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Autore: crazyfred    04/11/2021    8 recensioni
Alessandro, 45 anni, direttore di una rivista di lifestyle. Maya, 30 anni, sua assistente personale. Borgataro lui, pariolina lei. Self made man lui, principessina viziata ma senza un soldo lei. Lavorano insieme da anni, ma un giorno, la vita di entrambi cambierà radicalmente ... ed inizieranno a guardarsi con occhi diversi. Sullo sfondo: Roma.
(dal Prologo) "Quando Alessandro l'aveva assunta, oltre al suo aspetto patinato, aveva notato la sua classe e il suo buon gusto, oltre ad una sensibilità ed intelligenza nascoste, ma scalpitanti e volenterose di venire fuori. Forse nemmeno Maya si rendeva conto, all'epoca, che razza di diamante grezzo fosse. Alex però, che nello scoprire talenti era un segugio infallibile, non se l'era fatta sfuggire."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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Capitolo 15




Maya ci aveva messo un po' a rispondere a quell'SMS. Aveva riletto quelle due semplici parole mille volte per capire come contraccambiare. Non dicevano nulla, ma lei ci leggeva comunque mille cose dietro. Anche perché, in cinque anni di lavoro, era stata la prima volta che le mandava un sms di auguri e di certo non era stato un caso o un errore.
Se non avesse risposto avrebbe fatto la figura della stronza che se la tira, ma cosa avrebbe dovuto scrivergli?! Alla fine risolse mandandogli una foto di auguri un po' da boomer che si mandano sui gruppi WhatsApp per tagliare la testa al toro. Le sembrò la soluzione più impersonale possibile. E quell'attesa era stata provvidenziale perché il messaggio lo aveva mandato che ormai era quasi l'alba e lui avrebbe avuto l'impressione che lei non ci aveva pensato tutta la notte, come invece aveva fatto.
Arrivati al 6 Gennaio avrebbe voluto darsi per malata, mandare un certificato medico e non presentarsi a lavoro, ma prima che potesse inventarsi qualche trucchetto dei suoi, Alessandro la precedette con un messaggio, anche questo telegrafico: le chiedeva di farsi trovare in ufficio, l'indomani, in anticipo rispetto al solito. La voglia di accampargli una scusa era davvero tanta, ma prima o poi avrebbe dovuto ritrovarsi faccia a faccia con lui e prima avrebbero risolto, meglio sarebbe stato per tutti.
La mattina dopo, arrivata nell'anticamera dell'ufficio di Bonelli, dove aveva la sua scrivania, Maya trovò Alex al suo posto. Grazie alla porta socchiusa, poté far finta di non averlo notato, sistemandosi alla sua postazione come faceva sempre, con i suoi piccoli gesti quotidiani. Fu lui ad avvicinarsi a lei.
"Ciao …" la salutò, dolcemente, avvicinandosi.
Maya stava in piedi, di spalle, a sistemare alcuni fascicoli che aveva lasciato sparsi in giro quando aveva dovuto lasciare la redazione per andare da lui una settimana prima.
"Buongiorno" rispose lei, tentando di rimanere distaccata.
"Verresti di là un secondo?!"
Maya lo seguì in un ufficio, lasciando la porta aperta; non c'era nessuno in redazione, solo il vigilantes che aspettava la fine del turno: si fidava di Alex, ma non voleva dargli modo di creare situazioni troppo intime dalle quali non avrebbe saputo - o voluto - tirarsi fuori.
Lui era nervoso. Stava in piedi davanti alla scrivania, muovendosi nervosamente, le mani irrequiete si spostavano dai fianchi, alla fronte, allentando la cravatta, scostando la giacca.
"Senti …" esordì, esitante, appoggiandosi al piano della sua scrivania come fosse coperto di chiodi "per quello che è successo la sera di Capoda-" "Non è successo niente la sera di Capodanno, stai tranquillo"
Era più che sicuro che lei lo volesse, quasi quanto lui, o l'avrebbe fermato. Quantomeno, lo avrebbe bloccato molto prima di quanto non avesse fatto. Ma forse non aveva capito niente; forse era talmente fuori allenamento 
per certe cose, se così si poteva dire, che non aveva saputo cogliere i segnali giusti.
"No, stammi a sentire…io volevo scusarmi perché forse ti ho messo in una situazione imbarazzante"
Forse c'era qualcuno nella sua vita o semplicemente lui era stato un cretino di prima categoria a dare per scontato che lei potesse provare quello che provava lui. Che, di preciso, non sapeva nemmeno lui cosa fosse. Una cosa però la sapeva: non voleva fare a meno di lei.
Ed Alex non poteva immaginare quanto favorevolmente lei avesse accolto quel bacio. Ma non doveva saperlo, nella maniera più assoluta. Maya era determinata su questo punto. Neanche. Il Minimo. Sospetto.
Perché per lei era stata una cosa puramente fisica, come il ballo al gala, un riflesso incondizionato, come la mano sulla sua spalla o sul suo braccio per mostrargli la sua solidarietà e il suo conforto. Perché le circostanze del momento, la tensione in casa Bonelli e i dissapori con sua moglie avevano fatto il resto. Era come una sbornia colossale, di quelle che si prendevano il giovedì universitario, quando si pensava che si sarebbe stati male in eterno: sarebbe passata, doveva passare.
"Non è colpa tua" questo però voleva che fosse chiaro come il sole.
Non voleva che credesse di averla baciata contro la sua volontà. Era talmente paranoico che ne sarebbe stato capace e ci starebbe stato male e non voleva questo. Reputava sé stessa una stronza, ma non così stronza.
"Non è colpa tua" ribadì "ma non significa che non sia stato un errore."
"Ho lasciato mia moglie" disse, interrompendola "quando sono tornato a casa me ne sono andato. Adesso sto in un residence"
Maya rimase senza fiato. Non poteva averlo detto davvero, non con l'intenzione che ci leggeva lei tra le righe. Scosse la testa, nervosamente.
"Se è quello che volevi sono contenta per te, davvero."
Su questo era onesta. Lo aveva visto affrontare quei mesi arrivando, alcuni giorni, a non riconoscerlo. Era giusto mettere la parola fine se le cose non andavano più.
"Era la cosa migliore da fare. La situazione era diventata insostenibile … non riuscivamo nemmeno più a mantenere un'atmosfera tranquilla per Edoardo e Giulia … che a proposito, chiede ancora di te."
Non andava bene. Non andava assolutamente bene. Lei era una dipendente del padre, non una nuova compagna di giochi. Giulia era una bambina speciale ed anche Maya si era affezionata, ma non doveva crearsi troppe aspettative.
Era tutto così surreale e il peggio era che ci si era infilata con tutte le scarpe e lo aveva fatto da sola: non poteva incolpare nessuno, tranne che sé stessa. Se avesse seguito il programmino per le feste di Olivia a quest'ora avrebbe avuto un'abbronzatura da montagna, un paio di chili in più per i canederli e lo speck e, soprattutto, una questione di cuore in meno da gestire; che poi era la questione di cuore di un altro, ma ovviamente i casi umani sempre a lei capitavano. Una calamita umana per la sfiga.
Doveva mettere dei paletti per tutti e due, e alla svelta.
"Hai fatto breccia" commentò lui, scherzoso.
Ma lei troncò subito ogni tentativo di Alex di addolcire la situazione a suo favore.
"Non va bene " disse, controllata e decisa. Se fosse arrivato qualcuno non dovevano sentirla, ma al contempo doveva essere sicura che lui capisse quanto lei fosse determinata. "Tra datore di lavoro e dipendente ci sono dei limiti invalicabili e noi li abbiamo valicati tutti, Alex, e non è giusto né per te, né soprattutto per me"
"Perché dici così?"
La sua testa le diceva che il modo in cui si era avvicinato non avrebbe portato a nulla di buono, che era quasi come una fissazione che si era dato per dimenticare i suoi guai o quantomeno alleviarli.
"Posso essere sincera?" Lui annuì: da lei non voleva altro. "Non sei lucido ed è comprensibile per tutto quello che ti è successo. Io lo capisco, non te ne faccio una colpa. Ma è come se per te in questo momento io fossi … un rimpiazzo per … per tua moglie, per la tua famiglia … per tutto quello che non va nella tua vita". 
I suoi problemi però prima o poi li avrebbe risolti: le conseguenze, a quel punto, le avrebbe pagate solo e soltanto lei. E lei non poteva permettersi di rimanere in mezzo ad una strada, letteralmente.
"Così mi offendi, però, Maya. E offendi anche la tua intelligenza" disse lui, deluso che le potesse essersi fatta quell'idea di lui "tu sei tu e sei ben diversa da Claudia. Non sei affatto un rimpiazzo. Pensavo non ti dispiacesse questa cosa che abbiamo costruito, in qualsiasi modo vuoi chiamarla"
Non le dispiaceva affatto. Non era un'amicizia, ma non era più nemmeno un rapporto di lavoro: era un'intesa fortissima, una connessione mentale che spesso però mandava i loro corpi in corto circuito.
"Io però lavoro per te" proseguì "tu mi paghi lo stipendio. E come se non bastasse vivo in casa tua"
Non solo lui avrebbe potuto licenziarla, ma avrebbe anche potuto cacciarla di casa. Scherzare con il fuoco poteva essere divertente, eccitante, ma rimaneva pur sempre pericoloso
"… in qualsiasi modo vuoi chiamarla, se finisce male, solo io ci rimetto"
Non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno con sé stessa, ma aveva una paura matta di svegliarsi una mattina e scoprire di essere rimasta fregata. Di essere andata oltre, e di averlo fatto da sola. Non le piaceva non avere il controllo delle cose, figurarsi del suo cuore.
"Io non sono la persona migliore per dare certi consigli, ma credo tu abbia prima di tutto bisogno di stare da solo per un po' ... riprenderti i tuoi spazi. Non hai bisogno di buttarti in qualcosa che oggi pensi sia giusta ma che in realtà rischia di rovinare tutto quello che di buono ti è rimasto. Siamo un buon team, lavoriamo bene insieme. Questo teniamocelo stretto."
Mentre le parlava, Alessandro se ne stava in silenzio a rimuginare, come fanno i bimbi quando le mamme li strigliano. Il tono di Maya non era autoritario, né acido. Era comprensiva della sua situazione in modo in cui nessuno lo era. Non era la prima volta che glielo dimostrava, ma rimaneva sempre strabiliato dalla forza che veniva fuori dalla sua franchezza. Faceva male sentirle dire quelle cose perché in fondo sapeva che erano vere, ma ne apprezzava la lealtà. Era talmente contornato da leccapiedi e giuda che era facile dimenticarsi cosa volesse dire avere qualcuno che ti tiene con i piedi per terra.
Purtroppo aveva ragione: non sapeva neanche lui cosa volesse e non doveva fare danni nello scoprirlo. Sentiva di volere Maya nella sua vita, ne aveva un bisogno viscerale, ma come poteva trascinarla in qualcosa a cui non riusciva nemmeno a dare un nome?! E se fosse stato come diceva lei? Se un giorno si fosse svegliato e si fosse accorto che era solo riconoscenza? Avrebbe sciupato l'unica cosa che funzionava nella sua vita.
"Forse hai ragione tu" ammise, cercando di essere sereno come lo era rimasta lei per tutto il tempo "forse è meglio che io faccia un passo indietro. Sei sempre dalla mia parte? Anche dopo questa colossale figura di merda?"
Maya gli tese la mano, raggiante. Lui la accolse nella sua e la strinse da pari, come faceva sempre alla chiusura di un buon contratto.
"Paghi bene, sei puntuale e la casa che mi hai affittato è un sogno. Dove vuoi che vada?!" rispose lei, sarcastica e divertita.
Entrambi tornarono alle proprie attività, sicuri di aver raggiunto un accordo più che ragionevole: tanto per cominciare, non si erano persi.
 
 
Se qualcuno le avesse chiesto come andavano le cose con Alex, Maya avrebbe tanto voluto rispondere tutto bene, tutto come prima. Ma non poteva, non era così.
Lui era un signore, su questo non ci pioveva. Lei lo aveva rimesso al suo posto, gli aveva chiesto di pensare a sé stesso e lui lo stava facendo. Pur restando gentile e affabile, era estremamente professionale. Non era lui il problema.
Il problema era lei. Era come quando da bambina sua madre tornava dal Festival di Salisburgo con le Palle di Mozart artigianali e le metteva nel ripiano più alto della credenza perché i bambini non si abbuffassero; risultato: lei e i suoi fratelli puntualmente finivano per arrampicarsi e mangiarle di nascosto.
Proprio come allora, più una cosa era off-limits, più per Maya diventava desiderabile, poco importava che questa l'avesse resa off-limits con le sue stesse mani.
Dapprima spiegato come una risposta chimica, era palese ormai che quel bacio era stato qualcosa di più. Maya lo avrebbe definito una bruciatura. Ma non come il dito sul ferro da stiro caldo. Oh no! Come acqua bollente che ti cade addosso dalla pentola della pasta, piuttosto. A suo modo una risposta, forse ai tanti cambiamenti che la sua vita aveva subìto in quell'ultimo periodo, ma molto più complessa di una mera questione di profumi, ormoni e altre stronzate varie che si era inventata per giustificare quel momento di debolezza.
Che poi … era davvero una debolezza? Perché per ricambiare il bacio del proprio capo e poi dargli il benservito ci vuole una certa dose di coraggio.
E sulle prime era andato tutto bene, era super orgogliosa di sé e di come aveva gestito la cosa da persona adulta, matura e responsabile. Fatto sta che, tempo un paio di settimane, più lui si comportava normalmente, più lei lo vedeva sotto una luce diversa. Non se ne era accorta subito, ma con quel bacio qualcosa in lei aveva fatto click. E non andava bene. Non andava bene per niente, perché tutte le ragioni che aveva dato ad Alex a proposito dell'andare avanti come colleghi stavano ancora in piedi, perfettamente logiche e valide.
La mattina ormai, sistemando caffè e giornali nel suo ufficio, cercava di farlo il più in fretta possibile. Tutto profumava troppo di lui, talvolta aveva la sensazione che fosse nella stanza, nascosto da qualche parte, tanto lo sentiva forte.
A volte, come quella mattina, quando arrivava riusciva a prenderla totalmente alla sprovvista, e Maya doveva trattenersi dal sussultare per lo spavento.
"Buongiorno!" la salutò lui, di buon umore, entrando nell'ufficio e sfilandosi il cappotto.
Da quando aveva lasciato casa, lui era tornato quello di sempre, professionalmente parlando. Ora aveva degli orari specifici in cui occuparsi dei figli, ma si vedeva che era riuscito a recuperare una dimensione di tranquillità, nonostante tutto.
"Buongiorno!" rispose lei, ricomponendosi e prendendo il cappotto, lo sguardo basso e cercando di defilarsi in fretta.
"Che hai?" le domandò, andando a sedere alla scrivania.
Maya si raggelò sulla porta d'ingresso, tornando sui suoi passi. Doveva fingere indifferenza a tutti i costi.
"Ti vedo strana …" aggiunse ancora lui, con nonchalance, la tazza di caffè in mano e lo sguardo attento sulla prima pagina del Messaggero.
"Ma no che vai a pensare" minimizzò lei, nervosamente "non ho niente"
Niente, a parte il fatto che non posso guardarti in faccia visto che hai deciso di far crescere un filo di barba senza chiedere il permesso a nessuno e così sei illegale.
Alex si era finalmente concesso un vezzo che Claudia detestava e gli impediva di tenere più a lungo di un weekend. Per quanto concordasse con lei sull'immagine più professionale, quando si guardava senza barba, lo specchio gli restituiva un'immagine sbattuta, pallida persino, nonostante la sua carnagione olivastra, accentuando tutti quei piccoli difetti che l'età stava iniziando a far venire fuori.
Francesco aveva apprezzato quel cambio di look, gli aveva detto che ora era decisamente pronto a rimettersi sulla piazza, ma lui non ci pensava nemmeno, per il momento: stava riscoprendo le gioie di una vita senza vincoli - per quanto potesse esserlo la vita di un padre single - e soprattutto, stava scoprendo l'uomo che era diventato. Con la famiglia e la carriera non aveva mai speso neanche 5 minuti della sua vita nei 10 anni precedenti per fare i conti con sé stesso. Maya, tanto per cambiare, aveva avuto ragione.
"Tutto bene con la casa?" le chiese.
Anche se ora ci viveva lei, rimaneva pur sempre la sua casa di gioventù e quel legame non si recideva così facilmente. Troppi ricordi, troppe amicizie, troppe ragazzate - le alessandrate, come le chiamava suo padre - tra quelle mura, per le scale e per le vie attorno al palazzo per far finta di nulla.
"Sì, tutto bene. Ho anche una pasticciera di fiducia tra i vicini"
"La signora Rossi? È ancora viva?!" chiese lui, divertito e stupito al tempo stesso "Ho sempre pensato fosse immortale, ma non credevo fino a questo punto"
Per quanto volesse mantenere un contegno, Maya non riuscì a non sorridere.
La signora Rossi abitava sullo stesso pianerottolo dei Bonelli. Quando Alex era un ragazzino, lei era già anziana, o almeno così sembrava ai suoi occhi, forse però aveva solo un look antiquato. Lei e suo marito non avevano avuto figli e tutto il suo affetto lo riversava sui vicini, per i quali cucinava dolci tutti i giorni. Sua madre era una brava cuoca, ma anche lei suonava al campanello della signora Rossi per le torte di compleanno. Si era presentata a Maya durante il trasloco con una pizza rustica di benvenuto, e lei si era sentita spaesata, trovandosela alla porta su due piedi: non era abituata a tutte quelle smancerie e alle confidenze tra vicini. Poco alla volta però era diventata una presenza dolce, è proprio il caso di dirlo, e rassicurante, da salutare tutte le mattine sul terrazzo mentre si annaffiano le piante o si stende il bucato. Un giorno di questi vieni da me che ti insegno qualche ricetta, le disse: a Maya sembrò una minaccia più che un invito ma, seppur diametralmente opposte, le ricordava troppo sua nonna per dirle di no.
"Comunque stavo pensando una cosa …" disse allora lei.
"Cosa?"
"Quell'appartamento ora servirebbe più a te che a me, non è giusto che ci stia io"
"Non dire stupidaggini" ribatté lui "i miei non mi farebbero pagare l'affitto e a loro quei soldi servono."
Tutto sommato i suoi stavano bene, non navigavano nell'oro ma non gli mancava nulla e, con i ragazzi di sua sorella che stavano per finire la scuola, sapere che avevano quell'entrata in più faceva stare Alex più tranquillo.
"Stai tranquilla. Il residence è più un punto d'appoggio che una vera e propria casa. Con il lavoro e tutto il resto ci sto veramente poco"
Quando Maya riuscì a lasciare finalmente l'ufficio, con una scusa qualsiasi andò a rifugiarsi in bagno. Si sentiva una quindicenne in piena tempesta ormonale, ma non ci poteva fare niente, in poco tempo la cosa le era sfuggita completamente di mano.
Non poteva rovinare il trucco e così prese una salvietta asciugamani dal dispenser e la passò sul collo, tamponando poco alla volta.
Alice, puntuale come la morte, entrò nel bagno proprio mentre lei si stava rinfrescando. 

"Stai bene?"
Se le avesse detto che era lì per pura coincidenza, Maya non ci avrebbe mai creduto, neanche sotto tortura.
"Ti ho vista correre in bagno e mi sono spaventata"
"Tranquilla, avevo solo bisogno di rinfrescarmi un po'. In questi uffici fa caldissimo"
"Ma quale caldo? Ci sono 20°. Sei sicura di non avere l'influenza?" le domandò la ragazza, provando a toccarle la fronte, ma Maya la scacciò prontamente "guarda che in questo periodo è normale. Anzi, abbiamo il personale ridotto proprio per questo"

Sì, adesso si chiama influenza, diciamo di sì, pensò Maya tra sé e sé.
"Sto benissimo, forse mi sono vestita troppo pesante" ma si mangiò la lingua immediatamente, quando guardandosi distrattamente allo specchio si ricordò di avere addosso un abitino smanicato con una camicia bianca di cotone sotto.
"Va beh" esclamò Alice; la vedeva strana, almeno da un paio di settimane.
Da quando Maya era tornata dalle vacanze. E siccome sapeva benissimo dove era stata prima delle ferie, la sua mente si era data a voli e fantasie. Che non c'avesse creduto era alquanto palese, ma Maya era grata che non avesse insistito più di tanto o non avesse indagato oltre. Non erano così in confidenza da potersi permettere certi discorsi.
"Però se hai bisogno di parlare … di qualsiasi cosa … io ci sono eh! Quando voglio so essere molto discreta"
"Tu?!" chiese Maya, sarcastica "e quand'è che vuoi?"
"Quando c'è una ship da far salpare…" spiegò la collega, vagamente subdola, con quel sorrisetto ironico di chi ne sapeva di più.
"Ma va' a cagare…" rispose Maya, uscendo dalla toilette, ma Alice non se la prese per nulla, perché mentre andava via il volto della giovane si increspò in un vago ghigno che era quanto bastava per intuire che non solo non se l'era presa, ma si aprivano spiragli per trovare un'intesa tra le due.
"Ah comunque" disse Alice e Maya fu costretta a fermarsi sulla porta "buon compleanno!"
   
Quel pomeriggio Maya aveva chiesto da Alex di poter andare via in anticipo. Lui le accordò il permesso di buon grado, non sgarrava quasi mai ed era una lavoratrice a cui non si poteva dire nulla di male. Eppure qualcosa non quadrava. Era strana, a tratti assente. Come se evitasse a tutti i costi di intrattenere anche solo la minima conversazione con lui che non fosse attinente al lavoro. La conosceva per essere impertinente e simpaticamente invadente, ora era distante e sfuggente. E la sua testa non poteva fare a meno di darsi la colpa per quel cambiamento così radicale.
Gli aveva detto che era tutto a posto tra loro, che aveva messo una pietra sopra su quello che era successo, ma forse era solo interessata a tenersi casa e posto di lavoro, tenendo lui a debita distanza. E come darle torto: lui l'aveva baciata senza accertarsi che fosse una buona idea e si era quasi messo in testa di poter avere una storia con lei.
A pensarci in quel momento gli veniva da ridere per la vergogna: non sapeva più come si stava soli, figurarsi a ricominciare daccapo con un'altra donna. No, era un'idea improponibile.
Questo non voleva dire che quello che provava quando era nei suoi paraggi era improvvisamente sparito. Oh no! Era tutto esattamente come un paio di settimane prima, la stessa attrazione forte, la stessa voglia di restare solo con lei. Con l'unica differenza che ora stava facendo prevalere cervello e una buona dose di buon senso, che gli dicevano di occuparsi prima di sé.
Ora, con quella ulteriore ritrosia, doveva stare ancora più attento. Se la loro amicizia - se così si poteva chiamare - e la loro collaborazione lavorativa erano quanto lei gli poteva offrire, non doveva rischiare di giocarsi pure quelli.
"Gli articoli di domani" disse Alice, facendogli scivolare un plico di fogli sulla scrivania.
Non si era neanche accorto che era entrata; lì per lì gli venne voglia di rimproverarla per non aver bussato, ma non era sicuro che non l'avesse fatto.
"Grazie …. ehm senti ..." incerto, doveva trovare le parole migliori per parlare con la ragazza e non mettersi nei guai "tu e Maya siete amiche, vero? Vi vedo spesso parlare anche in pausa"
"No, capo, non dire proprio amiche"
"Alice … lo sai che non mi piace che mi chiami capo"
Alice però ci cascava sempre, era più forte di lei. Trovava innaturale dare del tu al suo datore di lavoro e ogni volta era una faticaccia enorme. Lui era un superiore ideale, non trattava mai nessuno con condiscendenza, ma lei ne aveva comunque un timore reverenziale.
"Comunque no, Alessandro, direi piuttosto buone colleghe. Perché?"
"Mah … no … nulla" si arrabattò per trovare una scusa che tardava a tirare fuori "è che è qualche giorno che la vedo strana. Mi domandavo se avesse parlato con te. Se fosse qualcosa di inerente al lavoro …" Sei un genio Alex! Bene cosi!
"Ad essere strana è strana, lo credo anche io" concordò la ragazza, cercando di non scomporsi troppo.
Da un lato si stava sciogliendo di fronte ad Alex che le chiedeva di Maya, e si sentiva come una specie di Cupido, che lavorava con il favore delle tenebre per la sua coppia preferita; dall'altra però, se lui si era esposto a tal punto da chiedere a lei di Maya, sicuramente non c'entravano questioni private. Come infrangere i sogni di gloria di una shipper …
"Non credo c'entri il lavoro però" spiegò "qui va tutto come al solito. Forse però …"
"Forse però?"
Gli occhi furbi di Alice si illuminarono. Se il suo intuito non si sbagliava e le cose stavano come pensava lei, questi due avevano bisogno di una piccola spintarella. Magari stava facendo un grosso buco nell'acqua, ma non bisognava lasciare nulla di intentato … ogni lasciata, d'altronde, è persa.
"Forse è solo contrariata che in redazione tutti fanno gruppo e puntualmente si dimenticano di noi"
"Che vuol dire?"
Alice emise un sospiro tra l'avvilito e l'indifferente. Te pareva. Persona intelligente e brillante, anche Alessandro Bonelli era un diesel.
"Oggi è il suo compleanno, Alex"
Coglione. Deficiente. Cretino. Fesso.
Lo sapeva benissimo che era il 20 Gennaio, perché ogni anno gli chiedeva il giorno libero il 21 per smaltire i postumi dei festeggiamenti con i suoi amici. Quest'anno no. Quest'anno era andata via prima, senza troppo entusiasmo, e lo aveva saluto con un semplice e formale A domani; e lui se n'era dimenticato. Probabilmente non si aspettava nulla da lui, prima di allora non avevano mai onorato la ricorrenza, ma forse almeno gli auguri se li aspettava. Oppure stava scappando proprio da quelli, chi poteva dirlo.
"Te ne sei scordato?!" domandò la ragazza, sperando di non aver osato troppo.
Lui la guardò torvo, contrariato dalla sua impertinenza.
"Assolutamente no" recuperò, mostrandosi sicuro.
"Il suo colore preferito è il rosso"
"E quindi?"
"No … niente .. così … era tanto per dire"
"Alice, torna alla tua postazione"
La ragazza, soddisfatta di aver sganciato quella bomba, se ne andò e quasi non toccava per terra mentre camminava, o forse era meglio dire zompettava, nei corridoi della redazione.
 



 

Eeheh ad Alice piace fare da Cupido e scoccare frecce dal suo arco. Chissà che non abbia fatto centro?!
Ad ogni modo vediamo come procedono le cose tra i due idioti - passatemi il termine - che si impongono di restare razionali quando i loro cuori ormai se li sono giocati, mi sembra evidente, da un pezzo. Riusciranno a resistersi ancora a lungo? Mah...non ci resta che aspettare i prossimi capitoli...
Grazie mille a tutti per le prime insperate 100 recensioni (al 4 Novembre) e per questo traguardo ho deciso di farci questo regalo e pubblicare un giorno prima.
A presto
Fred ^_^
   
 
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