Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Shily    04/11/2021    1 recensioni
James Adams ha ventisei anni, troppi straordinari alle spalle e due solide, ferree convinzioni.
La prima è che l'amore è la tomba della passione, la seconda è che deve sempre affidarsi al suo insistinto per non finire nei guai.
Quando però una sera, complici un temporale e un paio di birre, si trova stretto sul divano della migliore amica di sua sorella, con i calzini zuppi d'acqua e i riscaldamenti al massimo, l'intuito si rivela inevitabilmente un pessimo consigliere.
Ma soprattutto, James non fa sesso con una ragazza dalla bellezza di otto mesi, due settimane, quattro giorni e dodici ore - non che tenga il conto, eh - e lui l'astinenza non l'ha mai saputa praticare. Si troverà così a fare i conti con Annabeth, cresciuta a pane e favole Disney - lui, invece, è il classico cinico per tradizione - , oltre che con quei famosi fantasmi del passato di cui tanti parlano.
E mentre il mondo sembra premere perché lui superi il bivio di una vita, crescere o non crescere, con lei si ritroverà a fare la più grande delle sue cazzate.
Probabilmente a prendersi un raffreddore e tornare a casa sotto la pioggia si sarebbe evitato molti problemi.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
02. L'occasione fa l'uomo ladro

Un lampo squarciò il cielo davanti a noi e allentai la presa sull'accelerazione, rallentato dalla pioggia che rendeva l'asfalto scivoloso e la moto precaria.
Sentii Annabeth stringersi contro la mia schiena e  aumentare la presa sulla mia vita, mentre l'acqua ci inondava senza pietà
Non era esattamente così che mi ero immaginato quella parte della serata, ma soprattutto ora dovevo trovare un modo per entrare nel locale con abiti asciutti.
"Va tutto bene?" urlai per superare il rumore della pioggia e strinsi gli occhi.
Guidare stava diventando impossibile oltre che pericoloso. Rallentai ulteriormente, andando quasi a passo d'uomo per evitare uno scivolone sull'asfalto.
"Sì, tranquillo," allungò un braccio. "Siamo arrivati," annunciò.
Virai verso destra, avvicinadomi al marciapiede e poggiando i piedi a terra per dare stabilità alla moto. Annabeth esercitò una lieve pressione sulle mie spalle e scese, ritrovandosi in piedi e bagnata davanti a me.
"Grazie per il passaggio, Jim," mi passò il casco, mostrando i capelli ormai bagnati.
Mi portai indice e medio uniti contro la fronte e feci un occhiolino. "Dovere, milady. Che non si dica che James Adams lascia una ragazza da sola in un taxi o sotto la pioggia."
"Sia mai, non ti darebbe giustizia. James, per favore, stai attento ora che riparti," puntó il naso verso l'alto, osservando con il naso arricciato la pioggia in aumento. "Per caso vuoi..."mi guardò incerta, "Vuoi salire il tempo che diminuisca un po'?"
A quella proposta inaspettata alzai le sopracciglia verso l'alto e la guardai di sbieco, mentre imbarazzata aspettava una risposta.
Se dovevo essere sincero no, non volevo. Si sarebbe solo creata una situazione imbarazzante e di disagio, mentre io volevo solo andare a divertirmi con i ragazzi.
O dormire, visto che mi si chiudevano gli occhi, ma questo non l'avrei ammesso neanche sotto tortura. Avevo una reputazione da rispettare io.
Conoscevo Annabeth dalla bellezza di dieci anni, da quando per la precisione Leanne aveva messo piede al collegio ed erano diventate l'una la costola dell'alta. Eppure non eravamo mai stati solo noi due soli, mai nessuna conversazione che andasse al di là delle battute superficiali.
"Si, grazie," rispose infine con disinvoltura, perché dopotutto era solo Annabeth, la migliore amica di mia sorella, e non c'era bisogno di agitarsi.
La conoscevo da quando portava l'apparecchio, un paio occhiali più grandi del suo viso perché andavano di moda ed era alta un metro e due noci.
E poi Annabeth era simpatica, mi dissi scendendo dalla moto. Anzi no, corressi, era sarcastica e ogni volta finivo per invidiarla perché io invece non ne ero capace.
"Vuoi qualcosa per la moto?" chiese e aprí il portone.
"No, tranquilla, tanto non appena ho un giorno libero devo comunque darle una pulita."
Annabeth annuì ed entrò nel piccolo ascensore, facendomi spazio per seguirla. Passammo i successivi minuti stretti spalla contro spalla e in silenzio, entrambi rigidi sul posto e intenti a guardarci intorno all'interno di uno spazio quattro per quattro.
Mi passai una mano tra i capelli bagnati, allentandoli dalla fronte e giocciolando sul pavimento. "È molto che vivi qui?"
Lei mi guardò con le sopracciglia alzate. "Più o meno tre anni, mi hai anche aiutato a portare le mie cose."
Ah.
Complimenti Jim. Rimani sempre un campione delle figure di merda.
Abbozzai un sorriso e tirai fuori la mia migliore espressione da schiaffi - come la definivano sempre in famiglia.
"Piccolo lapsus," mi giustificai e Annabeth scosse la testa. "Quindi," feci un veloce calcolo, "Avevi vent'anni?"
"In realtà diciannove, sono nata a fine anno quindi ufficialmente non ne avevo ancora venti," spiegò e aprí la porta di casa.
La seguii con circospetto, inibito dalla conversazione appena avvenuta, e cominciai a guardarmi intorno curioso di di spiare un po' della sua vita.
A essere sinceri, sebbene lei stesse praticamente sempre a casa nostra a tal punto da essere considerata di famiglia, non ero esattamente sicuro di cosa le piacesse o cosa facesse di solito nel tempo libero.
Ma più di tutto, Annabeth che lavoro faceva?
Forse avevano ragione i miei fratelli quando dicevano che ero troppo concentrato su me stesso.
"Allora," mi tolsi la giacca bagnata, "Come mai così presto?"
"Cosa così presto?" chiese lei e sparì in una stanza, riuscendovi pochi istanti dopo con due asciugami. "Tieni."
"Grazie," l'afferrai e cominciai a tamponarmi la maglietta appiccicosa. "Dicevo, perché te ne sei andata così presto?"
"Non conosci mia madre, stavo impazzendo con lei. Ti spiace se vado in bagno a cambiarmi un attimo?"
Scossi la testa e la seguì con lo sguardo mentre usciva dal salotto. Presi il telefono, miracolosamente asciutto, e scrissi velocemente un messaggio a Robert.

Faccio tardi, aspetto che smetta.

La voce di Annabeth mi richiamò, portandomi a sporgermi nel corridoio.
"Che hai detto?"
Sentii lo scroscio dell'acqua interrompersi. "Ho un phon in camera," urlò dal bagno. "Nel primo cassetto sotto al letto, usalo pure."
La ringraziai e mi diressi verso la stanza dove l'avevo vista entrare poco prima. La prima cosa che mi saltò all'occhio, una volta aperta la porta, fu l'ordine quasi innaturale che caratterizzava ogni singola cosa, oltre alle tante foto che facevano bella mostra di sé su ogni superficie disponibile. Feci come aveva detto e mi abbassai ad aprire il cassetto sotto il letto, sentendomi in imbarazzo per quella violazione della privacy.
Al suo interno, però, non c'erano altro che prodotti da bagno e allungai una mano verso il phon. Stavo giusto per richiudere il cassetto quando il mio sguardo cadde su delle confezioni colorate: erano assorbenti e, neanche avessi ancora dodici anni, mi ritrovai a chiuderlo di scatto.
Come se non fossi cresciuto con due sorelle e una madre poi.
Attaccai la spina in una presa e cominciai ad asciugarmi i capelli, dando contemporanea uno sguardo alla stanza. Mi soffermai in particolare sulle foto, individuando subito un' Annabeth di diverse età sempre in compagnia di Leanne.
Incurvai le labbra verso l'alto alla vista di mia sorella a dodici anni con due treccine ai lati del volto e l'espressione infantile. Passai poi alla seconda foto che ritraeva Annabeth circondata da quasi tutti i cugini Adams: indossavamo tutti delle finte corna o capellini natalizi, a eccezione di Robert che aveva deciso di circondarsi di lucine.
Non mi ci volle molto a individuare il me di qualche anno prima, soffermandomi con una smorfia sui capelli legati in una coda e il pizzetto.
Quell'anno mi aveva preso in giro persino Allison, la più piccola della famiglia.
"Eri davvero inguardabile conciato in quel modo."
Spensi il phon e mi girai verso la porta. Annabeth mi guardava con un sorriso, appoggiata allo stipite e con le braccia incrociate: aveva i capelli biondi sciolti sulle spalle, gli occhiali in una mano e la sua tipica espressione ironica in volto.
"Non ci crederai ma avevo una fila immensa di ragazze."
"E ora dove sono?" mi prese in giro e, con un cenno della testa, mi invitò a seguirla.
Con un movimento veloce arrotolai il filo su stesso e riposi il phon al suo posto. Arrivato in salotto la trovai seduta sul divano e con due birre in mano.
"Visto che sei bloccato qui per colpa mia," me ne tese una, "Il minimo che posso fare è offrirti da bere."
"Lo sai che non dico mai di no," la raggiunsi e mi accomodai sul divano.
Appoggiai la testa sullo schienale e chiuse gli occhi, rilassandomi per la prima volta da quasi quarantott'ore.
"Dio," sospirai, "È comodissimo. Posso sposare il tuo divano?"
Annabeth rise e fece toccare le nostre bottiglie in un brindisi. "Per me va bene ma dovrai vedertela con Anna." La guardai interrogativo, "La mia coinquilina," spiegò allora, "Il divano è suo."
Strinsi le labbra l'una contro l'altra e alzai le sopracciglia. "La tua coinquilina si chiama Anna, davvero?"
"Immaginavo questa battuta e ti dirò di più: non sei stato il primo, Ethan è arrivato prima di te."
"Vorrei ben vedere," bevvi un sorso di birra. "Anna e Annabeth, le coinquiline perfette. Dí un po', non c'è un po' di confusione quando qualcuno vi chiama?"
In risposta, si limitò tirarmi un cuscino in faccia, alzandomi contro il dito medio.
"Me lo sono meritato," replicai inossidabile.
Una canzone attirò la mia attenzione e Annabeth, con un salto, si sporse fino al tavolino. Afferrò il suo cellulare e lo spense, riattaccando la telefonata.
"Drastica," commentai, asciutto. "Chi è il poveretto?"
"Nessuno," si strinse nelle spalle, per poi guardarmi confusa. "E chi ti dice che è un lui?"
"Io so tutto, dovresti saperlo ormai," sorrisi sfacciato e mi passai una mano tra i capelli umidi.
"Giusto, dimenticavo le tue grandi doti," alzò gli occhi al cielo.
Alzai la bottiglia ormai vuota in sua direzione. "E non sono neanche le più grandi."
Nel momento stesso in cui terminai la frase, desiderai poter avere un tasto per riavvolgere la scena: era Annabeth, per l'amor del cielo. La migliore amica di mia sorella!
Lei invece si voltò a guardarmi sorpresa e con gli occhi spalancati, prima di scoppiare a ridere incurante del mio povero orgoglio.
"Non l'hai detto davvero," esclamò e cercó di riprendere fiato. "Fa così tanto battuta anni duemila."
Mossi la punta del piede verso la sua gamba e le diedi un leggero calcio, fingendomi offeso. "Piuttosto, me lo dici chi è quello con cui non vuoi parlare? Se ti da fastidio basta che me lo dici e..."
Annabeth mi portò una mano sulle labbra, interrompendomi. "Per favore, non dirlo. Basta proporre di picchiare tutti i miei ex, lo fai da quando ho quattordici anni."
"Hai un ragazzo?" chiesi, incurante della sua accusa. "Cioè, lo avevi?"
"Non essere così sorpreso, ti prego."
"Ma no," risi e agitai una mano per aria, "Non intendevo in quel senso. È che Leanne l'avrebbe detto a tutto il mondo e invece non ne sapevo nulla."
Si fiondò a bere l'ultimo sorso di birra che le rimaneva. "Prometti di non dirlo a nessuno?"
"E con chi dovrei parlare, scusa?" Ma poi non dire cosa ?
"Tipo con i miei amici, ovvero tutta la tua famiglia," fece notare con ovvietà. "Ascolta, Leanne non ne sa nulla e non deve saperlo."
Mi misi comodo sul divano e virai il busto verso di lei. "Non ti sembra di esagerare? Con chi potrai mai essere..."
"Il mio capo," quasi urlò e si nascose il viso tra le mani. "Merda, merda, merda."
"Merda. Hai capito Annabeth, non l'avrei mai detto."
"E non lo dovrai mai dire! Lui è sposato e io..." si afflosciò su se stessa. "E io sono una rovina famiglie, vero?"
Ebbi l'impressione che qualsiasi cosa avessi detto, si sarebbe ritorta contro di me. Un lampo improvviso illuminò la stanza e deglutii in difficoltà.
Mi aspettava una conversazione lunga e tortuosa.
Non capivo come ma finivo sempre per trovarsi in situazioni scomode e rischiose per la mia incolumità - e il mio bel viso di cui andavo molto fiero.
"Vuoi parlarne?"tentai debolmente.
"Non c'è molto da dire," abbracciò uno dei cuscini del divano e vi appoggiò la guancia. "Ha quaranta anni, ha una moglie e due figli. Piccoli."
"Grazie per la precisazione, è di indubbia importanza."
Mi guardò contrariata. "Vuoi saperlo oppure no? Vado a prendere due birre, ne avrò bisogno."
Si alzò dal divano per tornare dopo pochi minuti con due bottiglie in mano stappate e i piedi scalzi sul pavimento caldo.
"Allora," si sedette e incrociò le gambe, "Ci tengo a precisare che ormai è ex e ci rimarrà."
"Ti ascolto."
"È iniziato tutto un anno fa, lavoravo da qualche mese lí e lui era molto gentile e disponibile."
"Quello sicuramente," commentai a mezza voce.
"Ti pregherei di non interrompere, non è una cosa di cui vado fiera. Come ho detto era molto paziente con la mia inesperienza, e ti prego non fare la battute che penso," richiusi la bocca. "Non so cosa mi sia preso, cioè lo so. Lui è un bell'uomo, davvero!"
"I dettagli no, ti prego. Mi basta essere il tuo diario segreto per questa sera."
Con un gesto di stizza mi rubò la birra di mano e bevve un sorso. "Se non mi interrompessi avrei già finito, non c'è molto da raccontare. Abbiamo iniziato a vederci di nascosto, poi ho scoperto che era sposato e mi ha promesso che l'avrebbe lasciata."
"Ma non l'ha fatto," intuii.
"Chiaramente no," abbassò la testa e cominciò a giocare con un filo del cuscino. "Credo... sì, ecco, io mi stavo innamorando e ci credevo davvero. Non mi importava il lavoro né quanti anni avesse, avrei solo voluto che mi scegliesse."
Feci una smorfia.
A vederla così piccola e indifesa, desiderai poter avere quel bastardo davanti. E al diavolo il temperamento agitato.
"Ho bisogno di bere ancora," commentò Annabeth.


 
🍓



"Nooo," urlò Annabeth e si buttò addosso. "Lo voglio io l'ultimo."
Allungai il braccio all'indietro per non farla arrivare alla bottiglia, l'ultima rimasta della scorta che aveva in casa - comprese quelle di Anne la coinquilina.
La situazione era, sin da subito, sfuggita al nostro controllo nel momento in cui la ragazza aveva dichiarato che per affrontare quella conversazione aveva bisogno di una notevole dose di alcol.
"Sei cattivo," si imbronciò e incrociò le braccia al petto.
Al mio sguardo, sebbene avessi i riflessi rallentati, non sfuggì il movimento del suo seno. Percorsi lentamente il suo profilo, lasciato libero dalla felpa e fasciato solo da una canotta slabbrata dal tempo.
Siano lodati i termosifoni e la birra.
"L'hai finita," commentò tristemente nel frattempo, ignara dei miei pensieri. "E io ora come faccio?"
"Ne hai già bevute tre," le feci notare, imponendomi di distogliere lo sguardo dalla sua scollatura.
"Quattro," ammise e, con un movimento ampio del braccio, si allontanò i capelli dal viso. "Ho bevuto anche a casa di Rebecca. È che Monopoly non piace, perdo seeeeeeeeeeempreeee."
"Hai detto qualche lettera di troppo," le feci notare divertito io, che tra i due ero quello più sobrio.
Il che doveva farmi intuire quanto invece lei fosse più che andata.
Annabeth scoppiò a ridere, contorcendosi al mio fianco in modo innaturale. In quella convulsione però non riuscii a vederci niente di sbagliato o brutto, trovandola solo dannatamente sexy.
"Credo..." mi scappò un singhiozzo allarmato, "Credo sia meglio che io vada ora."
"Ma piove."
"Lo so."
"E sei ubriaco."
"Non è vero."
"Allora reggiti in piedi su una sola gamba," mi sfidò e si inginocchiò per osservare meglio.
Non abbassare gli occhi. Non abbassare gli occhi. Non... li avevo abbassati.
"James Adams," pronunciò lentamente Annabeth, accarezzando ogni lettera del mio nome. "Mi stai forse guardando le tette?"
"No," scossi la testa energicamente, provocandomi un breve giramento. "Proprio no. Guardavo... il tuo petto, hai una collanina molto carina."
"Ah, si. Grazie," sorrise, mostrando i denti perfetti e bianchi.
Com'era possibile che, quella sera, tutto di lei mi sembrasse tremendamente attraente? Avevo bisogno di dormire.
Dovevo andare via, era la migliore amica di Leanne quella che non riuscivo a smettere di guardare. Senza contare il suo essere più piccola e il fatto che ci conoscessimo da praticamente una vita.
Era sbagliato.
Promemoria per il futuro: non bere mai più con Annabeth.
"Credo... cioè devo..." mi sembrava di fare una fatica immensa per parlare, come se la lingua non ne volesse proprio sapere di seguire i miei comandi. "Io vado."
Mi alzai in piedi con fretta e raccolsi il cellulare dal tavolino. Con pochi ma veloci passi raggiunsi il corridoio d'ingresso e mi infilai la giacca.
Fuori un ennesimo tuono interruppe il silenzio della notte.
Una mano, piccola e leggera, si posò sulla mia spalla e volandomi trovai Annabeth vicinissima. D'istinto feci un passo indietro e andai a sbattere contro l'attaccapanni.
"James," disse e mi persi nel movimento delle sue labbra. "Mi prometti che non dirai niente a nessuno?"
"Di noi due?"
Lei mi guardò stranita. "Del mio capo. Di quello che ti ho raccontato."
Complimenti per l'ennesima figura di merda, James. Davvero un campione.
"Giusto, certo. Puoi contarci," abbozzai un sorriso e misi una mano sulla maniglia della porta, spalancandola per l'impeto. "Ciao, eh."
Mi catapultai fuori dall'abitazione e mi chiusi la porta alle spalle, poggiandocimi contro.
Cazzo!
Tirai fuori il cellulare e controllai l'orario: era passata la mezzanotte, fuori diluviava e io era ben lontano dall'essere sobrio.
Infilai le mani in tasca, le chiavi non c'erano.
Cazzo!
Con un sospiro rassegnato alzai il pugno per bussare, quando la porta si aprì senza che ce ne fosse bisogno. Mi ritrovai davanti Annabeth, incerta e arrossata, che alzava una mano in segno di saluto.
"Stavi per bussare," esclamò confusa. "Perché?"
"Mi stavi spiando. Perché?"
Ci guardammo per alcuni istanti in silenzio e sentii una lieve tensione nei pantaloni. Pochi secondi dopo eravamo l'uno nelle braccia dell'altro, avvinghiati in un bacio famelico e appassionato.
La porta venne chiusa con un calcio e lei, per la foga, finí per scontrarsi bruscamente con l'attaccapanni.
"Scusa," mormorai e le infilai una mano sotto la canotta, incontrando la schiena nuda e libera dal reggiseno.
"Andiamo in camera," mi spinse all'indietro, sfilandomi contemperamento la giacca di dosso e lasciandola cadere a terra.
"Aspetta, aspetta. E la tua coinquilina?"
"È in Spagna per sei mesi," spiegò. "Erasmus."
"Ah, bella la Spagna," commentai, indeciso sul da farsi. "Ci sono stato dopo il diploma."
"Molto interessante, magari ne riparliamo," prese a baciarmi il collo e mi sbottonò il pantalone. "O preferisci parlare della sangria?"
Deglutii osservando Annabeth farsi scivolare il pantalone della tuta lungo le gambe.
Al diavolo tutto!
La presi in braccio, facendole incrociare le gambe intorno alla vita, e le afferrai il sedere con una mano. Lo strinsi con forza e socchiusi gli occhi quando le sfuggì un gemito.
Cominciai a indietreggiare per arrivare a una superficie su cui stendermi e cercai le labbra rosse e gonfie di Annabeth.
Alla camera da letto non riuscimmo ad arrivarci, troppo impazienti di andare oltre, limitandoci a raggiungere il divano e sprofondandovici dentro in un insieme di baci, pelle e sussurri.
"James," ansimò e mi strinse con forza le spalle. "Comunque io non ho una collana."
Ah.
 
🍓



Buongiorno Stelline (chi sa capirà), come promesso siamo arrivati subito alla porta "scottante". Ve lo aspettavate?
Forse sì, forse se no... Ma soprattutto, come vi state trovando con la prima persona per la narrazione? È la prima volta che la uso, per cui mi sarebbe davvero d'aiuto capire per migliorarmi.
Detto ciò, mi farebbe piacere sapere le vostre opinioni proprio qui, per confrontarci e conoscerci.
Avete capito il perché della fragola?
 

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Shily