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Autore: holls    04/11/2021    10 recensioni
Alan ha solo venticinque anni quando la vita decide di giocargli un brutto tiro; il dolore e lo sconforto appiattiscono la sua esistenza, rendendola grigia e monotona, tanto da domandarsi se sia degna di essere vissuta.
Diviso tra casa e lavoro, osserva le sue giornate scorrere come un encefalogramma piatto, finché, una mattina, una rapina nel cuore di Manhattan lo costringerà a interrogare Nathan, uno dei testimoni.
Alan non tarderà a definirlo un ragazzino irritante per la sua vitalità e spregiudicatezza verso il mondo, per non parlare della malizia che sembra trasudare da ogni occhiata. Sembrerebbe l'occasione per riportare un po' di colore nella sua vita... ma, come in ogni storia che si rispetti, niente è come sembra.
Per nessuno dei due.
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Genere: Introspettivo, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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8. Pianeta Nathan

 

Nathan arrivò qualche minuto dopo le dieci. Sembrava prendere decisioni disordinate in ogni ambito, tranne che nel vestire: indossava una t-shirt di cotone morbido, abbastanza lunga da slanciargli il fisico, e pareva aver seguito la stessa filosofia anche con i jeans attillati. Come entrò in macchina, un odore di gel misto a tabacco mi invase le narici.

«Siamo in tiro, vedo.»

«Secondo te a cosa servono queste feste? Ciao, comunque.»

Si sistemò la cintura e partimmo.

«Ciao.»

Stette un attimo in silenzio e poi sbuffò.

«La solita allegria, eh? Vediamo come possiamo rendere la situazione più entusiasmante.»

«Facendo un’inversione di marcia, per esempio.»

Lui mi canzonò con una finta risata. Poi sentii un click: aveva aperto il porta-oggetti davanti a lui. Con un occhio, cominciai a guardare ciò che stava facendo. Stava mettendo le sue mani dove le aveva messe Oliver. Un occhio sulla strada, un occhio su di lui. Stava cancellando le impronte di Oliver, sovrascrivendole con le sue, toccando i dischi che gli erano appartenuti; ci stava lasciando il suo segno, come faceva ovunque passava.

«Non c’è niente di interessante lì dentro.»

Lui richiuse senza fare troppe storie. Oliver era tornato nel suo guscio, macchiato ma intatto. Qualcosa di lui era ancora salvo, inviolato, al sicuro dal mondo esterno.

«Ho visto. Ma è possibile che non ascolti musica? Che noia.»

«La ascolto, solo che in questo periodo non mi va.»

Un altro sbuffo seccato.

«Ah sì? E che genere ti piace? Canti gregoriani? Musica sacra?»

Trattenni a stento una risata, nonostante mi stesse prendendo in giro. Aveva un certo modo di dire le cose, un tono che aveva la capacità di farti sentire ridicolo tutto insieme, tanto da farti ridere di te stesso. Era come vedersi da fuori e realizzare quanto la propria esistenza fosse grottesca.

«Apprezzo il tentativo di apparire colto, ma no, sono abbastanza sicuro che siano musiche uscite nel nuovo millennio.»

Lo vidi incrociare le braccia e indossare un sorriso di scherno.

«Sentiamo.»

«Si chiama Enya. Fa musica new age, celtica, sai…»

Non feci in tempo a terminare la frase che scoppiò in una risata fragorosa, tanto che dovette tenersi la pancia e portarsi pollice e indice agli occhi, per trattenere le lacrime che scaturivano senza sosta per l’ilarità.

Io non capii perché rideva tanto, ma era impossibile non rimanere contagiati; infatti tornai a ridere di me stesso, senza motivo.

Dopo poco si asciugò le lacrime, lasciando che gli ultimi singulti di risata scemassero.

«Oddio, scusa. La musica celtica non me l’aspettavo proprio. Anche se un po’ ce l’hai l’aria da depresso, con quelle cornamuse in sottofondo…»

«Non sono musiche depressive!»

«Di certo non è uno strumento allegro.»

«A me piace.»

Alzò gli occhi al cielo.

«Va bene, va bene. Hai vinto tu.»

Mi fermai davanti a un semaforo rosso e mi voltai verso di lui, per vedere qual era l’espressione della sconfitta, perché, per la prima volta, avevo avuto l’ultima parola in una discussione.

Ahimè, era l’espressione semi-seria che sfoggiava sempre. Feci spallucce: almeno mi ero preso questa soddisfazione.

«Il signorino, invece, quale musica ascolta?»

«Io?» Si voltò verso di me con un sorriso eccitato sul volto; nonostante il buio dell’abitacolo, notai i suoi occhi brillare. «Sono il fan numero uno dei Backstreet Boys!»

«Chi?»

L’ennesimo sbuffo di insoddisfazione, reazione che rifilava a chiunque non fosse sintonizzato sul pianeta Nathan in tutto e per tutto.

«Come puoi non conoscerli? Sono il gruppo più famoso del momento!»

«Succede.»

«Sono bellissimi, bravissimi, le loro canzoni sono stupende! E poi, Nick…»

Stavolta fu il mio turno di ridere.

«Ah, certo. Bravissimi e bellocci. Non fa una piega.»

Mi tirò una manata su un braccio e per poco non persi la presa al volante.

«Che palle che fai, oh. Una cosa non esclude l’altra.»

«Non nel pianeta Nathan.»

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma poté solo serrarle un attimo dopo. La mia seconda vittoria nel giro di cinque minuti: non era male come record.

«Sei palloso. E sai cosa? Ti accendo la radio e, se li becchiamo, te li sparo a tutto volume!»

«Spara, spara. Poi ti rendo il favore.»

Sentii una frase morirgli in gola, poi schiantò la schiena sul sedile.

«Ti odio.»

«Ma pensa un po’, sei ricambiato.»

Evitò di darmi peso e con un gesto di stizza accese la radio. Passò in rassegna tutte le stazioni, forse nella speranza di beccare quel gruppo che tanto amava, per poi fermarsi su un canale di musica pop, con sbuffata al seguito.

Per diversi minuti non disse niente. Nei momenti di distrazione che potevo concedermi, notai che aveva gonfiato appena le guance in un’espressione infantile, ma divertente.

«Vuoi dirmi almeno la strada per arrivare là?»

Lui incrociò le braccia e rizzò il mento.

«Nathan?»

Guardava fuori dal finestrino e cominciai ad avere il dubbio che se la fosse presa davvero.

«Posso sapere almeno che ruolo dovrò ricoprire a questa festa?»

«Visto che io sono una persona buona e dal cuore grande, ti concedo di essere solo una mia assidua frequentazione. Vedi? Ti evito il peso di essere il mio fidanzato. Sarebbe troppo per uno come te.»

«Penso che sarebbe troppo per chiunque.»

A ogni punto che segnavo, la sua sbuffata diventava sempre più rumorosa, sempre più indignata e spalancava quella bocca come una primadonna a cui si è rotta un’unghia.

«Sei proprio stronzo. Prima non eri così.»

«’Prima’ quando? Una settimana fa?»

«Eri così timido e riservato, così composto. Ora invece sei proprio…»

«…Stronzo. E tu sei ripetitivo. Comunque, sei tu che hai risvegliato questa parte di me, rimasta nascosta per ben venticinque anni. Fai miracoli.»

«Purtroppo risveglio istinti nascosti nelle persone, sì. Ma lo trovo il modo per sbarazzarmi di te, ci puoi giurare.»

«Ma io sono il tuo fidanzato.»

«Frequentazione» rimarcò lui.

«Vuoi che ti lasci nelle grinfie di Steve?»

«Devi solo provarci.»

Per qualche istante parve calmarsi, poi lo vidi infilarsi una mano nella tasca posteriore dei pantaloni, da cui estrasse il suo pacchetto di Marlboro.

«Scordatelo.»

Non fece storie e lo rimise dove lo aveva trovato.

«Non si può fare niente con te.»

Stavo già pensando a cosa rispondergli, quando cacciò un gridolino eccitato.

«Che c’è?»

La sua risposta fu alzare la radio a tutto volume, in modo così improvviso da farmi paura.

«Ma sei scemo? Abbassa subito!»

Ma lui aveva già cominciato ad agitarsi su quel sedile, trattenuto solo dalla cintura, e a imitare balletti con le mani.

«That’s the way I like it!»

Non appena cominciò a canticchiare, capii subito che eravamo incappati in una canzone del suo gruppo preferito.

Continuava a dimenarsi, a cantare con il pugno davanti alla bocca a mo’ di microfono e a sentirsi una star di fronte al grande pubblico.

Le mie orecchie gli perdonarono il raggiungimento della soglia del dolore solo grazie a quell’esplosione di entusiasmo e vitalità. Che io ricordassi, non avevo nemmeno mai messo la musica così alta.

Ma a ogni basso della canzone corrispondeva una vibrazione che mi scuoteva da capo a piedi, che mi faceva vibrare la cassa toracica e il cuore; così, senza neanche accorgermene, cominciai a ondulare la testa a ritmo di musica, anche se quella sensazione così potente sembrava volermi suggerire di scatenarmi come lui.

Fu così che l’auto si riempì di rumore, di scosse vitali, del canto di Nathan, che intanto era diventato rosso per il troppo sforzo che aveva messo per intonare quella canzone.

Quando finì, fortunatamente, riabbassò la radio a un volume accettabile. Aveva un enorme sorriso sul volto, quello di chi si sente sempre un passo più vicino ai propri idoli, che riescono a parlare di noi quando non ne siamo capaci, che ci rappresentano insieme al nostro mondo, troppo difficile da spiegare a parole.

E lui era lì, a lasciare che l’eccitazione lo rendesse meno irrequieto, felice perché li aveva ascoltati e forse perché mi aveva permesso di cogliere una parte di lui.

«Allora? Non sono fantastici?»

«Proprio meravigliosi», risposi con sarcasmo.

Ennesima alzata di occhi ed ennesima sbuffata.

«Oh no!»

Spostai rapidamente gli occhi da destra a sinistra.

«Che c’è?»

«Dovevamo girare a destra!»

Scossi il capo.

«Non è colpa mia se eri impegnato a fare la rockstar.»

«Ecco, gira qui! Siamo vicini.»

Seguii le sue indicazioni e parcheggiai nel primo posto libero.

 

L’ultimo evento mondano a cui avevo partecipato era stata la festa di laurea di Oliver. Un premio alla sua esposizione brillante sugli effetti del veleno di vipera e uno scroscio di applausi per la sua summa cum laude, che avevo accolto con un sorriso sulle labbra da quanto era scontata.

Al rinfresco si era presentato in giacca e cravatta, elegante nel vestire quanto nei modi. Parlava a voce bassa e rideva in modo composto, mentre discuteva con mia madre sui difetti della sua esposizione. Difetti che, ovviamente, vedeva solo lui.

Non disdegnava foto e attenzioni, si concedeva di essere la star della serata, ma senza spegnere i riflettori sugli invitati, contorno più che importante per rendere quella festa indimenticabile. C’erano i suoi compagni di corso, i suoi amici di una vita, persi i primi a discutere di qualche nome impronunciabile, smarriti i secondi di fronte a quel mondo oscuro.

Io facevo parte dell’ultimo gruppo: lo ascoltavo discutere con i suoi colleghi su questo o quel professore, sulle castronerie che sparava su una malattia mai sentita che poi scoprii essere gli orecchioni , anche se non riuscivo a ridere come loro. D’altronde era più che comprensibile, ma mi bastava leggere l’entusiasmo sul suo volto per essere felice anch’io, perché la sua felicità era la mia e mai lo era stata come in quel momento, in cui avevo cominciato a pensare che avrei voluto passare con lui il resto della vita.

Una vita che invece si era spenta in un soffio, che continuava a consumarsi e di cui non era rimasto altro che cenere, una fuliggine grigia che aveva perso le sembianze di ciò che era stata.

Quella era la mia prima vera uscita dopo molti, lunghi mesi. Non c’era un filo di vento a smuovere l’aria, tanto che il caldo si posava sulla pelle appiccicandosi poco dopo. Forse ero io più accaldato del solito, o forse troppo vestito per quel clima, o forse mi resi conto soltanto in quel momento che eravamo solo io e Nathan. Perché sì, alla fine eravamo soli, e quello sembrava molto più un appuntamento rispetto a quello che era avvenuto tre giorni prima; stavolta avevo accettato io, con coscienza, anche se di certo non per lui.

Ashton mi aveva praticamente costretto ad accogliere l’invito, perché secondo lui potevo trovare qualche indizio interessante riguardo alla rapina, visto che c’era Nathan di mezzo.

«Ti muovi? Sei lento!»

Nemmeno mi ero accorto di aver rallentato il passo, preso com’ero dai miei pensieri, anche se più probabilmente era lui ad avere accelerato per l’impazienza. Intanto canticchiava ancora la canzone dei suoi idoli e, senza rendermene conto, cominciai a intonarla anch’io nella mia testa. Zittii subito i miei pensieri, perché non volevo che l’iniezione di Nathan mi arrivasse anche al cervello, dopo che aveva raggiunto di prepotenza zone del mio corpo di cui avevo quasi dimenticato l’esistenza.

Lo sguardo mi scivolò sulla schiena di Nathan, sulle scapole che si intravedevano dalla maglietta, sui fianchi stretti, sulle mani infilate nelle tasche posteriori dei pantaloni. Le sfilò e si girò verso di me.

«Non ci credo.»

«Cosa?»

Scoppiò a ridere, ma abbassò lo sguardo.

«Da te non me lo sarei mai aspettato.»

«Ma cosa?»

Tornò a guardarmi, impegnato a trattenere un sorriso.

«Fai pure finta di niente? Che tipo.»

Feci spallucce.

«Non so di cosa tu stia parlando.»

«Il lato oscuro di un ragazzo per bene.»

«Potresti essere più chiaro?»

Lui mi ignorò e riprese a camminare, due passi avanti a me.

«Nathan? Odio quando non mi rispondi.»

 

Intanto, in lontananza, si cominciava a udire il rumore ovattato della batteria e il cicaleccio indistinto di una moltitudine di voci. Passo dopo passo, il suono della musica diventava sempre più limpido e dirompente e le voci acquisirono un volto: una folla di giovani universitari in festa, chi sul prato, chi all’interno del complesso.

Lo spazio del campus era sconfinato, un imponente edificio circondato da un prato altrettanto capiente, talmente esteso che era impossibile osservarlo tutto in una sola occhiata. Dovevi ruotare il capo per poter vedere le tavolate con le bevande prese d’assalto dagli studenti o il palchetto improvvisato da cui proveniva la musica con i suoi battiti assordanti.

Rimasi impalato e stordito dalla vitalità che trasudava quel luogo. Niente a che vedere con le mie serate tranquille in compagnia di Oliver, serate dove ci guardavamo un film, io e la sua foto.

Serate dove gli chiedevo se gli era piaciuto e mi rispondevo da solo.

Serate dove gli davo la buonanotte, ma lui aveva già chiuso gli occhi da un pezzo.

Serate dove abbracciavo il cuscino umido e con le dita sfioravo la pistola che tenevo nascosta e…

«Ci prendiamo da bere?»

Ma un tempo c’era stato Oliver, in carne e ossa, e la casa non era così fredda e così silenziosa tanto da sentire i miei stessi passi sul pavimento, duro come la scorza che aveva attecchito sulla pelle.

«Alan? Tutto bene?»

Ma sotto quella scorza riuscivo a percepire il calore della mano di Nathan sul mio polso, il calore della sua sincera apprensione, un calore che smorzò il gelo che sentivo dentro, nonostante il caldo torrido.

«Sì, non ti preoccupare.»

«Sicuro?»

Accennai un sorriso.

«Sì, davvero.»

«Allora andiamo!»

Tirò il mio polso verso di lui e mi trascinò al tavolo delle bevute. Dopo qualche passo, però, mollò la presa sul mio polso in un gesto rapido, poi sventolò la mano verso un gruppo di ragazzi. Lo salutarono in segno di rimando e capii che erano suoi amici, che lo accolsero con qualche pacca amichevole sulla schiena. Tra loro c’era anche una ragazza, che scoprii chiamarsi Laura.

Il ragazzo alla sinistra di Nathan aveva una bella parlantina, anche se forse parlava un po’ troppo a macchinetta. Non aveva ripreso fiato da ancor prima che arrivassimo e, anche in quel momento, sputava parole come proiettili, tanto che mi chiesi se Nathan stesse annuendo solo per educazione. L’altro ragazzo che era con lui, invece, se ne stava a braccia conserte e non staccava gli occhi di dosso da Nathan. Notai che gli stava facendo una vera e propria radiografia, e più scendeva, più il sorrisetto malizioso sul suo volto si allargava.

«Ah, sì! Lui è Alan.»

Il ragazzo più silenzioso si presentò come Steve e non mi ci volle troppo a ricollegarlo all’ormai celebre SteveMerda; capii subito perché lo aveva squadrato così e anche che, in quel frangente, mi credeva il ragazzo di Nathan.

L’altro, invece, si chiamava Ryan. Lui mi strinse la mano mollemente, come se non riuscisse a fare forza, e immaginai che fosse per via della ferita che aveva sul braccio. Alla fine gli lasciai la mano e lui ricominciò a parlare, ma non compresi molto altro, perché ero troppo stordito per star dietro a quella fiumana di discorsi senza fine.

Alle parole disordinate del ragazzo, poi, bisognava aggiungere la musica, che non era di certo paragonabile a quella di Enya.

Sorrisi impercettibilmente, ricordando Nathan esibirsi nel suo spettacolo in macchina, e mi accorsi tardi rispetto agli altri di un terzo ragazzo che si era avvicinato al gruppetto.

Era un modaiolo almeno quanto Nathan: indossava una maglia con uno scollo a V piuttosto pronunciato e in mezzo teneva incastrata la stanghetta degli occhiali da sole.

Aspettai la consueta presentazione, ma Nathan sembrava non averne l’intenzione. Fissava quel ragazzo senza sbattere le ciglia e, per un attimo, ebbi l’impressione che non stesse nemmeno respirando. Tutto il suo corpo si era imbambolato e i suoi occhi brillavano della stessa luce di quella che gli avevo visto mentre cantava.

«Harvey…!» disse con un filo di voce, poi superò gli altri due amici per correre incontro a lui e gettargli le braccia al collo. I loro corpi aderirono in un abbraccio piuttosto intimo e Nathan lasciò che Harvey lo cingesse in una stretta energica.

Non appena si sciolsero dall’abbraccio, Harvey gli passò una mano tra quei capelli ritti, gesto che provocò in Nathan un sorriso ancora più inebetito di quello che aveva già. Era arrossito come una ragazzina al primo appuntamento e pendeva dalle sue labbra più di un cagnolino di fronte a un croccantino fresco: Harvey avrebbe potuto chiedergli di fare qualsiasi cosa e lui avrebbe obbedito scodinzolando.

«Era questa la sorpresa?»

Si lasciò scappare una risatina sciocca e in quel momento spostai il mio sguardo su Steve che, con mia sorpresa, mi lanciò un’occhiata di intesa.

Forse anche lui trovava imbarazzante quella scena da coma diabetico, il cui unico vantaggio era stato quello di aver zittito Ryan e la sua mitragliata di parole in piena.

«Forse.»

Nathan lo spintonò appena col palmo di una mano e pensai che non era un caso che lo avesse colpito proprio sul petto. Il modo in cui Nathan lo osservava, con le labbra schiuse e curvate in un sorriso immobile, lasciava intuire la spasmodica bramosia di contatto fisico, a partire dal fatto che le loro dita si intrecciavano appena in incontri e scontri ridicolmente studiati.

Mi trattenni dall’invitarli a cercare un hotel e mi feci avanti.

«Allora, non mi presenti il tuo amico?»

Notai che Steve mi lanciò un’altra occhiata fugace, grato per aver messo fine a quella scena patetica.

Il ritorno alla realtà spezzò il sorriso di Nathan, che fu costretto ad allontanarsi di qualche passo per permettermi di stringere la mano di Harvey.

«Alan, lui è Harvey. Harvey, Alan.»

Lui mi strinse la mano in una salda stretta. Io gliela strinsi ancora di più, forse fino a fargli male, a giudicare dalla smorfia che cancellò, per un attimo, quello sguardo fiero.

Il giro di presentazioni continuò. Steve non sembrò granché interessato a fare la conoscenza di Harvey, ma altrettanto non si poté dire di Ryan. Questi apparve quasi sorpreso, quando Harvey gli porse la mano e si presentò, seguito da un ‘Piacere di conoscerti’. Esitò un attimo, con uno sguardo che mi apparve interrogativo, poi si presentò a sua volta. Rimase disorientato per un momento, poi la sua espressione dubbiosa lasciò spazio a un sorriso eccitato.

«Va bene! Che ne dite di andare a ballare? Ho voglia di scatenarmi! Chi viene con me?»

Ryan aveva ricaricato le munizioni e ripreso a sparare, ma io non avevo voglia di ballare, né di sorbirmi l’accoppiamento dei due piccioncini.

Steve sembrava essere della mia stessa opinione, mentre Nathan e Harvey avevano ripreso a nutrirsi di sguardi e di sorrisi abbozzati per non dare troppo nell’occhio.

Solo Laura sembrò entusiasta all’idea di andare con Ryan.

«Ho capito, siamo solo io e lei. A dopo!»

Ryan si allontanò e rimanemmo in quattro.

Quando fu abbastanza lontano, Harvey cinse la spalla di Nathan e lo avvicinò a sé.

«Ti dispiace se te lo rubo per dieci minuti?»

Nathan fu colto di sorpresa, perché guardò prima lui, poi me. Provò ad aprir bocca, ma io lo precedetti.

«Anche tutta la sera, se vuoi.»

Vedevo che Nathan continuava a cercare il mio sguardo, ma per me era libero di fare ciò che preferiva. D’altronde, ero andato a quella festa nel ruolo di finto fidanzato.

Harvey gli prese appena la mano, quel poco che bastava per poterlo trascinare con sé; e dovette farlo, perché Nathan rimase piantato lì di fronte a me per un’altra manciata di secondi, in cui non incrociai il suo sguardo nemmeno una volta.

Si appartarono poco lontano, in un punto più isolato del prato. Non appena si fermarono, Nathan si liberò in un lampo della presa di Harvey, proprio come aveva fatto poco prima con la mia.

Pensai che era proprio uno stupido se credeva davvero che bastasse lasciargli la mano per fugare ogni dubbio sulla natura del loro rapporto.

«Vuoi?»

Steve mi stava porgendo un drink, che accettai senza pensarci due volte. Mi ricordai un attimo dopo che in un certo senso ero in servizio, ma pensai che un bicchiere non poteva certo farmi male.

«Grazie.»

Attraverso passettini di impercettibile lunghezza, la distanza tra Nathan e Harvey era diventata piuttosto intima. Nathan gli sfilò gli occhiali da sole dallo scollo e li indossò; gli stavano bene.

«Non è facile stare al suo passo, vero?»

Harvey glieli tolse e li rimise a posto.

«Di chi parli?»

Steve indicò la coppia col mento, poi capii che si riferiva a Nathan, che stava ridendo per il gesto dell’altro.

«Sono sei mesi che gli sto dietro, ma per lui non esisto. Quindi ho cercato un modo di farmi notare, ma non sto avendo molto successo.»

«Ti piace parecchio?»

Harvey aveva posato la sua mano sulla guancia di Nathan e ne stava accarezzando la pelle con lenti movimenti del pollice.

«Parecchio? Da morire. A volte si diverte a stuzzicarmi e mi fa quasi credere di piacergli. Lo so che gioca e basta, ma è capace di eccitarmi in meno di due secondi. A te non succede?»

Le sue labbra arricciate, il soffio con cui faceva uscire il fumo. La scarica di calore che mi percorreva tutto il corpo, per poi concentrarsi in un unico punto.

«No. Non direi

Nathan sorrideva a ogni sua parola, ed era uno di quei sorrisi che gli facevano abbassare gli occhi, ogni volta che avvertiva lo sguardo caldo di Harvey su di sé.

«Ah, ma tu… Oddio, scusa. Ti dico queste cose, ma sei il suo ragazzo. Forse non dovrei, vero?»

Nathan sembrava sempre al di sopra di tutto e di tutti, eppure in quel momento era succube di Harvey: lui gli aveva sfiorato il polso e Nathan aveva sussultato, forse perché davvero credeva che fosse un gesto d’affetto.

Ciò che aveva detto Steve entrò nella mia testa senza che me ne rendessi conto e, altrettanto inconsciamente, mi uscì la risposta.

«Non c’è nessun ragazzo. È tutta una messinscena.»

Un attimo dopo mi accorsi di quello che avevo fatto, ma, incredibilmente, non me ne importava più di tanto. Nathan trovò un attimo per rivolgermi uno sguardo fugace, ma io non lo ricambiai.

«Cosa?»

Avvicinai le labbra al bicchiere e mandai giù qualche sorso: era roba forte.

«Intendo dire che mi ha chiesto di venire a questa festa in qualità di finto fidanzato, solo perché voleva sbarazzarsi di un certo SteveMerda. Forse lo conosci.»

Nathan mi riservò ancora un’altra occhiata; chissà, forse era preoccupato per quello che avrei potuto dire a Steve. Non avrebbe avuto tutti i torti.

Ciò che era più strano era che non riuscivo a sentirmi in colpa. Stavo spiattellando tutto a Steve e me n’ero a malapena reso conto. Non avevo tempo per i sensi di colpa, e comunque se lo meritava.

Se lo meritava.

«Stai scherzando?»

Mi voltai verso di lui e gli mollai un sorriso falso.

«No, è tutto vero. Quindi sentiti libero di parlare di lui come preferisci. A me non interessa.»

Buttai giù un altro paio di sorsi e mi sentii barcollare, ma ero ancora perfettamente lucido.

Steve se ne stava imbambolato accanto a me, con la mascella prossima alla caduta. Gli feci spallucce e lui tirò un sorriso: forse, da parte di Nathan, situazioni del genere erano all’ordine del giorno.

Steve si riprese la mascella e spostò lo sguardo verso Nathan.

«E io che pensavo di non avere più speranze!»

Lo fissò un altro po’, e tornai a guardarlo anch’io.

Era così…

La vodka mi sconquassò lo stomaco e non riuscii a finire il pensiero. Non seppi mai quale aggettivo mi sarebbe uscito dalla testa, mentre se ne stava appoggiato con una spalla al muro, con quegli occhi a tratti innocenti, mentre si perdeva nel vortice delle parole di Harvey, che di innocente non aveva proprio niente.

Steve mi diede una gomitata.

«Ma l’hai visto che culo che ha? Io non so cosa gli farei. Gliel’ho anche detto: “Me la meriterei anche una scopata, con tutte le volte che mi hai eccitato!”»

Mi prese alla sprovvista, ma capii che aveva superato lo shock.

«Gli hai veramente detto una cosa simile?»

«Dopo un mese che torni a casa in certe condizioni, ti viene più che naturale.»

Nathan nel bagno dell’ateneo, i pantaloni abbassati, la faccia rivolta verso il muro e

Nathan che si riempiva le guance di imbarazzo per qualcosa che Harvey gli aveva sussurrato all’orecchio, che abbassava lo sguardo e sorrideva sincero.

Io che mandavo giù un bel sorso di vodka, perché quei pensieri non mi appartenevano.

«Non gli guardo il fondoschiena.»

Harvey che faceva cadere una mano dove non avrebbe dovuto, che sondava la disponibilità di Nathan.

La disponibilità a essere l’oggetto dell’ennesima avventura, il desiderio di ormoni impazziti, uno sfogo senza volto e senza nome.

«Non mi dirai che di lui ti ha colpito il carattere. A meno che ora non si dica così.»

Harvey sembrava non avere intenzione di spostare quella mano e Nathan era troppo imbambolato per farlo lui stesso. Era talmente cieco che avrebbe sopportato anche l’umiliazione di essere il giocattolo di una sera, solo perché a volerlo era Harvey. Che poi, che diavolo aveva di speciale quell’Harvey?

«Di lui mi ha colpito solo l’immensa sfacciataggine.»

«Ha un bel caratterino, lo so. Quello che ha colpito me, invece, è il suo essere così sfuggente. Ti sembra di averlo acchiappato e il momento dopo è già volato via, a flirtare con un altro ragazzo. Riesce a farti sentire unico e insignificante nel giro di un’ora.»

Non avrebbe potuto descrivere meglio la sintonia che si poteva provare con lui e l’estraneità in cui era in grado di gettarti l’attimo dopo.

«So come ci si sente.»

Mi aveva parcheggiato all’angolo bevande senza pensarci due volte, solo per fare gli occhioni a un ragazzo che aveva già progettato tutta la serata; e poco importava se in quel momento mi stava guardando, forse perché ero ancora con Steve, o forse perché non ero io a reclamare la sua presenza in quanto finto fidanzato. Per lui sarebbe stato più facile se fossi andato a riprendermelo, perché avrebbe sopito i suoi sensi di colpa, passando meno tempo con Harvey di quanto avrebbe voluto.

Tutto ciò che ruotava intorno a lui era un’illusione, un gran numero di magia seguito dal pezzo forte: la sua sparizione. Entrava e usciva dalle vite delle sue comparse come più preferiva, volava di fiore in fiore non appena subentrava la noia.

«Pensi sempre che finalmente sia la volta buona, che ce l'hai in pugno, e poi ti ritrovi davanti a scene così. Ma guardalo, ha la bavetta alla bocca.»

Le dita di Harvey si intrufolarono timidamente sotto la maglietta di Nathan, all’altezza dei fianchi, ma lui non si scompose. Un silenzio assenso che permetteva ad Harvey di disporre di lui come meglio credeva.

«Sembra parecchio preso» commentai.

«Anche tu.»

Anche tu.

«Cosa?»

«Sto dicendo che non gli hai staccato gli occhi di dosso da quando è andato via con Harvey.»

Sentii lo stomaco bruciare e una vampata di calore percorrermi da capo a piedi. Avevo buttato giù quel sorso di vodka troppo in fretta.

«Non per il motivo che pensi tu.»

«Guarda che non c’è mica niente di strano. È uno che piace.»

Nathan e Harvey erano scomparsi. Non erano più nel punto dove si erano appartati, né li avevo visti entrare nell’edificio; in mezzo a tutte quelle teste, era difficile dire dove fossero andati.

L’indice di Steve mi passò davanti agli occhi.

«Sono laggiù. Non scappa, tranquillo.»

Nathan stava assaggiando il drink di Harvey, bevendo dalla sua stessa cannuccia.

Il bruciore aumentò, fino a che lo stomaco non mi si chiuse.

«Non riesci proprio a ignorarlo, eh?»

Steve e gli zigomi troppo pronunciati da quel suo sorrisetto. Un’insopportabile malizia per un gesto innocuo, perché sì, ogni tanto guardavo verso Nathan, ma solo perché volevo vedere fin dove poteva arrivare la sua faccia tosta.

«Te lo ripeto, non è come pensi tu.»

«Non mi interessa, ci stai facendo la figura del senzapalle! Ti fai invitare come finto fidanzato e lasci che ti tratti così? Bah. Ti piace proprio fare lo zerbino.»

Mi dovevo pure subire la paternale di Steve, fantastico. Se me ne stavo lì era solo perché di Nathan non mi importava niente, non di certo per fare lo zerbino.

«È libero di fare ciò che crede.»

«Perché non tiri fuori un po’ di dignità e te lo vai a riprendere? È te che ha invitato alla festa, non lui.»

Quella conversazione sarebbe durata all’infinito, se non avessi fatto qualcosa. Le guance di Steve cominciavano a colorirsi per il troppo ardore o per il troppo alcool - chissà.

«Quindi cosa dovrei fare?»

«Vai lì e gli dici che i dieci minuti sono finiti! Ma tu guarda… Mi fai venire una voglia di prenderti a schiaffi che non ti immagini. Allora? Che aspetti?»

Il sentimento di Steve era quasi commovente. Gli mancava solo la bandana col nome di Nathan scritto sopra.

«Va bene, vado. Grazie della compagnia.»

«Aspetta! Cos’altro hai intenzione di dirgli?»

Sbarazzarsi di lui sembrava più complicato del previsto: lo conoscevo da nemmeno venti minuti e già mi si era attaccato come una sanguisuga. Feci spallucce.

«Non lo so, dico ad Harvey che vorrei stare un po’ con Nathan.»

Lui sbatté il bicchiere sul tavolo.

«No! Devi essere più incisivo. Prova a dirgli: “Non mi avevi detto che volevi fare una cosa a tre, Nathan”. Ci rimarrà così di stucco che lo mollerà subito.»

Altro che rimanere di stucco, a Nathan sarebbe cascata direttamente la mascella. Di certo non era una frase che mi si addiceva, ma forse poteva essere divertente osservare la sua reazione.

«Va bene, ci provo.»

«Vai così!»

Forse, oltre alla bandana, gli mancava anche un tifo e qualche trombetta.

Mi sentivo la testa leggera, fluttuante, e il mio corpo pesava almeno quindici chili in meno.

La competizione tra maschi alfa era cominciata e a me sembrava di camminare sulla Luna.

Come Nathan mi vide camminare verso di lui, non mi staccò gli occhi di dosso. Alla fine anche Harvey dovette voltarsi e lo stomaco si attorcigliò ancora una volta.

Non appena li raggiunsi mi schiarii la voce, pronto per godermi la reazione dei due, che mi guardavano stupiti.

Era l’ora del piatto forte.

«Non mi avevi detto che volevi fare una cosa a tre, Nathan.»

Le sue labbra, da dritte e piatte com’erano, si aprirono in un cerchio perfetto. Harvey mi indicò.

«È il tuo ragazzo?»

«No!»

Nathan era impallidito.

«Come sarebbe? Non sono il tuo ragazzo?»

«No. Alan, con lui non...» e si strusciò una mano sugli occhi. «Con lui non importa.»

«Forse è meglio se ne parliamo in privato. Anche perché i dieci minuti sono finiti da un pezzo e, sai com’è, me lo riprendo.»

«Alan, ma hai bevuto?»

Ora anche i suoi occhi erano spalancati quanto la bocca.

Harvey, invece, non aveva reagito. Incrociò le braccia e rimase serio.

«Vai, non ti preoccupare. Ci sentiamo in un altro momento.»

Il solo sentire la voce di Harvey mi attorcigliava lo stomaco; non sapevo se era per il suo atteggiamento da uomo vissuto o se per la melassa in ogni frase che pronunciava.

Mi affrettai ad allontanarmi da lì e Nathan mi seguì poco dopo. Tornai dov’ero stato fino a quel momento con Steve, anche se lui non c’era più; forse si era goduto lo spettacolo da lontano.

Nathan mi fissava con la stessa espressione scioccata di poco prima, il drink in mano che stava a prendere polvere.

«Tu hai bevuto.»

«Mi ha offerto qualcosa Steve.»

«No, Alan, sono serio. Sei ubriaco?»

«Figurati. So ancora contare e dire il mio nome.»

Lui ridacchiò, ma continuava a guardarmi con un mezzo sorriso, a fissarmi come fossi una creatura misteriosa.

«Sono senza parole.»

«Lo vedo.»

Mi guardava ancora e io guardavo lui, immobile, con gli occhi così spalancati che non sbatteva nemmeno le palpebre.

«Davvero, sono stupito. Non pensavo che tu… Insomma...»

«Sono o non sono il tuo finto fidanzato per stasera?»

Quindi sfilai dalle mani il suo drink, senza che opponesse alcuna resistenza.

«Sì, però… No, aspetta, che stai facendo?»

Me lo strappò dalle mani in un lampo, poi si guardò furtivo intorno.

«Non è quello che fanno i fidanzati? Bevono dallo stesso bicchiere, succhiano dalla stessa cannuccia…»

«Non io!»

Gli avvicinai un braccio intorno al collo, ma si scostò con uno scatto repentino. Misi su una faccia dispiaciuta.

«Ma come, non volevi che tutti i tuoi amici sapessero che hai un ragazzo?»

«No!»

Gli ripresi il bicchiere dalle mani, prima che finisse in terra.

«E io che avevo già sparso la voce...»

Sbiancò. Io scossi un pochino il bicchiere e poi assaggiai la bibita, evitando di bere dalla cannuccia.

Me lo tolse di mano così all’improvviso che mi strattonò.

«E non bere ancora! Stai scherzando, vero?»

Io assunsi l’espressione di chi ha fatto un guaio in buona fede. Quegli occhi sorpresi e quella bocca appena spalancata di chi non sa come giustificarsi.

«Alan, cazzo, dimmi che è uno scherzo. Ti prego. Ti scongiuro.»

«Mi dispiace...»

E lì, se non svenne, fu un miracolo.

Una punta di sano rimorso mi pungolò la coscienza; così non trattenni più quelle risate sotto i baffi e scoppiai a ridergli in faccia.

«Scusa. Stavo scherzando.»

Mi stampò cinque dita sul braccio così rapidamente che non avvertii nemmeno il dolore. Non subito, almeno.

«Ma ti sembrano scherzi da fare? Sei un cretino!»

La sua faccia scioccata era quasi divertente.

«Oh-oh. Segreto di Nathan numero uno: i suoi amici non sanno che è gay.»

Mi godetti quel sapore di dolce rivalsa, ma il sorriso mi morì subito non appena vidi la sua espressione.

Nathan sembrava ferito, colpito e affondato. In quel momento, la paura gli attraversò lo sguardo, perché quello che avevo detto aveva tutta l’aria di essere una verità scomoda.

Sprofondò gli occhi nel drink e rimase ammutolito per una buona dose di secondi.

Avevo detto che non provavo sensi di colpa per ciò che avevo rivelato a Steve? Mi risalirono tutti insieme, accompagnati dai bruciori di stomaco. Come avrebbe reagito, quando avrebbe scoperto quello che avevo fatto?

… Ma in realtà non era tanto più semplice?

Non avevamo più nessun motivo per incontrarci: non aveva altre informazioni come testimone, né esistevano altri pretesti per vederci. Quel musetto ferito sarebbe dovuto essere l’ultimo dei miei pensieri, e invece…

E invece la testa mi girò ancora e barcollai un poco. Forse non così poco come pensavo, visto che Nathan mi afferrò per le spalle.

Mi sentii infuocare di colpo e il tavolo delle bevute si era inclinato. Sdoppiato. Spostato.

«Tutto bene?»

Annuii, ma il viso di Nathan non sembrava più così… fisso. Gli occhi, ogni tanto, si spostavano. Ero sicuro di averli visti sovrapposti al naso. Strizzai gli occhi e tornarono normali.

Nathan sorrise.

«Tu hai bevuto, lo sapevo.»

Poggiai il fondoschiena sul ciglio del tavolo: almeno non sarei caduto.

«Io sto benissimo, sai? Quindi puoi tornare a fare le fusa al tuo Harvey.»

Ridacchiò incredulo. Ancora sfoderò quegli occhi innocenti, quasi fosse davvero sorpreso, e aveva le labbra inarcate in un mezzo sorriso. In realtà era lui l’unico a non accorgersi di niente. Di Harvey e di come lo guardava. Di quanto lo voleva.

«Se non ti conoscessi, direi quasi che sei geloso.»

Risi con una pernacchia. Lui si era comportato in modo deplorevole e cercava di rigirare la frittata. Steve aveva ragione: far valere i miei diritti di finto fidanzato era stata cosa buona e giusta. Non mi sarei fatto trattare come una scarpa vecchia e volevo che fosse chiaro. Be’, lo era stato.

«Figurati se mi interessa uno come te. Non hai niente del mio ragazzo ideale, che deve essere studioso, acculturato, serio e, soprattutto, non fumatore.»

Lui incrociò le braccia. O forse mi si incrociarono solo gli occhi.

«Che palle un ragazzo così. Proprio adatto a te.»

Proprio quello adatto a me, sì. Come quel ragazzo che vedevo di fronte, in mezzo alla folla. Quel ragazzo moro e dall’aria matura, che ripeteva gli effetti del veleno di vipera agli altri invitati. Allungai una mano verso di lui, ma non riuscii a raggiungerlo. Quel ragazzo ebbe il tempo di lanciarmi un sorriso dolce, prima di scomparire come un ologramma.

Sbattei ancora le palpebre, ma Oliver non c’era più. In mezzo a tutta quella gente, non trovai più il suo capo nero. Non c’era mai stato.

Che ci facevo a quella stupida festa? Che ci facevo accanto a quel ragazzino senza arte né parte? Stavo perdendo il mio tempo, che avrei potuto dedicare a Oliver, a raccontargli la mia giornata, come facevo sempre…

Ma cosa sarebbe cambiato, se gliel’avessi raccontata? Ero così stupido. Non c’era nessuno in casa. Ero sempre solo, seduto a quel tavolo troppo lungo per una persona, a cucinare pietanze troppo abbondanti per una persona sola; e io semplicemente mangiavo una doppia porzione, non quella di Oliver come volevo credere, perché l’unico seduto a quella tavola ero io, io e nessun altro.

Oliver non c’era più.

Senza di lui non c’era nemmeno alcuna consolazione per me, che mi sentii il cuore strappato da una voragine nera e buia, in cui rischiavo di sprofondare ancora. Stavolta, però, non c’era nessuno a sorreggermi, nessuno a tirarmene fuori, a dare un senso a quella mia esistenza che non aveva più spessore, più colore. Lo squarcio si allargava sempre più, e io ci stavo cadendo dentro.

Non c’era più il frastuono, non c’era più nessuna festa, non c’era più nessuna vita degna di essere vissuta.

E quello fu l’ultimo ricordo che ebbi di quella sera.

 

 

 

 

Angolo autrice

Salve a tutti! Finalmente siamo arrivati al mio capitolo preferito! Mi sono divertita tanto a scriverlo e spero che anche voi vi siate divertiti a leggerlo! <3

Ringrazio come sempre tutte le persone che hanno speso dieci minuti del loro tempo per leggere il capitolo, per me significa davvero tanto.

Arrivati a questo punto credo sia il caso anche di aggiornarvi su quanto riportato nelle note del primo capitolo, dove avevo scritto che la pubblicazione di questa storia era più che altro un espediente per trovare la motivazione per portarla a termine. Ebbene, ancora non l’ho finita, ma ogni settimana revisiono i capitoli successivi in modo che siano “infiocchettati” per la pubblicazione e attualmente sono arrivata alla revisione del 17. Quando parlo di “revisione” non intendo solo togliere tutte quelle maledette virgole che infilo in ogni dove (XD), ma anche aggiungere nuove scene in modo che la trama sia organica… quindi insomma, il succo è che sono tornata a scrivere dopo mesi di inattività. Qua e là ho scritto anche qualche scena del capitolo 31 (sono 33 in tutto se ho contato bene), per cui direi che questo “esperimento” sta dando ottimi frutti per la mia voglia di scrivere, e mi sento di promettere che vedrete senza ombra di dubbio la fine di questa storia. E di questo piccolo miracolo non posso che ringraziare voi lettori <3

            Spero quindi di trovarvi ancora su questi lidi, perché la vostra presenza, anche silenziosa, mi dà la carica per revisionare&scrivere e l’entusiasmo ogni giovedì per pubblicare.

            Ok, mi sa che mi sono dilungata un po’… ma d’altronde l’avrete capito che la sintesi non è proprio il mio forte ahahahah XD

 

            A giovedì,

holls

   
 
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