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Autore: crazyfred    29/10/2021    9 recensioni
Alessandro, 45 anni, direttore di una rivista di lifestyle. Maya, 30 anni, sua assistente personale. Borgataro lui, pariolina lei. Self made man lui, principessina viziata ma senza un soldo lei. Lavorano insieme da anni, ma un giorno, la vita di entrambi cambierà radicalmente ... ed inizieranno a guardarsi con occhi diversi. Sullo sfondo: Roma.
(dal Prologo) "Quando Alessandro l'aveva assunta, oltre al suo aspetto patinato, aveva notato la sua classe e il suo buon gusto, oltre ad una sensibilità ed intelligenza nascoste, ma scalpitanti e volenterose di venire fuori. Forse nemmeno Maya si rendeva conto, all'epoca, che razza di diamante grezzo fosse. Alex però, che nello scoprire talenti era un segugio infallibile, non se l'era fatta sfuggire."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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Capitolo 14
 

In auto era calato un silenzio tombale. Maya era ancora a disagio per essersi trovata in mezzo a quel fuoco incrociato. Non aveva capito una parola, tutto quello che Maya aveva sentito era un parlottare indistinto, ma era chiaro che non fosse la benvenuta per Claudia e la sua presenza aveva aggravato la posizione di Alessandro agli occhi della moglie. Lui, dal canto suo, era incazzato e mortificato: Maya non meritava di essere trattata con così poco rispetto. È vero, stava succedendo quello che forse non doveva succedere, ma non era colpa di nessuno. O forse, stava solo succedendo l'inevitabile. E neanche questo era colpa di nessuno. Claudia doveva farsene una ragione e comportarsi da adulta.
Nonostante non fossero nemmeno le 18 era già completamente notte e le strade erano affollate di auto e di gente che tornava a casa per prepararsi all'ultima notte dell'anno. Forse anche per quello la meta sembrò non arrivare mai.
Arrivati finalmente sotto casa di Maya, Alessandro accostò davanti ad un passo carrabile. Non si curò nemmeno di mettere le quattro frecce, sapeva che nessuno se ne sarebbe curato e se fosse arrivato qualcuno si sarebbe spostato senza troppi problemi.
"Posso chiederti un favore?" chiese a Maya.
"Dimmi"
"Ho bisogno di una sigaretta …"
Maya ridacchiò, uscendo dall'auto. Gli diede una delle sue Philip Morris e ne accese una anche per sé.
Alex fece un lungo tiro. Non fumava da una vita - quelle naturali che si concedeva di tanto in tanto non facevano testo - e persino quella Philip Morris, che in passato avrebbe considerato leggera, gli bruciò in gola immediatamente, come fosse un principiante. Tirò il fumo fuori dal naso, ma se ne pentì subito: anche lì, oltre al sapore dolciastro della sigaretta, sentì forte la sensazione di bruciore.
"Io sto pensando di smettere" gli confessò la ragazza, appoggiata alla carrozzeria dell'auto; Alex non poteva fare a meno di notare come riuscisse ad essere elegante e femminile anche mentre fumava: il braccio piegato e la sigaretta al livello della bocca, da un lato, con il palmo rivolto verso l'alto. "Non incominciare tu adesso” lo esortò “non dopo che mi hai rimproverata …"
"No promesso. È solo una situazione d'emergenza" stava di fronte a lei, il braccio lungo il corpo e la sigaretta rivolta a terra "veramente vuoi smettere?"
"Ma sì" fece spallucce "alla fine non mi dà più così gusto e non voglio passare a roba più pesante."
"Posso considerarlo un successo personale?"
​"No, 
ma mezzo sì. " lo schernì "anche Lavinia, mia sorella, mi ha scassato con sta storia per anni"
Fecero ancora qualche tiro in silenzio, poi Alex, spenta la sigaretta a terra, andò a poggiarsi alla fiancata dell'auto, vicino a Maya.
"Scusa per prima, per averti messo fretta. Anche se mi dici di no, lo so che ti sei accorta della scenata di Claudia"
"Non mi sono accorta di niente, giuro" disse lei, per minimizzare e non metterlo più a disagio di quanto non fosse, soffiando con forza il fumo dalla bocca.
"È sempre stata molto protettiva nei confronti dei figli. Edoardo e Giulia li ha cresciuti praticamente da sola. Io ero sempre fuori per lavoro." 
"Non ti buttare giù così" lo richiamò Maya, senza pensarci due volte, gettando via la cicca ormai esaurita sul marciapiede "sei un buon padre."
"Lo pensi davvero?"
"Non sarai perfetto … ma quale genitore lo è?!"
Sua madre e suo padre erano una coppia affiatata ed affettuosa nei confronti suoi e dei suoi fratelli, ma sua madre sapeva a malapena accendere i fornelli e il forno a microonde quando la colf non era in casa e suo padre, che tanto amava dare di sé l'immagine di padre premuroso, aveva persino perso i soldi dei conti cointestati con i figli per riparare ai suoi investimenti andati male.
"Almeno i tuoi figli ce l'hanno un padre. Se hanno qualcosa da recriminare possono venire a dirtelo in faccia. Io, per esempio, al massimo posso andare al Verano*."
"Ti manca tuo padre?" le domandò.
Smanioso, Alex non riusciva a restare fermo in un posto ed iniziò a fare avanti ed indietro, di fronte alla ragazza che parlava.
"Adesso che ho lasciato i Parioli di più, prima mi sembrava di rivederlo ogni volta che passavo davanti al suo bar preferito, oppure davanti al suo barbiere"
Era arrivata alla conclusione di non odiarlo per quello che aveva fatto, soprattutto da quando neanche lei era riuscita a tenere i suoi conti apposto - doveva essere un tratto ereditario; ce l'aveva con lui perché non le aveva dato il tempo di litigarci, di sbattergli la porta di camera sua in faccia come faceva di solito e di sentire sua madre al piano di sotto che borbottava, di fare pace con lui che bussava impercettibilmente e pensava di poter far passare tutto con un maritozzo alla panna.
"Dovevate essere una bella famiglia …"
"A nostro modo lo siamo ancora. Scricchioliamo, ma ci guardiamo le spalle a vicenda" disse, sorridendo fiera. "Perciò posso dirti una cosa Alex?” chiese, braccandolo per un braccio, di fronte a lei.
Lui stette immobile e in silenzio, indagando con lo sguardo dove volesse andare a parare.
"Tua moglie se n'è andata di casa per settimane lasciandoti solo con i tuoi figli. Al lavoro devi supervisionare tutto perché ci sono degli sciacalli pronti farti le scarpe e nonostante tutto non li fai fuori perché sono i migliori sulla piazza e non vuoi lasciarli in mezzo ad una strada o peggio alla concorrenza, hai aiutato me quando ero in difficoltà" sapeva anche che aiutava la sorella sola con due figli, ma questo non glielo avrebbe detto, perché conosceva la sua riservatezza "ma a te chi ci pensa?"
Era arrivato il momento che pensasse un po' a sé stesso. Aiutare gli altri può far sentire bene, ma prima bisogna sistemare quello che non va dentro di noi, altrimenti si finisce per scoppiare. E si vedeva che Alex era quel che si dice una bomba ad orologeria.
"Tu" detto così, dritto negli occhi, a freddo.
Non può fare sul serio, pensò Maya. 
"Ma dai!" sminuì Maya, sospirando e buttandola sul ridere "io che c'entro? Ti ricordo che mi paghi lo stipendio per occuparmi di te"
"Dico sul serio"
D'improvviso, Maya si ritrovò la mano intrecciata a quella di Alex che si era avvicinato a lei oltre una distanza che avrebbe definito amichevole. La bocca dell'uomo, fine, ma inscritta perfettamente nel suo volto, era all'altezza dei suoi occhi, così vicina che non riusciva a distogliere lo sguardo. E questo le faceva paura perché che non le dispiaceva affatto. Il cuore iniziava a batterle veloce, lo sentiva rimbombare nelle tempie. Di sicuro, se si fosse guardata allo specchio, avrebbe visto il volto, di solito di un colore tendente al bianco porcellana, diventarle rosso fuoco: si sentiva avvampare.
Lui non la guardava invece; era focalizzato a stringerle la mano, ad accarezzarla dolcemente, a giocherellarci quasi. Era il solo modo che aveva per dirle quello che in quel momento gli passava per la testa, per rimanere vigile.
"Non sto scherzando. Quando ti ho raccontato cosa mi stava succedendo potevi scegliere di fregartene, potevi dirmi che non era compito tuo occuparti del mio privato. Ed invece mi sei stata vicino e mi hai capito più del mio migliore amico, più della mia famiglia…
"Che…che significa?" la voce tremava.
Maya aveva quasi dimenticato come si respira; senza volerlo, ebbe un singulto, ma lui non sembrò dargli peso. Rimaneva lì, più vicino e più pericoloso, ma allo stesso tempo più invitante; adesso però la scrutava eccome, nella semioscurità, alla luce giallastra del lampione sulla strada. Lei invece non riusciva a fare assolutamente nulla: né a tirarsi indietro, né tantomeno a chiudere la distanza tra loro. Era chiaro dove sarebbero andati a finire, ma lei aspettava. Aveva ancora bisogno di capire, o meglio di realizzare che stava succedendo davvero.
Sentì le labbra di lui sfiorare le sue, per un istante. Era più come una goccia improvvisa e leggera di pioggia che cade solitaria all'inizio di un temporale. Era ad un centimetro da lei, il suo odore le era entrato fin dentro ai polmoni, sulla sua fronte il pulsare di quella vena leggermente sporgente che lui aveva sulla sua, eppure lo sentiva ancora troppo distante. Avrebbe voluto tirarlo a sé per la giacca, ma era pietrificata, ancora non riusciva a credere che stesse succedendo per davvero. Se ne stava lì, in piedi, le labbra dischiuse, aspettando che Alex e il destino facessero il resto.
Finalmente lo sentì ancorarsi letteralmente alle sue labbra. Dapprima piano, Alex si concesse di assaporare le labbra morbide e carnose di Maya, a cui nemmeno la sigaretta aveva tolto il sentore avvolgente di mandorla e vaniglia. E gli venne fame, di quella bocca aperta alla sua, di quelle curve che avevano finito per sfregarsi contro il suo corpo.
In men che non si dica si ritrovò le mani di Maya sul petto e coraggiosamente, la ragazza superò la giacca e afferrò la camicia lievemente, ma con forza. Quel bacio era mille cose insieme: incoraggiante, supplichevole, spasmodico, imponente. La pelle morbida e i muscoli tesi, due corpi incerti che, man mano, acquisivano sempre più sicurezza e dimestichezza, alla ricerca di un modo per plasmarsi l'uno nell'altro, per lasciarsi andare, per trasformarsi in una cosa sola.
La mente stordita, la testa leggera che sembrava in preda alle vertigini. Loro fermi e il mondo che girava vorticoso intorno a loro. Staccarsi era difficile, ma era l'unica cosa da fare.
Alex si lasciò andare ad un sorriso esultante, di chi ce l'aveva fatta. Maya no. Maya aveva lo sguardo basso, confuso, e le mani che fino a poco prima sembravano volergli strappare la camicia di dosso, ora lo tenevano a distanza.
"Vai a casa Alex" lo pregò, in un soffio.
Non gli diede nemmeno il tempo di capire quale fosse il problema, cosa avesse fatto di male o se si fosse spinto troppo oltre senza il suo permesso. Aveva freneticamente raccolto la borsa che era scivolata a terra e, concitatamente, aprì il cancello e corse via nel viale, sparendo in fretta dietro il portone. Ad Alex non rimase che tornare in auto e mettere in moto. Mentre percorreva le strade della città al contrario, per caso portò il dorso della mano sulla bocca. Forse era solo una sua impressione, una suggestione del momento, ma giurava di poter avvertire ancora tra le dita il profumo dei capelli che aveva accarezzato fino a poco prima.
 
 
Maya salì le scale in fretta, non curandosi neanche dell'ascensore. Aveva chiuso il portone dietro di sé, ma nonostante questo provava quasi paura, un irrazionale timore che lui potesse inseguirla. Sapeva benissimo che era rientrato in auto, mentre girava le chiavi nella serratura del portone aveva sentito la portiera sbattere e dall'androne aveva sentito anche il rombo del motore allontanarsi. Era andato via.
Aprì la porta di casa e la chiuse di peso, con la sua schiena, ansante. Poggiò tutto a terra, come una moderna Pollicina, disseminando nel tragitto verso camera borse, scarpe, giacca, vestiti. Si buttò sul letto, lo sguardo perso nel vuoto del soffitto. La stanza era buia, illuminata solo da un bagliore argentato che dall'esterno entrava tramite la persiana lasciata socchiusa e tagliava la stanza a metà, il suo corpo investito in pieno dal fascio di luce. Il torace andava su e giù freneticamente, come avesse corso una maratona. Non pensava a niente. No. Non era vero. Non riusciva a pensare ad altro che a quelle labbra che avevano sfiorato le sue, a quel respiro così pericolosamente vicino, alla lingua a cui aveva dato il permesso, alle mani che le avevano accarezzato la schiena e i fianchi, che erano arrivate quasi fino al seno. Non era solo Alex ad averla baciata. No, anche lei aveva baciato lui.
 
Tornato a casa, aprendo la porta, Alex venne investito da un senso di nausea. Non era senso di colpa, ma solo disprezzo per sé stesso, che ancora stava mandando avanti quella farsa.
"Dobbiamo parlare" gli disse Claudia, affacciandosi dalla cucina.
Giulia era lì, seduta su uno degli sgabelli, che sgranocchiava un grissino. Sui fornelli, quello che dall'odore sembrava un brodino per la cena della bambina.
"Ciao papà" "Ciao amore" le sorrise.
Tutta quell'innocenza e quella dolcezza non meritavano di sfiorire per colpa di litigi e piazzate di due persone che non si sopportano più.
"Dov'è Maya?" "È tornata a casa amore" disse lui "tra poche ore è Capodanno, sicuramente lo festeggerà con qualcuno"
Un qualcuno che non sarebbe stato lui, questo era chiaro. Gli aveva detto che non c'era nessuno, che non aveva tempo per quelle cose, ma forse nel tempo che era passato da quando glielo aveva detto le cose erano cambiate e lui non se ne era accorto. Eppure non sembrava contrariata quando l'aveva baciato. "Già che c'eri potevi anche rimanere a festeggiare il Capodanno con lei, non abbiamo bisogno di te che ci fai l'elemosina" "Stai zitta" le intimò, severo, salendo le scale per il piano superiore "ora devi stare solo zitta, non ti voglio sentire"
Claudia non poteva neanche immaginare quanto avrebbe voluto essere con Maya in quel momento, a fare l'amore come due disperati, addossati alla parete fredda di una stanza buia, oppure appoggiati alla ringhiera del cancello del condominio di Testaccio, come due adolescenti, a baciarsi dolcemente. Non c'era differenza, sarebbe stato bello uguale. Aveva solo un estremo bisogno di sentirla vicina, fisicamente: aveva scoperto che la sua vicinanza era come una sostanza stupefacente di cui non riusciva a fare a meno. Completamente assuefatto ne aveva bisogno sempre di più. E ancora. E ancora.
"Ah quindi tu ti porti l'amante in casa e io devo stare zitta?!"
"Ma quale amante in casa? Che stai dicendo? Tu sei completamente fuori di testa!"
Non voleva ascoltarla, le sue parole erano pura eresia. Sì, provava qualcosa per Maya, qualunque cosa fosse era molto più forte di quello che lo teneva ancora sotto quel tetto inospitale per il bene dei figli e l'aveva baciata, ma fino a quel momento era stato corretto nei suoi confronti.
"Quella ti sta fregando e tu neanche te ne accorgi. Il brillante Alessandro Bonelli è in preda ad una crisi di mezza età e corre dietro alle gonne della prima ragazzina che passa. Lo sai che non è la figlia di papà che vuole far credere?" gli disse, ridendo meschinamente, orgogliosa di quella rivelazione che avrebbe potuto mettere Maya in cattiva luce ai suoi occhi "il padre è morto lasciando un mare di debiti alla sua famiglia. Non hanno più niente. Secondo te perché fa la schiavetta dagli occhi dolci con te? Sono i tuoi soldi a farle gola, Alex, mica tu"
"Adesso basta" tuonò, indicandole la camera da letto dove dormiva da qualche mese e chiudendo la porta alle loro spalle, perché la bambina non li sentisse. "Primo: non so cosa ti abbia fatto quella ragazza, non lo voglio sapere perché so che finirei solo per incazzarmi"
Non era mai entrato nel dettaglio nella situazione finanziaria di Maya, non erano fatti suoi, ma se fosse stata interessata ai soldi, avrebbe tentato di accalappiarselo molto prima, non dopo cinque anni di lavoro e uno stipendio regolare ma non certo da nababbi.
"Secondo" continuò "non ti dirò che non è la mia amante e non ti darò spiegazioni o giustificazioni perché non devo più rendere conto a te della mia vita. Sei uscita da quella porta ad agosto dicendomi che andavi alla casa al mare e non era vero e sei tornata dopo due mesi come se nulla fosse. Come minimo la morale la vai a fare a qualcun altro.”
Claudia taceva, era chiaro che suo marito aveva colpito là dove faceva più male.
“È il momento di essere sinceri tra di noi, Claudia, come non lo siamo stati per troppo tempo” continuò, andando a sedere sul davanzale della finestra; prese un grosso respiro, cercando di dissipare la bile che gli era montata dentro. Claudia si sedette sul letto, lo sguardo fisso sul marito che invece guardava fuori dalla finestra.
“Te l’ho già spiegato, non sono stato un marito perfetto e come padre forse è andata anche peggio, ma forse perché qui non mi sentivo più a casa e mi sono buttato nel lavoro per convincermi che non fosse così, per togliermi quell’idea assurda dalla testa. Ma tu? Perché sei andata via?”
“Lo sai”
“Perché non parlarne invece? Ci saremmo risparmiati queste scenate e non avremmo messo Giulia ed Edoardo in mezzo”
“Sapevo che mi avresti dato questa risposta. E non la volevo sentire. Io non la voglio sentire, Alex. Non lo accetto. Io ti amo” erano tornati al punto di partenza, dopo due mesi, erano ancora fermi a quel punto.
“Mi ami?” le domandò lui allora, sprezzante, senza neanche rivolgerle lo sguardo.
“Cosa ami di me Claudia?” 
Claudia si era avvicinata, poggiandogli una mano sulla spalla. Subito il profumo floreale della fragranza che le aveva regalato per l’ultimo compleanno, poco prima del suo colpo di scena, gli riempi le narici, facendogli montare quasi un senso di nausea.
“Che domande sono?”
“Se lo sapessi risponderesti, no?! Ma non mi ami, proprio come io non amo più te, ma sei attaccata ad un’idea, ad un uomo che non c’è più”.
C’era stato un tempo in cui l’ambizione lo aveva spinto oltre il limite, a diventare l’uomo di successo che era ora bruciando le tappe, non guardando più in faccia a nessuno. E Claudia si iscriveva perfettamente in quella cornice: era bella, intelligente, raffinata, di ottima famiglia e aveva nei suoi progetti un traguardo comune a quello del giovane Bonelli. Tutti lo dicevano: erano assolutamente perfetti insieme. Ma Alessandro poco alla volta si era accorto di aver lasciato indietro troppo di sé. Claudia no, lei così c’era nata e non poteva capire, neanche ci provava.
“Io questa sera me ne vado dai miei e mi cerco un posto dove stare” si alzò dal davanzale e iniziò a prendere della biancheria dai cassetti “Appena torna Edoardo ci parliamo e ti decidi a firmare l'accordo della separazione."
"E se non volessi firmare? Non puoi obbligarmi" lo minacciò lei “e se te ne vai posso chiedere la separazione con addebito".
Sapeva come giocare le sue carte; aveva scelto un ottimo avvocato, che l'aveva istruita per bene, questo era sicuro.
“Correrò il rischio, che ti devo dire …” Alessandro era arrivato alla conclusione che a restare dentro quella casa, per assecondare Claudia e provare ad indorare la pillola ai figli, avrebbe finito per ammalarsi, e lo stesso valeva per i figli. “Però vedi che avevo ragione. Tu non mi ami. Forse ami l’uomo d’affari, la casa che abbiamo messo su, la vita che ti ho permesso di fare. È per questo che sei tornata. Sei avida Claudia … non innamorata”
“Non ti permettere!”
“Convincimi che non è così, avanti” la spronò “avrei potuto toglierti tutto in un attimo, potevo farlo, sai che è così, ma non ho mai voluto. Tu invece ci hai messo un attimo a minacciarmi”
“Quando Edoardo mi ha detto che stavi sentendo un avvocato io ho avuto paura e sono tornata immediatamente per provare a rimettere insieme i cocci e invece ho trovato un muro, come dovrei sentirmi?” Edoardo e Giulia avevano avuto sporadici contatti con la madre durante la sua assenza: Alex però ignorava, o forse preferiva non rendersi conto, che lei li avesse usati per tenerlo sotto controllo.
“Non fare la vittima! Ci hai messo due mesi a tornare … non hai avuto paura per noi, hai avuto paura per te e non negarlo. Ora fuori che ho bisogno di fare una doccia"
Si preparò in fretta e poteva giurare di aver sentito, oltre il rumore del phon, Claudia parlare al telefono con il suo avvocato. Ormai, gli importava meno di zero delle sue minacce. Era arrivato il momento di interrompere quella fiera dell'ipocrisia. A San Silvestro si butta la roba vecchia, aveva detto Maya. Doveva farlo pure lui.
Mise un jeans e una felpa, prese le chiavi del garage e della moto e scese nella zona giorno.
"Dove vai, papà?" chiese Giulia.
"Da nonno Cesare e nonna Maria" le disse, posandole un bacio sulla fronte ancora calda.
"Voglio venire pure io da nonna Mia" quando era più piccola non riusciva a pronunciare le r e così Maria si era trasformato in Mia e così era rimasto.
"No Puffetta" esclamò, trovandosi ad usare lo stesso soprannome che Maya le aveva dato "tu non puoi uscire, hai ancora la febbre e devi prendere le medicine. Stasera il DVD di Lilo e Stitch lo guardi con mamma e domani mattina papà tuo ti porta il saccottino al cioccolato per colazione, va bene?"
"Va bene" si arrese la bambina, abbattuta. Gli si stringeva il cuore al pensiero che poche ore prima, nonostante la febbre alta, era totalmente spensierata, ma questo gli dava anche la speranza che avrebbe reagito ed era molto meglio per lei, per tutti loro stare separati ma sereni.
"Dove vai?" gli urlò contro, scendendo anche lei dal piano di sopra, ma lui non le prestò la minima attenzione. "Alex! Se vai via non rientri più. Giuro!" lo avvertì "cambio la serratura e vediamo come rientri"
Ma Alex rise, sicuro di sé. Sapeva che non avrebbe mai potuto farlo, e anche lo avesse fatto non gli importava proprio nulla: quelle quattro mura poteva pure tenersele.
"Mavvaffanculo va'!" Prese il giubbotto invernale e il casco dal guardaroba e chiuse la porta di casa dietro di sé.
 
"Alessa'!" suo padre, alla porta, era sorpreso di vederlo "che ce fai qua?"
"Claudia è tornata da Roccaraso … e io me ne sono andato di casa"
"Vie' dentro che fa freddo" lo incoraggiò, stringendosi meglio la vestaglia attorno al collo, e Alex avrebbe giurato di aver ricevuto una pacca sulla spalla dal padre.
A Cesare, Claudia non era mai andata a genio completamente. L'aveva accettata per il bene del figlio, ma erano troppo simili e troppo diversi al tempo stesso. Due teste calde, abituate ad avere ragione e a non sentire ragioni dagli altri, uno era un borgataro fatto e finito, che aveva sudato ogni singolo giorno lavorativo e persino la pensione se la stava sudando appresso a figlia e nipoti. Claudia invece era figlia di borghesi - gente per bene, per carità, ma gente abituata a lavorare negli uffici, in giacca e cravatta, tutti puliti e con tutti gli agi e i bonus che il lavoro statale offriva. Una bella casa in centro, le vacanze premio per i figli, gli sconti di qua e di là, la pensione anticipata … tutte cose che Cesare non aveva mai visto nonostante le dure lotte sindacali.
Forse era solo una guerra tra classi, ma a lui continuava a credere che fossero troppo diversi da loro per spartire qualcosa oltre un buongiorno e un buonasera.
"Alessa'! E tu qua stai?!" chiese sua madre, preoccupata, vedendolo entrare, mentre apparecchiava il tavolo del piccolo salottino.
"So’ venuto a mangiare na cosetta con voi. Si può?"
Non voleva darle quel dispiacere proprio a Capodanno, così sorvolò sulla questione. Ma sapeva che sua madre sapeva. Glielo leggeva negli occhi che si erano subito rabbuiati, ma anche lei avrebbe fatto finta, per quella sera, che andava tutto bene e avrebbero tirato avanti.
"Come no! Lo sai che qua pe' te posto ce sta sempre" esclamò la donna, aprendosi in un sorriso un po' forzato. Era felice di avere suo figlio con sé, ma quella situazione non le piaceva per niente. "E la pupetta mia come sta?" domando.
"Meglio dai, all' Epifania speriamo di poter venire qua, con Edoardo pure che torna dalla montagna"
"Basta che lassa a casa quella puzza sotto ar naso che se porta sempre appresso quello"
"Daniele!" il nonno fece volare un giornale che era sul tavolino della tv in direzione del nipote, che scendeva le scale.
Niente fine dell'anno fuori casa per lui e suo fratello: come Giulia e il nonno, anche loro si erano beccati l'influenza. Il ragazzo riuscì a schivarlo facilmente
"Chiedi immediatamente scusa a zio!"
"Ma ho offeso Edoardo, mica zio"
"Aridaje!"
"Lascia perde' papà, c'ha ragione. Ha preso tutto il brutto carattere della mamma …"
Sotto gli occhiali da lettura, Cesare si lasciò andare ad un sorrisetto compiaciuto. Ormai, non nascondeva più il suo compiacimento per quella separazione, e che la moglie avesse pure blaterato … lui quella sera avrebbe brindato per un motivo in più.


  
Credo di aver preso l'influenza.
Prendo un'Aspirina e mi metto a letto.

Scusami con i tuoi amici.
Va bene. Riguardati.
Se non ti senti bene chiamami.
Domani vengo a vedere come stai.
 
Maya non se la sentiva affatto di uscire. Era confusa e non riusciva a pensare ad altro. Non sarebbe stata di grande compagnia per sua sorella e i suoi colleghi. Inoltre, pensò, fosse uscita con lei, Lavinia avrebbe di sicuro indagato e non poteva dirle nulla perché non avrebbe saputo come spiegarle quello che era successo. Non era neanche sicura di cosa fosse successo.
Così, alle 22, appena Lavinia le aveva mandato un messaggio per dirle che era uscita dal turno in ospedale, si era precipitata ad accamparle una scusa credibile.
Così si era fatta un programmino tutto suo. Netflix e un pezzo di lasagna di Natale che Ruggero l'aveva obbligata a portare a casa e a congelare "per le emergenze". E quella era un'emergenza. Alla fine, al terzo episodio di fila di The Crown si era addormentata sul divano, tanto che a mezzanotte fu svegliata di soprassalto dai botti che partivano tutt'attorno nel quartiere. Qualcuno dei suoi vicini stava persino sparando dai balconi. Accese la tv su un canale qualsiasi dove una band stava suonando il solito medley da Capodanno e prese nel frigo la bottiglia di spumante che avrebbe dovuto portare in centro con sé, per brindare con Lavinia e i colleghi. Riempì un bicchiere e, infilato il telefono in tasca, mise addosso il plaid che le aveva regalato Olivia e salì sul terrazzo, mentre in tv presentatore, starlette e vecchie glorie ballavano sulle note di
 una di quelle canzoni deprimenti da trenino. Anche se da sola, i fuochi d'artificio non se li sarebbe persa.
Oltre i tetti delle poche case più signorili, oltre la foresta di antenne e le parabole sulle terrazze delle case popolari, un tripudio di luci e colori si apriva nel cielo scuro verso nord. Non li aveva mai visti così. Non era bravissima ad orientarsi, ma da lì non doveva essere molto lontano il Circo Massimo. Ma anche non ci fossero stati i fuochi comunali, i Romani erano bravi a saper fare da sé, nonostante le raccomandazioni e i divieti.
Mentre stava lì a guardare e a bere il suo spumante, il telefono vibrò. Pensò a sua sorella o ad Olivia. Ma il cuore perse un battito a leggere il nome del mittente del messaggio: Alex.
Buon Anno.



*Verano= cimitero monumentale di Roma

Ciao a tutti!!! Dopo questa bomba di capitolo preferisco tacere e non dare nessuna spiegazione o interpretazione, mi piacerebbe però sapere la vostra opinione a riguardo di tutto quello che è successo, le vostre aspettative per il futuro. Vi mando un grande abbraccio e vi ringrazio sempre per le recensioni e le visualizzazioni!
Alla prossima, 
Fred ^_^
   
 
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