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Autore: IndianaJones25    14/11/2021    2 recensioni
Gli anni sono trascorsi, lenti ma inesorabili. Anche per il professor Henry Jones, Jr. sembra essere giunto il momento di appendere la frusta al chiodo e di dire addio alla vita avventurosa. L’intrepido archeologo giramondo, ormai, è diventato un anziano signore che porta addosso i segni, i dolori e i ricordi dolceamari della sua spericolata vita passata.
Ma c’è ancora chi sembra avere bisogno di lui e Indiana Jones non è certo il tipo da tirarsi indietro dinanzi a una minaccia che potrebbe sconvolgere il mondo intero. Così, in compagnia di sua figlia Katy, di una giovane bibliotecaria e di un prete dal grilletto facile, Indy torna a impugnare la frusta e si getta a capofitto in un’ultima impresa, al cui termine potrebbe trovare la speranza di un nuovo inizio oppure una disastrosa rovina.
La lotta sarà difficile e insidiosa, perché l’ultimo vero nemico di Indiana Jones non saranno eserciti o folli invasati, ma proprio la sua irresistibile voglia di avventura…
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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   18 - Il richiamo dell’avventura
 
   Indy fu costretto a trascorrere a letto un’intera settimana, sempre circondato dalle cure attente e amorevoli di Marija e di Katy che, forse un po’ gelosa del modo in cui la graziosa figlia del dottore si prodigava per suo padre, si diede molto da fare per non fargli mancare nulla.
   A dire il vero, sebbene quella costante compagnia femminile non potesse che fargli piacere, Jones provò a protestare, dicendo di volersi alzare. Sosteneva di stare bene, ormai, e non vedeva alcun motivo per continuare a rimanere steso.
   «Se resto ancora un’ora cacciato in questa trappola» si lamentò una mattina, appoggiato con la schiena al guanciale, mentre beveva a labbra sollevate un disgustoso tè con poco zucchero e qualche goccia di limone, «mi verranno di sicuro le piaghe da decubito! Mi sto riducendo a una larva umana, mi sembra di essere ormai finito. Se mi calassero in una fossa in questo preciso istante, non noterei nessuna differenza!»
   Ma il dottor Obradovic, che lo visitava con puntualità ogni giorno, prima di uscire per il suo consueto giro di visite a domicilio, controllando la ferita che gli aveva ricucito, fu ancora una volta estremamente categorico e inamovibile.
   «Per il momento non può alzarsi, professore» impose. «Significherebbe vanificare tutti gli sforzi e i progressi fatti finora. Ormai il taglio si sta rimarginando e, entro un paio di giorni, potrò toglierle i punti. Solo allora, se lo riterrò opportuno, potrà sgranchirsi le gambe. Fino a quel momento, però, non si azzardi a disobbedire ai miei ordini!»
   «Almeno potessi bere una tazza di caffè, anziché questa brodaglia!» grugnì Indy.
   «Caffè?» trasalì il medico, guardandolo da sopra gli occhiali come se avesse appena proferito la più blasfema delle eresie. «Non se ne parla proprio! Se lo tolga dalla testa!»
   Il vecchio archeologo, comunque, non lasciò trascorrere quei giorni nella completa inattività, e trovò un modo più che utile per riempire il tempo libero dovuto alla forzata immobilità. E mettersi al lavoro in quella maniera gli fece scordare per un po’ i patimenti che stava soffrendo e le sue tristi colazioni a base di tè caldo.
   Fattosi consegnare fogli, matite e un atlante, trascorse le ore di riposo forzato studiando con molto puntiglio la mappa di Barbarigo, nel tentativo di individuare la strada migliore per raggiungere la Fonte dell’Eterna Giovinezza. Valerija, inoltre, su sua richiesta girovagò per tutte le biblioteche del circondario, finché non riuscì a trovare ciò che le aveva richiesto: un vecchio e consunto volume di storie e leggende dei territori attorno al Mar Nero.
   «È stata una faticaccia, professor Jones» gli disse. «Mi sono dovuta spingere fino a Sarajevo, per riuscire a trovare una biblioteca che ne avesse una copia, e avevo una paura tremenda che una pattuglia mi fermasse e venissi identificata. Spero che ne sia valsa la pena.»
   Indy afferrò il volume e lo sfogliò in fretta, leggendo i titoli dei capitoli. Alzò su di lei uno sguardo enigmatico.
   «Sì» rispose, con tono profondo. «Ti assicuro che ne è valsa la pena.»
   Quando, l’ottavo giorno dal momento del suo ferimento, il medico gli permise infine di fare quattro passi in giardino, tenuto sottobraccio da don Mavro e da Katy – che si aggrappò con l’altro braccio a Valerija – aveva praticamente già tutto in mente l’itinerario che avrebbero dovuto seguire per raggiungere la loro meta.
   «Il punto indicato da Antonio Barbarigo corrisponde a una delle cime del monte Kazbek, in Georgia» rivelò, lievemente ansante, mentre si incamminavano lungo il sentiero che conduceva in prossimità del bosco. «Si tratta di un vulcano spento della catena del Caucaso Maggiore.»
   Lanciò uno sguardo a don Mavro, come a volersi accertare che lo stesse ascoltando con attenzione mentre si dava da fare per confermare la teoria avanzata dal vicario Bartolec.
   «Penso che sia proprio la conformazione vulcanica del luogo ad aver donato a quelle acque quei poteri così strani e insoliti» proseguì. «Forse, sotto la roccia, si nascono minerali sconosciuti dalle proprietà a noi ignote. La cosa non mi sorprenderebbe affatto, perché già altre volte mi sono imbattuto in metalli e minerali non indicati nella tavola periodica degli elementi.»
   Si fermarono accanto a una grande quercia nodosa e contorta, con i rami ancora del tutto ricoperti dalle sue foglie ormai brune. Il terreno tutto attorno era cosparso di ghiande, che scricchiolavano quando i loro piedi le calpestavano.
   «E lei, professore, pensa che la Fonte si trovi davvero lassù?» domandò il sacerdote, leggermente scettico.
   «Barbarigo non avrebbe avuto alcun motivo di mentire» replicò Indy.
   «Avrebbe però potuto disegnare una mappa falsa per mandare fuori strada eventuali competitori nella ricerca della Fonte» obiettò il prete.
   «Naturalmente» approvò Jones che, tuttavia, aveva sempre la risposta pronta. «Ma, se avesse voluto farlo, oltre a disegnare una mappa falsa, si sarebbe anche premurato di metterla in un luogo dove chiunque avrebbe potuto scoprirla; non l’avrebbe certo nascosta in un posto irraggiungibile come l’interno della piramide.»
   «Lei ha ragione, professore» riconobbe don Mavro.
   Tutti e quattro furono distratti da un rumore. Un piccolo scoiattolo si stava arrampicando tra i rami della quercia, alla ricerca di ghiande da nascondere in previsione della stagione invernale sempre più vicina e imminente. La sua coda fulva guizzò nell’aria, prima di scomparire in mezzo al fogliame.
   «Come ulteriore prova che questa sia la pista giusta, c’è il fatto che, verso la cima del monte, si trovasse un tempo un eremitaggio ortodosso, che fu poi distrutto dai suoi stessi abitanti per impedire che alcuni predoni provenienti dalla Mongolia si impadronissero delle sacre e misteriose reliquie che custodiva» riprese l’archeologo. Una strana scintilla attraversò il suo sguardo. «E, da quel che si sa, come ho scoperto leggendo il libro che la gentilissima Valerija mi ha procurato, l’eremitaggio fu edificato sopra una grotta. Una grotta, badate bene, chiamata Betlemi. Stando a quello che ho scoperto, in base alle leggende locali, quella grotta e tutta la valle circostante erano un tempo considerate come parte del Giardino dell’Eden, dove ebbe origine la vita sulla terra.»
   «Il Giardino dell’Eden…» ripeté don Mavro, perplesso.
   Katy, percependo i suoi più che legittimi dubbi, gli rivolse un sorriso di incoraggiamento.
   «Non lo prenda come un dato di fatto, padre» precisò. «Bensì come una semplice tradizione…»
   «Una tradizione molto antica» proseguì Indy, annuendo, «che potrebbe benissimo aver tratto la propria origine dalla presenza delle acque miracolose… pardon, volevo dire prodigiose, della Fonte. Forse la sorgente si trova proprio in quella grotta, che è sempre stata identificata come luogo legato alla nascita, fino al punto che, stando a certe storie che ho trovato nel libro, lo si sarebbe a un certo punto considerato come luogo natale di Abramo, o addirittura di Gesù: per questo motivo venne chiamata Betlemi, che altro non è che il nome in georgiano di Betlemme.»
   Don Mavro si grattò il mento, riflettendo attentamente su quelle parole.
   «In effetti, tutto potrebbe tornare. La gente del luogo potrebbe aver ritenuto sacre quelle acque portentose, attribuendole all’intervento divino» riepilogò. «Da quello che so, la Fonte della Giovinezza è quasi sempre stata accostata all’Eden, quindi che anche in questo caso le due cose coincidano non sorprende affatto.»
   «Esattamente» annuì Indy. «È probabile che, in passato, affascinati dalle voci e dalle leggende, alcuni monaci scoprirono a loro volta la Fonte e vi eressero attorno il loro eremitaggio, forse per collegare alla religione cristiana quelle acque che rischiavano di far nascere dicerie di tipo pagano. Poi, col tempo, la tradizione locale avrebbe finito coll’accostare alla Fonte la presenza di importantissime figure bibliche che, in verità, con essa non ebbero mai nulla a che fare. Che questo sia accaduto prima o dopo il passaggio di Barbarigo, comunque, non possiamo saperlo, sebbene possiamo presumere che il mercante sia stato attratto in quei luoghi proprio dalle tante leggende che li circondavano.»
   «Ma i resti dell’eremitaggio non sono mai stati esplorati?» obiettò Valerija, giocherellando con la treccia in cui aveva legato i capelli biondi. «Insomma, se è conosciuto, qualcuno sarà andato a ficcarci il naso, no?»
   Questa volta, l’archeologo fece un segno di diniego.
   «No… o, meglio, sì, ma solo superficialmente. L’unica spedizione compiuta in quei paraggi in epoca moderna risale alla metà del secolo scorso, guidata dall’alpinista Douglas Freshfield, un uomo molto abile, che io stesso ebbi occasione di conoscere in gioventù. Lo scopo di Freshfiled, comunque, era ascendere fino alla vetta, all’epoca ancora inespugnata, non certo compiere una ricerca archeologica. Quindi i resti dell’eremitaggio furono esplorati in maniera parecchio sommaria e veloce, in cerca di eventuali oggetti preziosi abbandonati dai monaci. Nessuno trovò la grotta di cui parlano le leggende. Se esiste – e noi non siamo giustificati in nessun modo nel dubitarne, visto che Barbarigo quelle acque le trovò sul serio – è ancora sepolta da qualche parte tra i ruderi del monastero.»
   Sul gruppetto calò un silenzio greve, rotto soltanto dal frusciare delle foglie, dagli squittii degli scoiattoli che si rincorrevano tra i rami e dai richiami degli uccelli invisibili nella foresta, mentre ciascuno volava con l’immaginazione a quella lontana vetta del Caucaso e ai segreti che doveva custodire.
   Lo sguardo di Indy si perse lontano, oltre la foresta, lungo i versanti delle montagne della Serbia. Quelle, però, potevano essere considerate quasi delle semplici colline, piccole alture semplicissime da affrontare, se paragonate ai massicci contrafforti che contraddistinguevano il Caucaso, quell’immane muraglia ghiacciata che segnava lo spartiacque tra due mondi estremamente differenti e spesso incompatibili e contrapposti l’uno all’altro, quello asiatico e quello europeo.
   Ghiacciai perenni e vette aguzze formavano una barriera quasi impenetrabile, che nel corso del tempo aveva messo a dura prova – e, spesso, ucciso – scalatori giovani, robusti ed esperti. Se la sarebbe sentita, lui, un uomo molto anziano, con la schiena malandata, per di più reduce da una grave ferita, di affrontare una simile sfida? E, soprattutto, se avesse trovato il coraggio per farlo, il suo fisico sarebbe stato capace di sostenere una prova di tale portata?
   Quella domanda silenziosa parve fluire dalla sua mente e aleggiare nell’aria. Gli sguardi di Katy, Valerija e don Mavro, quasi attendessero una risposta, si volsero su di lui. Fu un momento carico di tensione, così elettrica e palpabile che la si sarebbe quasi potuta stringere tra le mani protese.
   Ma Indiana Jones non era tipo da indietreggiare, neppure dinnanzi a una prospettiva così rischiosa, che avrebbe potuto comportare un immenso pericolo per la sua vita. Era più che consapevole che, sfuggito all’uccisione a tradimento da parte di Pavkov, sarebbe potuto andare incontro alla morte tra quelle montagne. Se avesse fatto una sola mossa falsa, se avesse sbagliato anche soltanto di poco qualcosa, il Gran Caucaso non lo avrebbe perdonato. Quelle rocce, antiche come il mondo, si sarebbero potute tramutare nella sua tomba, ponendo per sempre termine a quella lunghissima avventura che era stata tutta la sua esistenza.
   Lo sapeva e non ne aveva paura. Non aveva nessuna intenzione di abbandonare un’impresa soltanto per evitare i rischi che essa avrebbe potuto comportare. Non sarebbe stato da lui. Certe cose non erano questione di età o di fisicità: erano qualcosa che trascendeva da tutto questo, erano qualcosa di inspiegabile a parole, e che pure gli era chiarissimo in mente. Era quella scintilla luminosa, quella sete di audacia e di conoscenza che lo aveva sempre attratto verso luoghi remoti e impervi, verso disfide al limite del sopportabile, spesso in competizione persino con se stesso e con la propria razionalità.
   «Abbiamo soltanto un modo per scoprire se la Fonte dell’Eterna Giovinezza si trova davvero su quella montagna» disse, il tono della voce fermo e sicuro. «Andare lassù e scoprirlo.»
   «Papà…» disse Katy, esitante.
   Sembrava quasi che lo stesse implorando di ripensarci. Non lo avrebbe fatto. Decise di ignorarla.
   «Lasciatemi soltanto qualche giorno per riprendermi e provare a rimettermi in forma» andò avanti. «E poi saremo pronti a partire. Ma ricordate: la scalata del Caucaso non è roba da tutti i giorni. Perciò, se non ve la sentirete di accompagnarmi, non me la prenderò affatto.»
   Indy guardò negli occhi sua figlia. Vi lesse diverse emozioni contrastanti: sgomento, paura, ma – anche e soprattutto – ammirazione. Ammirazione per un uomo che, giunto a un’età in cui chiunque altro si sarebbe voluto mettere da parte, non intendeva ancora arrendersi, non voleva in nessun modo rinunciare a essere se stesso.
   Non poteva, e neppure voleva, farci nulla. Se lo sentiva pulsare nelle vene. Era quel richiamo che aveva sempre risuonato nella sua mente e che lo aveva spinto ad affrontare le imprese più folli e straordinarie con un ghigno ironico sul volto.
   Era il richiamo dell’avventura, lo stesso di sempre, e nemmeno questa volta Indiana Jones sarebbe stato in grado di rinunciare ad ascoltarlo e a rispondere.
 
   
 
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