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Autore: IndianaJones25    13/11/2021    2 recensioni
Gli anni sono trascorsi, lenti ma inesorabili. Anche per il professor Henry Jones, Jr. sembra essere giunto il momento di appendere la frusta al chiodo e di dire addio alla vita avventurosa. L’intrepido archeologo giramondo, ormai, è diventato un anziano signore che porta addosso i segni, i dolori e i ricordi dolceamari della sua spericolata vita passata.
Ma c’è ancora chi sembra avere bisogno di lui e Indiana Jones non è certo il tipo da tirarsi indietro dinanzi a una minaccia che potrebbe sconvolgere il mondo intero. Così, in compagnia di sua figlia Katy, di una giovane bibliotecaria e di un prete dal grilletto facile, Indy torna a impugnare la frusta e si getta a capofitto in un’ultima impresa, al cui termine potrebbe trovare la speranza di un nuovo inizio oppure una disastrosa rovina.
La lotta sarà difficile e insidiosa, perché l’ultimo vero nemico di Indiana Jones non saranno eserciti o folli invasati, ma proprio la sua irresistibile voglia di avventura…
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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   17 - Il giorno dopo
 
   L’operazione era stata lunghissima, interminabile, difficile. Per essere portata a termine, aveva richiesto tutta la notte. Il cielo, a oriente, si stava ormai tingendo di violetto per l’imminenza dell’alba. Don Mavro e la signora vegliavano ancora, mentre le due figlie del medico si erano abbandonate sulla panca, fiaccate dal sonno. Anche Katy sonnecchiava, con Valerija appoggiata sulla sua spalla, ma i suoi occhi si riaprirono di colpo quando la porta dell’ambulatorio si aprì e ne uscì il dottor Obradovic.
   Era sfinito. Il volto, terreo per la stanchezza, era solcato da lunghissime ombre. Aveva i capelli sottosopra, i baffi che cadevano molli agli angoli della bocca, la fronte imperlata di sudore. Tuttavia, i suoi occhi erano illuminati dalla serenità e le sue labbra riuscivano persino a tendersi in un sorriso incoraggiante e speranzoso.
   Katy, nel vederlo, scattò in piedi, facendo sobbalzare Valerija che, però, fu subito al suo fianco. Anche don Mavro si alzò e la signora Obradovic si affrettò a svegliare le due figlie.
   La giovane Jones guardò il medico, incapace di proferire verbo. Lui annuì.
   «L’operazione è stata complicata, perché ho dovuto ricucire… insomma, ho avuto il mio bel da fare. Ma è andata bene» disse, in tono bonario. «A meno di un’infezione imprevista, che comunque tenderei a escludere in tutte le maniere, il professor Jones è salvo, anche se avrà bisogno di parecchio riposo per rimettersi. Ha un fisico davvero robusto e una tempra molto resistente, non sembra per niente un uomo della sua età, gli darei almeno vent’anni di meno.»
   Katy si sentì invadere dal sollievo e le gambe le divennero molli dalla felicità.
   «Dottore… gra… grazie…» balbettò.
   Il medico, con i suoi modi spicci, fece un brusco cenno, quindi si avvicinò a un acquaio d’angolo e si lavò la faccia spruzzando gocce fredde tutto attorno.
   «Possiamo vederlo?» domandò don Mavro.
   «È fuori discussione» replicò il medico, perentorio. Prese uno strofinaccio e lo usò per asciugarsi il viso. «Oltretutto, gli ho somministrato un sonnifero. Dormirà almeno…» gettò un’occhiata alla pendola, «…fino a mezzogiorno.»
   Fece un gesto alla moglie.
   «Ðurada, per favore, dovresti mettere a bollire una gallina bella grassa» le comunicò. «Il professor Jones, quando si sveglierà, avrà bisogno di qualcosa di sostanzioso ma leggero, quindi gli daremo una tazza di brodo, tanto oggi quanto stasera. Domani mattina, poi, potrà mangiare un po’ di carne. Per il momento niente verdure o frutta.»
   Quelle poche parole furono scambiate in serbo. Subito, però, vedendo la confusione regnare sul volto di Katy, don Mavro si affrettò a tradurle per lei. Questa notizia rese ancora più felice la ragazza, perché se il medico già pensava alla dieta per suo padre, significava che stava bene per davvero.
   «E ora» disse il medico, soffocando a stento uno sbadiglio, «se non avete più bisogno di me, io me ne andrei a letto per un’ora, prima di cominciare a fare il mio solito giro di visite in paese. Ci sono già stati i primi casi di influenza e ho un sacco di lavoro da fare, più tardi.» Lanciò un’occhiata a Katy, Valerija e a don Mavro, che apparivano ancora più stanchi di quanto non fosse lui. «E anche voi tre fareste meglio ad andarvene a dormire. Non vi reggete in piedi.»
   Don Mavro annuì stancamente e, dopo aver mormorato qualche parola, si affrettò ad entrare nella piccola stanza che gli era stata messa a disposizione, quella riservata agli ospiti. Le due ragazze, invece, si sarebbero dovute accontentare di dividere l’ampio letto in cui dormivano le due figlie più giovani del dottore – la grande, quella che lavorava come infermiera, aveva un proprio stanzino comunicante con l’ambulatorio, per essere sempre vicina ai pazienti.
   Guidate da Fata e Aleksandra – era questo il nome della ragazza venticinquenne – Katy e Valerija raggiunsero la camera, che si trovava sul retro della casa.
   Le pareti di pietra erano molto spesse, e l’ambiente era caldo e confortevole. Il pavimento di piastrelle in cotto era coperto da un ampio tappeto di lana verde finemente intrecciata. Nel centro della stanza, con la spalliera accostata alla parete, si trovava un vasto lettone coperto da una trapunta di vari colori in cui, stringendosi un poco, avrebbero potuto dormire comodamente tutte e quattro. Katy, comunque, si sentiva talmente stanca che sarebbe riuscita ad addormentarsi anche sul pavimento.
   Mentre le due ragazze si occupavano di disfare le coperte e di chiudere le ante per schermare la luce del sole che ormai si stava alzando nel cielo, Katy sedette sopra una seggiola e cominciò a slacciarsi gli anfibi. Dopo esserseli tolti, sfilò il giubbotto e i jeans, restando con indosso soltanto la canottiera e le mutandine. Per quello che la riguardava, si sarebbe sbarazzata volentieri anche di quegli indumenti, sporchi e sudati, ma non sapeva come avrebbero reagito le due padrone di casa e titubò con le dita infilate nell’elastico delle mutande.
   Con sua sorpresa, però, notò che Aleksandra e Fata, anziché apparire imbarazzate, stavano sorridendo. La più piccola tirò il primo cassetto di un mobile e ne estrasse due lunghe vestaglie da notte color albicocca, una per Katy e l’altra per Valerija, che aveva a sua volta iniziato a spogliarsi. Le due amiche, così, poterono finire di togliersi di dosso anche la biancheria e furono presto pronte per entrare nel letto.
   Anche le due sorelle le imitarono, spogliandosi senza disagi, e Katy, per quanto cascasse dal sonno, non riuscì a trattenersi dal guardarle e dal riconoscere mentalmente quanto fossero belle e affascinanti. Si morse il labbro, sperando che Valerija non l’avesse notata. L’altra ragazza, comunque, si era resa conto dei suoi sguardi, ma sorrideva divertita. Nondimeno, quando si infilarono nel letto, con Aleksandra sul lato sinistro e Fata in mezzo, Valerija fece in maniera di essere lei a sdraiarsi accanto a quest’ultima, e tenne Katy tra sé e la sponda di destra.
   Si mossero un po’, cercando una posizione più comoda e urtandosi a vicenda con dei risolini sommessi. Era incredibile come sembrasse naturale, alle due sorelle, ospitare nel loro letto due perfette sconosciute. A Katy quella sensazione piaceva, la faceva sentire benvoluta. E poi c’erano quegli odori di donna che si mischiavano tutti insieme e le pungevano le narici, donandole un senso di benessere interiore che non sarebbe stato possibile spiegare a parole.
   La mano di Valerija, nascosta sotto le coperte, sfiorò la coscia liscia di Katy e la accarezzò. I loro piedi si incontrarono e si intrecciarono. Le due giovani, senza che le sorelle se ne accorgessero, si scambiarono un rapido bacio sulle labbra.
   Finalmente tutte e quattro si quietarono e, presto, il silenzio del sonno calò sulla stanza.

 
* * *

   Disteso a letto, Indy teneva lo sguardo fisso sulla finestra. In mezzo alle nuvole che si addensavano, si scorgevano ancora degli sprazzi di cielo azzurro, al di sotto dei quali la foresta pennellata di rosso e di giallo stormiva placida. Le montagne in lontananza si innalzavano ripide e fredde, in attesa che le prime nevi giungessero a imbiancarne le cime.
   Si sentiva debolissimo, ma il dottor Obradovic, che era passato a visitarlo poco prima che sua moglie gli facesse bere una tazza di brodo caldo, gli aveva assicurato che si sarebbe stupito del contrario.
   «C’è andato davvero vicino, professor Jones» gli aveva detto, senza bisogno di specificare a che cosa stesse alludendo.
   «Ne è sicuro?» aveva borbottato l’archeologo, la testa bassa e gli occhi rivolti verso di lui.
   «Nella maniera più assoluta» ribadì il medico. «E, anzi, lasci che le dica che, se avessi tardato anche solo di altri cinque minuti per operarla, non avrei potuto fare nulla. La sua vita era davvero appesa a un filo.»
   Un sogghigno si allargò sul volto di Jones.
   «Be’, sono ancora qui, dottore, e lo devo soltanto a lei.» Fece un cenno con il capo. «Grazie.»
   «Non c’è di che» borbottò Obradovic, alzandosi dalla sedia su cui era rimasto seduto fino a quel momento. «In ogni caso, presumo che lei sappia che cosa sto per dirle: con quella vita ha chiuso. D’ora in poi, professor Jones, se ne dovrà stare seduto in poltrona, con una coperta sulle gambe e un buon libro in mano. Non si azzardi più a rimettersi a giocare all’avventuriero, perché non rispondo della sua vita, altrimenti. Lei non è più un giovanotto, ed è ora che se ne renda davvero conto.»
   Starsene fermo su una poltrona per il resto dei suoi giorni… quelle parole continuavano a risuonare nella mente di Indy. Che razza di vita sarebbe stata, quella? Per uno come lui, abituato a viaggiare di continuo per il mondo, non sarebbe stata per niente vita. Sarebbe stata semplicemente una lunga agonia in attesa della morte.
   Riconosceva che, con il trascorrere degli anni e con l’aumentare dei dolori, aveva dovuto rallentare parecchio il ritmo e, soprattutto, rinunciare a lanciarsi in imprese folli come in passato. Tuttavia, questo non era stato sufficiente a fermarlo e, di sovente, partiva ancora per qualche amena località per compiervi una ricerca di qualche tipo. Rimanere fermo troppo a lungo nello stesso posto lo avrebbe ucciso, di questo non aveva il minimo dubbio.
   Obbedire all’ordine del dottor Obradovic, allora, sarebbe equivalso a un suicidio. A che cosa sarebbe servito prolungare la propria esistenza di ancora qualche anno, se anziché vivere un po’ di più sarebbe soltanto morto molto lentamente? Una vita sedentaria, da vecchio, non faceva per lui. Non avrebbe tollerato di trascorrere i suoi giorni futuri seduto su una poltrona, accudito e riverito da tutti, in attesa di andare a dormire una sera e non svegliarsi più al mattino. Piuttosto, avrebbe preferito lanciarsi di nuovo in una folle impresa e farsi mandare all’altro mondo da una scarica di mitra, oppure precipitando in un dirupo e altre fantastiche cose del genere. Non riusciva davvero a immaginare un’uscita di scena ordinaria, per se stesso.
   Provò a cambiare posizione, ma non ci riuscì. Il solo provare a muoversi nel letto gli procurò una fitta lancinante al ventre appena ricucito. Un dolore che andò a sommarsi a quelli della schiena e delle braccia, che erano tornati a farsi sentire di prepotenza.
   Gemette, improvvisamente colto dallo sconforto più nero e atroce.
   Poteva dirsi convinto di quello che voleva, ma la verità era una e una soltanto: il suo corpo non andava di pari passo con i suoi pensieri. Poteva pensare di voler vivere ancora a cento all’ora come un tempo, ma doveva fare i conti con la dura realtà, che gli si stava parando innanzi come un mostro orribile, a cui nemmeno lui sarebbe stato in grado di sottrarsi.
   Però… forse c’era un modo per fermare tutto questo.
   Il suo sguardo cadde al comodino accanto al letto. La mappa di Barbarigo era stata appoggiata lì, tenuta ripiegata da un sasso usato come fermacarte.
   Cercò di prenderla, ma il solo allungare il braccio gli procurò un crampo alla schiena che, per poco, non gli strappò un urlo di dolore. Lasciò perdere quell’impresa e tornò a concentrarsi sulla finestra, stringendo gli occhi mentre gli ingranaggi del suo cervello giravano a folle velocità, cercando un piano a cui aggrapparsi.
   Se fosse riuscito a rimettersi in sesto quel tanto che sarebbe bastato a raggiungere la Fonte dell’Eterna Giovinezza, dopo tutto sarebbe stato diverso. Doveva semplicemente ignorare il medico, richiedere un ultimo sforzo al suo fisico e poi, con l’aiuto di Katy, avrebbe potuto abbeverarsi a quelle acque. Fatto questo, tutto sarebbe stato differente, se lo sentiva.
   Katy stava ancora dormendo, glielo aveva detto don Mavro, che era passato a fargli un rapido saluto dopo che aveva terminato di sorbire il suo brodo caldo.
   «Era devastata, poverina» aveva sussurrato il prete. «È rimasta in preda all’angoscia per tutta la notte. Non me la sono sentita di chiamarla per dirle che lei è sveglio.»
   «Ha fatto bene, padre» grugnì Indy. «La lasci riposare. Verrà a trovarmi più tardi.» Un sorriso amaro gli increspò le labbra. «Tanto da qui non mi muovo…»
   Il pensiero di Katy gli fece rivivere i disperati momenti in cima alla piramide. In quell’istante aveva creduto davvero di stare per morire, e aveva avuto paura. Non per sé, figurarsi – non aveva avuto paura della morte quando era giovane, non poteva certo averne adesso che era vecchissimo – ma per lei. Il terrore che lei potesse vederlo morire davanti ai suoi occhi, provocandole un trauma immenso, lo aveva fatto sudare freddo. Riteneva che ai giovani certi orrori andassero risparmiati nella maniera più assoluta. Forse anche per questo era sopravvissuto: si era aggrappato con disperazione alla vita per non creare una simile ferita interiore alla sua adorata bambina.
   Chissà se lei avrebbe acconsentito ad accompagnarlo alla Fonte o avrebbe fatto storie, asserendo come il medico che avesse bisogno di riposo. Ne sarebbe stata capace, lo sapeva. E Indy avrebbe continuato a insistere con il suo compito di distruggerla, perché non aveva il coraggio di confessarle il suo vero proposito: forse lei non avrebbe compreso il suo desiderio di tornare di nuovo giovane, e lo avrebbe trovato orribile, contro natura. In un certo senso, anche lui lo considerava tale. Dentro di lui stava avvenendo una lotta interiore tra il sogno di ricominciare tutto da capo e il pensiero che, così facendo, avrebbe perso molte più cose di quante ne avrebbe guadagnate.
   Chiuse gli occhi, spossato. Sentiva di nuovo il bisogno di dormire.
   Ci avrebbe riflettuto meglio al proprio risveglio.

 
* * *

   Era ancora ferma accanto a Valerija e a don Mavro, in mezzo agli alti alberi che svettavano dritti verso il cielo e affondavano le loro radici nel terreno che ricopriva interamente quell’antica costruzione frutto dell’ingegno umano. Suo padre distava pochi passi soltanto, non più di cinque metri, eppure sembrava lontanissimo, sospeso in un mondo infinitamente remoto che lei non era in grado di raggiungere, come prigioniero di un’altra dimensione. Lo vide muoversi piano mentre si chinava sull’uomo riverso al suolo. Il suono rintronante, sordo, prolungato, agghiacciante di uno sparo e lui cadeva. E poi un altro sparo e di nuovo cadde. E Katy gridava, cercando di impedire che succedesse, ma era impotente, cercava di muovere le sue gambe e quelle si rifiutavano di obbedirle e di farla scivolare fin là, ostacolandola nella sua corsa disperata e impossibile, e l’uomo sparava un’altra volta, e un’altra ancora, e suo padre non faceva che cadere e cadere, di continuo, sempre…
   Ansante, la ragazza riaprì gli occhi. Se li sentiva bruciare di lacrime. Le ci volle un qualche istante per capire dove si trovasse.
   Era stesa nel grande letto delle sorelle Obradovic. La camicia da notte era zeppa di sudore gelido, le si era appiccicata addosso e arrotolata fin quasi all’inguine. Una mano delicata le accarezzava i capelli. Valerija, stesa accanto a lei, che la guardava dolcemente. Le altre due ragazze, invece, non c’erano. Dovevano essersi svegliate prima e le avevano lasciate dormire in pace.
   «Io…» mormorò, deglutendo. La gola le bruciava. Aveva sete.
   «Hai avuto un brutto sogno» mormorò Valerija, senza smettere di accarezzarla.
   Katy non si domandò come facesse a saperlo. Aveva il volto bagnato e sentiva il sapore salato delle lacrime sulle labbra. Doveva aver pianto ed essersi agitata nel sonno.
   Sollevato il cuscino, si mise a sedere contro il guanciale. Sul comodino a fianco al letto notò una bottiglia di vetro piena d’acqua. L’afferrò e, svitato il tappo, se la portò alla bocca, traendone lunghissime sorsate. Il liquido fresco, scorrendole in gola, la ritemprò completamente.
   Valerija aveva smesso di accarezzarla e la osservava con aria quasi materna.
   «Come ti senti?» domandò, avvicinando la mano alla sua.
   Lei l’afferrò e se la strinse in grembo, contro la stoffa stropicciata e inumidita della vestaglia.
   «Sto bene» rispose, con voce impastata. «Dormire mi ha fatto bene.»
   «Lo credo davvero» replicò Valerija, ridacchiando. «Hai idea di che ora siano?»
   Katy si guardò attorno. Non c’erano orologi, nella camera. Provò a fissare fuori dalla finestra, ma le imposte cieche ancora serrate non lasciavano penetrare che un flebile chiarore attraverso le piccole feritoie a forma di cuore. Scosse la testa, frastornata.
   «È quasi il tramonto» rivelò l’amica, con un sorrisetto.
   La giovane Jones sgranò gli occhi per la meraviglia.
   «Siamo state a letto tutto il giorno?!» esclamò, sorpresa.
   «Sei stata a letto tutto il giorno» sottolineò Valerija, allungando la mano per solleticarle il collo. «Io mi sono alzata a mezzogiorno, più o meno. Sono arrivata giusto cinque minuti fa, per vedere se finalmente ti svegliavi, dormigliona.»
   Katy scostò di colpo la coperta, rivelando le sue gambe nude e la camicia da notte arrotolata. Gli occhi di Valerija si posarono sul suo inguine, non protetto da nessun capo di biancheria.
   «E papà?» domandò, apprensiva.
   «Don Mavro lo ha visto e hanno parlato un po’» raccontò Valerija. «Dice che sembra semplicemente convalescente da un raffreddore, più che da una ferita di quel genere. Persino il dottore è sorpreso da tanta vitalità.»
   Katy desiderava andare subito da lui, senza perdere un solo istante. Fece l’atto di volersi alzare, ma l’amica la trattenne, posandole la mano sulle gambe.
   «Aspetta, ora sta dormendo» disse. «È per via dell’antibiotico e dell’antidolorifico che gli ha somministrato il dottor Obradovic, dice che è assolutamente normale che provochino sonnolenza. La signora ha l’incarico di svegliarlo per la cena.»
   Si spostò tra le sue gambe e le spinse la vestaglia fino all’ombelico.
   «E, siccome alla cena mancano ancora due ore, abbiamo tutto il tempo per prenderci un antipasto insieme.»
   Katy parve sul punto di protestare. Valerija le fece cenno di non parlare.
   «Sei ancora troppo tesa, amore mio, e bisogna che qualcuno ti faccia capire che va tutto per il meglio. Rilassati.»
   Valerija appoggiò le mani tra la cosce dell’amica, divaricandogliele con garbo e insieme con decisione, per poi iniziare ad accarezzarle con calore e voluttà. Nella mente di Katy esplosero nugoli di scintille quando lei gliele solleticò con la punta della sua morbida lingua, risalendo con estrema lentezza verso la sua intimità pulsante. Quando cominciò a sfiorarla, affondandovi le labbra, ogni pensiero fluì dalla sua mente.

 
* * *

   La moglie del dottore, tenendo tra le mani una scodella svuotata in cui era appoggiato un cucchiaio, uscì dall’ambulatorio e blaterò qualcosa in serbo. Don Mavro si affrettò a tradurre.
   «Il professor Jones ha cenato e ora può riceverti, Katy» disse. «Non più di dieci minuti, però. Dopo dovrà riposare ancora. Anche se non lo dà a intendere, deve essere ancora piuttosto debole.»
   La ragazza annuì e, dopo aver rapidamente stretto la mano di Valerija per farsi infondere un po’ di coraggio, si avvicinò con passo lento e pesante alla porta. Si sentiva ancora preda dell’angoscia. Aveva come l’impressione di star andando a fare visita a un moribondo, e aveva paura di poter disturbare suo padre. Il pensiero di affacciarsi a quella soglia e trovarsi dinnanzi un uomo finito, ormai incapace di tornare quello che lei aveva conosciuto, le dava un’immensa pena.
   Dall’interno della stanza, insieme all’odore del disinfettante, giunse una risata femminile. Colpita, Katy sollevò le sopracciglia e sbirciò all’interno.
   Suo padre era disteso a letto, con le coperte tirate fino al petto. Un braccio era allungato fuori dalle lenzuola e la sua mano era stretta attorno al polso di una giovane e graziosa ragazza bionda, che stava ridendo di cuore per una sua battuta. Il volto anziano e legnoso di Indy era attraversato da un sogghigno divertito. Dentro di sé, anche Katy sorrise e tutta la paura defluì nel volgere di un solo istante, perché fu costretta a riconoscere che, qualsiasi cosa accadesse, Indiana Jones rimaneva sempre lo stesso.
   Lo sguardo dell’archeologo si posò su di lei e il ghigno si tramutò in un ampio sorriso, che lo illuminò tutto. Lasciò andare il polso della ragazza e le fece cenno di entrare.
   «Katy, tesoro, vieni!» la chiamò. La sua voce era quella di sempre, soltanto leggermente un po’ più debole.
   Entrò nella stanza e sorrise in maniera impacciata.
   «Questa è la signorina Marija, la figlia del dottor Obradovic, che mi fa da infermiera e si occupa di tutti i miei bisogni, anche i più impensabili» rivelò il vecchio, con un sorrisetto furbo accompagnato da una punta di malizia.
   Katy annuì e Marija, intuendo che adesso padre e figlia volevano restare da soli, mormorò qualche parola con voce docile e si accomiatò, chiudendosi la porta alle spalle.
   «Molto carina» approvò Katy, che aveva osservato con un discreto interesse il suo didietro ancheggiante prima che uscisse dalla porta. Prese posto sulla sedia accanto al letto e si girò di nuovo verso Indy, lanciandogli un’occhiata di finto disappunto. «Ma vorrei ricordarti che sei un uomo felicemente sposato e votato alla fedeltà coniugale, oltre che estremamente vecchio, Old J. Potresti essere suo non… addirittura il suo bisnonno!» Sollevò un sopracciglio e lo squadrò per bene, prima di soggiungere, con pungente ironia: «Non avrai mica perso la memoria, spero.»
   Indy, che aveva guardato l’infermiera proprio come aveva fatto sua figlia, sogghignò compiaciuto.
   «Ricordo ogni cosa alla perfezione» replicò, fingendosi offeso. «E ricordo anche che, qui in giro, c’è una certa bibliotecaria che, forse, non sarebbe molto d’accordo, se notasse certi tuoi sguardi rivolti alle altre ragazze.»
   «So come riuscire a farmi perdonare» rispose Katy, mentre un lieve rossore le imporporava le gote e le orecchie. All’improvviso, una nota di apprensione le si accese nella voce. «Ma tu come stai, papà?»
   Jones, questa volta, fece una smorfia disgustata.
   «Come accidenti vuoi che stia?!» sbottò, facendola trasalire. «Hai presente cosa accidenti sto passando, in questo momento?!»
   Il breve sgomento della ragazza, però, si tramutò rapidamente in una risata allegra e cristallina quando suo padre soggiunse, cercando di nascondere il sorriso: «Mi stanno tenendo a brodo caldo e acqua da stamattina, diavolo! Come se fossi un povero malato con un piede nella fossa! Ho lo stomaco che fa i salti mortali per il bisogno di cibo vero! Vogliono farmi morire di fame, ormai l’ho capito! Deve essere una specie di complotto ai miei danni, lo sento: da una parte mi rimettono insieme e, dall’altra, mi affamano.»
   Katy si accarezzò le labbra nel tentativo di smettere di ridere e Indy le agguantò l’altra mano, che aveva posato sul letto.
   «Ho così fame che, quasi quasi, mi mangio questa bella manina morbida!» disse, avvicinandosela alla bocca con fare scherzoso.
   «Penso che ti resterei sullo stomaco, papà!» ridacchiò lei.
   «Oh, lo stomaco va benissimo» sbottò lui. «Non so dov’è di preciso che quel cane mi abbia colpito, ma il dottore ha già ricucito tutto un’altra volta e presto tornerò come nuovo.»
   Katy si aggiustò una ciocca ribelle, passandola dietro l’orecchio.
   «A proposito, credi che debba avvertire la mamma?» domandò, un po’ in ansia.
   Indy scosse energicamente la testa.
   «Non pensarci nemmeno» borbottò. «Finiremmo soltanto con il spaventarla e basta. Quando siamo partiti da Spalato le ho telefonato io stesso, dicendo che per un po’ saremmo stati irreperibili ma che non si preoccupasse di niente. Ha brontolato un po’ ma poi non ha fatto storie.»
   «Comunque» continuò Katy, «prima o poi scoprirà cos’è successo, non puoi tenerglielo nascosto.»
    L’archeologo si strinse nelle spalle.
   «Ma sì, ma sì, le ho sempre raccontato tutto. Lo farò anche questa volta, non preoccuparti» replicò. «Però glielo dirò appena sarò tornato, magari durante una cena tutta offerta da me nel suo ristorante preferito, così non si farà venire patemi d’animo.»
   La figlia si grattò la fronte, tormentando con le unghie i segni dei graffi che le erano rimasti dalla lotta del giorno precedente.
   «Immagino che dovremo stare qui per qualche giorno, finché non ti sarai ripreso e potrai di nuovo viaggiare» constatò. «Prima ho parlato con don Mavro e mi ha assicurato che questo posto è sicuro e che nessuno verrà a cercarci qui. In caso di pericolo, comunque, saremmo avvisati con largo anticipo e potremo tagliare la corda senza problemi. Poi, appena starai meglio, organizzerà il nostro rientro in Italia, da dove potremo partire in volo per casa. Sostiene che sia meglio imbarcarci all’aeroporto di Ronchi dei Legionari, piuttosto che a quello di Sarajevo, che sarebbe molto meno sicuro per via dell’OZNA, che quasi di sicuro terrà sotto controllo gli scali.»
   Indy la fissò con aria meditabonda, grattandosi il mento. La sua espressione non sfuggì a Katy.
   «Non mi sembri convinto» disse. «Temi qualche pericolo?»
    Jones scosse la testa.
   «Non è per questo» borbottò. «Ma per questo.»
   Dal comodino prese la mappa disegnata da Barbarigo e gliela porse. Katy la prese tra le dita e comprese a che cosa stesse cercando di alludere.
   «Papà, è impossibile!» esclamò. «Come puoi pensare di poter andare ancora a cercare la Fonte?» La sua voce si abbassò, mentre pronunciava una sentenza che non avrebbe mai voluto sentire uscire dalla propria bocca: «L’hai scampata bella, potresti morire se ci riprovassi!»
   Un sorrisetto sarcastico deformò le labbra di Indiana Jones e gli stiracchiò le guance ispide di barba.
   «Katy, non è della morte che ho paura» rivelò. «Ma delle conseguenze a cui andremmo incontro se qualche pazzo riuscisse davvero a impadronirsi di quelle acque miracolose... quelle sì, che mi spaventano.»
   La ragazza afferrò stretta la mappa e la sollevò.
   «Allora distruggiamola, bruciamola, facciamo in modo che più nessuno possa trovarla!» strillò.
   Indy, udendo quelle parole, impallidì tutto a un tratto e Katy fu attraversata dalla paura che si stesse affaticando troppo.
   «Papà…» singhiozzò, abbassandosi su di lui.
   Il vecchio, però, la rassicurò che andava tutto bene.
   «Tesorino, tu sei come me: molto impulsiva» disse, con tono leggero, mentre le accarezzava i capelli. «Anche io, come te, prima agisco e poi ci penso. Col tempo, però, ho imparato a ponderare un po’ di più, e quindi pongo a te la stessa domanda che mi sta opprimendo: come facciamo a sapere che, questa che hai in mano, sia l’unica mappa esistente?»
   Katy si sollevò, interdetta. Aprì la bocca per parlare, ma non le venne in mente nulla da dire. La richiuse.
   «Non possiamo saperlo, infatti» andò avanti a parlare l’archeologo. «E io mi sono assunto l’incarico di arrivare alla Fonte e di distruggerla, a qualunque costo. La notte non riuscirei a prendere sonno, se tornassi a casa senza aver concluso il compito che mi è stato affidato.»
   Un’ombra di spaventata comprensione attraversò la mente di Katy. Aveva percepito una strana inflessione, nella voce di suo padre. Forse cominciava a comprendere che non le stesse dicendo tutta la verità; forse non era soltanto per distruggerla, che sarebbe voluto arrivare alla Fonte dell’Eterna Giovinezza. Ma non poteva crederci davvero: suo padre non sarebbe stato tanto sciocco e sprovveduto da affidarsi a un potere mistico che non conosceva realmente. Le aveva raccontato troppe volte di come, molte persone che aveva conosciuto, fossero state consumate e distrutte dal tentativo di aggrapparsi a qualcosa di sconosciuto, che le avrebbe dovute rendere onnipotenti e immortali e, invece, le aveva condotte alla totale rovina. Ora non sarebbe certo stato lui a commettere il medesimo errore di tanti suoi antagonisti, no?
   Eppure, quel dubbio che aveva iniziato ad attanagliarla non voleva andarsene. Comunque, non era questo il momento adatto ad affrontare l’argomento. Suo papà si stava davvero stancando e avrebbe dovuto riposare.
   «Ne discuteremo meglio più avanti, quando ti sarai ripreso» concluse, parlando in fretta, rimettendo a posto la mappa intatta. «Per il momento non puoi nemmeno alzarti dal letto, e quindi penso che sarà meglio che ne approfitti per farti una dormitina.»
   «Un’altra» sbottò Indy, rassegnato. «Ho una fame da lupi e non ho per niente sonno, e invece devo digiunare e dormire. Ho dormito così tanto che non ho nemmeno più nulla da sognare.»
   «Sogna me, Old J» propose Katy, chinandosi a baciarlo sulla guancia.
   «Non penso che possa esistere un sogno più bello e più desiderabile» disse lui, restituendole il bacio. «Temo, invece, che finirò per vedermi passare davanti agli occhi un bell’hamburger fumante e pieno di salsa piccante, circondato da bacon croccante e da patatine fritte ricoperte di ketchup e maionese, il tutto accompagnato da un enorme boccale di birra schiumosa, come quelli che ti servono quelle belle cameriere sculettanti che si incontrano in certe stazioni di servizio quando ti fermi lungo l’autostrada...»
   Katy fece un sorriso radioso.
   «Ti svelo un segreto: il dottor Obradovic ha detto a sua moglie che, da domani, potrai cominciare a mangiare un po’ di carne.»
   Indy sorrise. «Dì a don Mavro che la Provvidenza esiste davvero.»
   «Lo farò di sicuro» promise la ragazza, senza smettere di sorridere. «Buonanotte, Old J.»
   Quindi uscì dalla stanza, lasciando solo suo padre.
 
   
 
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