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Autore: Fiore di Giada    14/11/2021    1 recensioni
Servendomi di un generatore di parole casuali, ho ottenuto queste: inserire, rapina, rabbino, accendisigari, corso, fuoco, appuntamento.
Ho creato questo racconto, come un esercizio di creatività.
Un uomo ricorda la morte della figlia e del fidanzato, uccisi da un gruppo di antisemiti.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fuoco ardeva nel camino in muratura e illuminava la stanza da pranzo d’un vivo bagliore dorato, proiettando il suo riverbero ora sul tavolo di noce, ora sui divani, ora sui tappeti, collocati sul pavimento, d’un intenso colore bordeaux.

Accanto al camino, si apriva una finestra di forma quadrata, coperta da tende bianche, che dava su un giardino, bianco di neve.

Giacomo Ferrari camminava attraverso la stanza, le mani scosse da un tremito convulso. Quella era una giornata dolorosa per lui.

Un mezzo sorriso sollevò le sue labbra sottili. Nonostante la sua non più giovane età, era un uomo alto e diritto.

La sua forma fisica, temprata da anni di passeggiate in montagna, avrebbe suscitato l’invidia di molti giovani.

Un tempo, una simile realtà avrebbe solleticato il suo ego, ma, da cinque anni, curava il suo corpo per mantenere una stabilità emotiva.

Se non avesse mantenuto un legame col suo passato, sarebbe impazzito.

Si portò una mano al petto, trasse un medaglione di bronzo e lo aprì.

Dentro, vi era la foto di una adolescente dai lineamenti delicati, circondati da lunghi e riccioluti capelli rossi.

Gli occhi, verdi, simili a frammenti di giada, fissavano risoluti l’obiettivo e le sue labbra sottili si aprivano in un sorriso, scoprendo denti candidi.

Un singhiozzo si spezzò nel petto dell’uomo. Rebecca, la sua unica figlia, viveva in quel medaglione, da lui portato sempre vicino al cuore.

Solo quel ritratto era rimasto di lei.

I suoi occhi erano quelli della sua splendida e defunta moglie, Luisa, che era scomparsa in giovane età, a causa di una leucemia fulminante, al compimento del secondo anno di vita della loro bambina.

Le lacrime fluirono dagli occhi grigi dell’uomo e deboli singhiozzi sollevarono il suo petto. Da tanto, troppo tempo il senso di colpa dilaniava la sua anima.

Sul letto di morte di Luisa, aveva giurato che avrebbe custodito la loro preziosa gemma, Rebecca.

E non aveva mantenuto la sua promessa, che era stata fatta ad un morto.

Aveva fallito il suo compito di padre e di marito.


Rebecca aveva compiuto diciannove anni e, pur provando affetto per lui, desiderava assaporare il gusto di una esistenza autonoma.

Aveva cominciato l’università e aveva conosciuto l’amore nella persona di Lazzaro Reiser, giovane primogenito di un rabbino romano.

Era rimasto sconcertato dalla scelta sentimentale di sua figlia, ma, ben presto, la conoscenza aveva allontanato l’ombra del dubbio.

Lazzaro, pur essendo cresciuto in una comunità religiosa, era un giovane intelligente e non si adagiava su affermazioni già costruite.

E a lui, Giacomo Ferrari, cresciuto in una famiglia lontana da una qualsiasi fede, piacevano persone tanto curiose e intelligenti.

Egli stesso aveva educato Rebecca alla perenne ricerca intellettuale e culturale.

Le loro menti, pur così differenti, avevano trovato una strana, eppur gradevole sintonia.


Brevi e stridule risate scossero il corpo di Giacomo e le dita della mano sinistra, come artigli, si strinsero attorno al bracciolo. Lazzaro e Rebecca sembravano incamminarsi verso un futuro luminoso.

Si amavano davvero e, concluso il loro percorso formativo, avevano deciso di unire le loro anime nel vincolo del matrimonio.

Ma, nel corso perfetto delle loro esistenze, si era inserita la crudeltà dell’uomo.


Era una giornata invernale.

Aveva dato appuntamento a entrambi nella sua casa in montagna, in quanto desiderava fare loro conoscere la bellezza delle cime maestose delle Dolomiti.

Lazzaro era un ragazzo forte, ma, ne era sicuro, non avrebbe retto il passo di un montanaro dinamico come lui.

Tuttavia, ancora non erano giunti da Roma.

Come era possibile?

Rebecca adorava le camminate sulle Dolomiti e il suo carattere spumeggiante avrebbe attirato il curioso figlio del rabbino.

Eppure, nessun contatto avevano stabilito con lui.

Come era possibile?


Quanto tempo aveva percorso la camera da pranzo a passo nervoso?

Non lo ricordava più.

Le sue mani, con gesti quasi meccanici, si erano posate sul suo accendisigari e un mucchio di cenere nera, grosso come un pugno, aveva sporcato il posacenere.

Aveva deciso di andarli a cercare. No, non poteva restare lì, chiuso in un elegante appartamento triestino, senza compiere alcuna azione concreta.

Che cosa ne era stato di loro?



La risata di Giacomo aumentò, stemperandosi in un pianto convulso. Non voleva fingere controllo in quel momento.

In quella baita solitaria, poteva liberare se stesso dalle catene del suo dolore.

Nessuno avrebbe conosciuto le lacrime della sua anima.


Il trillo del campanello aveva scosso la sua attenzione e, pur turbato, si era recato ad aprire la porta. Il suo istinto lo avvertiva d’una incipiente sciagura, ma non era sua abitudine fuggire da una prova, per quanto dolorosa.

La virilità, per lui, si irradiava nella forza d’animo di una persona, capace di affrontare qualsiasi prova.

Sulla soglia, erano apparsi due poliziotti.

Li aveva scrutati, il cuore stretto nella morsa del sospetto e dell’ansia.

E’ lei il signor Giacomo Ferrari, padre della signorina Rebecca Ferrari? – aveva domandato uno di loro, monocorde.

Aveva annuito e il suo cuore aveva accelerato i suoi battiti. Qualcosa di terribile era accaduto.

Ma non voleva accettarlo.

Non poteva essere accaduta una disgrazia alla sua perla!

Ci dispiace. E’ stato ritrovato il suo corpo e quello del suo fidanzato, Lazzaro Reiser. –


Che giornata orribile… – mormorò, amaro, Giacomo. Assieme ai genitori di Lazzaro, era stato costretto al triste ufficio di riconoscere i corpi all’obitorio.

In quel momento, la sua pur rocciosa tempra per poco non era stato soverchiata dallo sgomento.

I corpi dei due poveri ragazzi erano stati offesi con molteplici coltellate, fin quasi a renderli irriconoscibili, e le loro vesti erano state arrossate dal sangue.

Solo il ciondolo d’oro, terminante in un pendente a forma di Capricorno, incrostato di brillanti, che lui le aveva regalato per il suo diciottesimo compleanno, gli aveva dato la possibilità di riconoscere entrambi.

Tante domande avevano affollato la sua mente. Perché avevano ucciso due giovani innocenti?

Rebecca e Lazzaro erano di gran cuore e non avevano mai fatto male a nessuno.

Chi poteva avere ucciso due ragazzi privi di qualsiasi ombra?


Le indagini erano state serrate e avevano rivelato la ragione di quel brutale omicidio.

Era stata un’aggressione dettata dall’antisemitismo.

Essendo figlio di un rabbino, Lazzaro era diventato l’obiettivo di una cellula di neonazisti.

E lei, suo malgrado, era stata coinvolta in una siffatta assurdità.

Sopraffatto dall’angoscia, si era rinchiuso nella sua casa di montagna. Non voleva sentire nessuna parola di conforto.

In quel momento, gli sarebbe parsa quasi offensiva.

Se gli avessero parlato di religione o psicologia, avrebbe risposto con rabbia, perché nessuna teoria avrebbe potuto dare una spiegazione ad una tale tragedia.

Solo la tenace calma di Adam e di sua moglie, Sara, gli aveva dato la possibilità di dare una direzione alla sua esistenza pericolante.

In loro, aveva trovato spiriti affini, che sapevano mostrarsi forti, senza sprofondare nella tenebra della pedanteria.

Lazzaro e sua moglie erano ben decisi a dare giustizia al loro figlio e non si sarebbero fermati davanti a nulla.

Per questo, avevano incanalato la loro rabbia e si erano tramutati in mastini tenaci, pronti a stimolare le forze dell’ordine.

La loro tenacia era stata premiata e quel gruppo crudele era stato annientato.


Giacomo sorrise, mentre le lacrime bagnavano il suo viso. Rebecca e Lazzaro avevano avuto la pace.

La condanna di quel gruppo aveva liberato il suo cuore dall’ombra e aveva avuto la possibilità di approfondire il suo legame con la famiglia Reiser.

La loro fede non ne aveva sporcato l’anima e, nonostante la pena, avevano saputo allontanare il peso dell’odio, affidando Rebecca e Lazzaro alla bontà del loro dio.

Grazie al loro esempio, lui aveva saputo emergere dal pantano dello strazio e aveva recuperato il piacere dell’esistenza.

Ma il ventisette febbraio il suo cuore precipitava nella disperazione e aspirava alla solitudine.

Si abbandonava al fiume carsico dei rimpianti e dei ricordi e domandava perdono allo spirito di sua moglie Luisa, per avere disatteso la sua promessa.

Ne era sicuro, lei era furiosa per il suo fallimento e tale consapevolezza straziava il suo cuore.

Si alzò dal divano, si avviò verso la finestra e scostò le tende.

Il suo sguardo, velato di lacrime, vagò sul giardino, senza fermarsi su alcun punto.

Luisa… Perdonami, se puoi. – mormorò, mentre la neve, leggera, continuava a cadere.

   
 
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