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Autore: moira78    12/11/2021    5 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Yesterday
All my troubles seemed so far away
Now it looks as though they're here to stay
Oh, I believe in yesterday
Suddenly
I'm not half the man I used to be
There's a shadow hangin' over me
Oh, yesterday came suddenly
Why she had to go, I don't know, she wouldn't say
I said something wrong, now I long for yesterday
Yesterday
Love was such an easy game to play
Now I need a place to hide away
Oh, I believe in yesterday

(Ieri, tutti i miei guai sembravano lontanissimi,
Adesso sembrano quasi che stiano di casa qui,
Oh io credo in ieri.
Improvvisamente, non sono l'uomo che ero,
C'è un'ombra che sta sopra di me.
Oh ieri è venuto improvvisamente.
Perche lei se n'è dovuta andare?
Non so, non l'ha voluto dire.
Ho detto qualcosa di sbagliato,
Ora bramo ieri.
Ieri, l'amore era una facile partita da giocare,
Ora, ho bisogno di un posto dove nascondermi lontano da tutti,
Oh, io credo in ieri)
 
(Beatles - Yesterday)
 
***
 
Hello darkness, my old friend
I've come to talk with you again
Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence
In restless dreams I walked alone
Narrow streets of cobblestone
'Neath the halo of a street lamp
I turned my collar to the cold and damp
When my eyes were stabbed by the flash of a neon light
That split the night
And touched the sound of silence
 
(Ciao tenebre, mie vecchie amiche
Sono venuto a parlare di nuovo con voi
Perché una visione dolcemente strisciante
Ha lasciato i suoi semi mentre dormivo
E la visione che è stata piantata nel mio cervello
Rimane ancora
Nel suono del silenzio
Nei sogni inquieti ho camminato da solo
Strette strade di ciottoli
Sotto l'alone di un lampione
Ho alzato il bavero contro il freddo e l'umido
Quando i miei occhi furono trafitti dal lampo di una luce al neon
Che spaccava la notte
E ha toccato il suono del silenzio)
 
(Paul Simon -The sound of silence)

***
 
 
Durante la lettura, consiglio l'ascolto di entrambe le canzoni, di cui non ho potuto inserire il link sul sito: Yesterday dei Beatles e The Sound of Silence nella versione di Simon & Garfunkel. Ve lo dico perché sono quelle che ho ascoltato io mentre scrivevo :-)  

 
Il primo incontro

Il dottor Martin bussò alla stanza e gli rispose la voce agitata di Albert: non ricordava di averlo mai visto così nervoso. Persino quando era senza memoria trasmetteva un senso di serenità e pacatezza che s'irradiava alle persone che aveva intorno.

Ora, vestito di tutto punto con quel kilt scozzese e la cornamusa che gli tremava nella mano, sembrava un ragazzino al primo appuntamento. Non era mai stato padre, ma provò un moto d'affetto verso di lui e si avvicinò per aggiustargli la giacca e il mantello: "Ti sei ricordato di quella cosa?".

Sul viso di Albert si disegnò per un attimo il panico e abbandonò la sua postazione davanti allo specchio per frugarsi nelle tasche. Donald alzò gli occhi al soffitto: il giorno prima sembrava così organizzato, quando gli aveva riferito di volersi cambiare lì alla clinica per evitare che i bambini curiosi potessero seguirlo, che ora gli sembrava impossibile che si fosse dimenticato un passaggio così importante.

Finalmente, emise un sospiro di sollievo: "Eccolo, ce l'ho", disse tirando il medaglione fuori dalla tasca dello sporran. Pensò che somigliava a uno sposo che tema di aver perduto il proprio anello nuziale, ma lo tenne per sé. Chissà se un giorno la scena si sarebbe ripetuta in quel senso...

L'uomo si ritrovò a sperarlo ardentemente.

"Bene, ora ricordati due cose importanti", disse mettendoglisi di fronte e guardandolo con attenzione dal basso in alto, visto che lo superava di parecchio in altezza.

"Quali?", fece lui con una nota d'ansia.

"Primo, rimani calmo e non farti troppe illusioni. Secondo, respira o morirai d'ipossia", rispose contando sulle dita.

"Allora sono tre cose", ridacchiò Albert cercando di stemperare la sua stessa tensione. Diamine, si stava innervosendo anche lui! "Calmo, nessuna illusione e... respirare", concluse prendendo aria a lungo.

"Ok, ok, non andarmi in iperventilazione, però", si raccomandò dandogli dei colpetti sul petto. "Io torno dai miei pazienti, ma sarò qui ad aspettarti. Puoi farcela".

Albert annuì e uscì dalla Clinica Felice a testa alta. Donald lo vide avviarsi verso la Collina di Pony, dove gli aveva raccontato tutto fosse iniziato, camminando eretto come un soldato che stia andando al fronte.

Sperò solo che trovasse la forza di andare avanti se tutto fosse andato storto. Non gli era mai parso un uomo vulnerabile, ma non poté fare a meno di pensare che sarebbe bastato un rifiuto di Candy a farlo andare in mille pezzi.

E, forse, era proprio un rifiuto quello che stava per affrontare.
 
- § -
 
Candy respirò l'aria pulita della collina godendosi il venticello leggero. Cominciava a sospettare il motivo per cui Albert le aveva chiesto di vedersi proprio lì e iniziò a sentirsi un po' agitata.

È stato qui che ci siamo conosciuti, ma io ero solo una bambina.

Forse voleva parlarle più nel dettaglio di quello che era successo, farle vedere qualche altro luogo lì vicino e in lei ricominciarono a rincorrersi timori e aspettative. Di nuovo, provò il brivido di trovarsi sull'orlo di quel precipizio, a fissare un abisso che poteva emettere una luce abbagliante come un'oscurità profonda.

E lei non era pronta a farsi inghiottire da nessuna delle due cose.

Aveva bisogno di stare sola con se stessa per trovare quel coraggio e, per un istante, pensò che fosse meglio fuggire subito. Se era fortunata, Albert non l'avrebbe trovata.
Risoluta, incapace di soffermarsi a pensare che sarebbe praticamente scappata senza bagagli e senza soldi, scattò in piedi e cominciò a camminare con passi veloci, ma un suono poco distante la fece bloccare.

La cornamusa... le famose lumache che strisciano... oh, no...

Era ancora in tempo per andarsene, forse lui non l'avrebbe seguita e avrebbe capito. Ma allora perché i piedi rimanevano fermi sul terreno e il corpo sembrava gelato in quella posizione?

Devo andarmene di qui, ora! Questa melodia... questa melodia è...

Non era triste, ma c'era qualcosa di struggente che le fece salire, suo malgrado, le lacrime agli occhi. Il ricordo era così vivido che l'accecò: Annie se n'era andata e lei stava gridando e piangendo ad alta voce, sfogando tutta la sua frustrazione lì, dove pensava di essere sola.

Incapace di reggersi sulle gambe, appoggiò la spalla al grande albero.

Papà albero.

Scivolò giù, in un pianto silenzioso, sentendosi spezzare il cuore ma senza altre immagini da evocare. Il ricordo si era fermato lì e rimaneva il dolore, nudo e crudo. Albert adesso era vicino, la cornamusa le indicava che li separavano solo pochi passi.

Non riuscì ad alzare gli occhi su di lui, troppo concentrata su quella sensazione di disagio che la stava inondando, ma qualcosa attirò la sua attenzione.

Un tintinnio, leggero e quasi impercettibile, in mezzo al suono forte dello strumento. Aprendo gli occhi scoprì che a terra, vicino alla sua mano, c'era una specie di medaglione con una campanella attaccata: sembrava un fiore su cui si fosse posata un'aquila. Sopra spiccava la lettera "A".

Candy lo fissò senza capire, l'onda che l'aveva appena travolta di nuovo in agguato dietro di lei. Allungò una mano per toccarlo e la ritrasse come se scottasse. Quando finalmente alzò gli occhi, vide Albert vestito come uno scozzese: aveva smesso di suonare e la stava guardando con infinita dolcezza.

"Ragazzina, sei molto più carina quando ridi che quando piangi".

Non respirava più, non ce la faceva. Il nodo le stringeva forte la gola e nuove lacrime le scesero sulle guance. Non poteva sopportare quel volto pieno di tenerezza e speranza, quegli occhi lucidi e quel sorriso incerto un secondo di più.

Con un altro scatto improvviso, si tirò in piedi prendendo in mano l'oggetto che doveva aver lasciato cadere lui.

"Adesso che hai ricreato la scenetta del nostro primo incontro ti senti soddisfatto?", chiese più duramente di quanto avesse voluto. Era furiosa con lui per averla voluta forzare a quel modo. Ed era furiosa con se stessa perché la sua espressione, simile a quella di un uomo che abbia ricevuto un pugno nello stomaco, la stava ferendo più di ciò che era consentito.

"Io... io...", tentò lui. Le parve di nuovo di trovarsi di fronte all'Albert vulnerabile di Chicago e questo la scosse ancora di più.

"Tu che cosa?! Pensavi davvero che con questa pagliacciata sarebbe cambiato tutto di colpo? Beh, mi dispiace deluderti, ma non funziona! Mi sento come se tu mi avessi buttata di peso in un fiume per insegnarmi a nuotare!", gridò asciugandosi gli occhi con rabbia e sbattendogli in mano il medaglione.

Per un attimo, pensò che lui avrebbe di nuovo gettato via quella maschera composta mostrandogli il suo dolore e temette che ciò l'avrebbe fatta vacillare ancora di più. Invece, la sua espressione divenne dura: non l'aveva mai guardata in quel modo.

"Hai ragione, Candy, ma sai una cosa? Non volevo lasciare nulla d'intentato. Ora so che quella che ho davanti non è più la stessa ragazzina che ho incontrato quando ero un adolescente. Ormai sei una donna e puoi fare le tue scelte, anche se non hai memoria". Si rimise in tasca il piccolo oggetto e fece un passo indietro.

Si sta allontanando lui da me...?

"Mi dispiace, Albert. Ho bisogno di trovare la mia strada, non sono più la tua Candy... la vostra Candy. Ti sono grata per esserti occupato di me, davvero. Ma ora devi lasciarmi andare". Le emozioni si erano affievolite e, tra lei e quell'uomo così bello dagli occhi di ghiaccio, stava riuscendo ad innalzare quel muro che le consentiva di riprendere il controllo.

"Non ho mai voluto trattenerti con la forza, Candy. Mai. Ti chiedo perdono se mi sono comportato come un ragazzino immaturo qualche volta, neanche io conoscevo questo lato di me. Ti chiedo solo una cosa: sii felice, perché conta solo questo per lo stupido sentimentale che hai davanti, capito?". Lo aveva detto con una serietà che la spiazzò.

Mi ama a tal punto anche lui? Perché allora mi ha sempre mentito?

O protetta.

Perché il suo amore non mi ha guarita?

Ho troppa paura della verità...

Voci contrastanti si rincorrevano nella sua testa, cominciando a sbriciolare il muro. Ricomponendolo, frantumandolo e ancora erigendolo più alto di prima.

Che cosa mi sta succedendo?

Fu lui a trarla d'impaccio, tendendole la mano in un gesto di fredda cortesia: "Addio, Candy. Salutami Terence, se lo rivedi", disse fulminandola con lo sguardo.

Lei strinse quella mano ignorando la scossa elettrica che parve attraversare i loro palmi.

Albert le rivolse un'ultima, intensa occhiata e se ne andò davvero.

L'aria, prima densa di quella musica

le lumache che strisciano

ora era silenziosa.

Candy era libera, aveva preso la sua decisione e non avrebbe più rivisto nessuno che non desiderasse vedere. Neanche lui.

Il cuore era leggero, ma le gambe pesanti e per un attimo temette di cadere.

Era questo che volevi, no?

Sì.

Non provare pena per lui. Gli hai dato la possibilità di provarci. L'hai data a te stessa. Non sei pronta, basta pensarci.

Ormai lui era così lontano che sembrava un puntino più scuro nel verde brillante della natura. Come al rallentatore, Candy cominciò a sua volta a camminare verso la Casa di Pony: avrebbe atteso che fosse passato quel dannato mal di testa e poi sarebbe partita. Non era certa che sarebbe riuscita a rimanere fino al giorno dopo, non con Albert sotto lo stesso tetto.

Hai paura di lui o di te stessa?

Basta!

Colma di rabbia, pervasa da una nausea crescente, Candy ridiscese dalla collina e tornò a casa per l'ultima volta.
 
- § -
 
Albert afferrò il berretto e se lo tolse con stizza, gettandolo a terra con malagrazia.

Sono un idiota romantico e illuso!

Aveva pensato davvero che inscenare il loro primo incontro sulla Collina di Pony come in un film strappalacrime l'avrebbe riportata indietro? E che ripeterle la frase magica avrebbe avuto un effetto altrettanto magico su di lei?

Bene, nulla di più lontano dalla realtà: non era né una specie di mago, né un principe azzurro che sveglia la sua principessa con un bacio.

Era un mero idiota.

Ridacchiò nervoso mentre, con gesti altrettanto secchi, procedeva a togliersi le scarpe, i calzini e quel kilt che aveva portato sperando potesse funzionare come una sorta di veste dotata di poteri soprannaturali.

Infilò i suoi soliti pantaloni comodi e una camicia e, proprio mentre la stava abbottonando, imprecando perché aveva sbagliato a combinare i bottoni con le asole corrispondenti, bussarono alla porta.

"Chi è?!", domandò in un ringhio, mordendosi la lingua subito dopo.

Di certo non è Candy che si getta fra le mie braccia dicendomi che si ricorda di me. Imbecille.

Infatti era il dottor Martin, che lo squadrò dalla testa ai piedi: "Devo dedurre che non è andata come speravamo, sulla vostra collina", disse in tono neutro.

"Non è più la nostra collina", rispose furioso e forse persino infantile, riuscendo finalmente a chiudere la camicia e afferrando la giacca, che indossò lasciandola aperta.

L'uomo guardò la cornamusa che aveva poggiato su una sedia e sedette su un'altra: "Quindi non c'è altro da fare, vero?".

Un'altra risatina scomoda. In realtà voleva solo urlare, piangere e battere i pugni al muro come un ragazzino: "Direi di no". Albert si rese conto del tono che stava usando e cercò di moderarlo: "Mi scusi, sto sfogando su di lei la mia frustrazione".

"Non preoccuparti, ragazzo. Sono deluso quanto te. Ora che farai?", gli domandò mentre lui riponeva il kilt nella sacca da viaggio senza troppa cura, con gesti secchi e rabbiosi. Si sentiva davvero un adolescente deluso.

"Ora me ne torno a Chicago a continuare con i miei doveri e la mia vita, mentre lei se ne va a cercare Terence e poi si mette a girare il mondo. La storia della nostra vita, no?", disse cominciando a sentire la gola stringersi.

Dannazione!

Il buon dottore si limitò a osservarlo mentre richiudeva la borsa. Stava cercando disperatamente di trattenere le sue emozioni come aveva fatto il giorno in cui George era entrato nel suo studio per annunciargli con quel telegramma che Candy era morta, ma fu tradito da una singola lacrima che asciugò in fretta, nella speranza che lui non se ne accorgesse.

Dopo tutto quello che avevano passato e le illusioni che aveva nutrito, la corazza era definitivamente rotta. Ci sarebbe voluto tempo, molto tempo per ricostruirla davvero e tornare a una parvenza di normalità.

"Albert...", tentò il dottor Martin, ma lui scosse la testa.

"Me la caverò, stia tranquillo. Ho passato di peggio. D'altronde, Candy è viva e sta bene, almeno a livello fisico. Un giorno, magari, la rivedremo". Si mise la sacca sulla spalla. "Grazie per tutto quello che ha fatto, dottor Martin. Tornerò a trovarla".

Gli regalò il fantasma di un sorriso e lui ribatté: "Sicuro di non aver bisogno di un goccio di whisky, prima di partire?".

Titubò un solo istante, prima di rispondere: "No, grazie. Devo guidare e devo... restare lucido". Ci sarebbe mancato solo che si mettesse al volante con la mente annebbiata dall'alcool provocando un incidente.

Avrebbe rischiato la galera. O la morte.

Sperava solo che nessuno lo notasse mentre andava a riprendere la macchina. Gli dispiaceva scappare di nuovo come un ladro, ma non voleva vedere nessuno. Non voleva rispondere a nessuna domanda, né scorgere la compassione nei volti degli altri.

Voleva restare solo e raccogliere i cocci, sperando di non impiegare troppo tempo a rimetterli insieme. Aveva una famiglia a cui pensare e un'azienda da gestire.
 
- § -
 
Candy sentiva gli occhi di tutti addosso a sé e, se non fosse stato per quel malessere che le faceva venir voglia di vomitare, sarebbe andata via subito. La macchina di Albert era ancora parcheggiata lì vicino ma lui, per fortuna, non c'era.

Non ancora.

"Va tutto bene, tesoro?". Suor Lane?

"Ehi, capo, hai la faccia di una che abbia visto un fantasma!". Jimmy?

Confusa e stordita, forse persino febbricitante, Candy accelerò il passo e arrivò in tempo nella nuova ala della casa dove c'era il bagno. Si chinò sul water, come non le capitava ormai da tempo e svuotò dolorosamente lo stomaco, mentre sembrava che la testa si spaccasse in due.

Maledizione a lui e a quell'idea geniale che aveva avuto! Ecco il risultato!

Mentre si lavava il viso con l'acqua fredda, sentì una presenza all'entrata del bagno e vide Miss Pony in piedi, con un asciugamano tra le mani. Glielo porse e lei lo prese senza dire una parola: "Vai a riposare nella tua stanza, Candy. Hai bisogno che chiamiamo un medico?".

Scosse la testa, lentamente. Le pulsava dalle tempie alla nuca: "Appena mi sentirò meglio andrò via. Forse addirittura entro stasera".

Le rughe sul volto gentile della donna s'incresparono dietro gli occhiali in un'espressione di profonda tristezza: "Sei sicura di quello che stai facendo, piccola Candy? So che ne abbiamo parlato, ma...".

"Sono sicura", l'interruppe lei. "La prego, Miss Pony. Ho preso la mia decisione e non tornerò indietro. Vi verrò a salutare prima di partire", concluse uscendo e superandola.
"Va bene", la udì dire a bassa voce, sconfitta.

Si chiuse nella stanza che le avevano assegnato e si gettò di peso sul letto, sfinita come se non avesse dormito affatto la notte precedente.

In un gesto istintivo, tirò fuori dalla valigia lì accanto quel piccolo carillon, dono del suo amico Stair, e lo aprì. Il suono, leggero e confortante, la accompagnò però in un sonno tormentato.

L'obliò la risucchiò, l'abbracciò con mani gelide nonostante la stagione calda, l'avvolse in carezze sgradite. Il tempo divenne relativo mentre perdeva lentamente la coscienza di se stessa.

Si sentì come se stesse per morire.

"Staremo sempre vicine e non ci lasceremo mai!" Mi dice un'Annie bambina mentre corriamo mano nella mano lungo i prati della Casa di Pony.

Sono felice, spensierata. Sono tornata bambina anche io e tutto è bello.

Da quassù potrò vedere Annie mentre va via più a lungo, penso arrampicandomi su Papà Albero con una velocità che fa gridare di terrore Miss Pony e suor Lane.

Annie se n'è andata e io sono seduta sulla Collina di Pony con la testa fra le ginocchia, piangendo amaramente e desiderando avere a mia volta una mamma e un papà. Invece, poco dopo arriva lui.

Lui.

"Ehi, piccola, che ti succede?".

"E tu chi sei? Un fantasma oppure un marziano?".

"Lo sai, piccola? Sei più carina quando ridi che quando piangi".

Il ragazzo è seduto su un lato del cancello, appollaiato pigramente a guardarmi. Lo chiamo "principe", strappandogli una risata sincera.

Oh, Anthony, anche se non sei tu il Principe della Collina, com'è dolce provare queste emozioni nel mio cuore, come è bello innamorarmi di te e perdermi nei tuoi occhi profondi! Anthony...

Il fiume... dove porterà il fiume? Ho deciso di salire sulla barca, desidero tornare alla Casa di Pony, non voglio rimanere un minuto di più in casa Lagan.

La corrente! La cascata! Non voglio morire! Acqua, buio, luce. Un volto coperto da barba e baffi, occhiali scuri.

Lui.

Lui mi ha salvato la vita.

"Anche tu sei senza casa come me, Albert?". Sono felice, lo sento così vicino! "Sono contenta di avere incontrato qualcuno come me!".

"Se per caso volessi rivederti... che devo fare?". Gli chiedo.

"Quando soffia il vento del sud, metti un messaggio in una bottiglia... capito? Se ti capita di essere triste manda la bottiglia!".

Il bosco, la radura, i cavalli. Anthony si volta verso di me e sorride. Poi accade. Il cavallo s'imbizzarrisce e lui cade, il suo volo sembra infinito ed è la stessa cosa che è accaduta a me quel giorno: ho rischiato di morire proprio come lui.

Forse lo sono e tutta la mia vita fino ad oggi è stata un inferno nel quale sono precipitata.

"Anthony ti piaceva, vero Candy?", mi chiede Albert mentre piango fra le sue braccia.

Il suo calore è confortante. Anche senza che io lo abbia cercato, lui è venuto per me e mi sta consolando, mi sta salvando di nuovo.

Lui...

Sono a Londra. Terence... Terence è ferito e io devo trovare una farmacia. Vago per le vie buie e sento che lui mi chiama.

Lui, di nuovo lui...

Albert mi vede, mi riconosce, volo ancora fra le sue braccia. È meraviglioso che sia qui proprio ora che ho bisogno di aiuto!

Lo zoo Blue River, dove lavora, le gite con Terry, Patty e gli altri... La Scozia, la sua lettera che mi parla dell'Africa.

L'Africa...

Ho una divisa da infermiera, devo ancora diplomarmi e nel corridoio spingono una barella. Il malato è Albert, sembra morto, è vittima di un'esplosione... è senza memoria.

Quando si volta per guardarmi, la prima volta che entro nella sua stanza e lui è sveglio, il suo sguardo freddo mi colpisce al cuore. Voglio aiutarlo, voglio stargli vicino. Non voglio che se ne vada, ma lui scappa dall'ospedale e lo cerco, continuamente, disperatamente.

Lui non si ricorda di me e vuole fuggire per ritrovare se stesso. Come volevo fare io.

Ma riesco a convincerlo a restare e la casa in cui viviamo è piccola ma piena del suo calore. Lui cucina, è bravo in tutto e si prende cura di me in ogni modo possibile...

Lui...

Sono tornata da New York... ho la febbre, sono disperata perché Terence e io ci siamo lasciati e...

Tu...

Le tue braccia sono il mio rifugio. Sento la tua voce, mentre mi addormento fra le lacrime, che sussurra: "Vorrei tanto vederti felice...". Le tue mani calde mi accarezzano il viso, asciugando il mio pianto.

Il leone... un leone è fuggito e mi sta per attaccare. Ti metti in mezzo, mi salvi di nuovo la vita, vieni ferito e io tremo al solo pensiero che avresti potuto...

Tu... sempre tu...

Mi sono fatta incastrare da Neal, mi ha attirata fuori città con l'inganno. Sono a piedi, è notte e non so come tornare a casa. Ho paura. Ma tu sei lì, ancora una volta sulla mia via, e dormo fra le tue braccia, al sicuro.

Le voci dei vicini mi feriscono, parlano di te come di un delinquente ma io so che non è vero e ti difendo. Poi scompari e sono disperata. Sono sola, mi manchi tanto...

Tu... tu... sei sempre stato tu.

Il mio prozio William. Il mio Principe della Collina. Il mio Albert, che c'è sempre stato per me. L'uomo del quale mi sono innamorata senza neanche accorgermene.

Le tue lettere, le tue visite dopo un lungo viaggio, i tuoi regali per il mio compleanno... La sera di quel ballo quando mi hai confessato i tuoi sentimenti come un ragazzo dolcemente timido.

Io, che come una stupida me ne vado a New York per essere sicura di ciò che il mio cuore già sa. Ma lo devo a Terry, glielo devo...

Il nostro incontro, di nuovo sulla collina. Le tue lacrime, il nostro primo bacio, l'inizio di un sogno che diventa un incubo. 

Questa donna non sono io. Ho paura di te... di te! Il mio caro Albert, colui che è sempre stato nell'ombra ma mi ha sempre sostenuta, colui di cui temevo quel sentimento così forte che mi faceva vacillare.

Ma il mio reale timore era perderti.

Perderti come ho perso Anthony. Perderti come ho perso Terry. Se avessi perso te avrei perso anche la voglia di vivere.

Ora lo so. Ora lo capisco.

Invece ti ho addossato colpe che non avevi, la mia mente malata e distorta ha attribuito a te responsabilità che non avevi. Persino la morte di Anthony, per la quale abbiamo pianto insieme quel giorno...

Dio... Dio mio, cosa ti ho fatto... Albert, Albert!

Candy aprì gli occhi di scatto. Fuori c'era il sole. Un sole troppo alto per essere quasi pomeriggio.

Si precipitò fuori dal letto e guardò freneticamente dalla finestra.

L'auto di Albert non c'era più.
   
 
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