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Autore: Imperfectworld01    16/11/2021    2 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Ventiquattro.

Mi svegliai l'indomani mattina con un enorme vuoto allo stomaco, dato che era praticamente da ora di pranzo del giorno prima che non mangiavo qualcosa. Così mi alzai, un po' meno energica del solito, per andare in cucina a fare colazione. Non appena uscii dalla mia stanza, notai la porta della camera di Vittorio aperta, segnale che si era già svegliato, il che era strano, dal momento che non era solito svegliarsi prima di me.

Entrai dentro alla stanza per assicurarmene e con stupore constatai che le mie considerazioni non erano errate: il letto era già stato rifatto e la sua cartella di scuola mancava.

Possibile che fosse già uscito per andare a scuola?

Un certo languorino allo stomaco mi distolse dai miei pensieri e mi ricordò che stavo morendo di fame, così mi diressi in cucina quasi correndo. Lì c'era Claudio, intento a leggere un quotidiano nell'attesa che il caffè uscisse dalla moka.

Mentre attendevo anch'io, mi posizionai di fronte a Claudio per dare una lettura veloce al quotidiano che teneva fra le mani. In prima pagina si parlava dello sviluppo delle indagini in merito alla caccia del "mostro di Firenze", che aveva colpito una decina di giorni prima, il 9 settembre, assassinando due ragazzi tedeschi di ventiquattro anni che si trovavano all'interno di un furgone Volkswagen.

Di solito l'obiettivo dell'omicida seriale erano le giovani coppie composte da un ragazzo e una ragazza; il duplice omicidio di dieci giorni prima, invece, distaccandosi dalla prassi, coinvolgeva due poveri ragazzi di sesso maschile, il che aveva creato scalpore poiché si ipotizzava fosse stato commesso un errore dallo stesso "mostro", il quale non aveva proceduto nemmeno con le solite escissioni e mutilazioni.

Stando alle notizie di quella mattina, era emerso un dettaglio rilevante sull'identikit del mostro di Firenze: a giudicare dall'altezza a cui aveva sparato, si suppose che l'omicida avesse un altezza di un metro e ottanta centimetri.

«Ehilà! Buongiorno, Nina.»

La voce di Claudio mi riscosse da quell'attenta lettura. Dando un'occhiata più attenta a dove avevo tenuto fisso lo sguardo fino a quel momento, Claudio decise di chiudere e appoggiarlo sul tavolo, nascondendo la parte che ero intenta a leggere e mostrando solo la parte che riportava le notizie sportive. Probabilmente non voleva che mi angosciassi pensando a quelle cose.

Da una parte era generoso da parte sua, e apprezzai il fatto che cercasse di salvaguardarmi in quel modo; dall'altra, non poteva pensare davvero di richiudermi in una bolla e di impedirmi di conoscere ciò che accadeva nel mondo reale: era giusto che sapessi.

Comunque sorrisi e lo salutai a mia volta. Poi mi alzai di scatto per spegnere il fornello e prendere il caffè. Lo versai in due tazzine, una per lui e una per me. Gli porsi la sua e appoggiai la mia sul tavolo, prima di prendere del burro dal frigo.

Mentre imburravo la mia fetta biscottata, attendendo che il caffè si raffreddasse un poco così da non dovermi bruciare la lingua nel tentativo di berlo, pensai di approfittare della presenza di Claudio per chiedergli che fine avesse fatto suo figlio. «Vittorio è già uscito?» chiesi.

«Presumo di sì» rispose, scrollando le spalle. Eppure aveva usato un tono strano, sembrava quasi non fosse pronto a rispondere alla domanda che gli avevo appena posto e che si fosse trovato in difficoltà nel farlo.

«Di solito esce sempre dopo di me, anche perché si sveglia più tardi quel pigrone» dissi con un piccolo sorriso.

«Non saprei, magari oggi aveva fretta» mi liquidò, prima di mandare giù il suo caffè, mettersi il giornale sottobraccio e uscire dalla cucina.

Era tutto molto strano.

*

Non appena vidi Irene, facendomi strada fra le diverse persone che erano in piedi sul tram quella mattina, mi illuminai in viso. «Ah, che bello vederti! Mi dispiace un sacco di essermene andata via dalla festa senza neanche salutare, ma Vittorio se l'era presa per una sciocchezza e mi ha trascinata via di peso» le dissi come prima cosa, porgendole le mie più sincere scuse. Avrei dovuto passare con lei e le ragazze quel venerdì sera, invece nulla era andato secondo i piani.

«Non preoccuparti, è tutto a posto» replicò con un sorriso che mi parve sincero.

«Te come stai?» le domandai e lei scrollò le spalle: «Non c'è male».

Poi decisi di rivelarle la buona notizia che mi era giunta il giorno precedente. Mi schiarii la gola con fare teatrale e le feci la mia confessione, sicura che ne sarebbe stata contenta: «Comunque uno degli amici di Vittorio mi ha chiesto di te e delle altre, ha detto che secondo lui sarebbe carino unire il loro e il nostro gruppo e uscire tutti insieme».

Era stato Giovanni a propormelo. Le sue intenzioni non erano, tuttavia, delle più nobili, come si potrebbe pensare: semplicemente erano a corto di ragazze in quel gruppo e volevano conoscerne di nuove.
Comunque non era male come idea.

Irene si esibì in un sorriso a trentadue denti e in una serie di squittii, cingendomi nel mentre in un abbraccio fino quasi a soffocarmi. «Oh mio Dio! Non potevi darmi notizia migliore, è fantastico! Finalmente conoscerò Vittorio per davvero, dato che alla festa alla fine non c'è stato modo... e poi anche io e te ci vedremo più spesso, dato che non dovrai continuamente dividerti fra il loro gruppo e il nostro. Sono troppo felice!» esclamò, lasciandomi anche un bacio su entrambe le guance e facendomi storcere il naso per via di quell'eccessiva affettuosità.

«Già, solo che temo dovrai aspettare un po' per questo...» aggiunsi separandomi da lei e iniziando a giocare nervosamente con le mie mani. «Sono in castigo» spiegai, andando incontro alla sua confusione.

Era umiliante. Neanche fossi una bambina di dieci anni che fa i capricci, continuavo a ripetermi.

Capivo l'apprensione di mia madre, e aveva tutto il diritto di sgridarmi, ma se io ero in grado di capire lei, perché invece lei non era in grado mettersi nei miei panni?

In fondo potevano capitare mille cose che impedivano di telefonare, e non per forza dovevano essere cose brutte. Perché sapeva pensare sempre e solo al peggio? Mi stavo solo divertendo, forse per la prima vera volta da quando mi ero trasferita. Stavo bene. Non stavo pensando a tutto il resto, mi stavo solo vivendo il momento. Come potevo meritare una punizione così severa per questo?

Trascorsi il resto del viaggio verso scuola a raccontare a Irene di quel pomeriggio e della litigata con mia madre. Lei riuscì a risollevarmi un po' il morale, raccontandomi che per lei le cose non erano tanto diverse. Anche i suoi genitori erano molto apprensivi e severi, ma la differenza rispetto alla mia situazione era che mentre lei e sua sorella avevano mille costrizioni e proibizioni, suo fratello maggiore era al contrario libero come un fringuello e, persino anche quando aveva meno dell'età che aveva Irene al momento, poteva uscire quando voleva e tornare quando voleva.

Se non altro il trattamento riservato da mia madre a me e Benedetta era il medesimo, se non che lei, essendo più grande di me, aveva meno pressioni addosso.

«A volte mi pare ancora di vivere nel Medioevo, preferirei essere nata maschio» si lamentò Irene e io concordai con lei, nel mentre che ci apprestavamo a dirigerci verso la nostra aula.

«Già, ma sai cosa sarebbe ancora meglio? Riuscire a fare qualcosa riservato solo a loro e farlo anche meglio» dissi poi con convinzione.

«Tipo? Il muratore?» chiese storcendo il naso e io scossi la testa ridendo: «No, non quello. Non lo so, ecco... ma qualcosa che non sia solo cucinare, cucire, accudire i figli» dissi.

«Ah, io non penso neanche di volerne avere. Mi danno ai nervi i bambini, sarebbe meglio se la gente ne facesse sempre meno. Sono letteralmente ovunque e sono così fastidiosi, frignano di continuo» ridacchiò, mentre io riflettei seriamente sulle sue parole.

Fino a quel momento pensavo di essere l'unica persona al mondo a non avvertire quel bisogno insistente di farmi una famiglia.
Sì, l'avrei voluta un giorno, ma non era l'unica cosa che contava per me.

«Sai invece quante ragazze della nostra età non aspettano altro? Per fortuna io non corro nemmeno il rischio al momento, già tanto se ho dato il mio primo bacio!» esclamai, prima di portarmi d'istinto una mano alla bocca e maledirmi da sola per essermi fatta sfuggire quel mio piccolo segreto.

Non che ci fosse qualcosa di male nel dirlo a Irene, solo che una parte di me avrebbe preferito tenere quella cosa fra me e il diretto interessato. Non volevo che si spargesse troppo la voce.
Anche se quel bacio non mi era per niente piaciuto, me lo sarei ricordato per sempre ed era un ricordo del quale ero in qualche senso gelosa: se l'avessero saputo tutti, ed erano già in due di troppo a saperlo, avevo come l'impressione che quel momento non sarebbe più stato solo fra me e Filippo, ma come se anche Vittorio e Irene fossero stati lì presenti e fossero stati spettatori.

Probabilmente era una cosa stupida, e comunque era ormai troppo tardi per impedirlo.

Irene, presa com'era a ridere della mia battuta, non si rese subito conto di ciò che le avevo confessato, ma non appena tornò seria, sgranò gli occhi e si avvicinò al mio viso per parlarmi a voce più bassa: «Aspetta, che cosa? E che aspettavi a dirmelo? Avanti, dimmi, com'è stato?» mi incalzò.

«Disgustoso» dissi con sincerità, senza scendere nei dettagli, sperando in cuor mio che le bastasse. Irene appoggiò il suo zaino vicino alla sedia e poi si sedette, mentre io mi appoggiai con la parte bassa della schiena al suo banco.

Comunque sia ero felice. Nonostante i miei ripensamenti iniziali, non me ne pentivo. Mi ero tolta quel peso ed ero a posto così.

«Dai, dimmi qualcos'altro! È successo alla festa, vero? È lì che l'hai baciato? Devi assolutamente dirmi chi è!»

Mi morsi la lingua. Perché diavolo non sapevo stare zitta? Era normale la curiosità di Irene, anch'io avrei insistito come lei... solo che non mi piaceva poi così tanto parlare di me, specie di una cosa così delicata. Tentai in ogni modo di farla desistere, ma alla fine dovetti arrendermi e vuotare il sacco. «F-Filippo, l'amico di Vittorio» confessai, continuando a torturarmi le mani per il nervosismo.

«Filippo Cattaneo?»

Quella domanda colma di stupore, inaspettatamente, non arrivò da Irene, ma mi fu posta da qualcuno alle mie spalle. Mi voltai e vidi Angelica e le altre con la bocca letteralmente spalancata per la sorpresa.

Ancora parecchio imbarazzata, soprattutto per via di quel loro sguardo inquisitorio, annuii e basta, in risposta alla sua domanda.

«E brava! Hai capito la nostra Nina?» mi diede un colpo sulla schiena Sabrina, facendomi sobbalzare.

«Lui è davvero carino» confermò Eva.

Non dissi nulla, scrollai le spalle e basta. Non era per quello che avevo baciato Filippo: né per vantarmi né perché lo trovassi carino.

«Dai, dicci com'è stato» fece Angelica, prendendomi entrambe le mani. «Dagli un voto.»

Mi trattenni dall'alzare gli occhi verso il soffitto. Ancora quello stupido gioco. Cercai l'appoggio di Irene con lo sguardo, la quale capì subito e intervenne per aiutarmi: «Ha detto che non le è piaciuto molto» rispose al posto mio.

«Perdonami?! No, Nina, devi essere fuori di testa per dire una cosa del genere!» esclamò Angelica, lasciando la presa sulle mie mani e toccandomi una fronte con la mano come a vedere se avessi la febbre e stessi per tale motivo delirando. «Insomma, è pur sempre Filippo Cattaneo: non può non esserti piaciuto. Abbiamo sentito certe storie su di lui...» lasciò la frase in sospeso, suscitando la mia curiosità.

«Certe storie?» ripetei, e Angelica, Eva e Sabrina si scambiarono uno sguardo complice.

E meno male che non gli piaceva raccontare i fatti suoi in giro. Riservato un cavolo.

«Be', sì, ecco... dicono che lui abbia molta esperienza con le ragazze» spiegò Eva, sottintendendo qualcosa che però io non capii.

«Non così tanta, a quanto pare» mi permisi di dire, anche se dentro di me mi sentivo io quella in difetto. Forse se non mi era piaciuto era davvero solo colpa mia. Magari Filippo mi aveva anche confrontata con tutte quelle che c'erano state prima di me e si era vergognato per me per quanto io fossi inesperta in confronto a lui.

«No, Nina, ha davvero tanta esperienza» ribatté Eva, usando ancora quel tono allusivo, ma io non capivo.

«Ci sono delle voci su di lui... noi non conoscendolo direttamente non sappiamo se siano vere, ma dicono che abbia già fatto l'amore» disse finalmente Angelica, chiarendo i miei dubbi.

Quella con la bocca spalancata in quel momento ero io. Non era vero, di certo non era così. Sicuramente aveva baciato tante ragazze, sì, ma addirittura quello? E poi non era mai stato innamorato di nessuna, a meno che non mi avesse mentito, perciò non poteva essere.

Fu la campanella che segnava l'inizio delle lezioni a distogliermi da quei pensieri. Con rapidità e in modo quasi meccanico, io e i miei compagni di classe andammo a sistemarci al nostro posto, nell'attesa che arrivasse il professore in classe.

Fu allora, quando il professore di greco entrò in aula, che mi crollò il mondo addosso per l'ennesima volta in quei giorni.

Ero fregata.

*

Per tutto il tempo non attesi altro che l'ora di tornare a casa.
Era una giornata da dimenticare, non me ne andava bene una in quell'ultimo periodo.

Ovviamente ero stata la prima a essere stata chiamata alla cattedra per essere interrogata. La sera prima non avevo ripassato, la mattina nemmeno ed essendo stata chiamata subito non avevo neanche avuto il tempo di dare una veloce sfogliata al libro. In più, fra l'ansia e altri mille problemi che avevo in testa in quel momento, non potei far altro che fare una pessima figura. Ero così agitata che feci praticamente scena muta.

Tre. Non avevo mai preso un tre in tutta la mia vita scolastica e non avevo idea di come avrei rimediato.

Trattenni per tutto il giorno le lacrime che minacciavano di uscire dai miei occhi da un momento all'altro. In fondo era inutile piangere, era colpa mia che non avevo fatto il mio dovere e non mi ero preparata a sufficienza. Non avrei dovuto lasciarmi convincere da Vittorio a uscire con lui e i suoi amici il giorno prima, in fondo lo sapevo che non ero ancora pronta per quell'interrogazione.

Certo, se mi fossi fatta prendere meno dal panico forse avrei preso un cinque e non un tre. Speravo solo di riuscire a recuperare quel voto prima che mia madre venisse a saperlo.

Fortunatamente non aveva mai richiesto un colloquio a nessuno dei miei professori, sia perché li facevano sempre in orari in cui lavorava, sia perché non ce n'era mai stato un grande bisogno: non aveva mai ritenuto di dover chiedere un permesso al lavoro per sentirsi riferire dell'andamento scolastico mio e di mia sorella. Tuttavia, temevo che se avessi continuato ad andare male in quella materia, l'avrebbe convocata direttamente il mio professore.

Mia madre mi ucciderà, continuavo a ripetermi, mi ucciderà e farebbe anche bene, visto che mi sto comportando malissimo, con lei a casa e anche a scuola.

Tornai a casa con l'umore a terra, tanto che Irene evitò quasi del tutto di parlarmi, temendo che le avrei potuto rispondere male.

Mi diressi rapida in camera mia e pensai per un attimo che ci fosse stato un terremoto del quale non mi ero resa conto, presa com'ero a demolirmi da sola coi miei pensieri: la nostra cameretta era totalmente coperta in ogni parte e in ogni angolo da vestiti, maglie, calzini, pantaloni, ma anche libri, quaderni, pennarelli, qualsiasi cosa.

Il terremoto non era altro che mia sorella, che sembrava come impazzita. Continuava a tirare fuori cose dai suoi armadi e lanciarle a terra, nel mentre che continuava a piangere disperata.

Provai ad avvicinarmi a lei con cautela, ma il risultato fu che mi ritrovai un paio di jeans in faccia. «Ahia, cazzo!» mi lamentai, dato che mi aveva beccata in pieno in viso, facendo sì che il bottone mi colpisse una guancia. «Benni, ti vuoi calmare? Che succede?» chiesi cercando di mantenere il controllo nella mia voce per non farla innervosire ancora di più, una volta dopo essermi tolta il pantalone dalla faccia e averlo appoggiato sul suo letto.

Non l'avevo mai vista così turbata, ero seriamente preoccupata per lei.

Ma lei neanche mi ascoltava, continuava a lanciare cose a terra e a farfugliare cose sottovoce.

Provai ad avvicinarmi ancora a lei, schivando le cose che continuava a lanciare senza badare a me. Una volta dopo averla raggiunta, con non poca fatica, la afferrai per un braccio e cercai di farla restare ferma. Tentò di divincolarsi con qualche calcio e qualche pugno, ma nello stato in cui era probabilmente si stava facendo più male lei di quanto ne facesse a me.
Finalmente riuscii a stringerla in un abbraccio, nel mentre che lei si abbandonava a terra e io mi abbassavo con lei per restarle vicino.

Le bloccai le braccia con le mie e aspettai che rinunciasse a liberarsi dalla mia presa. Dopo qualche minuto, per fortuna, ci diede un taglio. Si spostò i capelli spettinati dalla faccia, tirò su col naso e provò ad asciugarsi le lacrime, ma era praticamente impossibile perché continuavano a sgorgare dai suoi occhi e a sporcarle il viso di nero, dal momento che era truccata.

Attesi pazientemente in silenzio che fosse pronta a parlarmi ma, non appena lo fece, mi lasciò così spiazzata che una parte di me desiderò che non l'avesse mai fatto: «Aspetto un bambino da Maurizio».

 

   
 
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