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Autore: Imperfectworld01    02/11/2021    1 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Ventitré.


Con mia grande sorpresa e probabilmente anche del mio interlocutore, quel marciapiede sul quale ci sedemmo segnò l'evoluzione del rapporto fra me e Filippo. Cominciammo a parlare e parlare e parlare, senza discutere né alzare la voce, senza neanche un momento morto, passavamo da un discorso all'altro senza nemmeno accorgercene. Ci furono dei momenti di silenzio, sì, ma non si trattava di silenzi imbarazzanti.

Fra le prime cose, sebbene un po' in ritardo, Filippo mi aggiornò sull'esito del suo esame di riparazione. Era passato al secondo anno e, nonostante ciò che aveva detto a voce a me e Vittorio settimane prima, ovvero che sperava quasi di essere bocciato per poter finalmente lasciare la scuola e andare a lavorare, mi rivelò che non era quello il reale motivo per cui sperava che accadesse. «Mio padre ha detto che finita la scuola - perché per qualche ignoto motivo ci tiene comunque che la finisca a tutti i costi - mi sbatterà fuori di casa a calci senza pensarci due volte. L'unico motivo per cui speravo di essere bocciato quest'anno era per poter stare qualche anno in più con mia madre e non doverla lasciare sola con lui» disse, e mi sentii mancare il respiro nel sentire quelle parole.

Per me era uno scenario terrificante da immaginare, ma la naturalezza e spontaneità con cui lo raccontò mi fece rendere conto di quanto cose del genere fossero per lui all'ordine del giorno.

Rimasi qualche istante in silenzio, più che altro per pensare a cosa rispondere. Sarei risultata troppo banale se avessi risposto soltanto con "mi dispiace", e comunque la mia compassione era l'ultima cosa che voleva ricevere.

Più ci riflettevo, però, più mi accorgevo che mi mancavano le parole. Lui se ne accorse e mi diede un colpetto sulla schiena per riscuotermi: «Dai, peperoncino, non fare quella faccia, su con la vita!» esclamò, simulando un sorriso. O almeno, a me sembrò simulato. Come se si fosse accorto del peso delle cose che mi aveva detto e non volesse appesantirmi né scaricare su di me i suoi problemi.

«Io credo che forse ti sia andata meglio così. Dato che sembra tenerci così tanto al fatto che tu finisca gli studi, se ti avessero bocciato, probabilmente avrebbe reagito peggio, no?» chiesi, cercando di vedere il lato positivo, sempre che ci fosse.

«Sì, ma così fra soli quattro anni...»

«Hai ancora tanto tempo da passare con tua madre» lo interruppi. «Ma altrettanto tempo da passare con lui. Se ti diplomi in tempo, poi potrai trovare un lavoro e andartene il prima possibile da quella casa insieme a tua madre. Mentre se perdi anni di scuola, tutto questo continuerà per molto altro tempo e tu continuerai a essere impotente, e non penso che sia questo ciò che vuoi» provai a farlo ragionare.

Rimase un attimo in silenzio, come se stesse riflettendo veramente su ciò che gli stavo dicendo.

«Anzi, potresti trovarlo già adesso un lavoro, qualcosa da poter conciliare con la scuola, e racimolare così qualche soldo» aggiunsi.

La legge n. 977 del 1967 consentiva, entro certi limiti, il lavoro minorile a chi aveva compiuto almeno quindici anni e assolto quindi il periodo di istruzione obbligatoria.

L'avevo sentito da mia madre qualche anno prima, quando rimproverava Benedetta per la sua scarsa dedizione allo studio, ricordandole che se proprio non le andava di studiare, poteva pur sempre lasciare la scuola e trovarsi un lavoro. Davanti a quella prospettiva, e considerando che mia sorella non era in grado di fare assolutamente niente se non lamentarsi e perdere ore davanti allo specchio, Benedetta appurò che fosse conveniente trascorrere ancora qualche anno in più fra le mura scolastiche, piuttosto che interfacciarsi così presto con il mondo reale.

«Pensaci: non andresti contro il volere di tuo padre perché continueresti a frequentare la scuola nonostante tu non sia più obbligato per legge a farlo e in più faresti in modo di aiutare te e tua madre.»

«Mia madre non me lo permetterebbe mai. Ogni volta che provo a intromettermi e a impicciarmi in queste cose da grandi, lei mi rammenta che è lei il genitore ed è lei a doversi prendere cura di me, non il contrario. Ma tanto non lo fa comunque...» Lasciò la frase in sospeso, come se più che dialogare con me stesse riflettendo ad alta voce.

A quel punto cercai un modo per cambiare discorso, per evitare di avvilirlo ancora di più. Ripensai a una delle battute di Giovanni di quel pomeriggio che però lui si era perso poiché impegnato a parlare con Riccardo (e io lo sapevo perché gran parte di quel pomeriggio l'avevo impiegata a osservare il biondino di nascosto e ad avercela con lui perché continuava imperterrito a ignorarmi), e gliela raccontai così da farlo ridere e distrarlo.

Poi insistette per sapere il giorno del mio compleanno, io gli risposi di tirare a indovinare. Tuttavia, dopo tre tentativi che non si avvicinavano neanche lontanamente, mi stufai di stare ad ascoltare le sue previsioni e vuotai il sacco.

Mi fissò strabiliato, con le sopracciglia inarcate. «Ah, quindi sei del segno dei Gemelli! Ora capisco molte più cose di come funziona la tua testolina!» esclamò, battendomi un pugnetto leggero sulla testa.

Storsi il naso. «Ma che discorso è?»

«Sei lunatica, impaziente, logorroica, intelligente ma un po' ficcanaso, e brava a intortare le persone con le parole. E hai una doppia personalità, è risaputo che i Gemelli ce l'abbiano» rispose, convintissimo di descrivermi alla perfezione.

Non che si sbagliasse totalmente, ma di certo non aveva niente a che fare con il mio segno zodiacale.

«Io non ho una doppia personalità» ribattei, incrociando le braccia al petto.

«Invece sì. Pensa, fino a oggi non mi ero accorto di quanto ti stesse sul cazzo Monica perché sei abile a nasconderlo. Poi ho visto come trattenevi a stento una risata dopo quello che le avevo risposto.»

«Non mi sta sul cazzo Monica, è solo che...»

«Shh, non mi interessa» mi zittì, portandomi un indice davanti alle labbra. Persi un battito, e mi distanziai un poco. «Comunque in realtà non la vedo per forza come una caratteristica negativa. Anzi, io penso che sia intrigante. Secondo me è più una cosa come... non lo so, che mostri agli altri, alla maggioranza delle persone, la parte di te che preferisci, ma solo in pochi poi ti conoscono per come sei davvero.»

Rimasi stupita nel sentire quelle parole, perché in effetti era ciò che accadeva il più delle volte. Tuttavia rimasi della mia idea: «Ciò non ha a che vedere con il segno zodiacale sotto il quale sono nata. Prima hai detto che pensavi fossi nata il 10 novembre, che segno è, Bilancia? No, forse Scorpione... Sì, insomma, è uguale. E dubito che avresti potuto dire la stessa cosa in tal caso. Perciò non vale assolutamente niente» chiarii il mio punto di vista.

Filippo sollevò le mani in segno di resa, temendo forse che iniziassi a scaldarmi e riprendessimo a litigare come sempre. «D'accordo, d'accordo, come credi tu. Però fidati, non sono tutte stronzate. Qualcosa ci azzecca per davvero» si difese.

«Per forza, perché siamo esseri umani e abbiamo cose che ci accomunano. Tu che segno sei?»

«Sagittario, ovviamente» rispose, come se fosse un onore riservato a pochi. Io che ne sapevo poco e niente di quel segno come anche di tutti gli altri non potevo di certo sapere il motivo di tutto quel vanto. «Solare, ottimista, amante della libertà, un po' con la testa fra le nuvole a volte, ma molto passionale» spiegò.

Finsi di esserne rimasta impressionata, anche se in realtà non me ne importava niente.

«E poi tu come le sai tutte queste cose? Che c'è, ti leggi l'oroscopo tutti i giorni?» domandai e lui mi fissò come se avessi detto una follia: «Scherzi? L'oroscopo è tutt'altra cosa, a quello non credo neanch'io! Comunque ogni tanto, quando mi annoio, sfoglio delle riviste che si legge mia madre, sai quelle dove ci sono fotoromanzi e robe simili? Ecco, ogni tanto ci sono delle postille che parlano di queste cose e quindi mi informo.»

«Ah be', le tue sì che sono letture di qualità» commentai sarcastica, e in quel modo introducemmo un nuovo discorso, dato che io cominciai a parlare della mia passione per la lettura.

Era da diverso tempo che non avevo nessun nuovo libro sottogamba, e in più con l'inizio della scuola non ero sicura che ne avrei trovato il tempo, ma mi mancava quella sensazione di perdermi completamente in un romanzo che, se era in grado di coinvolgermi, divoravo anche in meno di tre giorni.
La stessa cosa valeva per la danza, mi mancava tantissimo praticarla.

Dopodiché Filippo mi prese in giro per la facilità con cui mi ero ubriacata quel pomeriggio, canzonandomi perché alla fine ero quella che si era ridotta peggio sebbene fossi quella che aveva bevuto meno di tutti, lui escluso, che aveva toccato giusto due gocce. «Ti sembrerà strano, ma sai che non mi sono mai ubriacato per davvero? Sì, al massimo ero un poco fuori di me, un po' brillo, ma mai abbastanza da non rendermi conto di ciò che facevo o dicevo» disse e, dal modo in cui parlò, con tono serio ma voce tremolante, mi resi conto di una cosa, che colsi senza che lui la spiegasse a parole.

Era suo padre il motivo per cui non si lasciava andare. Probabilmente aveva paura che, qualora avesse perso il controllo, avrebbe reagito come il padre. Era una cosa stupida, ma era comunque comprensibile il suo timore.

«Nemmeno io, infatti poi mi scende piuttosto velocemente, ci metto poco a tornare in me. Ma forse è meglio così. In realtà non so cosa ci troviamo di tanto divertente nel rovinarci il fegato in questo modo» feci, riflettendo meglio sui rischi che l'assunzione di alcolici poteva apportare al corpo umano, specie a noi che eravamo ancora dei ragazzi. «Né i polmoni, in realtà» aggiunsi, pensando al mio brutto vizio.

Cioè, a dire il vero non ne ero proprio dipendente, ma ogni volta che ero in compagnia e qualcuno mi offriva una sigaretta, non riuscivo mai a dire di no, gli spiegai.

«Io cerco di evitare il più possibile, dato che soffro d'asma, ma...»

«Sei completamente pazzo?» lo interruppi, dopo quella rivelazione. «Non dovresti assolutamente fumare!» lo rimproverai.

«Rilassati, è asma lieve e ci convivo dalla nascita, non è nulla di esagerato.»

«Lo dici tu. Continuando a fumare la peggiori soltanto» lo rimbeccai.

Filippo emise un piccolo sorriso che non seppi interpretare. Era da una parte compiaciuto e dall'altra...

«Oh, che carina, adoro quando ti preoccupi per me» fece, accarezzandomi la testa come fossi un cagnolino.

Presuntuoso.

Lo fissai di sottecchi e rimasi in silenzio per evitare di fare una scenata coi fiocchi come a mio solito. Ci riuscii, ma con immensa fatica.

«Facciamo un patto» disse poi, attirando la mia attenzione. «Io ora ti do il mio pacchetto senza comprarne mai più nessun altro e tu, una volta finito, smetterai per sempre di fumare, proprio come me. Ah, e neanche scroccare gli ultimi due tiri a Vittorio vale.» Tese la mano verso di me affinché sigillassimo il patto, mentre l'altra la infilò in tasca per offrirmi il suo pacchetto di sigarette, pieno a metà.

Sapevo che non ce l'avrei mai fatta e che non ce l'avrebbe fatta neanche lui, tuttavia non mi andava di dargli soddisfazione, così gli strinsi la mano e con l'altra presi il pacco di sigarette.

«Comunque non potremo mai sapere se stiamo rispettando l'accordo oppure no.»

«Io mi fiderò semplicemente della tua parola, e tu dovrai fidarti della mia» rispose, scrollando le spalle e facendomi un occhiolino.

Infine, finimmo col parlare di Vittorio. Gli dissi che era stato nobile da parte sua intervenire in difesa dell'amico. Lui mi rispose semplicemente che chiunque tenesse davvero a lui l'avrebbe fatto, visto com'era in difficoltà. Poi dissi che speravo che avesse realmente aperto gli occhi su Monica e che quella sua cotta fosse svanita nel nulla così come era nata, e Filippo mi diede ragione.

Scherzammo un po' su quanto fosse ridicolo e imbarazzante il suo comportamento dinnanzi a lei, ma concordammo che faceva anche tenerezza alle volte.

«È un ragazzo d'oro» dissi. «È gentile, educato, altruista e premuroso, ha sempre una buona parola per tutti e non salta mai a conclusioni affrettate, a differenza mia... Ho persino imparato ad apprezzare i suoi monologhi ogni volta che mi parla di un nuovo film che è uscito al cinema. Non è per niente noioso, anzi, è una delle persone più straordinarie che conosca.»

Mi emozionai un po' nel dire quelle cose sul suo conto, tanto che mi tremò la voce alla fine, ma solo perché ancora non mi capacitavo di quanto fossi stata fortunata ad averlo incontrato.

«Ma guai a te se gli racconti queste cose» ammonii Filippo, e lui mimò il gesto di chiudersi le labbra come fossero una zip.

Poi mi sorse spontanea una domanda, ed era il caso che gliela ponessi in quel momento oppure non ne avrei più avuto il coraggio. «Hai detto a qualcuno di... di quello che è successo venerdì?» domandai, sentendo il mio cuore prendere a battere sempre più forte.

Mi fissò per qualche istante, prima di rispondere: «No. Non mi piace andare in giro a raccontare gli affari miei».

Inarcai le sopracciglia. «Ma finiscila, se con me non fai che vantarti continuamente delle tue conquiste!»

Sgranò gli occhi e poi li alzò al cielo. «Cioè, tu mi fai una domanda e poi credi comunque a quello di cui sei già convinta? Allora tieniti i tuoi dubbi la prossima volta!» strepitò, visibilmente infastidito.

«Allora perché oggi Monica e Erica continuavano a farmi battutine allusive?»

«E io che ne so? Ci hanno visti insieme e l'avranno pensato, ma io non ho confermato né smentito niente» ribadì, anche se non ero ancora sicura di credergli. «Non l'ho detto neanche a Vittorio, a differenza tua che sei andata a spifferare tutto. E non provare a negarlo perché so che l'hai fatto» aggiunse, ma non sembrava turbato per il fatto che gliel'avessi detto, semmai sembrava divertito, anche se non ne capivo il motivo.

«E comunque ripeto, non mi pare proprio che tu sia un tipo riservato, dato che...»

«Ancora? Guarda che quando dico quelle cose è solo per renderti gelosa» mi interruppe con un sorriso.

«E perché mai? Non me ne frega niente di chi baci» asserii, incrociando le braccia al petto e spostando lo sguardo altrove.

«Sì, si vede» rispose e, sebbene non lo stessi guardando in faccia, capii che stava ancora sorridendo mentre aveva pronunciato quella frase, il che significava solo una cosa: si stava facendo beffe di me.

«Mi stai dando ragione o per caso mi stai prendendo per i fondelli?» chiesi fulminandolo con lo sguardo.

«Ti lascio il beneficio del dubbio» rispose scrollando le spalle, e mi feci andare bene quella risposta solo per evitare che nascesse un'altra discussione.

Calò il silenzio. A quel punto pensai che forse era il momento giusto per chiedere a Filippo della madre di Vittorio. Ero davvero troppo curiosa, ma non avevo idea di come aprire il discorso con il diretto interessato. Se non me l'aveva mai citata neanche una volta, probabilmente un motivo c'era. E io volevo sapere.

«Posso chiederti un'altra cosa?» domandai a Filippo, il quale annuì e mi esortò a parlare. «Ho notato che in casa da noi non ci sia neanche una...»

Non terminai nemmeno la frase. C'era stata una parola in particolare nella frase che non avevo portato a compimento, che aveva attivato qualcosa nel mio cervello, quasi come una sorta di allarme.

"Casa".

Avvertii un brivido lungo la schiena e poi diedi uno sguardo al cielo. Era notte fonda.

Scattai in piedi. «Oddio, che ore saranno? Devo tornare subito a casa! Mia madre mi darà per dispersa. Anzi, preferirei esserlo, piuttosto che subire la sua ira funesta! Forza, muoviamoci, devo tornare a casa immediatamente!» urlai, andando nel panico.

Filippo cercò di calmarmi pur restando seduto, ma io non lo stavo neanche ad ascoltare e continuavo a farneticare, così a un certo punto si alzò in piedi e mi afferrò per le spalle per farmi stare immobile. «Stai calma. Adesso ti porto a casa, saremo lì neanche in cinque minuti, perciò non preoccuparti. E poi non penso che sia così tanto tardi.»

Le sue parole mi servirono da calmante. Ripresi a respirare a un ritmo regolare e così potemmo avviarci verso casa.

Come aveva detto Filippo, in meno di cinque minuti vidi davanti a me il sottopassaggio della metro e mi tranquillizzai. Filippo iniziò a scendere un paio di scalini e poi si voltò verso di me.

«Grazie mille, davvero!» gli urlai da sotto il portone di casa, mentre mi indaffaravo a tirar fuori le chiavi.

«Di nulla, gemellina» rispose con un sorriso, prima di scendere le scale.

Roteai gli occhi.

Un altro soprannome.

Poi però mi scappò un piccolo sorriso. Anche se stavo per essere ammazzata a mani nude da mia madre, non mi era dispiaciuto trattenermi tutto quel tempo con Filippo.

Bleah, non posso averlo pensato davvero, dissi fra me e me.

*

«Le nove e tre quarti, Marina, le nove e tre quarti! Ti rendi conto? Cosa ti dice il cervello!» iniziò la paternale, non appena misi appena un piede dentro casa, mentre l'altro era ancora in corridoio.

Era lì ad aspettarmi, con le mani sui fianchi e la faccia da pazza isterica. Non appena mi vide avanzò nella mia direzione.

«Mamma, posso almeno spie...»

«Hai l'alito che sa di vino. Dove sei andata, eh? Lo posso sapere? Sei andata a ubriacarti con non si sa chi e hai appena quindici anni!» esclamò, tirandomi per un braccio per farmi entrare dentro casa.

Fortuna che avevo nascosto il pacchetto di sigarette nel portaombrelli fuori casa. Se avesse visto anche quelle sarebbe davvero stata la fine.

«Ero con gli amici di Vittorio, come ti avevo detto, e...»

«Dove, nel parco a neanche dieci minuti da qui? Vittorio è tornato da almeno due ore, perché tu ci hai messo così tanto? E perché non siete tornati insieme?»

Solo a quel punto, dietro la figura di mia madre, scorsi anche quella lunga e slanciata di Vittorio e quella ugualmente alta ma più robusta di Claudio, e in più scorsi mia sorella rintanata in un angolino, curiosa di assistere a quella discussione di cui, per una volta, non era la protagonista.

Claudio a quel punto intervenne e puntò il dito contro il figlio: «L'hai fatta tornare da sola con questo buio?» lo accusò, e sembrava furente.

«No, certo che no, è tornata con...» Vittorio si interruppe non appena incrociò il mio sguardo, interpretando subito il mio scuotere la testa come un: «Non accennare a Filippo». Riordinò le idee e poi riprese la parola. «È tornata con le ragazze, mi ha detto che voleva stare ancora un po' con loro e io mi sono semplicemente fidato, non so cosa abbiano fatto dopo» disse, tirandosene fuori e dandomi uno spunto per giustificarmi.

O almeno, credeva di essersene tirato fuori, ma a quanto pare mia madre ne aveva un po' anche per lui. «E tu? Tu porti mia figlia a bere al parco? È questo che fate per passare il tempo?»

«Mamma, guarda che Vittorio non c'entra niente...» cominciai a parlare, ma ancora una volta non mi fu lasciata la possibilità di finire. Stavolta però fu Claudio a interrompermi: «Non difenderlo, Nina, non sono nato ieri, so bene cosa fanno i ragazzi di oggi. Che non succeda mai più, intesi? E scordati feste e festini d'ora in poi, uscire la sera per te sarà fuori discussione per un po'» disse, tornando a rivolgersi al figlio.

La sua voce si sovrapponeva alla mia, che nel frattempo raccontavo la mia versione a mia madre, dicendole che Erica e Monica mi avevano chiesto se mi andava un gelato e io avevo detto di sì, ma la gelateria dove volevano andare era lontana e loro non avevano il biglietto per prendere i mezzi pubblici, perciò ci eravamo andate a piedi e per tale motivo ci avevamo impiegato tanto tempo. «... e poi per non lasciarmi tornare da sola, mi hanno riaccompagnata qui. Non ho chiamato perché non avevo una sola lira per le cabine telefoniche, altrimenti ti giuro che l'avrei fatto» conclusi, sperando che se la bevesse. Nel mentre che esponevo il racconto, avevo condito la bugia con dei dettagli pressoché inutili, come il fatto che ci eravamo dovute fermare più volte perché a Monica si continuavano a slacciare le scarpe e anche che c'erano dei gusti di gelato particolari e mai visti, il tutto per poter rendere la menzogna più credibile.

Nel frattempo notai Benedetta mentre mi fissava con gli occhi ridotti a due fessure, consapevole del fatto che non la stessi raccontando giusta, e alle volte la beccavo mentre tentava di soffocare una risata. Per lei quello era un bello spettacolo a cui assistere.

Io invece lo trovavo tutt'altro che divertente. Mi sentivo tremendamente in colpa, ma al tempo stesso la reazione di mia madre mi pareva spropositata, in fondo ero tornata a casa sana e salva, e poi non ero più una bambina: avrebbe dovuto aspettarsi, prima o poi, che accadesse una cosa del genere, come se poi lei non avesse mai fatto niente di simile o di peggio.

«Senti, non voglio più ascoltarti, Marina. Sono profondamente delusa...»

«... non voglio più sentire queste fandonie belle e buone che mi rifili da anni, ormai sono in grado di capire quando menti.»

Le voci di Claudio e mia mamma si mescolavano perfettamente, praticamente dicevano le stesse cose, perciò era indifferente che dessi ascolto all'una o all'altro.

«E scordati di uscire al pomeriggio e alla sera, la tua vita d'ora in avanti sarà casa-scuola e scuola-casa, finché non deciderò altrimenti. E già che ci sei vedi di dare anche una mano in casa, dato che ogni volta devo pregarti per farti fare qualsiasi cosa! Non lavi mai i piatti a pranzo e la sera me li ritrovo sempre incrostati dentro al lavello; non porti mai fuori la spazzatura; se non ci fosse Vittorio quel povero gatto morirebbe di fame perché non pensi mai a dargli da mangiare, né gli pulisci mai la lettiera; la tua camera è sempre uno schifo, per non parlare dei tuoi cassetti, butti sempre tutto dentro alla rinfusa e poi ti ritrovi sempre con le cose stropicciate... tanto ci sono io che lavo e che stiro, giusto? Ogni cosa che ti chiedo di fare è sempre "dopo, dopo, dopo" e poi finisce che devo fare tutto io! Ma ti avverto, adesso è finita la pacchia. È chiaro?»

Rimasi in silenzio e le piantai il muso. Non volevo più starla a sentire, volevo solo andarmene in camera mia e non vederla più.

«È chiaro?» ripeté e io a quel punto persi la calma e sbottai: «Sì, è chiaro, è chiaro! Speriamo che la prossima volta mi capiti qualcosa di brutto, così avrai un valido motivo per starmi così addosso!» urlai, prima di dirigermi a tutta velocità in stanza e sbattere la porta per chiuderla.

Mi stava punendo così duramente e per cosa? In fondo mi stavo solo divertendo, senza far male a nessuno e senza esagerare. Capivo la sua preoccupazione, ma ormai mi conosceva e avrebbe dovuto imparare a fidarsi, sapeva che ero una ragazza responsabile.

Quella sera desiderai con tutto il cuore di andarmene da quella casa, di trovare mio padre e andare a vivere con lui. Sempre meglio che continuare a stare con mia madre.

 

   
 
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