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Autore: Gaia Bessie    15/11/2021    3 recensioni
C’è un momento in cui il mondo riesce a farsi memoria e la memoria a farsi pelle bruciata e riarsa, ma nessuno se ne rende conto.
Soprattutto, non lui.
[SanSan | Hogwarts!AU | Partecipa al contest "Volete storiarmi" indetto da milla4 sul forum di Efp]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Contesto: la storia è una Hogwarts!AU ambientata durante il settimo libro di Harry Potter, nei momenti antecedenti lo scoppio della Seconda Guerra Magica.
Nello specifico, ho deciso di mandare i personaggi in Romania, ad allevare draghi con Charlie Weasley, sperando che l'idea risulti carina e originale così com'era nella mia mente.
Inoltre, qui Joffrey prende il posto di Cedric Diggory e muore per mano di Voldemort al Tremaghi: sappiate che, come Diggory, sia lui sia Sansa avevano 17 anni. Di conseguenza, nel momento in cui è ambientata la storia, Sansa ne ha circa 20.
Ultima cosa: è leggibile anche da chi non conosce HP, non ci sono troppe info/spoiler sui libri.
Un bacio,
Gaia




C’è un momento in cui il mondo riesce a farsi memoria e la memoria a farsi pelle bruciata e riarsa, ma nessuno se ne rende conto.
Soprattutto, non lui.
 
 
Cicatrici d’odio
 
Il giorno in cui portano Sansa a vedere i draghi è un mercoledì che nemmeno il respiro di fuoco delle creature saprà come sbiadire: in Romania, dove il cielo si sfuma in un azzurro perfetto e i draghi volano indisturbati nel cielo, lì ci si sente liberi per davvero. Sembra quasi che non importi più della guerra che fuori dai confini infuria, di Voldemort che è tornato come Harry Potter che è sparito, lei è lì e il cielo si riflette quietamente nei suoi occhi: seduta sul dorso del drago, ci riflette, forse era predestinata a fuggire via – sua sorella Arya gliel’ha sempre detto: sei troppo brava, a scappare.
I confini terreni, nel cielo, non contano niente: se socchiude gli occhi può vedere ghiacciai che si sciolgono, davanti a lei, un bagliore di sabbia vetrificata alle sue spalle dove il deserto lascia spazio al lavoro dell’uomo. Il mondo è questo: immagini sbiadite, suoni, colori – possibilità. Ed è possibile, per lei, aggrapparsi all’uomo seduto davanti a sé e pensare che.
Che non è fatta per combattere, questo sì, ma nemmeno per essere la moglie di un Purosangue viziato. Joffrey Baratheon è morto drammaticamente durante il Torneo Tremaghi, a lei non è rimasto niente.
O quasi, si dice, mentre Sandor Clegane si volta a guardarla – è più forte di lui, riflette Sansa, controllare che sia ancora lì, saldamente ancorata al suo mantello che le svolazza vicino al viso. Vorrebbe che fosse il velluto attorno alla sua bacchetta (Quercia, il legno più solido che esista, e corda di cuore di drago) e la compagnia per le sue notti insonni: ma lei, che la moglie di un re non lo sarà mai più, potrebbe essere quella di un semplice soldato?
«Non guardare giù» le grida, lui, scendendo in picchiata verso uno spiazzo erboso. «Tieniti a me!».
Sansa obbedisce – ed è quello che, invece, è più forte di lei, quell’obbedienza che le ha scavato il viso in lacrime d’acciaio, deformandola: il pianto sul confine degli occhi è cicatrice dorata in quel volto tinto di rame, con i capelli che le azzannano le gote a ogni colpo di vento. Sandor Clegane finge di non accorgersene mai ma, quando l’osserva senza rivolgerle una singola parola, si accorge di tutto questo e molto altro.
Che Sansa Stark ha perso madre, padre, una famiglia – Voldemort non è clemente con nessuno, tantomeno con chi gli si è opposto duramente – e adesso vaga per la Romania in cerca di quella casa, di quella famiglia, che le sono state tolte da una mano bianchissima e una bacchetta altrettanto dura. Ha fatto quel che le riesce meglio, ha raccontato a Sandor quando Charlie Weasley l’ha affidata a lui, fuggire.
Prendere e andare via – si direbbe che io non mi sia diplomata Grifondoro, non è vero? Eppure ho chiesto al Cappello Parlante di essere Smistata lì, ci crederesti mai?
Sandor Clegane ringhia all’aria cocente che li assale come una vampata, mentre il Dorsorugoso di Norvegia si quieta tra la sabbia dorata, scuotendola da quei pensieri.
Lei non gli domanda – non più – cosa ci sia da vedere, in un Canyon di sabbia rossa e con niente dentro: ha imparato, con lacrime di frustrazione, che a lui è meglio non domandare mai.
La fa scendere dal drago, porgendole la mano senza alcuna gentilezza, e sollevandola come se fosse ancora una bambina: lei è con i piedi per terra a sporcarsi di sabbia, con la veste da Strega che le fruscia attorno alle caviglie, e Sandor Clegane non la guarda negli occhi – non lo fa mai. Forse, teme, penserebbe che lei avrebbe negli occhi le sue cicatrici e niente di più.
Sansa non gliel’ha domandato mai, cosa sia successo al suo viso – lui l’ha raccontato comunque: l’Ardemonio mastica per restituire cicatrice e, alla fine, la dimenticanza erode quel che il fuoco magico ha conservato. Ed è questo, lui, quando la guarda e non conosce gentilezza: eroso, dimenticato.
«Dovrebbe essere qui» ringhia, Sandor, sfregandosi le mani per scacciar la sabbia.
Il covo dei ribelli – c’è una resistenza segreta, in Romania, che si preoccupa di sostenere Harry Potter nella sua fuga attraverso il tempo e lo spazio: Charlie Weasley ne fa parte, così come molti altri addestratori di draghi. Come lei, che non comprende che aiuto possa dare, ma Sandor l’ha pretesa comunque: non è stata una dichiarazione, un ribadire l’ovvio – tu verrai con me, le ha detto, Sansa ha chinato il capo.
Il sorriso di Charlie è speranza, possibilità. Scende dal proprio drago, un Petardo Cinese, con un saltello e fa un cenno prima a Sansa, poi a Sandor.
«Dobbiamo andare in Inghilterra» anticipa, sebbene nessun altro Mago si veda all’orizzonte. «Fred e George mi hanno mandato un Patronus: Harry Potter è tornato».
«Sono due giorni di viaggio» ringhia Sandor, passandosi una mano sul volto sfregiato. «Arriveremo che Potter sarà morto e sepolto».
Charlie scuote il capo, per niente sconvolto dalla durezza di quelle parole, forse abituato alla grettezza del compagno.
«Ci Smaterializziamo ad Hogsmeade» risponde, quietamente. «Niente draghi».
Lo dice con rimpianto – pare che si stia privando di una parte di sé e, forse, è così per davvero – e un sorriso malinconico.
«Niente draghi» ripete Clegane, con tono pieno di disappunto. «Non pensavo volessi farci andare al macello, Weasley».
Charlie vorrebbe replicare, ma è Sansa a posare una mano sul braccio di Sandor e guardarlo negli occhi – lui spalanca i propri, sorpreso: prima di quel momento, lei, guardarlo non ha osato mai.
Sfumata in azzurro la maggiore delle Stark sorride dolcemente e lui si domanda come faccia a rimanerle ancora, della dolcezza attaccata addosso, quando il mondo è semplicemente fottuto e, potendo, li fotterà tutti quanti.
Ma la sua mano è sul suo braccio e brucia come l’Ardemonio che gli ha liquefatto i lineamenti, lasciandolo vivo per miracolo: punge come una stella, ma va bene così.
«Andiamo» sussurra, Sansa, con una risolutezza che lo sorprende. «Andiamo».
Lui annuisce, facendola sorridere un’altra volta.
 
***
 
Sandor le ha detto, alla Testa di Porco, che lui non ha mai paura – e, per questo, di non fargliene provare mai: stai sempre dietro di me, uccelletto, non farti strappare le ali da qualcuno di diverso da me.
Ricordati, solo io posso ferirti.
E lo vuoi? – ha domandato lei.
Lui non ha risposto subito, ma le ha fatto cenno di seguirlo dentro le viscere di Hogwarts: solamente quando i membri dell’Ordine si sono palesati in lontananza, le ha detto – A volte, sì.
A volte, sogno di spezzarti con un semplice movimento delle dita. A volte.
A volte ti chiamo e tu non ci sei già più.
«Se mi vedi cadere» le sussurra, perentorio, mentre attraversano il corridoio che li porterà nella Sala Grande. «Scappa. Corri da uno dei Weasley e fatti portare via».
Sansa scuote il capo, in una fiammata, facendolo ridere amaramente.
«Solo i cani sono fedeli, uccelletto» le ricorda, in un sussurro raschiato che fa male al cuore. «Non sei fatta per avere un padrone, non da quando sei scappata dalla tua bella gabbia».
Lei ha il cuore ancora fitto di cicatrici – lui è tutta una cicatrice – e per questo non gli dice che, di scappare, non scapperà mai più: rimarrà il rumore dei suoi passi dietro quelli di lui e, sul finire, nemmeno le cicatrici incise dall’odio varranno più qualche cosa.
Sandor Clegane, in un moto di comprensione, le dice di non avere paura – non la tocca, ma il suo sguardo la sfiora come una promessa silenziosa, facendola sorridere.
«Allora non cadere mai» risponde, prendendo a camminargli affianco. «Puoi promettermelo?».
Lui ride, l’aria che ferisce la carne ustionata e ne lascia cicatrice. «Le promesse di un cane non valgono niente» commenta, calmo. «Non scordarti che sei scappata dal figlio di una cagna».
Sansa sospira – ricorda Jeffrey Baratheon, ne preserva perfetta memoria e il cervello è ancora sanguinante sotto il peso dei suoi ricordi: affatturata, ferita, ricucita dalla sua Magia (sporca, crudele) Sansa sa di aver avuto fortuna. Nessuno l’avrebbe salvata mai, non dalla famiglia più importante, e più vicina a Voldemort, di tutto il mondo magico.
Nemmeno lui.
E lei lo capisce in quel momento, che il suo cuore è un luogo impossibile – non lo scoverebbe nemmeno a tentoni – e impenetrabile. Eppure, quando gli posa una mano, leggera come una farfalla, sul braccio, Sandor Clegane tentenna.
«Non dimenticare mai» sussurra. «Che mi hai raccolta tu».
Lui alza un sopracciglio trapassato da una cicatrice rosea e carnosa, un verme che si agita nel fango. «Ti sei raccolta da sola, uccelletto» risponde, calmo. «Io non lo avrei mai potuto fare».
«Non te lo avrei permesso» mormora Sansa, con rimpianto. «Altrimenti sarei rimasta me stessa per sempre».
Lui non la comprende – non potrebbe mai.
C’è un momento in cui il mondo riesce a farsi memoria e la memoria a farsi pelle bruciata e riarsa, ma nessuno se ne rende conto.
Soprattutto, non lui.
«Allora non ringraziarmi» borbotta Sandor, burberamente. «Continua a camminare».
Ma, quando lei improvvisamente si ferma, lui si blocca a pochi passi da lei guardandola con aria interrogativa.
«Promettimelo» dice, semplicemente, lasciandolo a interpretare quel pensiero sfuggente. «Promettimi che».
«Pensavo che il cucciolo dei Lannister ti avesse fatto passare il romanticismo» commenta lui, atono. «O che ci avessero pensato i suoi amici».
Sansa non rabbrividisce, di fronte a quel ricordi, ma non arretra.
«Solo perché pensi che non abbiamo tempo» commenta, con forza. «Non vuol dire che non ce ne sia per davvero».
«Continua a camminare» ripete Sandor, senza alcuna inflessione. «Non ti servono, questi pensieri».
Sansa vorrebbe essere una Grifondoro vera e non una di vetro (porcellana, avorio, acciaio1) e potergli dire che.
Che c’è ancora tempo – in uno spazio che si accartoccia sui suoi pensieri e non la lascia respirare – e allora lei può ancora scegliere: non il figlio di una famiglia ricca e Purosangue, non un Malfoy o un Black, ma lui. Che la guarda e ne interpreta i pensieri, ritraendosi: pensa ancora di poterla ferire, senza sapere che lei non glielo permetterà mai, non lo permetterà mai più a nessuno.
Sei sempre stata brava a scappare, Sansa – Arya aveva riso, sprezzante, lei aveva fatto tesoro dell’insegnamento e aveva cominciato a correre più veloce di ogni altro, anche del proprio stesso destino che rapido si sfilacciava sotto i suoi piedi.
«Guardami» sussurra, senza smuoversi di un passo. «Guardami».
«Moriremo tutti, uccelletto, lo capisci?» ringhia lui, avvicinandosi e prendendola per le spalle. «Che senso ha, allora, fare proclami, cantare le tue stupide canzoni, se non rimarrà niente?».
Lei scuote il capo, ha un sorriso che inquieta. Si staglia sul volto come l’ennesima, inutile, cicatrice e la sfregia orribilmente.
«Tu resterai con me» risponde, ed è imperativo. «Qualunque cosa accada».
Sandor non promette, ma china il capo – sarebbe stato meglio tornare a volare sui draghi, vorrebbe dire, che indossare il mantello e fingere che si possa vincere la guerra.
Non riesce a dirlo, perché lei colma con un bacio quella distanza inspiegabile tra di loro: Sandor si ritrae, rigido, ma lei gli passa le mani dietro la nuca per attirarlo a sé.
È solo perché non conosce altra gentilezza che non sia la sua elemosina, pensa lui distrattamente. Eppure, non riesce a scostarla, non ne ha la forza.
«Non è perché mi hai dimostrato pietà» commenta Sansa, con un soffio. «Avrei comunque scelto te».
Lo prende per mano, guidandolo fino alla Sala Grande gremita di gente – c’è un momento in cui il mondo si fa memoria e la memoria pelle bruciata e riarsa ma, alla fine, ogni ferita è fatta per lasciare cicatrice. E loro ne hanno così tanto che, l’impronta del mondo sulla pelle, quasi non la vedono più.
Eppure, al tatto Sansa riesce ancora a individuarla: è sempre stata lì.
 
***
 
Cadono uno dopo l’altro, come mosche, senza senso e senza ragione i sostenitori di Potter vengono decimati. Ma la speranza, quella resiste strenuamente agli attacchi dei Mangiamorte, a ogni maledizione o incantesimo, quella cresce sempre più forte.
Sansa spera troppo, Sandor non spera più – lei obbedisce e gli sta alle spalle ma, per quanto vicina, è come se un canyon di sabbia rossa si stesse scavando tra loro due: la ama davvero, si dice, ma averla è così irreale da non permettergli d’accettare quell’amore.
Quando la battaglia si ferma, per permette a entrambi gli schieramenti di seppellire i propri caduti, le sussurra una piccola verità, un regalo, sul bordo delle labbra – scappa.
Ma lei, che pur non s’è mai completamente identificata con i valori della propria Casa, è troppo dannatamente Grifondoro per compiere un’azione così codarda: lo guarda, occhi di ghiaccio che tradiscono il fiume che le scorre dentro impetuoso, e sorride (ha sempre qualcosa che inquieta).
«Scappare» sussurra, passandogli una mano tra i capelli, con un’intraprendenza che silenziosamente la sorprende. «Per andare dove?».
Lui non risponde – dove ti sentirai libera di essere anche senza di me – e le copre la mano con la sua, allontanandola dal proprio viso.
«Il tuo è un gioco pericoloso, uccelletto» la rimbrotta. «Finirai per bruciare viva».
«Meglio bruciare viva» commenta lei, arditamente. «Che annegare tra i rimpianti. Te lo hanno mai detto?».
No, pensa Sandor con chiarezza – non gliel’ha mai detto nessuno.
 
***
 
Quand’è il momento in cui la memoria diviene ferita e poi silenziosa cicatrice?
Sansa se lo chiede silenziosamente, mentre la pelle le si apre e riversa sangue e lacrime sulle sue scarpe – colpito, ferito. Caduto.
E lei, che del cuore ha fatto la propria essenza, è tutta un muscolo sfilacciato che si china in un sospiro e non si rialza più. Nella sua mente, al sicuro tra le pareti di spine di quel labirinto, sta gridando.
Sandor Clegane ride, a fatica, la bocca piena di sangue – deve essersi morso la lingua, cadendo sotto il peso di uno Schiantesimo.
«Non guardarmi» le sibila, alzando il braccio per sfiorarle una spalla. «Scappa».
Lei non se lo fa ripetere ma, mentre ascolta il rumore dei propri passi che lasciano la battaglia, qualcosa le si rompe dentro – scappa.
 
***
 
Sandor riapre gli occhi – è fuggita per davvero.
Sorride, vede tutto in brandelli di oscurità.
 
***
 
Quando riapre gli occhi, lo fa imprecando contro Merlino e contro chi ha deciso di risvegliarlo dal mondo dei morti – Charlie Weasley ride, scoprendo i denti in un ghigno di lupo, con i capelli rossi che gli azzannano il viso al pari delle cicatrici sul volto di suo fratello maggiore.
«È ancora vivo!» comunica, sembra sollevato. «Puoi avvicinarti, sai? Non penso abbia la forza necessaria per mordere».
Hanno tutti quegli odiosissimi capelli rossi – anche lei.
«Sansa è stata bravissima» commenta Weasley, passandosi una mano in volto. «Ha praticamente affrontato Bellatrix Lestrange da sola, prima che mia madre accorresse… ti ha salvato la vita».
Sandor Clegane spalanca gli occhi, per quanto la cicatrice sul volto glielo consenta, e non dice una parola: Sansa Stark lo guarda, da dietro la spalla di Charlie Weasley e ha un oceano tale negli occhi che lo sconcerta e gli toglie le parole.
«Ti avevo detto di scappare» tossisce, quando lei s’avvicina per prendergli la mano. «Avresti dovuto farlo».
Lei sorride, ha il volto macchiato dalle lacrime.
«Se l’avessi fatto, sarei rimasta un uccelletto per sempre2» sussurra lei, posando la fronte contro quelle nocche bruciate e spellate. «Grazie».
Lui non le domanda per cosa – lui non domanda mai.
Ma è quello che gli rimane impresso nell’anima, insieme a quelle odiose cicatrici che lo deturpano, e lascia traccia: lei che lo guarda e ha un bacio sulle labbra e a stento sa rendersene conto.
Grazie.
 


1Citazione velata della Sansa dei libri.
2Citazione velata della Sansa della serie tv.
   
 
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