Capitolo 5
Si
era avvicinato al ritratto per ultimo, quando ormai sua nonna e i
genitori di Oscar avevano lasciato la sala. Lei lo fissava,
sorseggiando un bicchiere di vino, seduta alle sue spalle.
Adesso
sapeva perchè stesse sempre in disparte, perché evitasse di
trovarsi solo con lei, troppo vicino. Aveva
pensato che non volesse più condividere momenti insieme...e invece
lo faceva unicamente per non correre il rischio di essere scoperto!
Rivolse
lo sguardo al quadro che troneggiava di fronte a loro: il colpo di
genio del pittore era stato quello di riuscire a riportarla indietro
di quasi vent’anni, ritraendo, sul suo volto, i lineamenti
giovanili dei suoi 18 anni, quando era capitano delle Guardie Reali.
Ma Andrè non se ne era accorto. Fissava il dipinto, e non le
sfuggirono il pugno serrato per lo sforzo e il suo prolungato
silenzio. Questo suo ennesimo tentativo di celarle le reali
condizioni della sua vista le fece male. Notò che era dimagrito, la
camicia di batista bianca risultava eccessivamente ampia sulle sue
spalle e sulle braccia: la vita da soldato semplice l’aveva
provato, il lavoro era più duro e le condizioni in cui lo svolgeva
più misere. La Guardia Nazionale non era certo famosa per le qualità
del vitto ed alloggio riservate ai suoi uomini.
E
infine Alain aveva ragione, Andrè era infelice, e lo era ormai da
troppo tempo.
I
suoi pensieri furono interrotti dalla sua voce, calda e limpida,
com’era sempre stata, che descriveva il suo sorriso, cascate di
fiori e rose attorno a lei, a ricordargli le campagne di Arras, la
loro giovinezza. Pensò che il quadro visto con gli occhi di Andrè
fosse più bello di quello che tutti gli altri avevano ammirato.
Si
alzò e lo raggiunse. Gli prese la mano, sciogliendo il pugno ancora
chiuso, e l'avvolse attorno al suo calice di vino.
“Mi
hai sempre visto come nessun altro” disse, fissando la sua immagine
di dio della guerra in sella al suo cavallo. Poi si voltò verso di
lui. “E continuerai a vedermi, Andrè, in qualche modo…”
La
guardò a sua volta, poi lentamente sorseggiò il vino, senza
aggiungere una parola. Era così vicina che poteva vederla, e
coglieva l’emozione che la stava animando, gli occhi lucidi, e la
forza di vincere una sua resistenza mentre gli parlava.
“Andrè…un
tempo…io…-esitò un attimo, poi riprese, convinta- sai, da
giovane, quando vidi la futura regina obbligata a piegarsi alla
contessa Du Burry, promisi in segreto che le avrei dedicato tutta la
mia esistenza, ma ho disatteso quel giuramento. E nel periodo in cui
Fersen fu mio ospite, al rientro dalla guerra d'America, giurai a me
stessa che sarebbe stato l'unico uomo che avrei mai amato, ma ora non
provo più quei sentimenti...e prima di lasciare il mio posto alla
Guardia Reale ti comunicai con decisione che non avevo più bisogno
di te, che avrei fatto affidamento solo sulle mie forze.” Alzò lo
sguardo, cercando il suo.
“Ma
mi sbagliavo, Andrè…io…sono cambiata...”
“Oscar…”
“Dovrei
lasciare l’esercito, Andrè. Dovrei lasciare Parigi…andare
lontano...e con queste premesse non so se ho diritto di chiederti di
credere ancora in me, ai miei propositi, a quello che sto per
dirti...ma...quello che ora so, quello che sento, chiaramente, è che
d’ora in poi…io non voglio più separarmi da te!”
Non
era questo il discorso che si era preparata, mentre lo aspettava.
Voleva
raccontargli dell'incontro con Bernard quella mattina, del piano che
avevano insieme concordato, anche della sua malattia, ma in un altro
momento, dopo la partenza...e invece non era più riuscita a
trattenere quello che provava e sentiva per lui.
Andrè
non aveva fatto domande, non aveva chiesto delucidazioni. Oscar aveva
visto il suo volto illuminarsi e sorridere impercettibilmente. Come
quando si riceve e si trattiene una grande gioia. Come lo aveva
obbligato a fare per tutta la sua esistenza.
“E'
una vita che vengo con te, in ogni occasione. Ti pare che voglia
cambiare proprio adesso?”
Aveva
cercato di stemperare la tensione con un tono scherzoso.
“Quindi
verrai con me? Senza sapere dove andremo e perchè?”
Conosceva la
risposta, ma aveva bisogno di sentirglielo dire.
“Certo,
Oscar! Com'è sempre stato e sempre sarà”
Stava
per confessarle ancora che per lui la cosa importante era viverle
accanto, ma si trattenne.
“Spero tu possa spiegarmi cosa succede...prima o poi...”
Non
terminò la frase. Oscar era impallidita visibilmente, la fronte
imperlata di sudore. La vide portarsi una mano alla bocca.
“Che
ti succede? Oscar?”
Si
allontanò da lui voltandosi e dirigendosi rapidamente verso la
porta.
“Scusa
Andrè, continueremo il discorso più tardi...io devo...prepara un
bagaglio leggero, partiremo molto presto!” Le ultime parole lo
raggiunsero che lei era già uscita.
Corse
velocemente su per le scale, diretta alla sua camera, urtando
malamente una cameriera che scendeva con della biancheria in mano,
sentendo alle sue spalle lo sguardo indagatore di Andrè.
Sapeva
cosa stava per scatenarsi, e non voleva che lui la vedesse così.
Chiuse
a chiave la porta della sua stanza un attimo prima che la tosse le
scoppiasse nel petto e la mano le si riempisse di sangue. Rimase
accasciata davanti alla toeletta per interminabili minuti, finchè la
crisi non passò, così com'era venuta. Si sciacquò le mani ed il
viso per poi lasciarsi cadere sul letto. Nascose il volto nella piega
del braccio e lentamente riprese a respirare regolarmente.
Ripensò
ai progetti di cui aveva parlato con Bernard e, per la prima volta
nella sua vita, pregò di avere tempo sufficiente per portare a
compimento quanto aveva pianificato.
Andrè
rientrò nel salone. Riunì su un vassoio il calice di vino e la
bottiglia da cui era stato servito e si diresse alle cucine. Passando
davanti all'ampio scalone lanciò un'occhiata verso la porta
dell'appartamento di Oscar. Un gesto dettato dall'abitudine: in
realtà non riusciva a vedere niente, lo sapeva.
Sentì
sopraggiungere alle spalle sua nonna, in preda all'agitazione.
“Oh,
Andrè, per fortuna ti ho trovato! Vai subito con quel vassoio in
cucina. E' arrivato un ragazzotto da Parigi, sostiene di dover
incontrare il conte De Jarjayes. L'avrebbe mandato un certo Monsieur
Chatelet, d'accordo con madamigella!” Andrè la fissò stupito.
“Oh
Cielo! Nemmeno tu ne sai niente? Va a parlarci, io ho troppo da fare
coi preparativi, se il tempo lo consentirà dovremmo partire già
domani!”
“Dovremmo?”
ripetè il nipote, grattandosi la testa.
“Si,
certo, verrò anch'io con te e madamigella Oscar! Credevi forse di
andare a fare una scampagnata come quando eravate ragazzi?”
Lo fece
sorridere vedere sua nonna infuriata come tanti anni addietro, con la
cuffietta tutta storta e le mani piantate sui fianchi . Ma mentre si
dirigeva alle cucine pensava a dove potesse mai avere intenzione di
andare, Oscar, da portarsi appresso una donna anziana come sua nonna?
Entrò
e appoggiò il vassoio.
Non lo vide subito. Stava seduto in un
angolo, le mani ossute avvicinavano alle labbra una scodella quasi più
grande del suo stesso viso.
“Buongiorno”
lo salutò.
Il
ragazzo abbassò la tazza e lo squadrò.
“Sei
Andrè, non è vero?”
L'uomo
annuì.
“Allora
spero che saprai qualcosa di più di quella vecchietta isterica con
cui ho parlato prima”
“Potresti,
per cominciare, dirmi come ti chiami. E per quanto riguarda la
vecchietta, credo sia la stessa persona che ti ha riempito la
scodella, potresti mostrare un po' più di rispetto!”
Il
ragazzo sbuffò e si alzò in piedi. Anche così era una spanna più
basso di lui.
“Mi
chiamo Gilbert. Gilbert Sugane”
All'udire
quel nome il volto di Andrè si illuminò.
“Si,
proprio io, il piccolo Gilbert” continuò con tono scontroso
“quello che tu e il conte avete salvato, una dozzina di anni fa. Me
l'hanno raccontata infinite volte quella storia!”
Nonostante
i modi antipatici, Andrè gli sorrise, sinceramente felice di
incontrarlo nuovamente.
“E
dimmi, Gilbert, come stanno i tuoi genitori? Come mai ti hanno
mandato a Parigi?”
Il
ragazzo fece qualche passo attorno al tavolo, nervoso, come cercasse
qualcosa. Gli rispose senza guardarlo in faccia, fissando la propria
mano scorrere sulle assi di legno.
“I
miei genitori sono morti. E così i miei fratelli più piccoli. In
miseria, come sono vissuti. Sono venuto a Parigi grazie all'aiuto di
Robespierre, che conosceva mio padre”
Adesso
guardava in modo distratto le suppellettili appese alle pareti.
“Ho
vissuto per un po' con mia sorella e suo marito. Ma è morta di parto
questa primavera, e per mio cognato ero solo una bocca in più da
sfamare.
Voleva segnalare il mio nome a quelli dell'esercito, stanno rastrellando le
campagne per reclutare tutti quelli in grado di combattere, e lo
fanno con le buone o con le cattive. Robespierre ha mandato qualcuno
a prendermi e mi ha affidato a Bernard e Rosalie. Voglio combattere
per il popolo, non per il Re e i nobili. E te lo dico chiaro e tondo,
non sono contento che mi abbiano spedito qui. Non ci voglio stare,
coi nobili...e i loro servi” concluse in tono sprezzante.
“Sono
colpito dalla riconoscenza che dimostri al conte de Jarjayes per
averti salvato la vita” gli rispose Andrè.
“Un
gesto di clemenza non cancella una vita di soprusi” gli replicò.
“Questa
è un'affermazione di Robespierre, non è vero?”
Gilbert
lo guardò, gli occhi stretti come due fessure.
“Io
non sono come te, non voglio ridurmi a servire un nobile solo per un
pezzo di pane e un piatto di minestra calda! Se pensano di mandarmi
qui a prendere il tuo posto perchè sei diventato cieco si
sbagliano!”
A
quel punto calò il silenzio. Gilbert capì di aver superato il
limite, anche se non ne comprese subito il motivo. Andrè riprese a
parlare, la voce molto bassa.
“Chi te lo ha detto? Chi ti ha detto
che sto diventando cieco?”
“Perchè,
è un segreto forse?”
Nello
sguardo improvvisamente indurito di Andrè capì che lo era, almeno
per lui. Sospirò.
“Lo ha raccontato a Bernard il colonnello,
stamattina”
“Oscar?”
chiese Andrè, l'unico occhio spalancato.
“E
chi altri?”
Prese una sedia e si lasciò cadere pesantemente. Ma lo sconforto si
arrestò davanti ad un altro pensiero. Allora...mi
ha chiesto di seguirla, anche sapendo che tra poco non vedrò più
nulla.
Sentì
addosso lo sguardo di Gilbert, e pensò che aveva sopportato
abbastanza.
“Non
so cosa ti abbia detto Bernard, riguardo questa missione insieme a me
ed Oscar. Ma nessuno ha chiesto di reclutare un servo!”
Si alzò e
gli si avvicinò, fino al punto in cui poteva vedere nitidamente il
suo volto.
“E
non permetterti mai più di parlare con tanto disprezzo di quello che
fa un servitore e del perchè lo fa. Non puoi giudicare qualcosa o
qualcuno che non conosci. Tu non mi conosci. Non conosci Oscar! La
credi una nobile come tutti gli altri, ma lei...lei è come nessuno,
Oscar è e sarà sempre solo Oscar! E io non ti permetto...”
“Calma
, Andrè, non ti arrabbiare” La sua voce lo interruppe, ed
entrambi si voltarono mentre lei varcava la soglia delle
cucine.
“Gilbert”
chiamò il ragazzo per nome avvicinandosi, il suo tono dolce come una
carezza. Di fronte a quel viso così angelico, bello come lo
ricordava, solo più umano e sofferente di come lo ricordava, il
giovane Sugane abbandonò i suoi modi sostenuti.
“Buongiorno conte
de Jarjayes” e si aprì in un timido sorriso, a cui già mancava
qualche dente.
“Niente
conte, sono solo
Oscar,
come ti ha detto Andrè poc'anzi-continuò lei- Sono felice che tu
sia arrivato così presto. Sei stanco? Hai già mangiato?” Gilbert
la guardava ammutolito: c'era una gentilezza sincera nei suoi modi
che lo spiazzava.
“Sissignore...volevo
dire...si grazie”
Oscar
si sedette al tavolo e fece cenno agli altri due di fare altrettanto.
“Bene,
allora. Marron, la governante, ti troverà un posto dove potrai
riposare, per stanotte. Dobbiamo partire al più presto, se possibile
già domani. Attorno a Parigi si stanno riunendo guarnigioni
dell'esercito, spostarsi può diventare difficoltoso e sospetto. E'
necessario prendere una nostra carrozza, togliere tutte le
decorazioni, lo stemma di famiglia, meglio se sembri vecchia e
usurata. Non abbiamo tempo per trovarne una comune, a Parigi. Puoi
aiutare Andrè a farlo, Gilbert?” Il ragazzo annuì con la testa,
come ammaliato dalle sue parole.
“Bene,
io mi occuperò di studiare il nostro percorso sulle mappe, ci
aggiorniamo all'ora di cena”
Si
alzò e lasciò la stanza, sfiorando il braccio di Andrè, che si
voltò a seguire i suoi passi fino alla porta.