vai a parlarle," insistette.

Talema aveva il cuore in gola. 

Ti prego, fai che non l'hanno venduta.

Era vietato correre, ma lei non poté fare altro. Era quasi arrivata, la disperazione nello sguardo. Un bravo la fermò stringendola.

"Non si corre, sgualdrina."

"Va bene," e quando l'uomo non la lasciò, insistette, "d'accordo!"

Il bravo cominciò a soghignare divertito. Sentì una lingua viscida sul collo. Cominciò a strattonare e a scalciare finché non arrivò ad urlare. Ne aveva passate troppe per mantenere la sua solita calma. Il suo grido raggiunse la porta distante che stava cercando di raggiungere.

"Che sta succedendo?" Madame Stock squadrò i due. "È vietato molestare le schiave." Il suo tono era freddo e distaccato. Se il bravo le avesse dato dei soldi seduta stante, Madame Stock avrebbe girato i tacchi e lo avrebbe lasciato continuare. Talema ne era certa. Ma il bravo la lasciò andare trinzzandole le natiche un ultima volta. Talema fece una scatto in avanti e si girò guardandolo torvo. Lui gli fece l'occhiolino e prosegui nella parte opposta.

Madame Stock sbuffò e si voltò di nuovo verso il suo studio. Prima che la porta si chiudesse Talema la fermò e si affacciò con la testa.

"Posso parlavi?"

La donna tornò a sedersi sulla sua scrivania senza prestarle attenzione.

"Per favore?"

"Veloce."

Talema entrò. E rimase bloccata. Aveva paura di chiedere, di fare quell'orribile domanda e di ricevere una risposta altrettanto orribile. La sua voce tremò ma riuscì a scandire bene le parole.

"Emily non è tornata in camera ieri e stamattina non era in infermeria. Mi chidevo dove fosse e... cosa sta succedendo."

Madame Stock inspirò guardando dritta a sé. Fissava un punto vuoto. Talema vedeva il suo cervello muoversi e pensare, ma la donna sembrava non trovare parole.

"La prego. È stata venduta?"

A quella domanda la donna rise, breve e fortemente. Talema si sentì presa in giro. E la sua paura si trasformò in nervosismo.

"Talema," disse la donna. "Emily è sta soppressa. La salma è stata portata via questa mattina presto."

E così le fiamme in lei si spensero. Esatto, non si erano trasformate in un incendio, la sua pelle non era andata a fuoco divorando tutto ciò che c'era intorno. C'era dentro di lei un gelo penetrante che la fece rabbrividire. Non cadde a terra con la testa tra le mani, no. Rimase a fissare la donna difronte a lei con innaturale rigidità e i piedi ben piantati a terra. Non barcollò e  nemmeno aveva sgranato gli occhi. Madame Stock si trovò davanti una ragazza con lo sguardo confuso, che la guardava, ma la donna non sapeva come tradurre quello sguardo.

"Era malata. Una cosa grave. Quando l'ho comprata non mi era stato riferito," raccontò con fastidio. "Mantenerla in vita mi costava troppo denaro."

Talema era vuota e fredda, la sua mente in un baratro di emozioni, e tutto mentre era in piedi davanti alla sua padrona, bloccata, incapace di emettere un suono o di fare un qualsiasi movimento. Non c'erano lacrime che le rigavano il viso, ne queste inumidirono i suoi occhi. Non c'era nulla e non fece nulla di ciò che Madame Stock si aspettava. 

"Talema," la chiamò la sua padrona.

Talema sibilò una parola, così silenziosa che non raggiunse la donna. E su richiesta di quest'ultima lei rifece la domanda. "Perché?"

Tra tutte le cose che avrebbe potuto dire, tra insulti e parole disperate, l'unica cosa che la sua bocca disse fu un semplice e confuso "perché".

Madame Stock la guardò con evidente disagio. Cosa avrebbe dovuto risponderle: "Non mi serviva più?" No, troppo crudele. La ragazza difronte a lei le sembrò troppo innocente, come se fosse tornata ad essere una bambina ingenua che non conosce il mondo per come è davvero.

"Perché andava fatto. Troppo denaro in uscita e troppo poco in entrata. Ho interrotto le sue cure, e poi ho fatto la mia scelta. Devo dire che il suo furto ha avuto un discreto ruolo nella mia decisione finale." Madame Stock la fissò aspettandosi una reazione, ma nulla, nemmeno un gesto istintuale o un sussulto. Le aveva appena detto che aveva ammazzato la sua unica amica perché non gli portava abbastanza denaro e se ne stava lì ferma. Madame Stock non la capiva, e quel suo atteggiamento apatico la irritò soltanto. "Fuori di qui, Talema." La donna mosse qualche scartoffia dalla scrivania. "Ho da fare."

Talema rimase lì. Un corpo immobile, la sua mente altrove. Non riusciva a concepire quello che la donna le aveva detto. Lo negava, scacciava via il pensiero. 

"Talema." Madame Stock si alzò in piedi. "Talema!"

E fu in quel momento che la mezza Succube fece dei passi indietro, fino a raggiungere la porta. Guardava la donna con occhi vuoti senza speranza, senza ragione. Portò la mano dietro la schiena ed afferrò la maniglia e poi più sotto prese la chiave e la girò. La lasciò lì e poi tornò di nuovo davanti la scrivania della donna.

"Che cosa stai facendo?!" Gridò la donna. "Esci! Ora!"

"No."

Era stato tutto così veloce, la stessa ibrida più tardi non sarebbe riuscita a ricordarlo. Lei era sopra Madame Stock. La donna era stata scagliata a terra e Talema con la follia negli occhi le aveva infilato nel collo il tagliacarte. Non era solamente la rabbia di una ragazza che aveva appena perso l'unica persona che aveva a cuore. Quella era la furia di una ragazza che aveva perso la sua famiglia, che era stata resa schiava, torturata, violentata e che era rimasta muta per tutto quel tempo. Adesso non sarebbe rimasta in silenzio.

Con la mente in frantumi, Talema aveva associato quel momento a quando le avevano rubato la verginità. La prima volta è solitamente la più brutta e indimenticabile. Sentiva la lama bagnarsi di sangue come fosse un estensione del suo corpo. Lei aveva provato orrore e paura, era questo quello che questa donna stava provando? I suoi occhi la guardavano, verdi e vivi, e gridavano al posto della sua bocca. Tentò di reagire, proprio come Talema fece un tempo, scalciando e dimenandosi in prenda alla disperazione. Quella non era più una donna, era solo un essere che pregava per i suoi peccati, che gridava alla grazia. Ma Talema non era una santa, era più come l'uomo che aveva abusato di lei. Non si sarebbe fermata, avrebbe affondato la lama più in profondità aspettando il suo ultimo gemito. Vide la donna piangere, ma quelle lacrime un tempo erano state sue. Ma non si sarebbe fermata, no, non l'avrebbe fatto. Il sangue abbandonava il corpo proprio come la speranza e la vita. Si spense. Con i suoi occhi verdi e morti che la fissavano. Non aveva mai fatto sesso per amore, così come uccidere questa donna non era stata una scelta.

Si allontanò da Madame Stock cadendo a terra. Ricordò che l'uomo si era era alzato fiero, però. Il sangue continuava a sgorgare dalla sua gola come un fiume in piena allagando il pavimento. Talema non riuscì a trattenersi, si mise in ginocchio, il suo stomaco si contorse, e rigettò tutto quello che aveva in corpo. Tossì, lacrimò, si rialzò. Barcollò via, con le gambe tremanti e la mente in subbuglio. Non aveva mai visto tutto quel sangue, e poi le sue mani... Oh quando si guardò le mani! Ora avrebbe dovuto convivere con il resto della sua vita con quel ricordo. Ma se ne era pentita? No, assolutamente no. E per quanto l'immagine agonizzante di Madame Stock era impressa nella sua mente, in quel momento di confusione e rabbia, cominciò a frugare tra i cassetti della sua non più padrona. Macchiò tutto di sangue con le sue mani sporche, gettando a terra fogli inutili, taccuini, qualsiasi cosa che fosse ai suoi occhi inutile. Svuotò tutto e non trovò nulla. Questo finché l'occhio non le cadde sul grande libro rivestito in pelle poggiato in bella vista sulla scrivania. Era proprio davanti a lei e l'aveva notato solo ora. Quando lo aprì i suoi occhi si illuminarono. Lo prese tra le braccia come fosse un figlio, stringendolo a se, la sua unica ragione di vita d'ora in poi. Era un mattone di libro, ma quello era il peso dei peccati di quella donna. Il suo cervello cominciò a ragionare da solo. Il suo corpo si mosse come se non fosse lei a governarlo. Si spogliò nuda, lasciando a terra il vestito sporco di sangue.

Era cieca in quel momento, incapace di vedere altro. Aveva davanti a se un unica strada, le diramazioni nascose ai suoi occhi rancorosi. La vista così annebbiata da non capire cosa stava facendo un secondo dopo. Ma lei sembrava così conscia e sveglia, con i suoi movimenti e le sue decisioni. Mandò in fiamme tutto. Non se lo era solo immaginato. L'aveva fatto davvero. Poggiò la mano sulla libreria in legno e tutto andò in fiamme. Lentamente, certo, ma avrebbe inghiottito tutto. Le fiamme avrebbero mangiato tutti quei libri, avrebbero assaporato la carne marcia di quella misera donna corrotta, ma non avrebbero cancellato quello che aveva salvato lei. Corse via, e come se fosse la donna più innocente ed innocua al mondo. Tutti avrebbero visto una schiava nuda, innoqua e disperata. Urlò ad uno dei bravi lì vicino. "Va a fuoco!"
L'uomo corse verso la sua direzione, ma lei fu più veloce. "Madame Stock," gridò in lacrime e fuggì via, senza dare il tempo all'uomo di farle domande. Senza dargli tempo di vapire cosa stringesse in mano. Ma lei aveva chiuso la porta a chiave e il suo fuoco chiamava vendetta. Mentre correva sentiva l'uomo richiamare i suoi compagni e nel frattempo sbattere la porta.

Non sapeva cosa sarebbe successo da quel momento in poi, per questo ci pensò lei a mandare avanti gli eventi. "A fuoco!" gridò, e poi ancora e ancora attirando l'attenzione di tutti. I primi ad uscire dalle camere furo i clienti, allarmati e nudi uscirono nei corridoi. E quando il fumo cominciò a fare a lotta con l'ossigeno, fu questione di pochi minuti prima che tutti cominciarono a scappare. E Talema era lì, amando tutto ciò che stava vedendo. No, non la paura negli occhi delle persone, amava quella confusione, quel chiasso, perché sarebbe stato l'amico che l'avrebbe fatta uscire da quella maledetta casa. E così fu la prima ad urlare: "Tutti fuori!" con aggiunta di grida disperate. "Via!" urlò ai clienti, che furono i primi a spalancare le porte della casa, proprio come voleva lei. E poi, solo dopo gli schiavi si riversarono fuori presi dal panico. Agguantò da dentro una delle stanze il vestito abbandonato di una schiava fuggita via. E lei con gioia seguì tutti gli altri.

Fuori, all'aria aperta. Finalmente. Da fuori si vedeva la camera di Madame- no, della morta e defunta Adelaide, andare in fiamme. Era irrecuperabile. Il fuoco si era espanso ancora più di quanto Talema avesse previsto. Meglio così. Nascose un sorriso. Quanto voleva ridere in quel momento, ma l'avrebbe fatto dopo, da sola insieme al suo tesoro. E poi qualcuno vicino a lei bisbigliò qualcosa ad un altro schiavo. "Andiamocene," disse. Talema si guardò attorno per capire chi avesse pronunciato quelle bellissime parole. E poi qualcun altro davanti a lei disse la stessa identica cosa. E con gioia notò dei movimenti. Qualcuno corse via dalla massa tendendo per mano qualcun altro, e poi altri cominciarono a correre. I bravi della signora Stock si erano ormai precipitati fuori, così come il bastardo di Gideon.

"Fermi!" gridò lui. "Rimanete insieme, va tutto bene," e poi bisbigliò qualcosa alle guardie. Cominciarono a circondarli. Ma qualcuno nascosto alla vista da Talema cominciò a combattere e poi un altro ancora. E quelli in fondo alla massa cominciarono a disperdersi e a fuggire. Talema riguardò davanti a sé, avrebbe voluto gridare: "Sono stata io a farlo!" Voleva che tutti sapessero. Voleva che gli schiavi fossero fieri di lei e voleva che i suoi non più padroni la maledissero per questo. Adelaide lo stava probabilmente già facendo dall'oltretomba. E Emily... be' lei l'avrebbe amata per questo. Le sarebbe saltata addosso sorridendole e l'avrebbe stretta forte, e Talema glielo avrebbe lasciato fare, per una volta forse avrebbe anche ricambiato. Per una volta forse le avrebbe sorriso. Ma la sua amica non c'era e Talema poteva solo immaginarla. Corse via insieme alla folla, almeno non era sola in tutto questo, almeno... rimase disgustata da quello che pensò. Almeno avrebbero preso gli altri e non lei con un po' di fortuna.

I bravi corsero verso di loro. Talema si domandò se fossero stati pagati abbastanza per questo. Magari si sarebbero fermati. Tanto la padrona era morta insieme alla sua casa del piacere, chi li avrebbe più pagati? Gideon? Ma le sue puttane ormai erano scappate via. Talema rise correndo. Pura gioia la invase e quasi pianse mentre inciampava. E poi rise. Il suo volto era un misto di emozioni, ma quello che prevaleva di più era la purezza del suo volto, innocente e bambino. Sembrava vedere un neonato scoprire il mondo, che si gira a destra e a sinistra fissandosi così tatto sui colori e sulle forme dimenticando anche come si cammina, inciampando e cadendo. La bambina in lei rideva, la donna in lei lacrimava, ma non capiva di preciso per cosa, forse ce ne erano troppi di motivi.

I suoi polmoni scoppiavano ed erano in fiamme, lo trovò ironico e rise di nuovo, e quella distrazione la fece inciampare un'altra volta.

Era libera.

 

   
 
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