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Autore: Enchalott    01/11/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Specchio dell’anima
 
Ishwin era al bivio: soddisfare la richiesta del fratello o denunciare il suo “ricatto”, ribadendo la fedeltà alla corona? Sarebbe stato più facile, se avesse conosciuto le ragioni per cui a Kamatar premeva tanto che Mahati tornasse a Mardan. Avrebbe tirato l’acqua al proprio mulino e trovato adeguate scusanti con Rhenn.
L’ultima discussione era stata un chiaro indicatore di come non confidasse in lei e di quanto l’indice di gradimento avesse subito una brusca flessione. Non avrebbe avuto difficoltà a sostituirla con una vestale compiacente, l’escludendola dai privilegi o addirittura condannandola a morte. Non era solito lasciare tracce quando trasgrediva al rigido codice dei demoni.
Si affacciò, osservando in lontananza le fiaccole accese sugli spalti del palazzo reale.
Se avesse richiamato il Šarkumaar con l’opportuna divinazione, avrebbe potuto porsi sotto la sua protezione, evitando la collera dell’amante e le trame dei ribelli.
È un uomo, sedurlo non sarebbe né spiacevole né impossibile: se possiede il sangue rovente del fratello, conosco i tasti da sfiorare.
Il recente fidanzamento con la shitai salki giocava a suo favore. La promessa di matrimonio era sfociata un’ondata di malignità, alcuni sostenevano che non avesse assaggiato la graziosa straniera e che avesse evitato le concubine.
Un maschio Khai a digiuno è una preda elementare.
Esisteva un aspetto che la frenava: il Kharnot era inflessibile, la nomea di guerriero senza misericordia era una caratteristica che le incollava l’apprensione addosso. Se non avesse gradito l’iniziativa, le avrebbe riservato una fine più atroce di quelle prospettate da Rhenn quando perdeva la pazienza.
Le fu sufficiente ricordare un’esecuzione da lui presieduta per sentire lo stomaco rivoltarsi. Era stata costretta ad assistervi come prima sacerdotessa, incaricata di recitare la supplica per i condannati. Di fatto aveva pregato per i loro brandelli. Anche l’Ojikumaar eseguiva le sentenze capitali, ma quasi non sporcava la spada. Mahati lo faceva a mani nude, ne usciva ricoperto di sangue e impartiva una feroce stoccata all’idea che i Khai non conoscessero il terrore. Avrebbe dovuto guardarsi non dalla sua scaltrezza, bensì dalla sua austerità.
Tutti possiedono un punto debole.
Avrebbe pensato a un sistema non invasivo per avvicinarlo, usando per esempio la risaputa rivalità con Rhenn.
Prima si sarebbe occupata di motivare la predizione che lo avrebbe richiamato a Mardan, poi avrebbe imbastito l’incontro, sfruttando il pretesto della presentazione della promessa sposa a Belker, accampando la malasorte in caso contrario. La minaccia dell’ira divina funzionava sempre, Mahati non avrebbe disertato il rito. Infine l’avrebbe conquistato, prospettandogli la doppia utilità del sodalizio.
Quanto alla dolce Yozora, di cui tutti parlavano con stupore o disprezzo, si sarebbe rassegnata all’infedeltà del marito, sempre che le nozze non fossero un pro forma ad uso del nemico. Ragionando su di lei, Ishwin constatò con stizza che i prìncipi la incontravano di frequente e che Rhenn non si era recato al tempio per occuparsene.
Quella bambola imbelle di Rasalaje non si era inquietata, ma Ishwin era di un’altra pasta. Non si sarebbe fatta scrupoli, se gli eredi di Kaniša avessero mostrato alla shitai un interessamento più duraturo di quello per una stravagante novità.
Chiamò una delle dorei, occultando il malumore.
«Vai a palazzo, incarica Tohrel di tenere d’occhio la fidanzata del Kharnot. E fammi sapere cosa sta combinando l’erede al trono.»
Rivolse un ultimo pensiero a Kamatar: i loro scopi erano venuti a coincidere, ma era lungi dall’accontentarlo. Si augurò che non fosse il trampolino per ulteriori richieste, in tal caso lo avrebbe denunciato senza rimpianti.
 
Rhenn si impose di uscire per incontrare il padre e si diede un’ultima occhiata.
L’abito blu scuro, ricamato di seta bruna, era perfetto sul fisico slanciato, i bordi scarlatti del giromanica al bicipite ricordavano le decorazioni militari e la cintura di cuoio nero gli stringeva la vita con la giusta vestibilità. Un regalo di sua moglie: conosceva a memoria il suo corpo, tanto da non convocare il sarto per le misure.
Allora perché diamine mi ha rifiutato!?
Infilò il diadema, cercando di non lasciarsi sovrastare dall’irritazione.
Rasalaje aveva accampato ragioni assurde: sarebbe stato meno strambo vedere il Sole Trigemino sorgere da ovest e in quel caso non si sarebbe sentito umiliato. Forse lo aveva ripagato con la sua stessa moneta o forse si era trovata un amante.
Non m’importa, a patto che non metta al mondo un bastardo spacciandolo mio.
Giusto per dare un taglio al problema dell’erede. L’ipotesi gli sembrò infondata: non era una fedifraga e, supponendo la circostanza, per non destare sospetti non si sarebbe negata.
Come faccio io con scafata pratica.
Magari la risposta tranciante di pochi giorni prima era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso della longeva tolleranza e si era finalmente risentita, riservandogli una reazione non devozionale. Tuttavia conosceva ogni sfumatura del suo carattere ed era certo che avrebbe inghiottito lo sgarbo per l’ennesima volta.
Che qualcuno le abbia consigliato di ostentare un atteggiamento meno remissivo?
La congettura accrebbe d’interesse quando la collegò alla visita di Yozora, che era maestra nel creare disordini.
Sbuffò, sistemando le spade al fianco sinistro più per nervosismo che per necessità. Avrebbe fatto i conti con lei quando sarebbero partiti per Shamdar. Prima gli sarebbe toccato espugnare la reticenza del re.
 
Kaniša era assiso sul trono, affiancato dai membri scelti della guardia personale come se stesse per ricevere una delegazione nemica. Rhenn non poté fare a meno di pensare che non aveva mai oltrepassato la soglia degli appartamenti reali. Lo sguardo cadde sul seggio vuoto.
Solo una volta. Quando lei mi ha detto addio.
Salì la scalinata e, dopo l’omaggio, il re lo invitò ad avvicinarsi: il gelo degli occhi, specchi dell’anima dannata, non virò quando gli domandò notizie sulla sua salute.
«Non crucciarti, Rhenn. Non intendo unirmi alla schiera di Reshkigal, puoi ancora rendermi fiero di te. In alternativa provvederò io stesso alla successione, generando un figlio meno incapace dei due che mi deludono con costanti insuccessi.»
L’Ojikumaar serrò le mascelle fino a sentir scricchiolare le zanne, ma all’esterno non trapelò alcunché. Tanto più che il padre non poteva risposarsi.
«Nessuna donna sarebbe degna di voi, erkhem
Kaniša socchiuse le palpebre. Fu uno sguardo di collera ma anche di un’afflizione che scacciò l’algore congenito e turbò non poco il primogenito.
«Risparmia i convenevoli. Che vuoi?»
«Esistono circostanze nebulose sulle ultime campagne belliche. Ho motivo di credere che qualcuno si sia arrogato il diritto di impiegare i Khai come ignobili pedine.»
Il re si contrasse impercettibile ma fece segno di procedere, allontanando gli uomini di scorta affinché non ascoltassero. Rhenn mostrò gli incartamenti.
«Ti diletti a perdere tempo e coinvolgi lo stratega supremo!» ringhiò il sovrano «Il dilemma è intendere perché stai riesumando quegli scritti ammuffiti!»
Il principe abbandonò la remissività, stanco di scontrarsi con l’irrispettosa incostanza del padre e di essere trattato alla stregua di un moccioso.
«Risponderò alla vostra stimolante richiesta quando avrete esaurito la mia! Siete al corrente dei falsi? Pretendo di assodare se siamo stati usati come strumenti passivi e, una volta dimostrata la teoria, scoprire il perché!»
Kaniša spalancò gli occhi alla risposta irriverente.
«Argina la tua immaginazione, Rhenn. Talvolta la soluzione anonima è la più corretta. I Consigli di Jandali prima e di Salki poi erano divisi sull’accettazione dell’ultimatum, ho fatto in modo che prevalesse la corrente favorevole al conflitto. I sigilli reali sono stati riprodotti in tutta fretta poiché il defunto Athefi ed Entin si sono rifiutati di siglare la dichiarazione di guerra. Stesso discorso per le firme, ho supplito i renitenti.»
L’erede al trono schiumò di rabbia.
«Mi berrei la vostra dotta spiegazione, se non avessi udito dalla principessa Yozora che l’intera Salki avrebbe accettato un accordo sull’acqua!»
«Osi accusarmi d’insincerità?!» s’infiammò il re «Sulla base delle dichiarazioni di una shitai, che non era nata all’epoca dei fatti e che trarrebbe giovamento dalla nostra discordia?! Osi disprezzare la battaglia e con essa il divino Belker?!»
«Vivo per combattere! Scenderei in lizza adesso, se me lo permetteste! Odio essere confuso con un imbecille e da tale errore vi metto in guardia, padre! Concediamo che la mia kalhar sia in malafede, come spiegate la missiva della regina Kelya? L’avete letta! Vi pare quella di una donna alla guida un popolo di corrotti doppiogiochisti?»
Kaniša lo fissò con ostilità, ansimando per la collera repressa.
«Dove… la credevo distrutta!»
«Rispondete! Chi ha falsificato i documenti?»
Il sovrano sembrò sul punto di sguainare, invece ricadde sullo scranno. Il volto era pallido, incavato, il petto si sollevava in rapidi respiri. Passò la mano sulla fronte sudata, poi sogghignò.
«La piccola salki è entrata nelle tue grazie, dunque. Hai il mio sangue, Rhenn.»
Questi trasecolò. La rabbia esplose sommandosi ai pensieri frustranti che lo avevano attraversato la notte precedente.
«Non tentate di paragonarmi a voi per allontanare la colpa che v’insozza l’anima! Se non rivelate l’inganno, qualcuno vi tiene in pugno! Proferite vane parole, ringraziate che le giudichi tali! Se le intendessi come insulto a mia madre, sarei costretto a difendere la sua dignità!»
Anche se mi ha detto addio per sempre.
Kaniša si artigliò ai braccioli. Le mani tremavano, le pupille erano dilatate e dalla gola proveniva un rantolo gorgogliante. Boccheggiò.
«Nessuno… nessuno supera la gloria del re dei Khai… non una stupida leggenda, non l’impulso della carne… la guerra è la vita, Belker il mio signore. A lui devo obbedienza e fedeltà… non a te… a te non devo…»
Si piegò in preda alle convulsioni, aggrappandosi al telo che ricopriva il trono e trascinandolo nella caduta. Rimase accartocciato sul pavimento, scosso da violenti conati che si tramutavano a ogni impulso in bava biancastra.
Il principe della corona assistette disgustato.
«Chiamate i guaritori!» sbraitò alle guardie congelate lungo la parete.
Si inginocchiò, scostando il drappo dalle membra paralizzate del padre e gli tastò la giugulare in cerca del battito, a mente fredda, come se vedere colui che lo aveva generato agonizzare ai suoi piedi non lo riguardasse.
 
Acquisì coscienza di avere le mani sudate e macchiate di sangue. Le sciacquò nel bacile dell’anticamera, mentre attendeva che i medici lo aggiornassero.
Se il re morisse, oggi stesso indosserei la corona.
Rhenn analizzò l’ovvia constatazione, diviso tra l’aspettativa e il malessere. Governare i Khai e i sottomessi, superando il predecessore in fama e grandezza, era da sempre il suo obiettivo. Ma prendere le redini in quel momento sarebbe stato seccante. Era concentrato su altro, inoltre perdere Kaniša significava non venire a capo delle contraffazioni. Se si era fatto venire una crisi pur di non scucirsi, una delle supposizioni era andata a segno, scatenando una reazione simile alla paura. E, posto che un Khai di sangue reale non ne veniva intaccato, significava che le forze in gioco sovrastavano quelle umane.
Possibile che si tratti dell’ingombrante leggenda di Kushan?
La storia dell’eclissi tornò in auge di prepotenza. Non aveva trovato indicazioni, così aveva posticipato l’indagine, distolto da altre premure e dall’irritazione volta a sganciarsi dall’episodio sovrannaturale. O dalle sciocchezze di Ishwin.
Se la divinazione proveniva dagli Immortali, l’unico nome capace di gettare il padre nel panico era quello di Belker. Per quanto improbabile o stravagante, la presenza del dio della Battaglia aleggiava sul presente e sul futuro, affondando le radici in un passato sfuggente.
L’immagine dell’ombra coronata di sole irruppe indesiderata nella mente. Fu costretto a reggersi, in preda allo stordimento.
Non posso controllarlo! È come se la portassi dentro!
Attese che il fenomeno si placasse, intendendolo però come una conferma.
Se anche Kaniša avesse una simile visione? Se il sangue di Kushan non vantasse legami con il rito ancestrale dell’enšak?
«Sua maestà è fuori pericolo, altezza.»
La voce professionale del guaritore lo distolse dall’assenza mentale. Si sentì sollevato. Raggiunse la balconata per prendere una boccata d’aria e lo sguardo fu catturato dal passaggio sottostante di una figura minuta, scortata da una guardia.
Yozora.
Era ora di portarla all’onda che bacia la roccia, di prendersi una pausa per rigenerare il fisico e lo spirito. Le soluzioni alle incognite sarebbero giunte a mente lucida.
 
Yozora non aveva convinto Mirai a scortarla in città: senza l’esplicito consenso di Mahati, i quartieri popolari non erano alla sua portata e la nisenshi si era dimostrata inflessibile. Eppure avrebbe desiderato vedere la Mardan esterna alla reggia.
«Dov’è Naiše?»
«Non si sente bene, altezza. L’ho sostituita per evitare che la sua indisposizione vi disturbasse.»
«State scherzando?»
Le schiave spalancarono gli occhi sbigottite, scorgendo la loro signora dirigersi verso la porta da cui era appena entrata.
«Non intenderete scendere tra gli shitai?» inorridì Mirai.
«Non lo sono anch’io? Vado a trovare un’amica, non m’interessa il conto dei gradini!»
«Il Šarkumaar non approverebbe! Se lo venisse a sapere…»
«Non vedo spie qui.»
Spalancò l’uscio e uscì a passo di carica. La guerriera e un paio di dorei le tennero dietro, indirizzandola per i corridoi meno frequentati per non rendere pubblico il colpo di testa.
Dal cappuccio di seta leggera, Yozora osservò in silenzio gli ambienti disadorni e raccolti che costituivano l’universo parallelo degli schiavi. Nonostante l’evidente povertà e l’atmosfera dimessa, fu catturata dal clima sereno. Non erano persone rassegnate, svolgevano i compiti quotidiani con un impegno slegato dallo status di inferiorità, come se in loro le speranze non fossero estinte.
La stanzetta di Naiše era sul fondo di un passaggio illuminato a torce: le dorei bussarono alla porta ed entrarono senza attendere risposta.
La donna, seduta ai piedi del giaciglio, spalancò gli occhi grigioverdi alla vista di Mirai.
Questa stese la mano verso l’uscio come a richiamare qualcuno da fuori.
«Altezza reale! Voi qui?»
Si prostrò, nascondendo il volto segnato dalla sofferenza e dalla vergogna. Non avrebbe voluto mostrarsi in tali condizioni e non avrebbe consentito alla principessa di restare. Appena il desiderio di piangere si fosse esaurito, si sarebbe alzata.
Yozora ruppe gli indugi. I pugni della schiava stringevano due manciate di terra, accanto al letto c’era una cassettina di legno con il simbolo della dea della Montagna.
«Sollevatevi, Naiše. Ero in ansia e ne avevo ben donde.»
«Sono addolorata per avervi inflitto una preoccupazione, mia signorm. Vi scongiuro, non attardatevi quaggiù. Vi prometto che domani…»
La ragazza scosse la testa e si accovacciò accanto a lei, dando a intendere che non si sarebbe mossa. Naiše si sforzò di contenere le lacrime: era ancora una Khai e i Khai non piangevano neppure quando erano in mille pezzi.
«Lasciateci sole» ordinò la principessa «Anche voi, Mirai.»
Le ancelle obbedirono, la guerriera esitò. Era suo compito impedire a un membro del clan reale di entrare in familiarità con una shitai, ma lo sguardo di Yozora la portò a desistere. Uscì con un rigido inchino.
Naiše si affrettò a riporre l’argilla nello scrigno, come se mostrarla fosse disdicevole.
«Per chi pregate le divina Valarde?»
«Perdonatemi altezza, so che non è ammesso.»
«Rispetto tutti gli dei. Ciò che riguarda il rapporto tra un essere umano e i Superiori è un ambito privato. Nessuno dovrebbe dettare costrizioni e regole.»
La donna non osò alzare il viso neppure dopo la rassicurazione, ma Yozora non si arrese. Le scostò dalla fronte una ciocca arancio chiaro, materna come l’altra era stata con lei, attendendo che condividesse il suo dolore.
«Oggi è quel giorno» mormorò Naiše «Oggi non posso contrastare i ricordi, divengo preda della sofferenza e smetto di appartenere al popolo demoniaco. Il re ha fatto bene a rendermi shitai, sono una vergogna per la mia gente.»
«Che dite!»
La dorei accennò un sorriso triste.
«Un centinaio di anni fa, il clan di mio marito è caduto in disgrazia. Kloda è stato giustiziato con disonore per essersi schierato con chi domandava l’uguaglianza. Kaniša non ha mai mostrato pietà per coloro che, con ambizioni di redenzione, risultano una minaccia all’ordine costituito. Non mi è stato concesso l’addio, il mio sposo non ha avuto l’onore del rogo e oggi cade l’anniversario della sua morte.»
«I vostri figli?»
Naiše scosse il capo: rammentare era rinnovare la disperazione ma anche spartire l’aspetto più spietato del regno dei Khai, che superava la crudeltà della guerra ed era un disumano infierire sulle persone. Narrò gli eventi non perché il messo di Elefter le aveva chiesto di persuadere Yozora alla loro causa. Non perché era la futura moglie di Mahati, nel quale i ribelli riponevano fiducia. Raccontò perché avrebbe compreso.
«Il mio Korin era reikan come suo padre e come lui si è adoperato per abbattere le discriminazioni. Un’anima forte, generosa, impavida. È morto in uno scontro, ucciso da quelli che erano stati i suoi compagni. Lo rivedo ogni volta che mi guardo allo specchio e prego che il sommo Reshkigal gli abbia concesso il riposo.»
Gli occhi di Yozora si riempirono di lacrime. Sentì quel dolore sulla pelle, una ferita fresca, identica a quella che aveva subito anni prima.
«Mia figlia Sahari era la minore dei tre. Aveva appena conquistato i gradi, voleva diventare una nisenshi. Condivideva gli ideali del fratello e non li ha rinnegati neppure alla prospettiva di divenire shitai. Una concubina, un oggetto. Ha scelto la morte e le è stato concesso l’onore del rogo, come se anelare la concordia fosse uno sgarbo per cui ottenere il perdono. Le sue ceneri sono sparse nell’Haiflamur. Quando spira il vento e la sabbia si deposita su Mardan, spero che in un granello ci sia il suo bacio» la voce di Naiše si incrinò «Di Haya non so più nulla. Se sia stato risparmiato perché ritenuto innocente o mandato su uno dei fronti di guerra, in modo che non restasse traccia della nostra famiglia. Non era un hanran, ha troncato ogni rapporto con me, ritenendomi un’onta. Prego per lui ogni notte, affinché possa trovare la felicità.»
Le lacrime di Yozora caddero nell’abbraccio, quando la commozione varcò gli argini e si trasformò in manifestazione tangibile.
«Quanto ingiusto dolore, quanta pena riposa tra queste mura! Dire che vi capisco sminuirebbe il valore della vostra sofferenza.»
«No, altezza, ne possedete una altrettanto viva. Vi ammiro per ciò che fate, per come lo realizzate, per quanto avete condotto nelle stanze remote della reggia. Un’altra voce, identica alla nostra, che non teme di farsi udire e parla una lingua ostica. Chi vuole capire è costretto ad ascoltare e grazie a voi qualcosa cambierà.»
«Non ho tale potere.»
«La vostra presenza a Mardan è di per sé un miracolo, i vostri occhi hanno la limpidezza del cielo del mattino. Vi giuro che ogni uomo o donna che crede nella libertà vi proteggerà.»
«So perché non avete scelto la morte. Per gli altri e per il vostro secondogenito, che desiderate rincontrare. Siete la persona più coraggiosa che io conosca, Naiše.»
«Voi la mia speranza, altezza. Dopo un secolo torno a percepire luce e calore.»
   
 
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