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Autore: Imperfectworld01    26/10/2021    1 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Ventuno.


Alla fine, non so come, Giovanni riuscì a convincermi a giocare a carte in coppia con Vittorio, così che lui e Filippo potessero prendersi una rivincita.

Contrariamente alle aspettative, sembrava proprio che ci stessero riuscendo. Durante la prima partita, mi resi conto fin da subito di non essere al mio meglio, in quanto distratta e in soprappensiero: buttavo le carte a casaccio, mi dimenticavo di pescare, dovevo ogni volta essere richiamata quando era il mio turno perché non ero in grado di accorgermene da sola.

Avevo mille pensieri per la testa. Pensavo a mio padre, a quanto desiderassi rivederlo; pensavo a come mi ero rivolta poco prima a Monica, e che forse avevo esagerato; pensavo a Filippo, al fatto che non riuscivo neanche a incrociare il suo sguardo senza provare imbarazzo e continuavo a chiedermi se avessi commesso un errore venerdì sera, compromettendo ancora di più il nostro difficile rapporto; pensavo a mia sorella Benedetta, che in quei giorni mi pareva strana, era sempre nervosa e sull'attenti, più del consueto; pensavo al fatto che stavo sottraendo tempo allo studio e quasi sicuramente dopo cena non avrei concluso niente perché troppo stanca e svogliata.

E alla fine io e Vittorio perdemmo la prima partita.

«Dai, Nina, concentrati. Non è ancora finita!» mi incalzò, non perdendosi d'animo.

Giovanni appoggiò le carte sul telo, invece che cominciare a mischiarle, sebbene fosse il suo turno di farlo. «No, così non va» disse increspando le labbra. «Abbiamo vinto novantasei a ventiquattro. È umiliante persino per me che ho vinto! Non ti posso vedere così, Nina.» Mi appoggiò una mano sulla spalla ma io me ne accorsi appena, assorta com'ero nei miei pensieri. Mi stavo torturando le labbra, continuando a tracciarne il contorno con le dita e strappandomi le pellicine. Mi riscossi solo appena Giovanni batté le mani davanti al mio viso. «Propongo un cambio nelle regole! D'ora in poi, la coppia che perderà dovrà bersi tre sorsi di vino. A ogni partita persa, si aggiungerà un sorso» disse colmo d'entusiasmo.

«Non mi pare che sia un'ottima idea. Nina già è stordita ora, pensa da ubriaca» commentò Vittorio e lo fulminai con lo sguardo, anche se non aveva proprio tutti i torti, dato che stavo giocando da cani.

Nemmeno Filippo sembrava pro a quella proposta. «Quante partite vuoi giocare? Tre come al solito?» domandò e Giovanni schioccò la lingua sul palato e scosse la testa: «Almeno cinque. Finché non saremo tutti in stato d'ebbrezza non ho intenzione di muovermi da questo cazzo di parco».

«Io non posso permettermelo, devo studiare» gli rammentai ma lui non volle sentire ragioni. Mi passò una delle bottiglie e mi incitò a bere.

Sospirai e cedetti al diavolo tentatore alla mia sinistra. Bevvi tre piccoli sorsi, sebbene lui mi incitasse a farne di più grossi. Poi mi ripulii le labbra con la mano e passai la bottiglia al mio compagno di gioco.

«Bene! Ora sì che si fa sul serio» fece Giovanni, rimboccandosi le maniche con fare teatrale e prendendo le carte per mischiarle. «Anzi, un sorso me lo bevo pure io. Tu Filo? Lo vuoi?» chiese all'amico, il quale scosse la testa: «No, voglio rimanere concentrato. Non dobbiamo perdere nemmeno una partita» rispose con aria competitiva.

«Ehi! Ho portato i calici apposta, perché bevete dalla bottiglia? Va a finire che poi la impuzzolite mischiando i vostri aliti» si intromise Monica, spuntando alle spalle di Vittorio, il quale si prese uno spavento e io risi sommessamente.

«Rilassati, guarda che ce li laviamo i denti. E comunque i calici non bastano per tutti» replicò Giovanni.

Monica poi emise un sorrisetto malizioso. «Comunque vi state scambiando la saliva, praticamente è come se vi steste baciando tutti e quattro» fece notare con una risata.

Giovanni emise una smorfia di disgusto, Filippo la squadrò come se avesse appena detto una delle più grandi baggianate e Vittorio era semplicemente incantato a fissarla come un ebete. Io evitai del tutto di guardarla.

«Dai, allora bevi anche tu e facciamo una bella orgia, Moni» le disse Giovanni passandole la bottiglia. Monica assunse un'espressione schifata e contrariata, Filippo e Vittorio lo maledissero con lo sguardo e io ero semplicemente confusa, non avendo idea di cosa significasse quella parola.

Avevo paura a chiedere, a giudicare dalle loro reazioni dopo quella frase, ma alla fine la mia curiosità prevalse, perciò domandai: «Che cos'è un'orgia?».

I tre ragazzi si scambiarono uno sguardo che a quanto pare valeva più di mille parole, e infatti di comune accordo decisero di non fornirmi una risposta.

Monica poi si mise in ginocchio e si portò le mani sui fianchi. «Posso giocare anch'io a carte? Mi annoio» disse con un viso imbronciato.

«No» rispose prontamente Giovanni e, a giudicare da quelle risposte puntigliose e provocatorie che continuava a darle, ipotizzai che non le stesse un granché simpatica. Iniziò a distribuire le carte, noncurante delle continue proteste della mora.

«Dai, voglio giocare anch'io! Nessuno di voi vuole cedermi il posto? Sono fortunata nel gioco! È solo l'amore che va sempre uno schifo» continuò a lamentarsi.

«Perché dici così?» domandò Vittorio, riemergendo dal suo coma dopo l'ultima frase della ragazza.

L'avrei preso volentieri a pedate, perché, dandole retta, ci stava facendo perdere tempo. Stranamente, anche Filippo e Giovanni parevano infastiditi dalla sua presenza almeno quanto me.

Così, senza farmi vedere, presi la bottiglia di vino e, abbandonando tutti i miei buoni propositi, feci qualche altro sorso, nella speranza che l'alcol in circolo nel mio corpo mi aiutasse a rendere il tutto più sopportabile.

«Tutti i ragazzi che trovo si stufano di me dopo appena una settimana» proseguì Monica, sfogandosi con Vittorio.

«Una settimana mi pare anche troppo» disse Giovanni sottovoce ma io lo sentii ugualmente e dovetti faticare per trattenere una risata. Lui se ne accorse e poi vide anche che tenevo in mano la bottiglia di vino e mi chiese di passargliela così che potesse berne un po' anche lui.

«E questo dopo che mi hanno fatto la corte anche per mesi interi! Insomma, perché? Perché siete fatti così? A volte sembrate proprio degli esseri primordiali, pensate solo a cacciare e poi una volta che avete catturato la preda ve ne disfate in un attimo.»

A quel punto iniziai realmente ad ascoltare le parole di Monica. Era forse la prima cosa davvero sensata che le sentivo dire. «Perché sono attratti da ciò che pensano di non poter avere, e una volta che ce l'hanno, il loro ego si gonfia perché sono riusciti ad avere ciò che consideravano irraggiungibile, e semplicemente perdono interesse per la cosa» intervenni.

«Esatto! È proprio così! Siete solo degli egocentrici e degli stronzi» mi diede ragione Monica.

«Io volevo solo giocare una cazzo di partita a carte, e invece mi devo sentir dire che sono un pezzo di merda?» si chiese Giovanni fra sé e sé.

«Be', però non è vero, non è sempre come dici tu. Non dovresti generalizzare» disse Vittorio. «Magari ci sono dei ragazzi che farebbero di tutto per piacerti e non si stuferebbero mai di te, ma tu semplicemente non ti accorgi di loro e badi solo ai soliti idioti che non ti valorizzano.»

Sgranai gli occhi nel sentirlo dire quelle cose. Con quegli occhi da pesce lesso che aveva ogni volta che le parlava e in più quel discorso in cui si stava addentrando, era palese che si stesse riferendo a se stesso. Era impossibile che Monica non se ne rendesse conto.

«Evidentemente se non li noto è perché sono noiosi e per nulla interessanti» scrollò le spalle Monica, e giurai di aver sentito il cuoricino di Vittorio spezzarsi in mille pezzi dopo quella risposta secca e diretta.
Glielo leggevo negli occhi, che l'aveva distrutto. Non disse nulla per ribattere, certamente in quello stato d'animo in cui era caduto faticava a trovare le parole.

Brutta vipera... Ma che ci trovava davvero Vittorio in lei? Avrei voluto dirgliene quattro per metterla al suo posto, e ci sarei riuscita alla grande, ma sapevo che poi lui ce l'avrebbe avuta con me.

Sorprendentemente, però, qualcun altro intervenne per metterla a tacere. «Chissà, magari questo è lo stesso motivo per cui i ragazzi di cui parli si stufano di te. Forse ritengono che tu non sia abbastanza interessante per loro.»

Mi voltai immediatamente verso Filippo colma di sorpresa e, a dirla tutta, anche con un certo compiacimento. Avrei tanto voluto dirlo io, mi aveva letteralmente tolto le parole di bocca.

Aveva usato un tono così pungente che in confronto io, mentre prima eravamo per strada, le avevo leccato il didietro.

Monica lo fissò con disappunto, poi lo squadrò, infine, offesa e risentita, gli diede le spalle e se ne andò.

Filippo non sembrava minimamente pentito e, anzi, diede una pacca sulla spalla a Vittorio e poi gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Il moro annuì e Filippo poi fece cenno a Giovanni che potevamo riprendere a giocare.

*

Fra una cosa e l'altra, o meglio, fra una partita e l'altra, alla quale seguiva sempre qualche sorso di vino di troppo, persi completamente la concezione del tempo. A un certo punto alzai lo sguardo su verso il cielo e vidi che il sole stava ormai tramontando.

Mi alzai di scatto in piedi. «Bòja Fàuss! Sarà già ora di cena, devo tornare a casa!» esclamai in preda al panico, prima di scoppiare a ridere. «Bòja Fàuss, non è buffo come termine? Non lo dicevo da un sacco! Il Milanese non lo so, ma qualche espressione imparata a Torino mi è rimasta, sapete? No, basta parlare. Bando alle ciance: dobbiamo andare, prima che mia madre mi uccida e penso anche le vostre!»

Praticamente avevo fatto tutto da sola, infatti i ragazzi e le ragazze mi fissarono allibiti. Tutta colpa del vino. Avevo esagerato. Tuttavia non rifiutai lo stesso la bottiglia che mi passò Giovanni, nonostante le ammonizioni di Vittorio. Rimanevano solo un paio di sorsi, e mi assunsi il compito di finirlo, così che potessimo buttarlo e poi andarcene.

Sentivo le guance andarmi a fuoco e in più mi era venuto il singhiozzo.

A quel punto alcuni di loro iniziarono a dare un'occhiata agli orologi che tenevano al polso, e furono della mia stessa idea: dovevamo muoverci a tornare a casa.
Specie perché io e Vittorio abitavamo vicini, dieci minuti massimo e saremmo arrivati, ma c'era chi veniva quasi dall'altra parte di Milano.

Si alzarono tutti in piedi come me, sistemammo i teli, buttammo la sporcizia che avevamo lasciato e facemmo per incamminarci, saltando i saluti e convenevoli.

Nonostante la fretta che avevo messo a tutti, c'era qualcosa dentro di me, non sapevo se l'alcol o qualcos'altro, che voleva ritardare il più possibile il rientro a casa. O meglio, voleva ritardare la separazione dal gruppo. Cioè, non proprio da tutto il gruppo.

«Vitto, tu inizia ad andare, va bene? Ti raggiungo fra un po'» dissi a Vittorio e, sebbene non sembrasse propriamente d'accordo, annuì e iniziò a incamminarsi senza di me.

A quel punto, ancora incerta su quelle che fossero le mie reali intenzioni, mi voltai e raggiunsi Filippo, che stava camminando dalla parte opposta. «Ti va di ria... accompagnarmi a ca... casa?» chiesi, ma per via di quel fastidioso singhiozzo che si verificava con frequenza ogni cinque secondi mi mangiai le parole, così lui mi fissò accigliato, senza aver capito la mia domanda: «Cosa?» chiese infatti.

«Ho detto... se ti va di riaccompagnarmi... riaccompagnarmi a casa» ripetei, e lui inarcò le sopracciglia dallo stupore, senza rispondermi. Mi aspettavo una delle sue solite battute, invece mi fece un cenno di assenso e cominciammo a camminare, facendo il giro largo del parco così da non dover incrociare Vittorio.

Per i primi due minuti rimanemmo in silenzio. Il mio singhiozzo era l'unico rumore ad accompagnarci durante il tragitto.

Sembrava che ogni tanto Filippo fosse sul punto di dire qualcosa, ma che all'ultimo momento ci ripensasse e rimanesse zitto.

Così parlai io, mettendo a nudo i miei dubbi: «Come Monica, anche io sono così poco interessante ai tuoi occhi da non degnarmi nemmeno di un saluto?» domandai e lui mi fissò confuso, senza capire a che cosa mi riferissi. Proseguii allora con il mio discorso. «Che c'è, solo perché mi hai baciata adesso non ti importa nemmeno di salutarmi? Prima ti stavo per salutare e tu ti sei voltato... chi cazzo sei, Dio sceso in terra? E poi durante tutto il pomeriggio non mi rivolgi parola, non mi consideri neanche un minimo, neanche avessi la lebbra, e... ed era ovvio, lo sapevo in fondo, che sei fatto così: non appena ottieni ciò che vuoi, ecco che il giocattolino non ti pare più interessante come prima, quindi vai oltre e non te ne fai più nulla» sputai, in preda alla collera. Seguì un altro piccolo singhiozzo, che rese quella scena a dir poco comica se non anche ridicola. Dovetti ricorrere a tutte le mie forze per non scoppiare a ridere e rimanere seria, dato che, nonostante l'ebbrezza, ero molto adirata.

Onestamente non sapevo neanche perché ci dessi così tanto peso, e il fatto che ci dessi importanza mi mandava ancora più in bestia.

«Quindi prima quando parlavi con Monica con tutto quell'astio, ti riferivi a me?» chiese con un mezzo sorriso, senza rispondere a nulla di tutto il resto. 

Sbuffai, evitando a mia volta di dargli una risposta e accelerando il passo. Mi stavo già pentendo di avergli chiesto di accompagnarmi a casa, e anche di aver aperto quel discorso, dato che non sapevo dove mi avrebbe portata. Di certo non stava prendendo una bella piega.

Uscimmo dal parco e girammo a destra, finendo sul marciapiede.

«Se ti avessi salutata come con le altre ti saresti arrabbiata» disse poi Filippo dopo quegli attimi di silenzio, interrotti solo dal mio fastidiosissimo singhiozzo che non sembrava voler cessare in brevi tempi. «E lo so perché è già successo» aggiunse.

«Si, è probabile, ma in quel caso l'arrabbiatura mi sarebbe passata prima. Invece ignorandomi del tutto mi hai...»

«Tu sei completamente fuori di testa!» mi interruppe, iniziando a scaldarsi pure lui. Sussultai per l'aumento di volume nel suo tono di voce, dato che non mi aspettavo quella reazione improvvisa. «Non ho idea di come comportarmi con te, lo sai? Ogni volta che ti vedo mi viene l'ansia, perché so che qualsiasi cosa faccia sarai pronta a puntare il dito e criticarmi. Parli di me come se ti vedessi come un giocattolino, ma tu fai lo stesso. E indovina? Non lo sono, non sono un pupazzo a cui decidi cosa far fare e cosa no! In più lo fai solo con me, con gli altri hai un rapporto d'amicizia normalissimo e senza tutti questi alti e bassi. Parli, scherzi e fai battute, ridi... con me fai l'incazzata tutto il tempo, però poi mi chiedi di accompagnarti a casa. Non ce la faccio più, mi fai letteralmente uscire dai gangheri!»

Mentre il suo viso assumeva un tono più colorito, per via dell'afflusso di sangue che andava a concentrarsi in quella parte del corpo, il mio volto iniziò a rilassarsi.

Avendo trattenuto il respiro durante tutta la sua sfuriata, il singhiozzo mi era fortunatamente passato.

Smisi di avercela con lui, e presi ad avercela un'altra volta con me stessa.
Aveva ragione. Solo con lui facevo così e solo con lui non riuscivo ad andare d'accordo, nonostante partissi con buone intenzioni ogni volta.

Vidi Filippo sedersi a terra sul bordo del marciapiede, più per riprendere fiato dopo quella scenata che per altro. Mi sedetti al suo fianco. «Si vede che i nostri caratteri non sono compatibili, tutto qui» dissi con tono calmo e atono, senza la mia solita aggressività.

Si voltò verso di me per guardarmi, ma non disse nulla.

«E mi dispiace, dico davvero, perché nemmeno a me piace questa situazione. Ma sembra che non riusciremo mai ad andare d'accordo ed essere amici» conclusi il discorso.

«Potremmo provarci, invece» mi contraddisse, invece che decidere di rinunciare come stavo facendo io. «Lasciando da parte i pregiudizi e le questioni passate e ricominciando dall'inizio. Dai, facciamo finta che questa sia la prima volta che ci vediamo.»

«Che stronzata...» non potei fare a meno di dire. Sembrava una cosa molto da film, e infatti solo in un film avrebbe potuto funzionare una cosa del genere.

«Incredibile, devi sempre andarmi contro qualsiasi cosa io dica» sbraitò, alzando gli occhi al cielo.

«Te l'ho detto» scrollai le spalle, con fare rassegnato. «Non è colpa mia se non sono mai d'accordo con quello che dici. Non posso farci niente.»

«Ma dimmi, tu sei mai d'accordo con quello che qualsiasi altra persona al mondo al di fuori di te dica, oppure hai ragione sempre e soltanto tu? E meno male che sono io Dio sceso in terra» ribatté e non trovai nulla da controbattere per una volta. Anzi, mi venne quasi da ridere a pensare a quanto fosse vero. Tuttavia mi trattenni e lo lasciai finire di parlare: «Almeno proviamoci, e sul serio questa volta. Ci stai?».

 

   
 
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