Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Giglian    08/11/2021    2 recensioni
Nell'oscurità di una guerra incombente, le sfrenate e spensierate esistenze dei Malandrini si sfilacciano negli intrighi di una Hogwarts sempre più ricca di pericoli ed insidie. In un labirinto di incertezze, nell'ultimo anno l'amore sembra essere l'unico filo che conduce alla salvezza. Ma, per chi giura di non avere buone intenzioni, nulla sa essere semplice.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Le avventure dei Malandrini.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve a tutti!
Lo so, un’attesa pazzesca. Imperdonabile.
Purtroppo, il periodo non è stato dei più rosei. Aggiungici un computer che ti mette le “f” a caso tra le parole e che decide di cancellarti il capitolo obbligandoti a riscriverlo quando eri quasi alla fine…
spero che l’inconveniente non si noti, ho fatto parecchia fatica a rimettere su carta ciò che era andato perduto. Tendo a scrivere in maniere abbastanza istintiva, vi posso assicurare che è stato
i n f e r n a l e dover rifare tutto.
Pochi piccoli avvisi: il capitolo è interamente concentrato sul rapporto di Sirius e suo fratello. Mi spiace per i fan di Remus e Tonks o di Lily e James, ma dovranno attendere un altro po’!
Avviso numero due, la storia della bambola l’ho presa dalla saga dell’Attraversaspecchi.
E infine una domanda: passando abbastanza tempo tra un capitolo e l’altro, volete un piccolo riassunto della storia precedente all’inizio del prossimo? Pensavo fosse un modo utile per non perdersi certi passaggi nell’attesa dell’aggiornamento.
Fatemi sapere!
Un bacio,
Sarah


















We’ll never get free,
lamb to the slaughter.
What you goin’ do,
when there’s blood in the water?-
Grandson - Blood//Water







Un passo, due…

Mancavano pochi metri al tavolo Verde-argento. Ora nella Sala era calato il silenzio.
Qualcuno lo chiamava, ma non riusciva a sentire.
Non sentiva niente, Sirius Black. Aveva il cuore avvolto da uno spesso velo di apatia mentre, lentamente, lasciava cadere a terra la cravatta dorata come se fosse uno straccio senza valore.
Le persone iniziarono a sussurrare fra loro.
“Eh?”
“Ma che fa?”
“Dove sta andando?”
I Serpeverde, dal canto loro, lo fissavano con sorrisi golosi, in attesa di accogliere il mostro. Tanti occhi brillanti nel buio. Quelli li percepiva.
Come gli occhi dei predatori.
James stava correndo da lui. Ma non avrebbe fatto in tempo. E poi, non sarebbe servito a molto.
Non avrebbe mai potuto cancellare...quello. Quel piacere che aveva provato...quella sensazione disgustosa che gli serrava la gola tanto che l’ossigeno stesso sembrava ustionargliela.
Com’era facile, pensava. Com’era facile e corta la via per l’inferno. Com’era diventato facile accettare il suo destino…dopo quel sogno. Quel ricordo.
Pochi metri ancora. Un altro passo appena.

Fu in quel momento che ci fu… qualcosa.
Uno schianto.

Fu come scontrarsi contro una colonna di cemento.
Un corpo esile davanti al suo, spalla contro spalla. Invalicabile. Una mano che gli batteva con forza sulla clavicola, dita che affondavano nella sua giacca.
Un respiro affannoso vicino alla guancia. E… un odore.
Conosceva quell’odore. Da quanto tempo non lo sentiva così vicino?
Batté le palpebre confuso, mentre la tavola delle serpi cominciava a rumoreggiare.
La mano sulla sua spalla premeva in modo quasi doloroso.
Abbassò lo sguardo...scontrandosi con due grandi occhi cerulei, puri, pieni di un furente panico.
“Cosa cazzo stai facendo?” sibilò tra i denti Regulus Black.
Poi, senza aspettare una risposta, cominciò a spingerlo.
Lo portò via.






Otto anni prima.

Il riverbero del sole che scivolava scomposto tra le fitte fronde della vegetazione era decisamente piacevole...e creava macchie sul terreno ricoperto di muschio di uno dei boschi che cingeva Black’s Manor come una criniera.
Non capitava spesso che su quei terreni ci fosse il sole. I Black davano fede al proprio nome e stregavano il tempo come meglio aggradava loro. Solitamente, preferivano un ambiente tetro. Favoriva i loschi affari.
Di rado, quindi, la gente del posto godeva di un clima fulgido.
Quando accadeva, era perché di solito stava venendo un ospite importante, uno a cui si doveva dare l’impressione di stare in una gradevole fiaba.
Durante quelle giornate tutto era opulento, luminoso e curato con soave attenzione.
Il ché significava solo una cosa, per i due marmocchi che stavano giocando immersi nel fango: fuga. Ora d’aria. Libertà.
Quei boschi non sembravano più così tetri e pieni di presenze quando c’era bel tempo...e lì in mezzo, potevano in sostanza fare ciò che volevano.
Gli elfi e le cameriere sarebbero stati tutti impegnati a lisciarsi il politico di turno per accorgersi della loro assenza.
“Secondo te chi è venuto, stavolta?” borbottò il più piccolo dei bambini, impegnato a punzecchiare con un bastoncino un grosso scarabeo lucente.
Viso dolce, paffuto. Occhi grandi ancora innocenti.
L’altro bambino smise di guardare in alto e si riconcentrò su di lui.
“E io che ne so? Sarà il solito palloso funzionario del Ministero che se la fa sotto davanti a papà. Sono tutti uguali, quelli.”
Era più alto di qualche centimetro. I capelli gli scivolavano sulle tempie, accarezzando le spalle. In disordine tanto quanto quelli dell’altro erano impeccabili. Occhi neri, a differenza del fratello. Seri e adulti...in cui passò un lampo di apprensione, mitigato soltanto da una smorfia.
“Piantala. Per quel che ne sai, quel coso potrebbe essere velenoso.”
“Tu dici?” si allarmò immediatamente Regulus, il tempo sufficiente perché il povero insetto potesse scappare via dal suo fastidioso bastoncino. “Ah, cavolo! Volevo portarlo a casa!”
Sirius sbuffò, scuotendo il capo. Scoccò un’occhiata critica ai propri vestiti - jeans logori e una felpa sbiadita - pieni di terra.
“Hey, dici che la megera se ne accorgerà stavolta che abbiamo usato i vestiti del figlio?”
“Madame Tussau, dici? Naah.” il più piccolo si distrasse facilmente, trovando super interessante un tronco spezzato che si affacciava su una piccola fossa. Sotto di loro, il rumore del fiume che scorreva. “Gli elfi li lavano bene.”
“Serve a ben poco, se si strappano!” puntualizzò Sirius, senza perdere di vista un solo movimento. L’altro ridacchiò di nuovo, divertito.
“E da quando ti importa?”
Già, da quando? Di solito era lui, quello che se ne sbatteva di certe cose. Non gli interessava più di tanto non farsi scoprire...anzi, sotto sotto ci sperava. Forse per un qualche masochismo. Tuttavia, ultimamente, si sentiva apprensivo.
Sua madre aveva iniziato a guardare Regulus...in un modo strano.
“HEY!”
Il grido spaventato del fratello lo distrasse dai quei pensieri. Si allarmò, vedendolo appeso come una scimmia ad un grosso ramo, i piedi a penzoloni sul vuoto.
Ma anche in quel momento, finse di essere più infastidito che preoccupato.
“Guarda che se cadi in acqua non ti vengo a ripescare!” sbottò, ma Reg non gli prestò attenzione.
“C’è un uccellino in acqua!”
“E allora?”
“E’ incastrato!” la voce spaventosamente incrinata del bambino preannunciava il dramma quotidiano. Sbuffando e imprecandogli dietro, Sirius si sporse dalla scarpata.
In effetti, c’era un grosso nido che sembrava essere caduto dal pino sopra di loro ed era finito incastrato fra due massi. Le acque agitate del torrente lo sbatacchiavano di qua e di là, facendo starnazzare a più non posso l’uccellino più brutto che avesse mai visto.
E dire che di solito, lì in mezzo bazzicavano pennuti pregiati che i suoi importavano dall’Oriente… dalle voci melodiose e vellutate e dal piumaggio più colorato di un fiore.
Ma quel coso era proprio un cesso. Grigiastro, ingobbito, la testa esageratamente più grande del corpo rachitico! Un pollo spennato sarebbe stato più attraente.
Reg quasi lo strangolò, afferrandogli il cappuccio con gli occhioni lucidi.
“Salvalo!”
“Non ci penso nemmeno! E molla! Mi rompi la felpa!”
“Ma non sa nuotare!”
“La madre prima o poi tornerà a riprenderselo! Sempre che non l’abbia abbandonato, visto quant’è brutto!”
“E se non tornasse? Il nido sta per rompersi!”
Oh, santa pazienza.
“E perché cavolo non ci vai tu, se ci tieni tanto?!”
E fu lì che il bambino gli riserbò uno dei suoi soliti sguardi disarmanti.
“Non so nuotare…” mormorò, mortificato. Mento basso, gli occhi più puri che mai.
Accidenti a lui.
A differenza sua, Regulus era un vero maestro nel fare le moine. E aveva capito molto presto i vantaggi dell’avere un visetto adorabile. Si era esercitato parecchio.
Non che con i genitori funzionasse, ovviamente...ma gli ospiti che ricevevano ne rimanevano stregati, e la cosa aveva una sua certa utilità. Forse era per quello, pensava Sirius, iniziando ad arrampicarsi lungo quella parete tutta terra e radici sporgenti. Forse era per quello che di solito lo lasciavano stare.
Regulus era un bel ninnolo da sfoggiare in presenza di estranei. Niente di più. Durante il resto della giornata veniva abbandonato a se stesso.
Così l’unica cosa che gli rimaneva era esercitarsi a essere un principino perfetto...l’unico modo per avere un contatto con i loro genitori.
Ma per quanto lui sembrasse soffrire di quel disinteresse, era sempre meglio dell’alternativa.
Quella dolcezza nel suo viso di burro...era stata preservata, in qualche modo.
Solo che ultimamente… pensò Sirius, con una punta di disagio. Ultimamente la mamma lo guardava con troppa attenzione.
Uno squalo non lo puoi mantenere mansueto a lungo. E Regulus era ancora così innocente...e loro...lei in particolar modo, amava distruggere ciò che era innocente.
Si riscosse da quei pensieri. Era arrivato.
Atterrò agile sui sassi e il pennuto strillò più forte trapanandogli i timpani. Quando lo afferrò e se lo infilò nella tasca della felpa, poi, apriti cielo. Tentò pure di staccargli una falange, il piccolo ingrato!
“Giuro, Reg, è l’ultima volta che ti do retta! E sta fermo, tu!”
Manco per sogno. Quello si agitava come un piccolo demonio.
Imprecando a più non posso, cominciò la lenta risalita cercando di trattenersi dal tirargli un pugno in testa per farlo stare buono. Tornò relativamente la calma solo a metà del tragitto, intervallato ogni tanto dal frinire dei grilli.
Poi, un sassolino gli cadde addosso.
Alzò il viso e sbiancò.
“Checcavolo fai?!” abbaiò, mentre quell’impiastro di fratello cercava di imitarlo calandosi giù dal ramo.
“Voglio aiutarti!”
“Scemo, torna su!”
Lui scosse forte il capo, tra l’altro sbilanciandosi e facendogli perdere un battito.
“Non è giusto che fai sempre tutto tu.” bofonchiò, arrossendo. “Tu...tu non fai altro che fare sempre tutto il lavoro al posto mio.”
Ma di che cavolo parlava?! E perché aveva improvvisamente quell’aria spenta?
“Reg, davvero, non ho bisogno di…”
IL piede del bambino franò sotto una zolla particolarmente friabile, che si disintegrò nell’istante stesso in cui ce lo mise.
“REG!”
IL minore dei Black sentì il vuoto sotto di lui… e si ritrovò a urlare di paura. L’adrenalina galoppò per le vene in un istante...facendolo sentire più vivo che mai.
Poi, Sirius gli afferrò la mano.
Il contraccolpo fece battere i denti ad entrambi, però...quando Regulus Black alzò lo sguardo, il viso di suo fratello maggiore era imperturbabile.
Il vento giocava con le punte dei suoi capelli, le folte ciocche frustavano gli zigomi. Una nuvola venne e passò, creando ombre sul suo viso altero.
Sirius era sempre stato così. Non lo scalfiva nulla.
Per anni avrebbe continuato a osservarlo...sentendolo sempre più inavvicinabile, irraggiungibile.
Quando lo tirò su, invece, lui tremava ancora di paura.
“Ma sei scemo?!” lo sgridò burbero l’altro. “Non sai nuotare! E ce la stavo facendo benissimo da solo! Che cavolo ti è venuto in mente?!”
Si zittì, vedendolo singhiozzare piano.
“Scusa.” sussurrò Regulus, fissandosi le scarpe. “Io…io non so fare niente. E...non faccio altro che...che crearti un sacco di problemi… e poi...non faccio mai niente...”
Non stavano più parlando dell’uccellino.
I vestiti erano rovinati in modo irreparabile. A casa...a casa se ne sarebbero accorti tutti.
Sarebbe successo di nuovo...per colpa sua.
Sirius si mise le mani in tasca, in imbarazzo.
Poi, gli diede un buffetto sulla nuca.
“Smettila di frignare come un bamboccio.” sbuffò, duramente. “Pensiamo piuttosto a dove nascondere questo coso.”
IL viso congestionato di Reg si illuminò.
“Lo teniamo?” soffiò, prendendo l’uccellino fra le mani. Manco a dirlo, come lo toccò lui, quello smise di starnazzare e si mise comodo comodo a dormire contro il suo petto. Stronzo.
“Gli piaci. Sei la sua stupida mamma pollo.”
Sentirlo ridere lo fece stare bene...e cancellò dalla sua testa ciò che lo avrebbe aspettato una volta che fossero tornati a casa.
Ma non avrebbe potuto sfuggirgli a lungo.
Non poteva mai.



Sentirono i passi di suo padre poco dopo le nove di sera. La prima cosa che fecero, fu quella di nascondere Spennato. Dopo lunghe e faticose discussioni, e anche una qual certa dose di lotta fisica, Sirius aveva avuto la meglio sul nome.
Lo ficcarono dentro l’armadio...e attesero.
Orion Black entrò...e scoccò una gelida occhiata ad entrambi. Una piccola elfetta domestica li guardava impaurita da dietro le sue gambe.
“Padron Black… la prego…” mormorò, reggendo tra le mani i vestiti logori che non era riuscita a ripulire.
“Silenzio.” sbadigliò annoiato lui, gelandola al suo posto. “Con te farò i conti dopo.”
“Non è stata colpa sua!” saltò su subito Sirius, ma non riuscì ad impedirsi di fare un passo indietro quando il padre si inginocchiò portandosi all’altezza del suo viso.
“Oh, ma certo che non è colpa sua. Non poteva rifiutare un ordine dei suoi padroni. No, la colpa di quanto le accadrà sarà tutta vostra.”
Il suo sorriso vuoto avrebbe gelato gli inferi.
Se qualcuno lo avesse guardato di sfuggita, gli sarebbe apparso in qualche modo divertito. Eppure...in realtà non c’era niente, dentro quegli occhi. Ogni emozione che baluginava sul suo viso sembrava una grottesca parodia. A volte, sembrava che recitasse soltanto il ruolo da essere umano.
“Ditemi un po’, mocciosi. Avete una vaga idea di quanto siate ricchi?”
I due bambini si guardarono negli occhi, in silenzio. Regulus era immobile, rannicchiato in un angolo. Dopo quella fugace occhiata, tornò insistentemente a guardare il pavimento.
Toccava a Sirius rispondere. Come sempre.
“Una vaga idea. Sì.” borbottò, cercando di darsi un tono di sfida. La mano di suo padre si infranse nei suoi capelli e cominciò a tirare dalla base.
“Ah!”
“E allora perché…” chiese con voce sepolcrale l’uomo, portandolo vicino al suo volto. IL sorriso era scomparso del tutto...rapido come se qualcuno avesse premuto un interruttore. “...perchè i discendenti di uno dei Casati più ricchi del pianeta se ne vanno in giro vestiti di stracci sporchi come due babbani qualunque?”
“L-lasciami!”
“Davanti al Ministro, per giunta.” Orion ridacchiò, tornando quasi allegro. La velocità dei suoi cambi d’umore era disarmante. Ma non lasciò il bambino, che affondava le unghie nel suo polso per allentare la presa di ferro sulla cute. “Regulus, vuoi darmi tu una spiegazione?”
Lui rimase in silenzio. Di pietra.
Non reagì nemmeno di fronte alle grida del fratello. Non reagiva mai. Per quanto volesse...non riusciva a muovere un muscolo.
“E’ colpa mia! Lui non c’entra!” ringhiò Sirius, agitandosi come un animaletto in trappola.
“’E’ colpa mia! Lui non c’entra’!” gli fece il verso sua madre, entrando nella stanza in quel momento con aria sognante e svagata. “Sempre lo stesso repertorio, eh?”
La sua presenza parve ammorbare l’intera stanza...e improvvisamente, l’uccellino dentro l’armadio si agitò. Ci fu un rumore come di qualcosa che cadde… e Regulus non fu abbastanza veloce nello schiantarcisi contro.
Gli occhi di Walburga Black scintillarono.
“E lì dentro cosa c’è?” cinguettò, allegra.
Regulus sbiancò, premendosi contro l’antina con tutta la forza che aveva.
Ora le attenzioni erano tutte su di lui.
“Niente!” balbettò, con la voce stridula. Il sorriso della donna si ampliò.
“Regghie, sai che alla mamma non piace quando dici le bugie.” soffiò sofficemente, chinandosi su di lui.
La lunga veste di velluto accarezzò le piastrelle, i suoi boccoli ricaddero su di lui fino a coprirgli ogni altra visuale.
Come un vampiro...che sta per cibarsi del collo della sua preda.
IL tempo parve dilatarsi...ed i cuori esplodere di paura. Poi, Sirius affondò i denti nella mano di suo padre.
“ARGH!” Orion balzò all’indietro. “Maledetto moccioso!”
IL suono di un colpo riempì l’aria. Walburga si voltò verso il figlio maggiore, godendo di quel gemito.
Uno squalo che annusava il sangue…
“Non ti basta mai, non è vero?!” sibilò il padre, afferrandolo malamente per un braccio. “Non fai altro che ribellarti come un cane randagio...fingendo di non avere paura. Ma io la sento, sai? Io la sento, la tua paura…”
Rimase immobile, Regulus. A guardare suo fratello non cedere di un millimetro, nonostante il sangue stesse iniziando a scorrergli lungo il mento, sgorgando dal labbro spaccato. Nonostante la pelle bianca come un lenzuolo.
Non cedette nemmeno quando, per l’ennesima volta, venne trascinato via al posto suo.
Non crollava mai, non davanti a lui. Ma Regulus sentiva le sue grida, sempre, quando veniva portato di sotto.
Lo sentiva urlare...e, in silenzio, si portava le mani alle orecchie, premeva fino a farsi sbiancare le nocche.
Quella sera non fece eccezione...a parte un piccolo bagliore laddove non avrebbe dovuto esserci nulla.
L’armadio si spalancò di colpo, e l’uccellino volò fuori. Era sempre piccolo e storto...ma tutto d’un tratto, si era ricoperto di meravigliose piume blu. E sapeva volare, a quanto pareva.
Lo stupore superò perfino l’angoscia, e le lacrime del bambino si fermarono sulle guance.
Spennato fece un paio di graziose piroette in aria...prima di adagiarsi sul davanzale della finestra e picchiettare educatamente sul vetro.
“Vuoi uscire?” mormorò Reg, avvicinandosi. “Vuoi essere libero, eh?”
La notte si faceva strada fra di loro...avvolgendo tutto in una fitta ombra. Eppure, il manto di stelle era così limpido e vicino da rischiarare le punte degli alberi.
“Ti capisco. Anche io volerei via, se avessi delle ali.”
Aprì la finestra, osservandolo volteggiare fra gli astri lucenti. C’era pace...solo un basso gemito, appena impercettibile...
“Anche io...anche io...vorrei essere libero…”
Poi, Sirius ricominciò ad urlare.




Sei anni prima.


Perchè era così angosciato?
Sapeva che Regulus non era un Serpeverde. Eppure, guardando i marmocchi sfilare davanti a lui, in attesa di calzare il Cappello Parlante, Sirius sentiva una strana morsa nel petto.
Si era arrampicato su una colonna dell’ingresso, ben nascosto dalla McStronza e dai suoi occhi da falco. Aveva una visuale perfetta.
I bambini vociavano allegri, emozionati, come una grande marea pronta per affrontare la nuova vita ad Hogwarts.
Non riusciva a vederlo...non ancora.
Non era nemmeno un Grifondoro, se per questo. Amava gli animali, la natura, era una specie di hippie. Da tempo aveva rinunciato all’idea di condividere la Sala Comune con lui, ma si sarebbe fatto andare bene anche Tassorosso.
Però...non aveva più visto né sentito Regulus dalla scorsa estate. Poche lettere, tutte brevi ed asettiche.
Anche durante le vacanze il fratellino era stato strano. Scostante… passava un sacco di tempo da solo, nella serra. Cercava di non pensarci ma...temeva per lui da quando era andato via. Temeva che sua madre avesse allungato le sue spire.
Però...però non poteva aver dimenticato. Avevano parlato così tanto di quella scuola...di quando sarebbero finalmente fuggiti via da casa!
Lo avrebbe avuto lì, con lui. Dove avrebbe potuto tenerlo sotto controllo, protetto, al sicuro.
E ricordava bene le lunghe conversazioni sotto lenzuola di seta, bisbigliate piano.

“E poi, James ha mosso la bacchetta e quello si è gonfiato come un tacchino!” Sirius sghignazzava, una luce speciale negli occhi che Regulus non mancò di notare. “Allora? Che ne pensi?”
“Penso che parli davvero un sacco di questo James.” bofonchiò Reg, un po’ cupamente. Erano entrambi nel letto del primo, con una piccola lucina che volteggiava fra i loro nasi, vicini.
“Vedrai, ti piacerà!” Sirius si buttò a pancia in su, togliendo le coperte di dosso e fissando il soffitto con soddisfazione. “Ti piacerà ogni cosa di Grifondoro!”
“Grifondoro?” il bambino si bloccò, mentre una sottile rughetta gli si formava tra le sopracciglia. “Pensi che anche io sarò smistato a Grifondoro?”
“O Tassorosso. Visto quanto sei in fissa con le bestiacce. A proposito, Spennato ha cenato?”
“Sì, gli ho sganciato qualche Vermucolo dalla finestra.” Reg sospirò, fissando la luna. “Comincia a diventare sempre più difficile tenerlo nascosto alla mamma...”
“Ci credo, è diventato enorme.” gorgogliò Felpato, sorridendo di sbieco. “Potrebbe venire a stabilirsi nella guferia. Sempre meglio di stare a volteggiare sopra il nostro tetto. Prima o poi qualcuno lo cecchina.”
“Riesci a parlare di qualcosa che non sia Hogwarts?!”
“No.” Sirius gli balzò addosso, facendogli cacciare un urletto. Rise, solleticandogli la pancia. “Si può sapere che ti prende? Non sei felice di andartene?”
“Ma manca ancora parecchio tempo.” mormorò il bambino, triste. “E nel frattempo...sono qui. Solo… mentre tu te la spassi con uno dei Potter…”
“Ahh, ecco cos’è. Sei geloso!”
“Non sono geloso!” Lui balzò a sedere, offeso. “I Potter ci odiano!”
“Non James.”
“Come fai ad esserne così sicuro?”
Sirius sorrise.
“Non James.” ripeté. L’espressione che aveva quando parlava di quel bambino… Regulus non gliel’aveva mai vista. “Non è come gli altri Purosangue.”
“Che c’è di male nell’essere Purosangue?” sbuffò il minore. “Li hai letti i giornali, ultimamente? L’espansione fuori controllo dei babbani sta mettendo a dura prova i disincanti del Ministero. Parecchi maghi hanno dovuto abbandonare le loro case.”
“E questo che vorrebbe dire?” Il maggiore lo guardò sorpreso. Da quando l’impiastro si interessava di cose come quelle?
“Niente!” arrossì lui, guardando altrove. “E’ solo che...insomma, non tutti i Purosangue sono come dice Michelle!”
Si interruppe quando vide un lampo attraversare le iridi nere del Grifondoro.
Uh oh. Il nome proibito.
“Scusa.” mormorò, mortificato. “Lo so che ti manca.”
Lui scosse la testa dopo un attimo di paralisi...e tornò a chiacchierare di quanto fosse figa la scuola.
Non era cambiato, in quello. Mai una lacrima, mai un tentennamento.
Eppure, separarsi da lei lo aveva irrimediabilmente ferito. Lo sapeva.
E lui? Si ritrovò a pensare Regulus Black, ascoltandolo parlare con una punta di angoscia. Lui, gli mancava?
Era così felice di essere lontano dalla sua famiglia… rientrava anche lui, in quel doloroso pacchetto che avrebbe presto seppellito e dimenticato tra le braccia di Potter?
O era ancor peggio di così? Era anche per lui un ninnolo prezioso e senza vita per cui provare null’altro che blandi e apatici sentimenti?
Come una di quelle belle statuine trasparenti che sua madre amava lucidare nella sua stanza. Le consumava, le rendeva ogni giorno più opache, ma non se ne accorgeva. Nessuno se ne accorgeva, tranne lui.
Forse perché era come loro?
Regulus Black, il principe di vetro.
Battè le palpebre, ricacciando indietro il moto di panico che gli stava strizzando le budella. Ma che andava a pensare? Lui gli voleva bene.
Lui lo aspettava ad Hogwarts con tutto il suo cuore.
Lo avrebbe raggiunto presto...e tutto sarebbe andato bene.


Tutto sarebbe andato bene, si impose Sirius, asciugandosi i palmi sudaticci contro il mantello da mago. Si sporse ancora un po’ dal suo antro di marmo, assottigliando lo sguardo.
I bambini continuavano ad entrare, una marea di testoline che scattavano vivaci. Forse era già andato avanti… doveva sbrigarsi, in tal caso! Non poteva perderlo di vista nemmeno un secondo. Quelle streghe delle sue cugine potevano essere dappertutto… la sua famiglia desiderava solo metterci le grinfie sopra.
“Dovresti essere al tavolo, tesoro.”
Perse il fiato e anche lucidità.
Mani gelide gli avevano afferrato le spalle in una morsa. Il profumo di cornelie intossicante come veleno le aveva anticipate soltanto di pochi secondi...assieme all’aura mortale che avrebbe riconosciuto per sempre.
Gli si era piantata nel cuore come una spina fin dalla nascita.
Cercò di divincolarsi riprendendo coscienza di sé ma sua madre lo trattenne contro il suo seno, ridendo gaiamente.
“E’ così che mi saluti?”
“Che ci fai qui?!” La voce gli uscì un po’ troppo alta e allarmata, facendolo infuriare ancora di più. Non voleva mostrare la paura che provava, ma ritrovarsi Walburga Black al primo giorno di scuola gli aveva appena fatto saltare un paio di giri.
La donna finalmente lo lasciò, permettendogli di girarsi. Indossava un mantello da viaggio verde petrolio bordato di pizzo e il caldo dell’ingresso le aveva scaldato un po’ le guance, rendendola desiderabile e letale tanto quanto gli occhi accesi come braci.
“Quanta agitazione.” sorrise pigramente. “Sono solo venuta a sistemare alcune faccende burocratiche. Ritardi nei pagamenti. Seccante.”
Quella spiegazione banale lo rese solamente più inquieto.
“Dov’è Regulus?!” scattò in avanti, sgranando gli occhi con rabbia. “Cosa gli hai fatto?!”
Lei dissimulò sorpresa sul bel viso e anche una vaga punta di divertimento.
“Che cosa credi, che l’abbia rinchiuso in una gabbia?” rise sarcastica. “E’ davanti al Cappello Parlante proprio in questo momento, dolcezza. Come un normale maghetto Purosangue.”
Doveva andare da lui. Qualcosa non quadrava.
Fece per correre ma la voce di sua madre gli inchiodò di nuovo i piedi al pavimento.
“Non verrà a Grifondoro.” disse solo, con tutta la tranquillità del mondo.
“No, infatti. Probabilmente andrà a Tassorosso.” replicò il bambino, voltandosi con la sfida negli occhi.
“Non l’hai ancora capito, eh?” sospirò Walburga, scuotendo la testa. “L’hai perso, Sirius.”
Il mondo ora sembrava girare attorno a loro...come una trottola sfuocata e asfissiante. Si sentiva instabile sulle gambe.
La fiumana di bambini si era diradata e ora, dall’importante ingresso in legno di cedro e ottone, riusciva a scorgere perfino il patio, lo sgabello con il Cappello Parlante.
C’era silenzio adesso, l’atmosfera era satura di quell’eccitazione quieta che era ben nota. Fibrillava sotto i vestiti dei bambini con un’aura quasi sacrale, mentre uno ad uno, ricevevano il loro personale battesimo del fuoco.
Eppure, lui non riusciva a sentire niente. Solo una strana nausea e un senso di disagio che gli faceva traballare la visuale in modo quasi doloroso.
In quel girotondo di immagini, Regulus era finalmente salito sul podio. Vestito interamente di nero lussuoso, come s'addiceva al suo cognome.
Non riusciva a vedergli il viso.
Perché?
Walburga Black si chinò di nuovo su di lui, sfiorandogli le orecchie con la bocca aperta in un sorriso umido e dolce.
La voce più sottile e bassa che mai.
“Abbiamo scoperto dove si nascondevano i Wassall.” lo gelò. “E’ stato Regulus a rivelarcelo. Si è rivelato un bravo bambino, fedele alla sua famiglia.”
Perché, Regulus?
La donna si appagò degli occhi ora vitrei del suo ribelle primogenito, del suo viso che lentamente perdeva colore.
Michelle Wassall è morta.”
Il rumore dei tacchi riecheggiò nel corridoio e tra le sue stesse vertebre, mentre si allontanava.
Sul patio, il Cappello cadeva sui soffici capelli del minore dei Black.
“Serpeverde!” urlò alla scuola.




Presente.


Regulus Black afferrò il bavero della sua giacca con rabbia e lo spinse contro il muro con tutta la forza di cui era capace.
Era decisamente più minuto e debole di suo fratello, lo era sempre stato. IL fatto che Sirius si lasciò scalfire da lui come una bambola di pezza lo fece incazzare ancora di più.
“Cosa cazzo credevi di fare?” ripeté, masticando a stento le parole dalla rabbia.
I capelli di solito morbidi e ordinati gli ricadevano scomposti sulla fronte.
Vederlo in quello stato era assurdamente esilarante. Dalle labbra del fratello maggiore uscì una risata vuota che gli fece tremare le vene ai polsi.
“Ma che diavolo vuoi?” biascicò Sirius continuando a sogghignare con vacuità. Sembrava peggio che ubriaco.
Sembrava depresso.
Quella visione gli faceva rivoltare le viscere.
“Perché stavi andando al Tavolo dei Serpeverde con l’aria di uno che stava per unirsi a una setta?”
“Perché era quello che stavo per fare.” Glielo disse calmo e pacioso, come se stessero parlando di qualcosa di estremamente divertente.
Peccato che non lo era. Per niente.
Una scarica elettrica seguì quelle parole e gli tolse quasi la capacità di parlare.
Stirò un sorriso cinico e lo guardò dall’alto in basso.
“Ah, ma davvero? Peccato che fino a pochi giorni prima avresti voluto farci saltare per aria e mi sembravi anche bello carico! Cos’è, ti sono finite le pile?”
“Vogliamo parlare delle tue, di pile?” replicò soavemente l’altro, che si era seduto stancamente appoggiando la schiena al muro. “Fa sempre ridere il fatto che lo chiami ‘Tavolo dei Serpeverde’, come se tu non facessi parte dell’allegra combriccola.”
Quella era forse la conversazione più lunga che stavano avendo da sette anni a quella parte. E nessuno dei due stava urlando, o sfiorando istintivamente il dorso della bacchetta, pronto a difendersi da un colpo a tradimento.
Eppure, era la più agghiacciante.
Improvvisamente, Sirius gli ricordava papà.
Che cosa gli avevano fatto? Non erano riusciti a spezzarlo nemmeno con l’ausilio della più potente vampira d’Europa. Nemmeno parlandogli del suo Rito di Sangue. Che cos’era, che l’aveva polverizzato in quel modo?
Lui, sempre così forte. Così insondabile.
Non poteva essere così...così stanco. Non poteva sentirsi sconfitto in quel modo.
No, non glielo avrebbe mai permesso. Tutto, ma non quello.
“Quindi è così? Ti unisci a noi? Pensi che se la bevano davvero?”
“Pensino quello che gli pare. Non era ciò che desideravate, tutti?”
Continuava ad avere quell’espressione apatica. Doveva scoprire un punto più vitale. Avrebbe sopportato molto di più i pugni, che quel tono di voce così neutro.
“E James Potter che ne pensa di questa rimpatriata?” si impostò ironico. “Il tuo elitario gruppetto Grifondoro l’ha presa bene? E la tua fidanzatina mezzosangue, ti sei già stancato di ripassartela? Eppure al Ballo delle Debuttanti sembravate così presi.”
“Reg.” mormorò Black, guardando un punto impreciso davanti a sé.
“Sì?”
“Chiudi quella cazzo di bocca e lasciami diventare Serpeverde in santa pace.”
Non ci riusciva. Sirius era lontano. Come quel cane indomabile che non era mai riuscito ad avvicinare.
Quante volte, era stato morso? Non le contava nemmeno più.
Eppure, non era forse un contatto, quello?
Contatto
Regulus abbassò appena le spalle, respirando piano. Le ciglia lunghe gli accarezzarono gli zigomi mentre chiudeva gli occhi.
Tutto si riduceva a quello, alla fine. Al modo in cui cercare un contatto.
Con sua madre, con suo padre...e con suo fratello.
Si chinò lentamente su di lui. Una lucida statua rimandò per un breve istante la sua immagine.
La maschera sul suo viso, fredda e sprezzante. Il sorriso vuoto di Orion inciso a fuoco sui suoi lineamenti.
“Non te lo lascerò fare.”
Il fatto che il suo fratellino potesse anche solo pensare di impedirgli di fare qualcosa lo divertì in modo esausto.
“Qual è il problema, Reg? Non è quello che hai sempre voluto?”
Ma fu quello che disse dopo che accese un vago interesse nei suoi occhi, che finalmente gli piantò addosso.
Il nome dei Black spetta a me.” la voce del Serpeverde era siberiana. “Ho sudato sangue per prendere finalmente il tuo posto. Non ti lascerò distruggere tutto quello che ho conquistato. Non ti lascerò tornare e prenderti ciò che mi spetta di diritto. Sarò io, l’erede.”
Lui scoppiò a ridere. Eppure, in quella risata, c’era tutta la tristezza del mondo. La delusione. Il disincanto.
“Oh...Oh, Reg.” soffiò, guardando il soffitto. “Avrei dovuto aspettarmelo, sai? Eppure, non riesco a fare a meno di sorprendermi sempre. Il prestigioso piedistallo dei Black...si riduce sempre tutto a quello, hn?”
“Falla finita.”
“Sei come tutti gli altri.” gli sputò addosso, pieno di disgusto. “Ti stampi sulla faccia quell’espressione innocente ma sei sempre stato come loro. Ed ora lo sono anche io. Non lo trovi ironico?”
Non era come loro. No, non lo era.
Non era uno specchio quello in cui si rifletteva in quel momento. Sirius era sempre stato al di là. Doveva solo ricordarglielo… ma non riusciva a capire come.
La rabbia divenne implacabile. Come un fiume in piena.
“Hai tradito il tuo stesso sangue.” ringhiò, tremando. “Hai tradito la tua famiglia. Hai disonorato e ripudiato tua madre, tuo padre...”
“Ci picchiavano, Reg. Ci hanno manipolati e torturati per anni.”
“Ci hanno anche protetto!” si ritrovò ad urlare il minore. “Ma sei sempre stato troppo cieco per vederlo! Pensi che il mondo che tanto ti ostini a proteggere ti accetterà, ma non l’ha mai fatto! Loro, noi, abbiamo perlomeno la decenza di ammetterlo! Non ti permetterò di vincere quel premio, non ad uno come te! Non ti permetterò mai di definirti nostro pari! Hai tradito tutti, hai tradito ME!”
Il cielo si stava arrossando a Ovest. Come se grondasse sangue. Più in alto, sfumature violacee facevano a pugni con il sole.
“Te la ricordi, la storia della bambola?” mormorò improvvisamente Sirius, di nuovo perso. “Mamma ce la raccontava sempre. C’era una volta una bambola di una bambina. Era una bambola come tante altre, sbatteva le ciglia, muoveva le braccia e faceva ciò che la padroncina le diceva di fare. Ma improvvisamente, si stancò di essere un oggetto. Non si sentiva più a suo agio su una mensola, non voleva più essere il giocattolo di una bambina. Aveva un sogno, un suo sogno. Voleva essere libera, voleva cantare. Così scappò e inizio a girovagare per il mondo.”
“La ricordo. Smettila.”
“Finì per imbattersi in una compagnia di burattinai. Questi videro subito il profitto che avrebbero potuto ricavare da una bambola vivente, e iniziarono a farla esibire sul loro piccolo palco. Ma dopo ogni spettacolo, la bambola si sentiva sempre più infelice. Non faceva altro che pensare alla bambina. Non capiva perché si sentisse così vuota.”
“Sirius…”
“E un giorno, finì per scoprire la verità. Cantare non era mai stato il suo sogno. Era il sogno della bambina. La bambola non aveva mai smesso di essere il suo giocattolo.”
Successero esattamente due cose, in rapida sequenza.
Regulus aveva istintivamente allungato una mano verso Sirius, quando improvvisamente il suo viso si era contratto.
Una parvenza di vitalità tornò ad animare i suoi occhi, che si sgranarono automaticamente.
La sua testa scattò verso destra, e, seguendo il suo sguardo, Regulus si scontrò con due occhi d’oro.
James Potter ansimava dalla corsa, i capelli più in disordine che mai, il viso paonazzo...e si bloccò quando, nel corridoio deserto, trovò i due fratelli inginocchiati a terra, così vicini da potersi quasi abbracciare.
“Oh.”
Fu incredibile il cambiò di atmosfera. Il modo in cui Sirius Black smise di apparire una bambola quando lui entrò nel loro campo visivo.
Il modo in cui il suo viso tornò a vivere. Il modo in cui la maschera gli si sgretolò.
E Regulus capì.
In modo dolorosamente chiaro.
Si alzò con calma, spazzolandosi i pantaloni e sistemandosi i capelli, che tornarono ad essere impeccabili.
Potter dal canto suo, sembrava estremamente in imbarazzo, cosa che apparve decisamente strana. Non era però la prima volta che il re di Hogwarts si imbarazzava davanti a lui. Come se si sentisse a disagio.
Come se lo sapesse anche lui, in fondo.
Non era Regulus il fratello di cui Sirius Black aveva bisogno.
“Ho perso fin troppo tempo.”
James lo vide stirare un pigro e cinico sorriso, e allontanarsi da Sirius come se gli stesse attaccando le pulci.
Se ne andò così. Senza dire un’altra parola.
Ricadde un silenzio pesante come piombo, rotto solamente dalle sensazioni devastanti che stava ricevendo dalla testa in totale caos del suo migliore amico.
“Si può sapere che succede?!” abbaiò Ramoso, piazzandosi le mani sui fianchi. “Stai facendo vomitare Peter da venti minuti, te ne rendi conto?”
Tornò serio quando vide la sua espressione.
“Paddy?” mormorò, preso in contropiede.
Doveva dirglielo. Sirius Black si sentiva bloccato. Doveva dirglielo, doveva ammettere la verità.
Come poteva anche solo guardarlo in faccia?
“James…” balbettò, risvegliandosi completamente dall’apatia e sentendosi addosso una vergogna senza precedenti. “James, io...io devo dirti… io ti…”
“Buonasera, signori.”
Dire che i due fecero un salto di due metri fu dire poco. A James scappò di bocca pure un urletto di cui andò ben poco fiero… seguito da una bestemmia poderosa.
Silente ebbe l’eleganza di ignorarla.
Era comparso totalmente dal nulla, ammazzandoli di spavento con la sua aria paciosa e serena che metteva tutti in soggezione.
“Avrei bisogno di parlare con voi due, se non vi dispiace. Separatamente, se possibile.”
“C-con noi due?”
L’anziano mago sorrise dolcemente, strizzandogli allegramente l’occhio.
“Inizierò dal Signor Black, se non le dispiace. Prego, mi segua nel mio Ufficio.”
Tutta quella situazione stava diventando paradossale. Sirius sollevò la faccia come colpito in pieno da un meteorite, ma senza che seppe dirsi perché, scattò in piedi.
“Via, non faccia quell’espressione Signor Potter! Glielo riporto intero.” cinguettò il Preside.
“N-no, io...cioè, sì…” balbettò quello, in totale confusione.
Anche Sirius era confuso. E anche in pieno panico.
Che andò ad aumentare quando, sbattuto senza troppe cerimonie sulla poltroncina davanti alla scrivania dell’anziano mago, si ritrovò a far fronte ai suoi occhi azzurri.
Sapeva.
Ne ebbe la certezza assoluta.
Silente sapeva.
“Vuole cacciarmi da scuola?” borbottò a bassa voce, agitandosi appena sulla sedia.
Era giusto così, d’altronde. Quasi provvidenziale. Non si sarebbe aspettato soluzione migliore.
Silente invece gli sorrise. Calore e affetto quasi paterno gli illuminarono l’epidermide pallida, sottile.
Si allungò sul tavolo e intrecciò le dita sotto il mento, fissandolo come un gatto curioso.
“Perché dovrei?”
Quei modi di fare quasi accondiscendenti lo misero parecchio in allerta, così Black guardò altrove.
“Non finga di non sapere cosa ho fatto.”
“Dimmelo tu, cosa credi di aver fatto.”
Quei modi di fare iniziavano ad irritarlo. L’antica fiamma della ribellione cominciò a ribollire sotto la superficie, e Sirius sollevò le palpebre con uno scatto.
“E’ sempre così criptico, Signor Preside?” chiese sferzante, facendo squittire di sdegno parecchi quadri.
“Maleducato!”
Albus si limitò a sollevare le sopracciglia cespugliose e a scoppiare a ridere.
“Sì, immagino possa risultare seccante!”
Lo lasciò sbellicarsi, fino a che non tornò la quiete, interrotta solo dal rumore metallico degli strani oggetti che riempivano la stanza e dal tubare sordo di Fanny. Un suono dolce e basso, quasi come delle fusa.
Fanculo.
Voleva la verità?
“Ho quasi ammazzato il mio miglior amico.” sibilò, gelido. “E so che lei lo sa, quindi può anche risparmiarsi la recita. La mia sola domanda è COME lo sa.”
“Ti interessa davvero?”
“C’è ben poco che mi interessi, oggi.”
Albus accarezzò la tazzina che aveva davanti a sé con entrambe le mani, prima di parlare. Non aveva perso la sua aria serafica che mandava tutti in bestia.
“Ne avevo un sospetto.” confessò alla fine. “Che si è concretizzato oggi, quando ho sentito l’ennesima intrusione e...beh, alcuni chiacchiericci di corridoio.”
“In che senso?”
“Cosa credi che abbia fatto la sirena che ha salvato il signor Potter, nel Bagno dei Prefetti, dopo l’accaduto?”
Il ragazzo sollevò un sopracciglio. In effetti, sarebbe stato abbastanza strano il contrario.
“Le ha detto che sono stato io?”
“No. Mi ha detto che un alunno era stato attaccato.” sospirò Silente, continuando a coccolarsi la tazza di thé.
“Non capisco. Perché non ha convocato James?”
“E a che sarebbe servito? La versione della sirena era decisamente più attendibile della sua. Ed inoltre, confesso che ho voluto stare a vedere cosa sarebbe successo. Ma non ho perso di vista la situazione nemmeno per un momento.”
“Ha detto che ha percepito un...un’intrusione.”
“Ah, Signor Black.” sorrise Silente, guardando con orgoglio le pareti. “Sa quanta magia impregna le pareti di questa scuola? Probabilmente, non riuscirebbe a quantificarla. Penetrare le menti degli studenti, non è così facile come sembra. Perlopiù impossibile, tranne che in rari casi. E di certo, l’azione non passa inosservata.”
Sirius si irrigidì sulla sedia. Si concedettero pochi secondi di silenzio sacrale, quasi onorifico. La pietra stessa della scuola parve quasi stridere, in risposta.
“Solo chi ha un legame molto forte con qualcuno può accedere con così tanta facilità alla sua mente attraverso Hogwarts. E lo fa ad un prezzo altissimo.”
“Qu...quale prezzo?”
“Anni. Anni della propria vita.” lo gelò il mago, ignorando il suo sbiancare. “Questo è il prezzo per il dominio della mente. Per controllarla, per influenzarla. Temo che la sua famiglia, Signor Black, sia decisamente determinata a fare di lei una marionetta.”
“No.” la voce gli uscì perentoria, arrochita.
“No?”
“No, non si tratta di controllo. Ero io.”
Silente continuò a fissarlo come non si fosse accorto delle nocche sbiancate, del tremore, degli occhi sbarrati e della piega della bocca, che sputava fuori le parole come se stesse epurando un veleno disgustoso.
“Io ho provato piacere. L’ho sentito. Avevo piacere nell’ucciderlo. Era reale, era mio. Sono come quella bambola. Sono...come lei...”
Un ultimo raggio di sole baluginò contro un modellino astronomico intarsiato di metalli colorati, riempiendo la stanza di piccole scintille purpuree. La voce si spezzò proprio quando la stanza tornò cupa.
“Sì, sei come quella bambola, ragazzo.”
Si era messo le mani sulla faccia, Sirius Black. Era crollato su se stesso, rattrappito su quella vecchia sedia come se stesse subendo un lancinante dolore.
L’aveva detto. Era vero. Dalla bocca di Silente, la verità usciva implacabile e amara. Diventava reale.
Lui lo guardò spezzarsi, chiedendosi quanto altro dolore avrebbe potuto patire un cuore così giovane. Non avrebbe mai pensato, in verità, di ritrovarsi dopo tutto quel tempo a guardare la caduta apparentemente senza freni di uno dei sangui più puri della Gran Bretagna.
Ma aveva fatto una promessa.
“Prova a pensarci.” si corresse, pacatamente. “Prova a ripensare alla fiaba. Ripetimi la sua fine.”
“La bambola si accorge che il suo desiderio non è altro che quello della bambina.” mormorò Black con un filo di voce, il viso ancora nascosto tra le dita. Poi sollevò piano lo sguardo.
“Esatto.” il Preside si lisciò la barba con soddisfazione mal trattenuta. “No. No, non è possibile.”
L’uomo dette fiato a quella verità rimasta sospesa fra loro.
“Il piacere che hai sentito, era quello di tua madre.”
Il cuore sembrò balzargli nella gola con un salto improvviso. Guardò l’uomo come inebetito, senza osare...sperare.
“Quando qualcuno manipola la mente, lascia sempre qualcosa di sé dentro l’altro. Soprattutto, quando il legame che li unisce è così forte.” si chinò in avanti, piazzandogli quegli assurdi occhi azzurri ad un passo dal naso. “Ma non credere di non avere la tua parte di peccato, Sirius Black. Se così si può chiamare.”
“Cosa…” Black deglutì, smorzando il suo tono in un lamento flebile. “Cosa vuol dire?”
“Vuol dire che sei umano.” riassunse lui, con dolcezza terribile. “Dico che nel profondo, ogni bambino desidera che i suoi genitori siano fieri di lui. Per quanto possano essere terribili, non riusciamo mai a staccarci del tutto dalle nostre radici. Non stavi provando piacere nell’uccidere James Potter. Stavi solo accogliendo una briciola di quel meraviglioso e assurdo calore materno che tanto a lungo ti è stato brutalmente negato.”
“Si riduce tutto a questo, dunque?” Sirius era un po’ schifato. “Al volere la mamma?”
“Mio caro ragazzo, c’è mai stato altro che questo in ciascuno di noi?”
“La odio.” confessò Sirius, affranto. “Odio tutti loro. Odio che abbiano questo potere su di me. Odio desiderare tutt’oggi che...che mi abbracci. Odio sognare il suo profumo. E’ patetico.”
“E’ la natura dell’uomo.”
“Vorrei…” strinse i pugni contro i fianchi, serrando le mandibole con rabbia. La verità gli aveva sollevato l’anima...ma gliel’aveva anche fatta ricadere all’inferno. “Vorrei che ci fosse un modo per impedire loro di farmi tutto questo.”
“A questo possiamo rimediare!” il tono ora pazzescamente allegro di Silente lo costrinse a risollevare il mento, basito. “Ti ho chiamato qui per un motivo.”
“Eh?”
“Queste intrusioni sono seccanti.” sbuffò lui con leggerezza. “E possono diventare pericolose. Ora che finalmente ho scoperto la causa, e ho avuto conferma ai miei sospetti, ritengo sia il caso di prendere...alcune piccole contromisure.”
“Qu-quali contromisure?!”
L’azzurro dei suoi occhi splendette come acquamarina.
“Lei e il Signor Potter riceverete lezioni di Occlumanzia.”





Cristhine McRanney stava correndo. Di nuovo.
La gonna lunga le impacciava un po’ i movimenti, il vaporoso mantello nero le si gonfiava sulla schiena, avvolgendo di tanto in tanto, a ritmo del vento, il suo corpicino eccessivamente esile.
Sapeva dove andare, nonostante tutto.
Glielo diceva il cuore. Lo sentiva vicino, sempre di più… ed infatti si fermò, ansante, davanti all’Ufficio del Preside dove Sirius Black era seduto a fissare il muro da mezz’ora buona.
Era solo.
Rallentò la falcata fino a quando le sue scarpe non sfiorarono quelle del ragazzo...solo allora, lentamente, si inginocchiò accanto a lui.
E solo allora lui la guardò...con quella tenerezza che sapeva disarmarla.
Gli occhi di un bambino perduto. Spaventato.
I suoi occhi fondi come la notte attirarono i suoi con la forza gravitazionale di un buco nero.
Nessuno, si rese conto. Nessuno lo avrebbe visto come lo vedeva lei.
Si aspettava che distogliesse gli occhi, ma lui continuava a fissare il suo viso così seriamente...fino a che, con dolcezza, allargò il braccio e le cinse la vita.
Sei di nuovo mio.
Accolse il suo tocco e gli sfiorò il viso con un dito, roteandolo lentamente sulla pelle che sembrava scottare.
Rimasero abbracciati a lungo. Uniti nel corpo e nel cuore.
“Mi...mi dispiace.” disse lui, infine.
“Lo so.” mormorò Cristhine.
“Sai… io... non riesco a piangere.” confessò il Grifondoro. Esausto. “Per quanto mi sforzi, per quanto voglia farlo...non ci riesco. Non piango mai.”
Fu allora che Cristhine gli passò le braccia attorno al collo, stringendolo forte al seno. Come...una mamma.
Allora ti farò piangere.” sussurrò al suo orecchio. “E tu...farai piangere me, prima o poi. E ti prometto che piangeremo, che litigheremo, che faremo tutte le cose normali che fanno le coppie normali. E cresceremo. Assieme. Per sempre.”
Sentì l’aria venire risucchiata fra i suoi denti...e il suo corpo fino ad allora teso e rigido, finalmente sciogliersi sotto le sue mani.
“Sì.” sussurrò con un enorme sforzo, quasi intimidito.
Rimasero così a lungo, sfiorandosi con baci leggeri o parlandosi teneramente alle orecchie. Ogni tanto Sirius crollava contro il suo collo, e dovette quasi prenderlo a calci per obbligarlo ad andare in stanza.
Sotto le lenzuola del letto di lei, rinfrancato e scaldato dal tepore della sua pelle, il viso appoggiato contro il suo petto, finalmente Sirius Black dormì un lungo sonno senza sogni.
D’altronde, Silente lo aveva promesso, pensò James, sentendo finalmente la pace nella sua testa.
Glielo aveva promesso, che glielo avrebbe riportato intero.














 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Giglian