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Autore: trollpazzo    29/10/2021    2 recensioni
Si può davvero scappare dal passato?
Aurora se non altro ce l’ha messa tutta. Dopo la guerra, ha lasciato Hogwarts ed è volata negli Stati Uniti, cercando di cancellare ogni traccia di sé. Ma i suoi segreti hanno radici troppo profonde per riuscire davvero a liberarsene. Come una gabbia, non la lasceranno mai davvero andare…
Quando viene cacciata dall’FBI e torna in Inghilterra, quello che la attende è un puzzle sanguinoso. Qualcuno sta assottigliando il confine tra il mondo della magia e il mondo dei babbani. E Aurora ha la brutta sensazione di sapere perfettamente chi sia il colpevole…
Ma non è così sola come ha sempre pensato.
Un ex Auror e poliziotto babbano che si è autoproclamato suo padre molti anni prima. Una legilimens naturale che passa ogni giorno cercando di non impazzire. Un disastro umano che cerca sempre di far sorridere gli altri. Un Harry Potter che non riesce a trovare pace dopo la guerra. I Sandman, una squadra speciale che agisce nel sottile confine tra la magia e il mondo babbano, forse sono la sua unica speranza per indagare senza finire trascinata nell’oscurità dai fantasmi del suo passato.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo Cinque



(tw pensieri suicidi, violenza, scene pesanti… non mentirò, è un capitolo abbastanza pesante e molto introspettivo)

- Ho un gran brutto presentimento… - Jonah cominciò a parlare non appena si materializzarono sul vialetto della casa della governante: una bella casetta a schiera con un giardino curato fin nei minimi dettagli e le mura dipinte di un bel colore vivace.

Harry sospirò. – Non avrei mai dovuto farti scoprire Star Wars… -

- Primo: colpo basso. Secondo: ho davvero un brutto presentimento, - rispose Jonah.

- Stiamo per entrare nella casa di quella che sarà la prossima vittima e probabilmente finiremo con incontrare il serial killer a cui stiamo dando la caccia da settimane, - affermò Harry. – Pensi che il tuo brutto presentimento possa essere collegato a queste cose? –

- Grazie, Potter, - replicò Jonah. – Come farei se non ci fossi tu a tirarmi su di morale? –

- Sei tu che hai chiesto… -

- Ragazzi! – Sam si voltò verso di loro, esasperato. – Stiamo lavorando ad un caso, abbiamo un sospettato di omicidio da arrestare, potreste provare a concentrarvi? –

Jonah sorrise, grattandosi il collo con aria imbarazzata. – Certo, capo, - disse, poi il sorriso gli scivolò via dal volto. – Solo che... sento come se ci stessimo perdendo qualcosa -

Harry si voltò verso Diana per scambiare uno dei loro soliti sguardi esasperati, ma con sua sorpresa trovò la legilimens corrucciata.

- Cosa senti? – le chiese subito.

- Niente, - fu la risposta. Ed era davvero strano: Diana riusciva a sentire il brusio indistinto dei pensieri di ogni singola famiglia di quel vialetto, i grovigli di preoccupazione di Sam, il treno di pensieri di Jonah, i rapidi ripassi dei migliori incantesimi da combattimento di Harry… Ma niente dalla casa in cui stavano per entrare. Solo un innaturale silenzio. Come se qualcuno avesse preso precauzioni… come se qualcuno non volesse essere ascoltato.

- Andiamo, - ordinò Sam, bacchetta in mano. Non voleva perdere altro tempo. Quel caso aveva già causato abbastanza guai.

(E Aurora era dovuta tornare da quel mostro. E non aveva ancora dato sue notizie)

Si scrollò la preoccupazione di dosso. Era inutile, soprattutto quando doveva rimanere lucido e guidare la sua squadra.

Salì gli scalini e aprì la porta con un colpo di bacchetta.

Non appena la porta si aprì, Diana sgranò gli occhi. – Aspetta…! – gridò. Ma era già troppo tardi.



Aurora uscì dal camino del distretto dei Sandman con un balzo, il cellulare all’orecchio che squillava a vuoto per la terza volta. Sam non stava rispondendo al telefono.

Sam rispondeva sempre al telefono. Non importava l’ora, o con cosa fosse occupato, o se era davvero stanco… Non la lasciava mai ad aspettare. Non lei.

Eppure adesso…

L’ufficio era vuoto. Aurora sfrecciò fuori e cominciò a controllare l’intero distretto: la sala principale, la sala intrattenimento, la sala d’attesa, la stanza delle prove…

Tutto vuoto.

Entrò nella stanza dove si erano riuniti solo poche ore prima. Sul tavolo, c’era una cartina. Notthing Hill, indicava un grumo scuro.

Il quartiere dell’appartamento della governante era a Notthing Hill. Erano finiti dritti in una trappola!

No. No. No. Non Sam.

La mano destra cominciò a tremare. Se solo fosse stata più veloce a parlare con suo padre! Se solo non avesse perso tempo a farsi manipolare e fosse andata subito al punto!

Arrivi sempre tardi. Non hai potuto salvare la ragazza del seminterrato, e ora non sei riuscita ad avvertire Sam.

No. Non stavolta.

Chiuse la mano in un pugno. Con un respiro profondo, Aurora afferrò la sua ansia e preoccupazione pressante e le gettò in un angolino della sua mente. Non aveva tempo da perdere in attacchi di panico.

Doveva agire. Adesso.

Con un ultimo respiro profondo, si smaterializzò.



Non è reale. Non è reale…

Lo sapeva. Lo sentiva. E c’era quel… brusio indistinto nel retro della sua mente… qualcosa che doveva ricordarsi…

- Tesoro, cosa c’è che non va? –. I suoi genitori le sorridevano dalla tavola apparecchiata con cura. Sorrisi dolci. Rassicuranti.

Nelle loro menti, grida di orrore. Un ragazzo che si dimenava a terra. Risate di scherno. Un incantesimo, ripetuto ancora e ancora e ancora e ancora…

Crucio

E tornavano le grida.

- Tesoro, vieni a mangiare o diventerà freddo, - la invitò sua madre. La sala da pranzo era illuminata dal caminetto scoppiettante, una bella luce calda.

- Cosa vi ho fatto? -. Un sussurro smorzato dal dolore.

Un calcio alle costole che svuota i polmoni. Il ragazzo ansimò, rannicchiandosi, le guance rigate da lacrime, gli occhi serrati.

- Cosa ci hai fatto? -. Risate di scherno. E poi, un grido di rabbia: - Voi sporchi Sanguemarcio rubate la magia alle famiglie in cui scorre naturalmente! –

Diana camminò a passi lenti fino alla sua sedia. Legno scuro. Un cuscinetto rosso per aiutarla ad arrivare alla tavola. Aveva ancora cinque anni, in fondo, non importava quanto dicessero fosse matura per la sua età.

Si sedette, evitando di guardare i suoi genitori, e strinse la forchetta in mano. Sul piatto, la carne era cosparsa di salsa rossa piccante… la sua preferita.

Ma tutto quello che riusciva a vedere era il sangue di quel ragazzo sulle piastrelle del pavimento.

- Mi raccomando, mangia tutto, - la incoraggiò suo padre. – Devi crescere e diventare una strega forte! –

Diana prese il coltello, cominciando a tagliare la carne con movimenti lenti.

- Vi prego… - un singhiozzo. – Sono nato così… non ho rubato niente… -

Sua madre si inginocchiò accanto al ragazzo. Gli accarezzò i capelli con movimenti lenti e rassicuranti. Il ragazzo continuava a singhiozzare.

E sua madre improvvisamente afferrò una manciata di capelli e li usò per sbattergli la testa contro il pavimento di pietra. – Tu pensi… - chiese, la voce ancora dolce. – Che crediamo alle pallide bugie di un Sanguemarcio come te? -. Gli batté di nuovo la testa contro il pavimento. Si rialzò, spolverandosi i vestiti come per scacciare via dei germi.

Diana infilzò il pezzetto di carne che aveva tagliato. Sua madre continuava a sorriderle.

- E’ ora di farla finita -. La voce di suo padre. – Il Signore Oscuro ci sta richiamando -.

Abbassò lo sguardo sul suo braccio destro: stava puntando la bacchetta contro il ragazzo. – Avada Kedavra -. Lo disse quasi annoiato.

Un lampo verde. Il ragazzo smise di muoversi.

Ma il sangue continuava a scorrere sulle piastrelle bianche.

Diana non riuscì ad inghiottire la carne. La nausea le stritolò lo stomaco e le chiuse la gola e si ritrovò a terra, incerta di come ci fosse arrivata, a vomitare.

Le voci dei suoi genitori la chiamavano ancora e ancora e ancora e ancora e ancora…

Non è reale… non sono più in quella casa… non è…

Ma i pensieri vennero scacciati via dalle immagini di un’altra famiglia Mezzosangue in mano ai Mangiamorte.

In mano ai suoi genitori.

(Allora non lo sapeva, ma quelle immagini l’avrebbero accompagnata ogni momento che passava in quella casa)

Un labirinto di tortura e morte che continuava a riportarla indietro, non importa quanto cercasse di scappare… di pensare… di tornare se stessa…

Non è… non…



- Dio mio, vuoi stare zitto? –

Jonah chiuse la bocca, abbassando il disegno che stava mostrando a sua madre affidataria. Gli piaceva spiegarle come l’aveva fatto e i suoi colori preferiti e le nuove tecniche che aveva usato…

- Non interessa a nessuno, va bene? – continuò la donna. – Ho già abbastanza da fare senza doverti ascoltare! –

Jonah inghiottì le parole di scuse e indietreggiò, il disegno ormai abbandonato nella sua mano destra.

- Finalmente un po’ di silenzio… - continuò la donna. – Uno penserebbe che a otto anni i bambini parlino di meno –

Dall’occhiataccia che gli arrivò, Jonah capì che il suo tempo in quella casa sarebbe finito presto. Come in tutte le case in cui era stato prima.

Questa volta si era impegnato. Aveva fatto attenzione a non muoversi troppo, arrivando a conficcarsi le unghie nella pelle per cercare di scacciare l’energia che ribolliva sottopelle. Aveva ridotto al minimo le chiacchiere, mordendosi la lingua per fermare battute e commenti su cose che aveva letto e trovato interessanti. Si era dato da fare per non mostrarsi troppo appiccicoso, passando più tempo possibile per conto suo, sempre alla ricerca di nuovi hobby. Aveva nascosto le sue lacrime quando gli altri bambini gli davano spintoni o gli intimavano di andarsene e lasciarli giocare in pace, che doveva smettere di disturbarli.

Non lo faceva apposta. Ci stava provando. Ci stava provando così tanto…

Ma riusciva ad essere sempre troppo. Troppo rumoroso. Troppo iperattivo. Troppo chiacchierone. Troppo emotivo.

Troppo. Troppo. Troppo. Troppo…

- E’ il momento che se ne vada -. La voce secca e disprezzante non avrebbe dovuto sorprenderlo. – Almeno qui torneremo ad avere una sorta di pace… Provo pietà per qualunque famiglia dovrà stargli dietro –

Quelle parole non avrebbero dovuto ferirlo. Era abituato. Finiva sempre così…

Alla fine lo cacciavano tutti.



La porta era sfondata. Quella porta verde che lui e Ginny avevano dipinto insieme, sei anni prima, schizzandosi vernice addosso e ridendo come matti.

Era spaccata davanti a lui.

Bacchetta in mano, cuore in gola, Harry entrò nell’appartamento.

Il corridoio era completamente distrutto, i quadri ridotti a brandelli e il tappetto un ammasso di stoffa.

La sala era un insieme di schegge e piume dei cuscini fatti a pezzi.

La cucina aveva il pavimento cosparso di cocci di piatti e posate abbandonate a terra.

Restava solo… la camera da letto…

Come è potuto accadere? Chi mi ha trovato? La mia famiglia… Ginny… il bambino… Non può accadere di nuovo. Non posso perdere anche loro.

Si intimò di fare un respiro profondo. Ginny era una strega brillante e feroce. Aveva combattuto nella guerra al suo fianco. Anche se un Mangiamorte ancora in libertà l’avesse trovata, non l’avrebbe sopraffatta così facilmente.

Stritolando la bacchetta nella mano destra, aprì la porta della camera da letto. Cigolò. Si aprì.

Harry sentì il cuore affondargli nel petto e la nausea stritolargli lo stomaco.

Ginny… Ginny era riversa sul letto. I suoi occhi spalancati lo fissavano, privi di vita. Il sangue le scivolava fra i capelli, impregnava la maglietta, gocciolava sul pavimento.

E c’era così tanto sangue…

Sopra il corpo esanime della persona che Harry amava più di se stesso, galleggiava il Marchio Nero.

Harry non riusciva a pensare. Non riusciva a respirare.

La guerra era finita. Non poteva star succedendo… non poteva… Ginny era…

La stanza cominciò a girare attorno a lui. Sentì il pavimento sotto le ginocchia. Avrebbe dovuto fargli male, ma non sentiva niente. Non vedeva più niente. Tutto quello che riusciva a mettere a fuoco erano gli occhi senza vita di Ginny.

E’ colpa mia… è colpa mia… avrei dovuto… non dovevo starle vicino… mi sarei dovuto allontanare anni fa… E’ tutta colpa mia…



- Un agente di polizia? Cosa la porta qui? -. Il sorriso di Micheal Campbell era ampio, disponibile, tranquillo mentre teneva la porta d’ingresso aperta.

Sam sorrise a sua volta. – Una chiamata, uno scherzo, - rispose. – Scusi il disturbo –

- Oh, non si preoccupi, - fu la risposta affabile. – Prego, si accomodi! Vuole una tazza di thè? Lo stavo giusto preparando per mia figlia. Ultimamente si sente poco bene, e non c’è niente che faccia sentire meglio come una bella tazza di thè caldo! –

Sam annuì, entrando in casa. Era una bella casa, colori caldi e rassicuranti, una sala d’ingresso grande più o meno quanto l’intero appartamento di Sam, e un ampio corridoio che terminava in un salottino illuminato dal caminetto scoppiettante.

Campbell si diresse proprio lì, recuperando una tazzina di porcellana dal tavolino e cominciando a versarci dentro il thè caldo promesso. Un pensiero nervoso sembrò cercare di attirare l’attenzione di Sam, ma non riusciva a metterlo a fuoco… Rimase nella sala d’ingresso, reprimendo uno sbadiglio: era quasi finito il suo turno, non vedeva l’ora di tornare a casa e riposare un po’.

Un movimento alla sua sinistra lo prese alla sprovvista: una bambina, i capelli scuri scompigliati, gli occhi rossi, una vestaglia viola disordinata addosso.

- Ehi, - Sam si voltò verso di lei. – Come va, ragazzina? – le sorrise.

- Tiri fuori la sua pistola -. La bambina lo guardò dritto negli occhi. Sam si accorse che stava tremando, i pugni stretti fino a far diventare bianche le nocche.

- Cosa? – fece Sam. Ora che si fermò un attimo a guardarla davvero, la bambina sembrava terrorizzata ed esausta.

- Mio padre, - disse, la voce straordinariamente ferma. – Sta per ucciderla –

Sam riportò subito lo sguardo sull’uomo affabile che si stava occupando del thè. E quel pensiero nervoso tornò nell’angolo della sua mente, ma questa volta riuscì a metterlo a fuoco: thè e chetamina... Era come lo Scienziato stordiva le sue vittime.

In quel momento Micheal Campbell si voltò. Se Sam fosse stato solo un po’ meno attento, non avrebbe notato il rapido allarme che gli attraversò lo sguardo quando mise a fuoco la figlia.

- Oh, tesoro! – esclamò, la voce tornata quella di un padre premuroso. – Non dovresti essere in piedi, non ti sei ancora ripresa –

Sorrise dolcemente e cominciò ad avvicinarsi a loro. La bambina trattenne il fiato, tremando ancora più forte. E Sam prese una rapida decisione: tirò fuori la pistola e la puntò contro l’uomo.

Micheal si fermò per un attimo, fissando la pistola, incredibilmente calmo. Poi sospirò, e in un attimo parve diventare un uomo completamente diverso: come se una maschera gli scivolasse via dal volto, il sorriso svanì per fare spazio ad occhi vuoti e calcolatori che lo scrutavano.

- Avrei dovuto immaginarlo, - disse. – Mia figlia… Sempre stata troppo sveglia per il suo bene, sempre così testarda sul non voler seguire le orme di suo padre! –

La bambina a questo punto era aggrappata alla divisa di Sam come se ne andasse della sua vita. A Sam non serviva altra conferma: Micheal Campbell era lo Scienziato, il serial killer che stavano cercando. E quella bambina che si afferrava a lui come ad un’ancora di salvezza doveva aver scoperto cosa faceva suo padre, e aveva chiamato la polizia… lo aveva avvertito… E gli aveva appena salvato la vita.

Sam si spostò in modo da proteggerla con il suo corpo, se necessario. Non conosceva Campbell abbastanza bene da sapere se fosse stato capace di ferire la sua stessa figlia in preda alla rabbia.

- Oh, sì, è così che è andata, vero? -. Micheal sorrise, e non c’era più traccia dell’uomo affabile e padre di famiglia di pochi minuti prima. – Hai guardato la mia bambina e deciso che ti saresti preso cura di lei… Come fosse tua… Ma, - e i suoi occhi si fecero di ghiaccio. – Non è mai stata tua. MAI! Lei è mia figlia! -.

E improvvisamente la bambina era scomparsa… per ricomparire davanti a suo padre, che le tenne le spalle con presa di ferro.

No… non è… non è così che è andata…

- Non preoccuparti, agente, - Martin era tornato a sorridere, e sembrava di nuovo il padre amorevole di prima. – Mi prenderò cura di lei. Le insegnerò tutto quello che so… -

No. No, quella notte Aurora l’aveva salvato e lui l’aveva protetta da allora. Non era andata così… Campbell era in una cella… non poteva più farle del male…

Una dolore improvviso al fianco: Sam si accorse di star sanguinando. Cadde a terra, la pistola sparita. Davanti ai suoi occhi, Micheal continuava a sorridere e a stringere Aurora tra le sue braccia.

- Andiamo, figlia mia, - disse, dolcemente. – Vorrei insegnarti cosa significa essere testimoni di una vita che lascia un corpo per sempre… Ma oggi dobbiamo sbrigarci, andare a fare un bel viaggio dove nessuno potrà trovarci –

Aurora si divincolò nella presa di Campbell, cercando di raggiungere Sam, implorandogli aiuto con gli occhi…

Ma Sam era completamente impotente, il sangue una pozza sempre più grande sotto di sé. I muscoli non rispondevano ai suoi comandi, non importava quanto cercasse di muoversi.

Micheal si accucciò davanti alla figlia.

- Andiamo, - disse, il tono esasperato di un padre che ha a che fare con i capricci di una bambina. – Smetti di combatterlo, sai la verità! Noi siamo uguali! –

Abbracciò la piccola figura tremante, che improvvisamente smise di tremare e divincolarsi. Quando l’abbraccio si sciolse, Aurora stava guardando suo padre con un sorriso di adorazione.

- Andiamo, papà? – chiese, la voce vivace. – Voglio che m’insegni tutto quello che sai! Voglio diventare proprio come te! –

Micheal guardò Sam con un sorriso di trionfo, prima di prendere Aurora per mano e cominciare a condurla fuori di casa.

Non sono riuscito a proteggerla. E’ troppo tardi ormai… L’ho delusa



Quando Aurora arrivò a Notthing Hill, materializzandosi sul vialetto della casa della governante, capì immediatamente che c’era qualcosa che non andava: l’edificio emetteva un brusio di magia oscura, un sottile velo di oscurità che cercava di insinuarsi dentro di lei. La porta era spalancata, ma non si vedeva niente dell’interno.

Non c’era traccia degli altri.

Aurora tirò fuori la bacchetta e percorse il vialetto, guardandosi intorno. Nessuno la attaccò. Non che se lo aspettasse: qualunque fosse la magia che sentiva provenire dalla casa, era quella la protezione contro gli intrusi.

E doveva aver funzionato, visto che la squadra di Sam è scomparsa.

Aurora si prese un momento per calmare il tremolio della sua mano destra. Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Quando li riaprì, era pronta.

Salì gli scalini e varcò la soglia della casa.

Subito, si ritrovò immersa nell’oscurità per quelli che parvero secondi interminabili… Finché non inciampò nel seminterrato di suo padre.

L’Incubo, pensò subito: la pozione che rinchiudeva le sue vittime nella loro stessa mente, tirando fuori i loro incubi peggiori, facendoli rivivere finché non impazzivano… Poteva essere applicata in diverse parti di un luogo perché attaccasse chiunque ci mettesse piede. A parte il proprietario, ovviamente, protetto da un sigillo.

Un’altra delle belle invenzioni di suo padre.

(A quanto pare, voleva vedere quanto il corpo ci mettesse a cedere per la paura)

Aurora si guardò intorno, aspettandosi di vedere l’ultima vittima di suo padre strisciare verso di lei, implorare aiuto. Mostrargli quanto il padre amorevole che pensava di conoscere fosse solo un mostro.

Ma il seminterrato era vuoto.

In qualche modo, questo la spaventò ancora di più. Almeno, quando si ritrovava intrappolata, paralizzata dal terrore, rivivendo la sua incapacità di salvare anche solo una persona dalle grinfie di suo padre… Sapeva cosa aspettarsi.

- Di cosa hai paura? –

Si voltò di scatto: appoggiato in posa rilassata contro la soglia del seminterrato, c’era Micheal Campbell.

- Hai paura di me? Del grande e cattivo serial killer che ha ucciso qualche Babbano? –

Micheal si raddrizzò e fece un passo verso di lei.

- Oppure… hai paura di te? – sorrise. – Hai paura che le mie parole siano vere? Sei mia figlia, dopotutto… E in fondo, dentro di te, sai che ho ragione -. Si fermò ad un passo da lei. – Siamo uguali –

- Non sono affatto come te, - affermò Aurora. Si impose di non indietreggiare. Non aveva paura. Non aveva paura. Non aveva paura.

- Stai cercando di convincere me? – chiese suo padre. – O te stessa? –

Si avvicinò ancora un po’. Aurora aveva le mani strette a pugno, ma non si mosse.

Non è reale, si disse. Non è reale. Non è reale…

- Andiamo, figlia mia -. Suo padre la guardava con amore. – Sai che ho più ragione di quanto ti piaccia ammettere –

- Non sei reale, - ribatté Aurora. Doveva concentrarsi, non poteva lasciare che la sua stesse mente la intrappolasse. Doveva. Concentrarsi.

- Non c’è mai stato un momento in cui pensavi di dover sentire qualcosa… ma non potevi? -. La voce di suo padre continuava a insinuarsi tra i suoi pensieri. – Tutte quelle volte in cui hai dovuto sforzarti per ricordare che l’omicidio che stavi indagando riguardava persone reali, persone che soffrivano per quanto avvenuto… Tutte quelle volte in cui hanno dovuto dirti di non mostrarti troppo entusiasta davanti ad un cadavere –

- Sta zitto, - ordinò Aurora. Si maledì subito dopo: non doveva dare corda a quell’allucinazione, dandogli attenzione gli dava potere.

- La mia bambina… - suo padre la guardava amorevolmente. Aurora si vergognò nel rendersi conto di quanto desiderasse quell’amore.

Non mi ama. È uno psicopatico narcisista, non mi ama.

- Non siamo uguali, - affermò.

- Capisci i serial killer più di quanto tu capisca le vittime, - rispose Martin. – Ti sei mai chiesta il motivo? –

Non è reale. Non è reale. Non è reale.

- Sai, è quella paura che sta bloccando il tuo potenziale, - continuò la voce dolce e amorevole. – Ci sono ancora così tante cose che devo insegnarti… -

- Tu non mi hai insegnato niente! – ribatté Aurora.

- E come fai ad esserne così sicura? –

Aurora sentì il suo stomaco affondare.

- In fondo, non ricordi molto dopo aver trovato quella ragazza nel seminterrato, non è così? -. Suo padre continuava a sorriderle. – Ti sei mai fermata davvero a chiederti perché la polizia non è arrivata in tempo per salvarla? Se l’hai chiamata subito dopo averla trovata, non avrei mai fatto in tempo a liberarmi di lei… -

- Sta zitto! –

- A meno che, ovviamente, non hai chiamato subito la polizia -. Adesso la voce di suo padre era un sussurro. – A meno che non è passato del tempo tra la tua scoperta e la telefonata… -

- Sta zitto… -. Ma ormai era solo un sussurro.

- E cosa è successo durante quel tempo, allora? -. Continuava a parlare, imperterrito.

Aurora chiuse gli occhi. Non è reale, non è reale, non è…

- Forse sei stata tu stessa ad aiutarmi a liberarmi di lei, - una risata. – Forse ti è persino piaciuto, tenere una vita tra le tue mani… -

- STAI ZITTO! –

Aurora riaprì gli occhi, pronta a fermare quel fiume di parole che la stavano colpendo più a fondo di quanto le piacesse ammettere… Ma suo padre era scomparso.

Aurora strinse i pugni e li rilasciò per un paio di volte. Doveva calmarsi… doveva… doveva tornare a concentrarsi. Doveva riuscire a battere l’effetto della pozione e salvare la squadra di Sam.

- Perché? –

Il sibilo la sorprese. Si voltò: nell’ombra alle sue spalle, in piedi, c’era la ragazza del seminterrato. Era coperta di sangue che gocciolava per terra, i capelli un tempo biondi un groviglio indistinto, gli occhi vuoti fissi su di lei.

- Perché non mi hai salvata? – chiese. Non aprì la bocca, ma la voce risuonò in tutta la stanza. – Perché non mi hai aiutata? –

Scomparve e ricomparve proprio di fronte a lei. Aurora indietreggiò, le gambe tremanti. – Sei come lui! – un grido che dava l’impressione di volerle far esplodere la testa. – Sei un mostro! –

Aurora indietreggiò e cadde fuori dal seminterrato. Atterrò nella cella di suo padre.

- Non preoccuparti, bambina mia, - il volto di Martin le sorrideva, inginocchiato accanto a lei. – I mostri non esistono… -. E il sorriso si allargò, diventando qualcosa di sbagliato, gli occhi che brillavano di pazzia…

Aurora rotolò via per allontanarsi e si ritrovò nel suo appartamento a Londra. Si rialzò, le gambe che tremavano così tanto che dovette aggrapparsi al muro per non crollare a terra.

Davanti al caminetto c’era Sam. Aurora stava per sospirare di sollievo e raggiungerlo… quando si accorse che la stava guardando con delusione.

- Pensavo che si sbagliasse, - disse Sam. – Perché hai dovuto farlo? Perché hai dovuto deludermi? Credevo in te… -. Sospirò, tirando fuori dalla tasca un paio di manette. – Invece sei proprio come lui –

Aurora indietreggiò, la nausea che rischiava di sopraffarla.

No… non Sam… non poteva… lei non era…

- L’ho sentito nel momento in cui sei entrata -. La ragazza del seminterrato era di nuovo in piedi alle sue spalle, gocciolando sangue sul pavimento di legno. – La tua anima… è sanguinosa e fredda come la morte –

- Mi dispiace, agente Reckless, - questa era la voce fredda e distaccata dei suoi superiori all’FBI. – Crediamo che lei soffra delle stesse tendenze psicopatiche di suo padre -. Risuonava in tutto l’appartamento. – Il tuo complesso disturbo post-traumatico, il comportamento narcisista, la sua sfrontatezza di fronte al pericolo… -

- E’ il momento della verità, figlia mia! – questa era Micheal: era seduto in cucina, sorridendole allegro. – Hai finalmente seguito le orme di tuo padre! –

Sam emise un verso strozzato. Aurora si voltò di scatto: Sam sanguinava dal petto. La guardò, e nei suoi occhi c’era solo paura.

- Finalmente! – esclamò Micheal. – La prima volta che uccidi è molto importante… Quando il sangue della tua prima vittima ti imbratta… Quello, bambina mia, è il momento in cui il mondo improvvisamente assume colore –

Aurora sentì qualcosa di caldo sulla sua mano. Abbassò lo sguardo: la sua mano destra era stretta in un pugnale zuppo di sangue fino all’elsa.

- Tu… - sussurrò Sam. – Sei stata tu… -. Poi crollò a terra e rimase lì, immobile.

No… no… no… no no no no no no no no no no non posso io non posso non sono non…

Non riusciva a respirare.

Una mano sulla spalla. Si voltò di scatto: suo padre la guardava fieramente. – E’ una bella sensazione, vero? -

Aurora si ritrasse di scatto.

NO!

Questo non era reale. Non lo era. Lei non aveva mai ucciso nessuno. Lei non era suo padre.

Non è reale. Non è reale. Non è reale.

Mentre la nausea le stritolava lo stomaco e il sangue continuava a gocciolarle dalla mano, si ritrovò a ridere. Era una risata distorta, piena di qualcosa di disperato, qualcosa che veniva da un luogo molto profondo che teneva nascosto dentro di sé.

- Questo? – esclamò. – Questo è il meglio che quella pozione sa fare? -. Rise ancora più forte. – Affronto questa paura ogni singolo secondo della mia vita e pensi che questo basti a rompermi? -. Smise di ridere. Gettò il pugnale sporco di sangue a terra. – Non puoi rompere ciò che è già rotto! –

E intorno a lei, all’improvviso, l’ambiente parve frantumarsi: schegge di quell’incubo caddero in una cascata di vetro, sparendo nell’oscurità.

Questa volta, quando si guardò intorno, Aurora vide un salotto illuminato fiocamente da candele. Alle sue spalle, una porta aperta su un corridoio immerso nella penombra. Davanti a lei, a pochi metri da un divano rosso vino, c’era Jonah, steso a terra, esanime.

Aurora aveva distrutto l’effetto della pozione, perciò si sarebbe dovuto risvegliare a breve. E con lui tutti gli altri.

E Sam. Sam che sta bene. Sam che non ho mai ferito.

Stava per andare ad aiutare Jonah, quando la governante della famiglia Hedge si alzò da dietro il divano. Era spettinata, i vestiti stropicciati addosso sporchi di sangue. ma quello che attirò immediatamente l’attenzione di Aurora furono le sue mani: aveva la pozione Il Fantasma in una mano e una pistola nell’altra.

- Come? – chiese la governante, gli occhi sgranati fissi su di lei. – Come hai fatto a liberarti? –

Vivo in quel labirinto di incubi da quando ho dieci anni, avrebbe voluto rispondere Aurora. Non puoi sperare che basti a fermarmi.

Invece alzò le mani. – Sono disarmata, - affermò. – Non sono una minaccia –

La governante la fissò per qualche interminabile secondo. – Siete quelli di cui mi ha parlato, vero? – chiese infine. – I maghi –

- So perché l’hai fatto, - la ignorò Aurora. – Quegli uomini… avevano fatto del male alla persona che ami –

- Se lo meritavano! – esclamò la governante. – Meritavano ogni goccia di dolore che hanno provato! Non era niente in confronto alla vita in cui hanno intrappolato Jonathan! –

- Avevano torto, - confermò Aurora. Era ancora scossa, ma finché riusciva a distrarla abbastanza a lungo, poteva trovare un modo per disarmarla. Perciò doveva concentrarsi. – E tu eri impotente nell’aiutare Jonathan. Per questo, quando hai conosciuto Micheal Campbell hai finalmente colto la tua occasione per diventare forte -

- Campbell mi ha insegnato molto, - confermò la governante. – Sono degna di portare avanti la sua eredità, e non sono più impotente. Lui non mi ha resa potente! Posso vendicare Jonathan. Posso proteggerlo. -.

La governante si voltò verso Jonah, che stava cominciando a muoversi. – Per questo devo farlo, -. E puntò la pistola contro il ragazzo ancora mezzo incosciente.

- Ferma! –

Con uno scatto, Aurora strappò la pozione Il Fantasma dalla mano sinistra della governante e indietreggiò, portandosela alla bocca.

- No! – la governante tese le mani, l’espressione sul suo volto più disperata che mai, ma almeno la sua attenzione non era più su Jonah.

Guadagna tempo!

- Vuoi davvero continuare l’eredità dello Scienziato? – chiese Aurora. – Vuoi davvero essere la sua migliore studentessa? –

- Quella non è per te! – esclamò la governante.

- Uccidere quell’agente non fa parte della sua eredità, - affermò Aurora. – Devi finire la Dozzina! –

- Quella pozione è il dolore più terribile creato dallo Scienziato, - disse la governante, le mani ancora tese come per afferrare il Fantasma, ma senza osare fare un passo avanti. – Tu non meriti quel dolore! –

- Ed è qui che ti sbagli -. Aurora sorrise. Si accorse di star tremando – Mi merito il dolore dello Scienziato, perché sono sua figlia -.

La governante si bloccò, i suoi occhi spalancati la fissavano come se la vedessero per la prima volta.

La piccola parte del cervello di Aurora ancora capace di razionalità esultò nel vedere che era riuscita a distrarla del tutto. Il resto era troppo impegnato a cercare di non avere un crollo emotivo davanti al loro assassino.

- Il mio vero nome è Aurora Campbell, - disse, la voce tremante. – L’ho cambiato perché volevo allontanarmi da lui, dalla sua eredità. È per questo che l’ho tradito, sono diventata una profiler e ho cominciato a dare la caccia a quelli come lui -. Fece un respiro profondo, o almeno ci provò. Considerava una vittoria non essere ancora crollata a terra, visto quanto stava tremando.

Non abbassò lo sguardo su Jonah. Si diceva che era perché voleva mantenere l’attenzione della governante su di sé, ma in realtà era terrorizzata dal vedere la sua espressione, ora che sapeva la verità. Sperava che fosse ancora troppo incosciente per capire la sua confessione, ma aveva paura che fosse sperare troppo.

- Per tutti questi anni ero convinta di avere paura di lui, - continuò a parlare. Non era più certa neanche di quello che stava dicendo, sapeva solo che non stava mentendo. Erano parole che arrivavano da un posto davvero oscuro dentro di sé. – Ma in realtà, ho paura di me stessa, e di tutto quello che mi ha insegnato –

La governante aveva ormai abbassato la pistola, la sua attenzione completamente catturata.

- Perciò vedi, - sussurrò Aurora. – Adesso hai la possibilità di uccidere me, la figlia che l’ha tradito, che si è rifiutata di portare avanti la sua eredità –

La governante annuì, sorridendo come ipnotizzata, e cominciando ad avvicinarsi.

- No! - gridò Jonah. – Aurora, ferma! –

Aurora chiuse gli occhi e fece finta di non sentirlo. La governante si avvicinò, le sfilò la pozione dalle dita e la premette contro le sue labbra. E Aurora si rese conto che non aveva nessun piano per sfuggire a questo. Non voleva fuggire. Era così stanca… voleva solo lasciarsi andare. Questa era la sua occasione, finalmente poteva smettere finalmente di lottare.

Socchiuse le labbra…

Un grido strozzato e la governante crollò a terra. Aurora riaprì gli occhi e la vide riversa sul pavimento, congelata. Prima che potesse registrare altro, sentì le sue gambe cedere. Qualcuno la afferrò per accompagnare la sua caduta. Capelli rossi… Jonah?

Le stava parlando?

- ...ne? Stai bene? – provò a sollevarle il viso per guardarla negli occhi. Aurora sbatté le palpebre un paio di volte prima di riuscire a mettere a fuoco i due occhi castani che la fissavano, sgranati. Paura… preoccupazione… un pizzico di rabbia…

- Non glielo avresti lasciato fare, vero? – le chiese. – Vero? –

Aurora si accorse che doveva rispondere. Doveva… doveva essere convincente. Provò a sorridere. – Certo che no -. La sua voce era flebile. – Sarebbe folle –

Jonah cercò qualcosa nei suoi occhi che sembrò non trovare, perché il suo sguardo si fece più grave, poi si alzò e la lasciò lì. Aveva la bacchetta in mano… era stato lui a colpire la governante? Stava parlando con qualcuno… un altro Sandman doveva essersi svegliato…

Ma non riuscì a seguire la loro conversazione. Non riusciva a seguire niente, in realtà.

Non registrò quanto tempo rimase lì, in ginocchio, a fissare il vuoto. C’era movimento, intorno a lei, ma non riuscì a prestargli attenzione. Le tempie le pulsavano e si sentiva solo così… stanca.

Qualcuno le toccò la spalla. Sobbalzò.

- Ehi, ragazzina -.

Si rilassò subito: era Sam. Poteva fidarsi di Sam.

- Sei pronta ad alzarti? -. La sua voce era calma e costante.

Adesso ci sono io, sembrava dire. Sei al sicuro.

Annuì lentamente e Sam le posò mani gentili ma ferme sulle spalle per aiutarla. Le gambe sembravano molto deboli, ma Sam non si lamentò, sorreggendola per aiutarla a camminare fuori dalla stanza, attraverso il corridoio, e finalmente all’esterno. L’aria fresca la aiutò a recuperare un po’ di lucidità.

- Tenente, ho bisogno di parlarle sulla risoluzione del caso -. Un poliziotto babbano corse sul vialetto, avvicinandosi a loro.

Sam strinse inconsciamente la sua presa sulle spalle di Aurora, come a volerla rassicurare che non andava da nessuna parte.

Aurora sorrise. – Va tutto bene, - disse. – So che devi chiudere il caso con gli altri poliziotti –

Lui la guardò con esitazione e… qualcos’altro. Un’emozione più profonda che non riusciva a decifrare.

Che cosa gli ha fatto vedere l’Incubo? Aurora si ritrovò a chiedersi.

- Sto bene, - affermò. – Ti aspetterò al distretto con gli altri, va bene? –

Sam strinse le labbra, ma annuì con un sospiro. La lasciò andare lentamente, assicurandosi che fosse stabile sui suoi piedi. Aurora gli sorrise di nuovo prima di avviarsi al di là delle auto della polizia, abbastanza lontana dalle luci così da potersi smaterializzare senza dare nell’occhio.



ANGOLO DEL TROLL PAZZO

Ehilà… c’è ancora qualcuno qui?

*entra timidamente*

E così, ecco il nuovo capitolo! Non mentirò, come potete constatare dall’attesa, è stato… un parto. Ho tenuto spezzoni di questo capitolo nel computer per mesi.

Scusate per il ritardoooooooooooo

Dopo gli esami di giugno ho studiato tutta l’estate per un esame di ammissione che non ho più potuto fare per problemi economici, non sono passata ad un esame fatto a giugno e ho cercato di prepararlo in tempo per settembre, e… non sono passata. Ho trascorso quest’ultimo mese a cercare di sentire di nuovo la passione di quello che sto studiando, il che… non è stato facile. E ho avuto qualche piacevole flashback non richiesto che ha reso tutto più difficile…

MA

Ora sono di nuovo più o meno stabile, mi sento meglio riguardo a quello che sto studiando, le mie nuove coinquiline sono le persone più meravigliose sulla faccia della terra e sono finalmente riuscita a rimettermi a lavorare su questo capitolo!

Sarò sincera, ho passato gli ultimi tre giorni a scrivere e tagliare e riscrivere e correggere e aggiungere… E spero di essere finalmente riuscita a renderlo come volevo!

Speravo di dare più spazio a tutti i personaggi, farveli conoscere di più, darvi un’idea della loro vita prima di Sandman e delle loro paure e di che tipo di persone sono. Ma è stato davvero difficile cercare di rendere tutti bene… Spero di non aver finito per rendere il capitolo troppo confusionario!

Grazie mille a tutti i lettori silenziosi e grazie di cuore di cuore a Theodred e fenris per le recensioni! Mi dispiace davvero tanto avervi fatto aspettare! Spero che il capitolo ne sia valsa la pena!

E la buona notizia è che sto già lavorando al prossimo! L’attesa sarà breve! Parola di scout!

A presto!

Il troll pazzo
   
 
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