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Autore: IndianaJones25    09/11/2021    2 recensioni
Gli anni sono trascorsi, lenti ma inesorabili. Anche per il professor Henry Jones, Jr. sembra essere giunto il momento di appendere la frusta al chiodo e di dire addio alla vita avventurosa. L’intrepido archeologo giramondo, ormai, è diventato un anziano signore che porta addosso i segni, i dolori e i ricordi dolceamari della sua spericolata vita passata.
Ma c’è ancora chi sembra avere bisogno di lui e Indiana Jones non è certo il tipo da tirarsi indietro dinanzi a una minaccia che potrebbe sconvolgere il mondo intero. Così, in compagnia di sua figlia Katy, di una giovane bibliotecaria e di un prete dal grilletto facile, Indy torna a impugnare la frusta e si getta a capofitto in un’ultima impresa, al cui termine potrebbe trovare la speranza di un nuovo inizio oppure una disastrosa rovina.
La lotta sarà difficile e insidiosa, perché l’ultimo vero nemico di Indiana Jones non saranno eserciti o folli invasati, ma proprio la sua irresistibile voglia di avventura…
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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   15 - Prigioniere
 
   Indy si stava muovendo cautamente tra gli alti scaffali quando risuonò il grido disperato di sua figlia. Dalla potenza della sua voce comprese che doveva stare bene, ma saperla nelle mani di quei mostri gli fece montare il sangue alla testa. Mandando a monte ogni tentativo di precauzione, affrettò il passo, sperando di raggiungerla in tempo.
   Si fermò al limite di uno degli alti mobili carichi di oggetti e sbirciò al di là. Aveva sentito qualcosa che lo aveva indotto a rallentare.
   Come supponeva, appena oltre l’angolo si trovava uno degli agenti dell’OZNA, con il fucile stretto tra le mani, pronto a fare fuoco al primo movimento sospetto. Per fortuna gli volgeva le spalle e non sembrava essersi accorto della sua presenza.
   Silenzioso come un felino, l’archeologo balzò fuori dal suo nascondiglio, brandendo il coltellaccio. Lo sollevò e lo calò con parecchia forza contro l’avversario, conficcandoglielo con precisione nella schiena, spingendolo nella carne fino all’impugnatura e spezzandogli la spina dorsale con un solo colpo netto. L’agente segreto stramazzò a terra, ucciso senza neppure rendersi conto che cosa fosse successo, ma nel cadere lasciò partire una raffica di mitra.
   Subito si levarono grida furenti e si udirono dei passi affrettati in quella direzione.
   Un uomo comparve al limitare del corridoio, annunciato dal riverbero della torcia elettrica. Indy era pronto. Impugnata con ambedue le mani la pistola, fece fuoco verso di lui, orientandosi proprio grazie alla sorgente di luce che aveva tradito il suo avversario. L’uomo crollò a terra, colpito al petto, ma subito fu sostituito da un compagno, che spedì una raffica in direzione dell’archeologo.
   Evitando di pochi millimetri i proiettili, Indy scartò di lato e si gettò a ridosso di uno degli scaffali. Puntò la pistola e rispose al fuoco. Nella fretta non poté prendere la mira e i suoi colpi andarono tutti a vuoto. Nuove raffiche gli comunicarono che i suoi avversari erano più che decisi a fargli la pelle.
   «Cristo…» imprecò, quando alcuni proiettili gli fischiarono pericolosamente vicini, conficcandosi nel mobile alle sue spalle e rovesciandogli addosso schegge di legno.
   Era meglio togliersi da lì.
   Si rialzò in fretta, evitando di pochissimo una nuova raffica. Zoppicando, corse nella direzione opposta a quella da cui provenivano gli spari.
   Senza neppure rendersene conto, stava affrontando quella sfida con il medesimo spirito di un tempo. La stanchezza non lo toccava, le dolorose pulsazioni che gli avevano invaso l’organismo erano semplicemente un dettaglio secondario, di nessuna importanza. Le sue gambe e le sue braccia, invase dall’adrenalina che si era riversata a fiotti nelle vene, rispondevano speditamente a ogni comando del cervello. Persino il modo in cui pensava era mutato in maniera repentina: deposte le sue riflessioni da vecchio uomo, se così potevano essere considerate, stava adesso ragionando come sempre in passato; o, per meglio dire, non stava affatto ragionando: si limitava ad agire, valutando passo a passo i risultati delle sue azioni e improvvisando di conseguenza.
   Girò oltre un angolo e si trovò la strada sbarrata da un altro agente dell’OZNA. Anche questo era armato di Kalashnikov. Indy alzò la pistola e, senza troppi rimpianti, gli sparò in faccia. Sogghignò compiaciuto nel vedere il suo volto devastato dal proiettile, poi superò con un balzo il cadavere e girò lungo un’altra direzione.
   Una raffica di mitra gli esplose tutto attorno, costringendolo ad alzare le braccia per ripararsi dai frammenti di legno e di pietra che rimbalzavano dappertutto. Inciampò e si trovò disteso con il ventre a terra. Le anfore e le bottiglie che erano raccolte in quella parte del deposito andarono in frantumi, rovesciandogli addosso cocci e altri pezzetti taglienti di vetro. La pistola gli volò di mano e sparì nell’oscurità.
   «L’ho preso!» disse l’uomo che aveva sparato, tenendo un walkie talkie davanti alla bocca. Ascoltò la confusa risposta e replicò: «Ricevuto. Eseguo.»
   Riagganciò la radiolina portatile alla cintura e sollevò l’AK-47 nella direzione di Indy, che stava ancora cercando di districarsi dai cocci e lo sfidò con sguardo inviperito, senza mostrare nessuna traccia di paura.
   L’agente segreto puntò l’arma, aggiustò la mira e avvicinò il dito al grilletto.
   La raffica di mitra esplose fragorosa e rimbombante, squarciando il silenzio che era caduto sul sotterraneo.

 
* * *

   «Bene, uccidetelo subito!» ordinò Pavkov, parlando nel suo walkie talkie. «Poi togliete di mezzo anche il prete e raggiungeteci.»
   Lo ripose e si voltò a guardare Katy, che ricambiò il suo sguardo con profonda ferocia.
   «Tendi bene le orecchie, ragazzina, e ascolta che bellezza» le ordinò, con tono maligno.
   Subito dopo, l’eco della raffica di mitra giunse fino alle loro orecchie.
   «Lo sai cos’è questa?» disse. «Questa è l’esecuzione di tuo padre. Ha finito per sempre di dare fastidio agli altri. Adesso è diventato anche lui un pezzo da museo.»
   «Nooo!» gridò Katy.
   Si agitò convulsamente, tanto che l’uomo che la teneva ferma dovette placcarla e schiacciarla in terra per riuscire a impedire che fuggisse. Lei urlò e scalciò, lottando ancora nel tentativo di liberarsi da quella costrizione; e, non riuscendo a trattenersi, scoppiò in lacrime.
   «Sei un bastardo!» urlò Valerija, tentando a sua volta di sbarazzarsi dell’uomo che la teneva prigioniera.
   Pavkov le rifilò un manrovescio così forte da farle uscire il sangue dal naso.
   «Taci, sudicia ribelle traditrice!» sbraitò, guardandola con odio. Il tono della voce si abbassò di colpo. «E non credere che Jones sia stato sfortunato, a morire così. Una morte rapida e indolore è un lusso che a voi non sarà riservato, sappilo. Non avete idea, tu e la tua amica, di ciò che vi aspetta. Se vi ho volute prendere vive, è solo perché voglio godermi lo spettacolo di tutte le torture che vi infliggeranno gli agenti dell’OZNA quando sapranno chi siete. Non crediate di cavarvela con poco.» Passò la lingua sulle labbra, pregustando chissà quale orribile avvenire. «Vi giuro che rimpiangerete di non aver permesso a Popovic di fottervi, sarebbe stata una gita di piacere, in confronto a ciò che vi aspetterà adesso.»
    Si voltò di nuovo e si incamminò a passo svelto lungo il tunnel. Ormai non mancava più molta strada all’uscita della piramide.
   «Diamoci una mossa» ordinò, «voglio mettermi in viaggio al più presto.»
   Valerija venne spinta rudemente in avanti e Katy fu costretta a rialzarsi, sollevata quasi di peso dalle mani dell’uomo.
   Era ancora scossa dai singhiozzi dolorosi, incapace di fermare le lacrime che le rigavano la pelle imbrattata di sangue e di sporcizia, ma il suo volto cominciava anche a farsi sfigurare dall’odio. Una rabbia incontenibile la invase, facendole tremare le mani, desiderose di colpire, di uccidere.
   Non sapeva come ci sarebbe riuscita, ma giurò a se stessa che, alla prima occasione, avrebbe cavato il cuore ancora pulsante dal petto di quel mostro.

 
* * *

   La raffica echeggiò lunga e lugubre per qualche istante. L’agente dell’OZNA, un’espressione di sorpresa confusa impressa in eterno sul volto, crollò al suolo, ucciso.
   Indy sbarrò a sua volta gli occhi per la meraviglia nel riconoscere la sagoma corpulenta del sacerdote uscire dall’ombra, il Kalashnikov ancora fumante tra le braccia.
   «Don Mavro!» esclamò, tra lo stupore e lo sconcerto.
   Il prete sorrise e, dopo essersi accertato con un calcio che il loro avversario fosse proprio morto, si diresse verso di lui e gli porse la mano per aiutarlo a rialzarsi. Indy l’accettò volentieri, senza però riuscire a trattenere un ghigno.
   «Ma la comprensione e il perdono…?» domandò, guardando di sfuggita il mitra. «Quello, padre, non mi pare proprio un aspersorio per l’acqua santa…»
   Don Mavro si strinse nelle spalle.
   «Il perdono è prerogativa del Signore Onnipotente, e io lo posso amministrare in suo nome solo dopo una piena confessione di tutti i peccati e un sincero rimorso da parte del penitente. Che, in questo caso, non mi pare sia avvenuto» commentò, con un puntiglio quasi comico, vista la situazione. «E poi, lo saprà bene quanto me, professore, c’è un’antica legge biblica – nel Levitico, se ricorda – che dice “occhio per occhio, dente per dente”, quindi tecnicamente non ho infranto nessuna regola.»
   Il sorrisetto di Indy si accentuò.
   «Be’, se non vado errato, Gesù ha poi detto che…»
   Si interruppe, scuotendo la testa. Non gli pareva proprio il momento adatto di perdersi in questioni teologiche, specialmente perché il prete lo aveva sorpreso davvero positivamente, e non gli sembrava il caso di indurlo a un ripensamento. Ora dovevano affrettarsi e salvare le due ragazze, senza badare ad altro.
   «Hanno preso Katy, e presumo anche Valerija» disse, con tono secco.
   «Ho sentito» replicò don Mavro, chinando il capo in segno di contrizione, «e purtroppo temo che sia stata colpa mia. Le ho spinte io verso l’ingresso, credendo che non fosse presieduto.»
   «Non importa, ora pensiamo solo a riprenderci loro e la mappa» tagliò corto Indy.
   Claudicando leggermente, raggiunse l’uomo ucciso dal prete e, dopo essersi sbarazzato della giacca di velluto ormai divenuta più che altro un impedimento, essendo ridotta quasi in brandelli, gli prese l’AK-47 dalle braccia. Controllò che fosse pronto a sparare, con il selettore in posizione centrale, e, dopo aver rivolto un rapido cenno a don Mavro, si avviarono insieme verso l’uscita della grande e labirintica sala.
   Non avevano mosso che pochi passi, però, che tre agenti dell’OZNA gli sbarrarono la strada, aprendo contro di loro un fuoco d’inferno. Ancora una volta, Indy fu costretto a gettarsi di lato per trovare un posto al coperto. Questa volta, comunque, era meglio armato e non mancò di iniziare a sparare a sua volta, premendo a fondo il grilletto e indirizzando raffiche micidiali contro i nemici.
   «Signore, proteggi il tuo servitore!» pregò don Mavro, prima di lanciarsi senza paura contro i nemici, il mitra che gli diventava incandescente tra le mani.
   I proiettili lo sfiorarono e almeno uno di essi andò a segno, ferendolo alla spalla sinistra. Senza curarsi di nulla, il prete continuò a sparare, correndo e urlando come una furia, tanto che i tre agenti, spaventati, gli volsero le spalle e fuggirono.
   Senza mostrare alcuna pietà, don Mavro ne fulminò uno colpendolo alla schiena, e Indy gli diede man forte facendone fuori un secondo. L’ultimo rimasto in piedi, ferito in più punti, spinto contro uno scaffale e senza più vie di fuga, si voltò per affrontarli a viso aperto, ma quando premette il grilletto il suo fucile si inceppò.
   «Maledetto ferro vecchio!» imprecò, lasciandolo cadere e mettendo mano alla pistola.
   Un colpo preciso di Indy gliela fece saltare di mano, rendendolo innocuo. Lui e don Mavro si avvicinarono, tenendolo sotto tiro, mentre l’uomo, ansante e sanguinante, si accasciò contro lo scaffale.
   «Che faccio?» domandò il prete, più furioso che mai. «Gli sparo?»
   Indy bloccò i suoi intenti omicidi sollevando la mano sinistra.
   «Un momento…» borbottò. Poi, alzata la voce, si rivolse all’agente segreto. «Dove stanno portando mia figlia?! Parla!»
   L’uomo scosse il capo e si mantenne chiuso nel suo mutismo.
   «Parla, maledetto!» lo incitò Indy, sollevando la canna del fucile e ficcandogliela nel naso.
   Quello sprone fu sufficiente a sciogliere la lingua dell’agente dell’OZNA.
   «Le staranno caricando sul camion, a quest’ora!» grugnì. «Ormai è tardi, non arriverete mai in tempo.»
   Indy lo fulminò con lo sguardo.
   «E con il camion dove le porteranno?»
   L’uomo esitò, ma la canna che gli venne premuta contro con maggiore forza, torcendogli il naso verso l’alto, bastò a indurlo a rivelare ciò che sapeva.
   «All’aeroporto di Sarajevo…» mugugnò, contrariato dalla propria codardia. «C’è un aereo in attesa, non so quale sia la destinazione…»
   «Quella la conosco io!» sbottò Indy, ritirando il mitra.
   L’agente parve tirare un sospiro di sollievo. L’archeologo, però, voltò l’arma e gli calò con violenza il calcio sulla testa. Senza un gemito, il poveretto stramazzò in terra, con gli occhi chiusi, a braccia spalancate, abbandonato come una marionetta.
   «Siamo sicuri che sia morto davvero?» domandò don Mavro, osservandolo con attenzione.
   «Lei è troppo sanguinario, padre» grugnì Indy. «Lasci perdere questo sacco di patate e sbrighiamoci. Forse siamo ancora in tempo per raggiungere Pavkov prima che vada a prendere quell’aereo.»
   Senza più badare a niente, ricominciarono a correre verso l’uscita dal deposito di Antonio Barbarigo.

 
* * *

   Ormai erano fuori dal tunnel e stavano ridiscendendo con una certa celerità il pendio. Le due ragazze, trascinate a forza, sembravano essersi rassegnate al destino crudele che le attendeva entrambe, perché avevano smesso di agitarsi e combattere nel tentativo di liberarsi.
   Per il professor Pavkov era molto meglio così. La ragazza croata sarebbe stata seviziata a lungo, di fronte a una telecamera, come monito per gli altri ribelli, per far loro comprendere che cosa sarebbe accaduto a tutti i traditori; avrebbe quindi avuto necessità di molte forze, per non morire troppo in fretta. Per quanto riguardava l’americana, invece, la faccenda era più delicata. L’ingresso suo e di suo padre nel paese era stato registrato alla frontiera, e quindi avrebbero dovuto procedere con parecchia cautela, per non rischiare di provocare incidenti con gli statunitensi. Certo era che sarebbe morta anche lei, anche se in maniera meno spettacolare e non documentata da nessuna parte. L’importante, in ogni caso, era farla sparire per sempre. Ma di questo fatto, su come comportarsi, si sarebbero occupati gli agenti dell’OZNA: quella era una faccenda che non lo riguardava, se non di striscio.
   Il lato della piramide da cui stavano scendendo era piuttosto intricato, perché era cosparso di radici che rendevano difficile il cammino. Inoltre, le foglie cadute e gli aghi di pino avevano reso scivoloso il dirupo. Se non si camminava tenendo un occhio attento al terreno, si correva in ogni momento il rischio di inciampare.
   Questo particolare non sfuggì a Katy. Non appena ebbe visto vicino a sé una grossa radice, reagì.
   Con una spallata improvvisa, costrinse l’uomo che la teneva per i polsi a sbilanciarsi di lato. Quello cercò di sostenersi, mentre il terreno gli cedeva sotto i piedi, ma nel farlo urtò la radice e perse l’equilibrio, cadendo all’indietro. Incapace di fermarsi a causa del pendio piuttosto ripido, non trovando nulla a cui afferrarsi, scivolò sulla schiena verso il basso. La ragazza, liberata finalmente dalla sua presa, scattò in avanti per allontanarsi.
   Pavkov, attirato dal rumore inaspettato, si girò a guardare che cosa stesse accadendo, mentre l’altro agente, rispondendo a ciò che gli suggeriva l’istinto, lasciò andare Valerija per lanciarsi all’inseguimento di Katy. Fu un grave errore, perché la piccola bibliotecaria, muovendosi con rapidità, infilò il piede in mezzo alle sue gambe, facendogli uno sgambetto. L’uomo, perduto l’equilibrio e non potendosi fermare a causa dello slancio, cadde in avanti e andò a sbattere rudemente contro un grosso tronco.
   Katy, intanto, fece un rapido dietrofront e scattò con impeto verso Pavkov, più che decisa a vendicare suo padre.
   Il professore, spaventato dalla sua furia inattesa, provò a voltare le spalle per sfuggirle, ma si trovò davanti Valerija, che lo colpì allo stomaco con un pugno. Grugnendo, l’uomo mosse un passo all’indietro, finendo proprio addosso a Katy, che stava sopraggiungendo di corsa.
   Senza nessuna esitazione, la ragazza lo abbrancò da dietro la schiena e, sollevandosi sulle punte dei piedi per essere più alta, gli fece scivolare il braccio attorno al collo, nel tentativo di strangolarlo. Pavkov, urlando come un maiale scannato, provò a sbarazzarsi di lei, ma Valerija non glielo permise, colpendolo ripetutamente con rapidi pugni nel ventre e sul volto. Quando l’archeologo tentò di allontanarla con un calcio, lei rispose facendo partire una ginocchiata in direzione dei testicoli.
   Pavkov gridò e starnazzò e portò istintivamente le mani alla parte dolorante. Questo diede a Katy la possibilità di stringere più forte la presa attorno alla sua gola.
   L’uomo, quasi soffocato, crollò in ginocchio, trascinando con sé la ragazza che, però, non lo lasciò andare né allentò la stretta, decisa a lasciarlo andare solo quando fosse riuscita a ucciderlo.
   «Ferme!»
   Uno dei due agenti, quello che era andato a sbattere contro il tronco d’albero, si era ripreso e aveva raggiunto il gruppetto. Stringeva una pistola tra le mani e la puntava con decisione verso la testa di Katy. La ragazza non se ne curò e aumentò la presa sulla gola di Pavkov, che ormai rantolava.
   «Lascialo o uccido la tua amichetta!» ruggì una seconda voce.
   L’altro agente dell’OZNA era riuscito a risalire la china e teneva la pistola rivolta in direzione di Valerija. Lei cercò di sottrarsi, ma l’uomo questa volta fu più veloce e, afferratala per il bavero, la tenne stretta, piantandole la canna contro la tempia.
   «Conto fino a tre!» minacciò l’uomo. «Poi la guardi morire!»
   Se anche le avessero sparato addosso, Katy non si sarebbe arresa. Ma ora le cose cambiavano. Non poteva permettere che facessero del male a Valerija. Con un singulto, lasciò finalmente andare Pavkov, che scivolò in avanti, tossendo e cercando di riprendere aria.
   «Tutto bene, professore?» domandò l’agente che teneva la pistola puntata verso Katy.
   L’archeologo lo fissò con profonda rabbia.
   «Ti pare che vada tutto bene?» gracchiò per quel poco che riusciva a parlare con la gola dolorante. «Per colpa di voi impiastri quella troietta mi ha quasi strangolato!»
   Si rialzò di scatto e, mosso un passo verso l’agente, gli strappò di mano la pistola, puntandola poi contro Katy.
   «Dove preferisci che te lo piazzi, il primo colpo, teppistella?» gracidò, il petto che si alzava e si abbassava velocissimo. «Nella mano? Nel ginocchio?»
   La ragazza sostenne la vista della pistola senza mostrare alcun timore, sebbene non poté impedirsi di impallidire.
   «Scappa, Katy!» urlò invece Valerija, sfidando impunemente la pistola che le premeva contro la tempia.
   «Taci, puttana!» sbraitò Pavkov, volgendosi verso di lei. «A te penserò dopo…!»
   Approfittando di quell’attimo di distrazione, Katy prese la rincorsa e gli si avventò addosso. Ma Pavkov era guardingo e, prima che lei avesse potuto anche solo toccarlo, la colpì al viso utilizzando la pistola come se fosse stato un randello.
   Perdendo sangue dalla guancia ferita, Katy cadde riversa al suolo, gemendo.
   «Ora basta» sibilò l’archeologo, furioso. «Ho perso fin troppo tempo, con te. È ora che tu vada a tenere compagnia a paparino.»
   Le puntò la pistola alla nuca, schiacciandole il duro e freddo metallo tra i capelli neri e scompigliati. Ma la precisa raffica del Kalashnikov lo raggiunse prima che avesse potuto fare altro, devastandogli il petto e gettandolo a terra, rantolante.
   L’agente disarmato ricevette la medesima sorte, mentre l’altro uomo, spinta via Valerija, cominciò a sparare all’impazzata verso l’alto, cercando di correre al riparo di un albero per sottrarsi ai colpi degli AK-47.
   Katy riaprì gli occhi e, sollevandosi sulle palme, vide suo padre e don Mavro sparare contro l’ultimo dei loro nemici. Un dolcissimo calore le riempì il petto e non riuscì a trattenere un grido di gioia.
   «Old J!» urlò, con un largo sorriso, questa volta piangendo lacrime di felicità.
   «Mettiti al riparo!» sbraitò Indy, facendo ricorso a tutto il fiato che aveva in gola per riuscire a sovrastare il frastuono degli spari.
   Katy non se lo fece ripetere. Si lasciò scivolare di qualche metro sulle foglie secche, si rimise in piedi e incespicò. Valerija, rialzatasi dopo essere caduta, corse in suo aiuto, prendendola per il braccio e trascinandola al riparo di un grosso tronco rovesciato.
   Quell’ultima battaglia fu piuttosto breve. L’agente finì i proiettili e non gli restò altro da fare che provare a darsela a gambe. Ma, mentre si gettava a rotta di collo giù per il pendio, un’ultima raffica lo raggiunse alle gambe, spaccandogliele. Con un grido, rotolò verso il basso e andò a schiantarsi contro una quercia nodosa, spezzandosi l’osso del collo.
   Sulla piramide calò il silenzio e Indy e don Mavro, dopo aver abbassato le armi, si affrettarono a raggiungere le due ragazze.
   «Papà!» gridò Katy, lasciando il riparo e correndo ad abbracciarlo. «Temevo… avevo paura… che…»
   Indy, colpito da quello slancio di affetto, buttò via il fucile e la tenne stretta, accarezzandole con delicatezza i capelli, come faceva sempre quando era una bambina.
   «Su, su» la rassicurò, sfiorandole la fronte con un bacio leggero. «È tutto passato…»
   Don Mavro si avvicinò a Valerija, ancora scossa e tremante, e le strinse con garbo la mano, sussurrando qualche parola di conforto.
   Un rumore di foglie smosse attrasse la loro attenzione. Si voltarono e videro Pavkov strisciare lentamente sul terreno, appena sollevato sopra i gomiti. Perdeva sangue dalla bocca e, a ogni respiro, il sangue gli gorgogliava nelle ferite sul petto.
   «Che faccio, gli buco il cervello?» propose don Mavro, assaporando il momento, il dito che già accarezzava il grilletto.
   Indy gli rivolse un rapido sguardo denso di sarcasmo.
   «Padre, veramente, ho sentito dire che gli angeli della morte vorrebbero chiederle qualche consulenza tecnica» commentò. «Comunque, lasci perdere. Ormai è mezzo andato. Lasciamo che vomiti la sua anima nera dalle ferite. Però, prima, ha qualcosa di nostro che deve restituirci…»
   Fece cenno a tutti di rimanere dove si trovavano e lo raggiunse con due rapidi passi.
   «Professor… Jones…» biascicò l’uomo, con un tono che avrebbe fatto impietosire un pezzo di ghiaccio. «…la prego… mi… aiuti…»
   L’archeologo lo guardò con profondo disgusto, senza lasciarsi toccare da quelle suppliche.
   «Volevi far fuori me, e questo passi, non sei certo il primo che ci prova e probabilmente nemmeno l’ultimo» disse, parlando con un basso ringhio. «Ma hai provato a fare del male a mia figlia, bastardo, e questo non te lo perdonerò mai.»
   Quindi si chinò e, afferratolo per le spalle, lo ribaltò con violenza. Pavkov gridò per i dolori. Senza badare alle sue sofferenze, Indy gli aprì la giacca e trovò la mappa di Barbarigo. Era macchiata di sangue per una buona metà, e un proiettile l’aveva forata sul lato superiore, ma grossomodo era ancora intatta e leggibile. Dopo averla esaminata in fretta, la ripiegò con cura e la tenne stretta nella mano sinistra.
   «…Jones…» mugugnò ancora Pavkov, con le ultime forze che gli restavano, «…per… favore… non mi… lasci… dissanguare così… pensi che… in fondo… siamo colleghi…»
   Indy esitò. Lanciò uno sguardo a Katy, che lo attendeva poco lontano insieme a don Mavro e a Valerija e lo osservava con sguardo ancora leggermente umido e vacuo per lo spavento. L’uomo che rantolava ai suoi piedi aveva cercato di ucciderla, la sua amata bambina. Non poteva che odiarlo. Eppure, non poteva neppure permettersi di lasciare qualcuno a soffrire in quel modo: poteva essere sanguinario e cinico finché voleva, poteva aver sempre utilizzato i metodi più spicci e sleali per far secchi gli avversari, ma non era da lui comportarsi in quella maniera.
   Guardò di nuovo verso Pavkov, ormai ridotto a un ammasso di sangue ribollente, e questo gli fece tornare in mente Lothar Chlodochar. Anche lui era stato suo nemico, eppure quando era giunta la fine, aveva cercato di aiutarlo e, non riuscendoci, lui e Mac gli avevano concesso un ultimo colpo di grazia, per far cessare le sue indicibili sofferenze. Se aveva saputo comportarsi così da giovane, quando era praticamente solo al mondo, non poteva permettere che il suo cuore si indurisse proprio adesso che era diventato vecchio, davanti agli occhi della sua adorata Katy.
   Si inginocchiò di nuovo accanto al moribondo, valutando che cosa potesse fare per aiutarlo. Allungò il braccio per scostare i brandelli della camicia e osservare meglio le sue ferite, quando Pavkov fece un movimento improvviso. Nella sua mano, tenuta nascosta fino a quel momento, era impugnata una piccola pistola a due colpi. La puntò a bruciapelo verso Indy e premette il grilletto.
   «Papà!» urlò Katy, vedendo suo padre trasalire, rovesciarsi all’indietro e accasciarsi.
   Tutti e tre accorsero e don Mavro spedì una raffica aggiuntiva nel corpo di Pavkov, che dopo un ultimo sussulto esalò il suo ultimo respiro. Le due ragazze si lasciarono cadere di fianco a Indy, che era steso poco più in là, e lo girarono a fatica.
   Il proiettile era penetrato nel fianco destro, all’altezza dell’intestino. La camicia bianca, già tutta logora e insanguinata, si stava rapidamente inzuppando di sangue e il vecchio archeologo traeva lunghe e faticose boccate d’aria cercando di resistere al dolore.
   «Papà… Old J…» singhiozzò Katy, facendo correre lo sguardo di continuo dalla brutta ferita ai suoi occhi che stentavano a rimanere aperti, per poi tornare alla ferita e poi di nuovo agli occhi.
   Don Mavro la scostò con poco garbo e si chinò a osservare la ferita.
   «Il proiettile è rimasto incastrato dentro, e devo dire che per il momento è un bene, perché sta in qualche modo rallentando l’uscita del sangue» borbottò tra sé e sé. «Ma bisogna subito medicare questa ferita e bendarla, o rischiamo che si infetti. E poi bisognerà estrarlo al più presto, prima che faccia infezione.»
   «Dobbiamo portarlo in ospedale! Ora!» strillò Katy, disperata.
   Il sacerdote si voltò a fissarla con sguardo bonario e intenerito.
   «Vuoi scherzare, figliola» replicò, con tono mite e pietoso. «Tutti gli ospedali sono sotto il controllo del governo. Appena ci mettessimo un piede dentro, ci troveremmo un’altra volta addosso l’OZNA, e allora sì, che sarebbe finita per davvero.»
   Katy ricominciò a piangere e si volse a guardare suo padre, a cui Valerija stava sorreggendo la testa. Indy trovò la forza di rivolgerle uno dei suoi soliti ghigni beffardi, che per un istante la fece ridere tra le lacrime. Tornò a rivolgersi al prete.
   «E allora che facciamo?» domandò, cercando di mantenere il controllo, sebbene parlasse un po’ troppo in fretta per poter dare l’impressione di essere calma. «Lo lasciamo così?» A quella prospettiva, nuove lacrime le rigarono il volto.
   Don Mavro si rialzò e osservò il cielo che, ormai, si stava facendo scuro.
   «Non ho detto questo» replicò. «Sono in contatto con diversi gruppi di ribelli e, tra di loro, ci sono anche molti medici. Parecchi operano in questa zona e, con un po’ di fortuna, posso riuscire a farli arrivare qui in breve tempo.»
   Si chinò sul cadavere martoriato di Pavkov e gli prese dalla cintura la ricetrasmittente che, per fortuna, non era stata danneggiata nel corso della sparatoria. Allungò l’antenna e, girando il regolatore delle frequenze, ne impostò una che conosceva a memoria.
   «Pronto?» parlò. «Mi ricevete?»
   Mentre don Mavro comunicava via radio, Katy tornò a chinarsi accanto suo padre. Le sue ginocchia affondarono nello strato di aghi e corteccia che copriva il terreno e le sue mani si strinsero fino a far sbiancare le nocche. Indy, di nuovo, trovò la forza per sorriderle, sebbene non riuscisse più a tenere gli occhi aperti.
   «Katy…» mormorò, con voce stanca.
   «No, papà, non parlare, non devi affaticarti, ora vengono a prenderti, ti curano…» disse lei, mangiandosi le parole, stentando a trattenere altre lacrime.
   Lui sollevò a fatica la mano verso di lei. Ogni movimento sembrava costargli uno sforzo tremendo. Tra le dita, stringeva ancora la mappa per la Fonte dell’Eterna Giovinezza.
   «La mappa, papà» disse lei, tirando su dal naso e provando a sorridere. «L’abbiamo trovata, proprio come dicevi tu. Nessuno può batterti. Sei sempre il migliore…»
   L’archeologo le fece cenno di prenderla.
   «Io… forse non posso farcela…» mormorò. «Ma tu… sì. Fai quello che… bisogna fare…»
   Katy scosse la testa, rifiutandosi di prendere quell’antico pezzo di carta.
   «Lo faremo insieme, papà» rispose, mentre i singhiozzi le spezzavano la voce. «Ci andremo insieme…»
   Indiana Jones lasciò cadere la mano. Le rivolse quello che parve un cenno d’intesa, poi chiuse gli occhi e reclinò la testa.
 
   
 
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