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Autore: PrimbloodyBlack    15/11/2021    0 recensioni
(la pubblicazione continuerà su Wattpad) Eloyn fa parte di una famiglia di cacciatori di vampiri. Durante la sua prima battuta di caccia viene separata dal gruppo e catturata. Viene portata nella grande dimora di uno dei 5 Signori Vampiri. Viene resa schiava dalla potente Lux che la renderà una Bloodgiver, il cui compito è quello di donare il suo sangue al suo padrone.
Lux riuscirà mai a sottomettere uno spirito ribelle come quello di Eloyn? Sarà una sfida che lei non vorrà di certo perdere.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Rhea

Ero riversa a terra, con la vista annebbiata e l'udito ovattato. Sentivo il rumore di vetri rotti calpestati da numerose scarpe e uomini che urlavano al massimo della loro voce. Vidi qualcuno mettersi in ginocchio accanto a me, con le mani protratte verso il mio addome, tremavano come la sua voce, ma io ero troppo frastornata per capirla. Alzai leggermente la testa, cercando di capire perché sentivo i vestiti bagnati e un dolore lancinante allo stomaco. Avevo un coltello conficcato in pancia e la mia camicia aveva una grossa macchia rossa. 

"Andrà tutto bene," disse la voce, calda e familiare. Accanto a me si aggiunse un'altra persona, un uomo, considerata la sua grande stazza. Mi prese in braccio e di lì a poco persi i sensi.

 

"Da quand'è che vai nei bassifondi?"

Erano le tre di notte, io ero distesa sul letto, immobile e dolorante. La coperta era sporca di sangue, così come la camicia aperta, che mi lasciava scoperto il seno. Avevo l'addome interamente fasciato e la pelle al di sotto che mi bruciava. Mi ero procurata una ferita profonda quattro centimetri e larga due.

"Ho freddo."

Amélie teneva le braccia conserte mentre guardava oltre la finestra, dandomi le spalle. "Il camino è accesso e la stanza non è affatto fredda." Non si era mai voltata a guardarmi, nemmeno una volta da quando si era alzata e si era messa lì a fissare il vuoto. "E poi ti ho fatto una domanda." Nonostante l'apparenza, la sua voce tradiva la sua calma.

"Dovresti saperlo, dato che mi hai seguita..." Cercai di abbottonarmi la camicia, almeno per coprirmi il petto, ma avevo perso troppo sangue, non avevo la forza nemmeno di muovere le dita. "Ho bisogno di una coperta."

Con fare scattoso Amélie si era voltata verso l'armadio e aveva cominciato ad aprire tutte le ante e cassetti. Era camera sua, eppure sembrava che ci avesse messo piede per la prima volta. Era in stato confusionale, non l'avevo mai vista così. Gettò di fianco a me la prima che trovò, poi mi si mise accanto. Girai la testa verso di lei, non riuscivo a leggere il suo guardo. Poggiò la sua mano calda dietro la mia nuca e mi aiutò a mettermi a sedere. Trattenni qualche gemito, i punti mi tirarono la pelle più di una volta, procurandomi fitte di dolore. Mi tolse velocemente la camicia sporca e poi mi lasciai andare, appoggiandomi al cuscino con il suo aiuto. In quel momento i suoi movimenti erano tornati ad essere delicati. Aveva evitato che i nostri occhi si incontrassero per tutto il tempo, mentre io la guardavo con profonda adorazione. Non so se dal mio sguardo trasparivano i miei pensieri, e nemmeno lei mi aveva dato modo di capirlo. Volevo accarezzarle il viso e dirle che andava tutto bene, ma le mie braccia erano deboli e la forza nel rimanere sveglia si stava affievolendo ogni minuto che passava.

"Amélie..." non so perché dissi il suo nome, forse mi mancava pronunciarlo, a voce alta, in sua presenza.

"Cosa?" disse prendendo la coperta. Mi coprì dandomi subito calore, ma io cercavo un altro tipo. Desideravo che si sdraiasse di fianco a me, con un braccio che mi cingeva e il suo respiro contro il mio collo.

"Amélie..."

"Smettila di parlare." Mi diede nuovamente le spalle, raggiungendo a passo lento e stanco la finestra. Poggiò le mani contro il davanzale come se avesse bisogno di sorreggersi. "Hai perso molto sangue, dovresti riposare." Abbassò la testa, lasciandosi andare ai tremori delle spalle. Le sue mani si strinsero in pugni e la sentii tirare su col naso. "Io non ce la po-"

"Dì il mio nome," dissi con voce forte. "Voglio sentire il mio nome sulla tua bocca." Lei scosse lentamente la testa, e io incalzai. "Se ci tieni a me, fallo." 

Con questo si voltò finalmente a guardarmi. Aveva gli occhi lucidi, il naso rosso, le labbra tremanti. "Sei appena stata pugnalata," mormorò, come se dirlo potesse farlo accadere un'altra volta. "Sei meschina."

Avrei potuto risponderle che lo sapevo, ma invece lasciai calare silenzio. Mi addormentai poco dopo, nella speranza di sognare qualcosa di più dolce e tenero, di toccare la pelle che volevo toccare, e le labbra che volevo baciare. Ma neanche nei sogni ho mai trovato sollievo.

La mattina dopo mi ero svegliata con il lento scoppiettio del camino e la pioggia che batteva contro il vetro della finestra. In quel momento anche respirare mi faceva male. Il dolore non era mai passato e la notte mi ero svegliata più e più volte, finché non ero stata colpita anche dalla febbre. 

"Dovresti riposare un altro po'."

Mi girai, e la vidi lì, distesa e di fianco a me, con gli stessi abiti della sera prima e la testa che poggiava sul cuscino. I suoi occhi erano rossi, le sue occhiaie più scure che mai. Aveva passato l'intera notte a prendersi cura di me ed io, in quella tiepida luce del camino che riscaldava la sua sagoma, annegai nei suoi occhi e mi innamorai una seconda volta.

"Ci è voluta un'accoltellata per renderlo reale," mormorai piano.

"Cosa?" domandò lei aggrottando la fronte. 

"Tu, la prima cosa che vedo al mattino."

Amélie sospirò e guardò altrove. Dopo qualche minuto di silenzio trovò le parole. "Non lo merito." Sbatté le palpebre nella speranza di non lacrimare e si morse le labbra. "Quest'affetto, non lo merito."

"Vali più di quello che pensi." Sentivo gli effetti della febbre e delle medicine nelle mie parole, ma non mi importava. Dopo quello che mi era successo non mi importava proprio più di nulla, né delle conseguenze, né di quello che avrebbe pensato. "Io ti amo."

Vidi i suoi occhi scattare subito sui miei, spalancati e vivi, la bocca leggermente aperta per lo stupore, le mani che avevano stretto la coperta sotto di lei in un pugno. Non ce la facevo a sorriderle, quella non era stata una confessione nata dalla gioia, ma più da un sentimento tetro. Ero disperata, e più la guardavo più la malinconia si faceva largo in me. Girai la testa dall'altra parte nel momento in cui la prima lacrima mi rigò il viso, e poi lontana dai suoi occhi lasciai cadere le altre. Non capivo cosa dovessi provare in quel momento, non sapevo neppure perché stavo piangendo. 

"Vado a chiamare Lux, mi ha detto di avvertirla non appena ti saresti svegliata." La sentii scendere dal letto, ma non fece alcun passo. Attese per qualche secondo, poi disse: "Riprenditi," come se mi stessi comportando da bambina viziata, "o Lux mi tratterà peggio di come già sta facendo."

Sentii una stretta al cuore. Come poteva essere così fredda e distante? Tutto ciò di cui avevo bisogno era un semplice sorriso, genuino e sincero, ma immagino che tutto ciò che otterrò mai da lei non è altro che rifiuto e rancore.

"Va bene," sibilai, così piano che forse non mi sentì nemmeno.

Camminò verso la porta ed io tornai ad esser da sola.

Poco dopo Lux entrò in camera e corse verso di me come se la mia vita dipendesse da lei. La prima cosa che mi disse fu: "Dimmi i nomi, li ucciderò." Per una volta la sua spietatezza mi rese felice. Dopo i continui sguardi di indifferenza che aveva rivolto a me e a Amélie, vederla così presente per me, mi rincuorò. Ce l'avevo ancora con lei per quello che aveva fatto a Constantine, ma forse, se fossi stata al posto suo, avrei fatto lo stesso, soprattutto se qualcuno avesse fatto ad Amélie quello che io avevo fatto ad Eloyn.

"Sono sicura che lo farai," dissi con un ghigno, "e poi ho saputo che Marcus mi ha vendicata per bene. Devo ancora ringraziarlo."

"Ma..." disse pensosa, "immagino che i tuo ringraziamenti a Amélie siano andati male."

"Perché?" Corrugai la fronte.

"Era scossa," mi fissò in cerca di risposte, "in maniera evidente."

"Non le ho fatto nulla," la informai in tono serio. "Non è giusta nei miei confronti."

"Lo sai perché..."

"Perché sono il costante promemoria che il suo ex amante violento è morto!"

"Ma tu non dovresti costringerla ad accettare il tuo amore se non lo vuole." Poi aggiunse: "Al momento."

Io feci un sospiro, nelle condizioni in cui ero, non ero pronta ad avere questa conversazione, o forse non lo sarei mai stata, ma c'era un'ultima cosa che dovevo dire: "Lux, lei provava dei sentimenti per me, erano appena sbocciati, ma c'erano, erano lì! Non so perché è tornata da lui, ma... Quello che voglio dire è che deve pur significare qualcosa, c'è ancora la possibilità che quel sentimento riaffiori."

Lux mi guardò con compassione e comprensione. In quel momento sentii come se i nostri ruoli si fossero scambiati per la prima volta. "Non puoi continuare a sperare per sempre. Siamo immortali e tu sai cosa significa. Soffrirai per l'eternità."

"So che non accadrà," le dissi con un sorriso. "Ma adesso," dissi cercando di mettermi contro la spalliera e fallendo, "Ah!"

"Rimani giù, idiota."

"No, ce la faccio." Mi sforzai mettendo tutta la forza sulle braccia e ce la feci. "Allora, parliamo di cose che ti possono interessare."

Lux alzò un sopracciglio, sorpresa. Io le sorrisi. 

"Ieri notte sono andata in questa osteria nei bassifondi, 'La Golarossa'."

"Sperò tu fossi ben vestita," mi minacciò con sarcasmo. "Non voglio che si spargano voci, soprattutto adesso."

"Ho preso uno di quei cappotti lunghi con il cappuccio dall'appendi abiti, quindi no, nessuno mi ha vista andare lì. Ma qualcuno mi ha riconosciuta."

"Rhea," disse in tono severo sgranando gli occhi.

"Fammi finire. Sono andata tranquillamente al bancone e il barista invece di chiedermi cosa volessi, ha detto questo: 'lui non è qui.' Così, dal nulla."

"Lui chi?"

"Non lo so, deve avermi scambiata per qualcun altro. Poi quando mi ha vista in volto si è spaventato. Un tizio mi ha attaccata da dietro dicendo: 'Ormai ci sono troppi nobili che vengono qui.' E dopo un altro mi ha accoltellata. Il resto l'avrai saputo da Amélie, se lei e Marcus non mi avessero seguita ora sarei morta."

"Capisco, manderò Ife a dare un'occhiata. Anche se non dovesse riguardare Eloyn, i nobili che tramano dietro le miei spalle non meritano la mia protezione." Si alzò dal letto e mi sorrise. "Me ne occuperò io, di tutto. Tu riposa, e se vuoi svagarti ci sono porti migliori dei bassifondi, e lo sai."

"Immagino che i comportamenti autodistruttivi scorrano nel sangue."

Lux sospirò e si avviò verso la porta. "Non ti sforzare troppo, rimettiti in sesto, fallo per me."

Sapevo cosa volesse dire. 'Non diventare un peso in più'. Ma io non volevo assolutamente esserlo. "D'accordo." Ero la sorella maggiore, dopotutto. "Ora vai, so che fremi dalla voglia di mandare Ife in città."

Mi fece un sorriso enorme. "Si!"

Non so come, ne il perché, ma cose del genere l'hanno sempre eccitata. Trovava gusto nello scovare tradimenti e ingiurie, e punire nei modi più atroci chi calpestava il suo nome. Del resto non ci aveva riflettuto nemmeno un secondo sulla condanna da dare a Costantine. Nella sua testa ronza solamente la parola 'morte' quando si parla di infedeltà. Non oso immaginare cosa accadrà quando i colpevoli usciranno fuori. Forse avrebbe fatto un eccezione, magari li avrebbe resi immortali e torturati a vita.

Lux è sempre riuscita ad essere più cose allo stesso tempo: una donna forte, ma a volte viziata, una buona governatrice, ma piena di difetti, una brava persona, ma molte volte anche spietata. Era riuscita anche ad essere una figura materna per alcuni, poveri, piccoli umani, ma anche quel ruolo era stato affiancato a quello di spietata vampira succhiasangue. Aveva ucciso innocenti, e ne aveva salvati altrettanti. Non oso immaginare la confusione che era nata in Eloyn.

Più tardi Amélie tornò con un umano. Teneva tra le mani un vassoio con del cibo, il mio pranzo.

"Mettilo lì," disse al ragazzo, indicando il comodino accanto al letto, "grazie." Poi guardò nella mia direzione. Quel volto serio, privo di gentilezza, mi terrorizzava ogni volta. "Devo pulirti la ferita e cambiarti la fasciatura." Entrò in bagno, prendendo quello che le serviva, quando si avvicinò di più, notai che era semplicemente stanca.

"Dovrei tornare in camera mia, con me qui non riposerai mai."

"No, voglio tenere entrambi i miei occhi su di te. A meno che tu non senta davvero il bisogno di tornare nella tua stanza."

"Ma tu-"

"La mia salute più attendere." Mi interruppe.  "Ora..." Mi tolse la coperta di dosso, fui colpita da un brivido di freddo. Indossavo una semplice sottana, ma non ricordavo quando l'avessi messa. Mi aiutò a mettermi seduta e poi mi tirò su la sottana. "Dammi un secondo." Sganciò i ferri che tenevano la fasciatura stretta al mio addome e lentamente me la tolse. Il sangue della ferita l'aveva quasi fatta appiccicare alla mia pelle e in quel punto Amélie ci aveva messo tutta la delicatezza possibile per non farmi male. Prese un asciugamano e lo poggiò sul materasso. "Vieni giù." Pulì la ferita con acqua e poi con il disinfettante, strinsi i denti cercando di non farle capire quanto quel bruciore mi stesse uccidendo. "So che fa male, non devi fingere."

"Potrei fare una battuta, sai?" 

"Non sapevo che lo stare male ti rendesse così loquace. Comunque, stai guarendo in fretta."

"La fortuna di avere sangue Originale."

"E la sfortuna di averne solo metà, a quest'ora la ferita sarebbe in parte guarita."

"Colpita e affondata." La vergogna della famiglia... 

"O forse dovresti dire 'pugnalata'?" disse con un sorriso.

"Questa era pessima." Risi.

"Lo so."

Ricominciò a passare la spugna sulla ferita, in un gesto istintivo le bloccai la mano. Sentivo la pelle che ribolliva e scoppiettava come la legna nel camino. Trattenni il respiro, poi la lasciai. Fece qualche altro movimento circolare e poi mi disse che aveva finito. Mi fece rimettere seduta e mi circondò con una nuova fasciatura. Feci cadere giù la sottana ma prima di adagiarmi nuovamente sul cuscino Amélie mi prese la mano, con insicurezza e paura, ma quando mi guardò, il suo sguardo era fisso sui miei occhi e sembrava non esserci alcuna esitazione in lei.

"Io ci tengo a te, Rhea. Non voglio che lo metti in dubbio."

Ma tu mi riempi di dubbi, desideravo dirle.

"Ma ci sono delle cose che non sai." Abbassò la testa e mi strinse di più la mano. "Io non sono come credi. Io- io ho paura... sono terrorizzata."

Aveva ragione, c'erano cose che non sapevo, perché quello che stava dicendo non aveva alcun senso ai miei occhi.

"Quindi, per favore, non tormentarmi più."

Tormentare? E' così che ti faccio sentire? Mi sentii profondamente il colpa. Lei stava soffrendo ma ero stata troppo egoista ed egocentrica per vederlo. "È per questo che mi stai allontanando?" 

Lei annuì.

Questo... questo è tutto ciò che stavo aspettando, che lei si aprisse con me, che parlasse finalmente dei nostri sentimenti, dei suoi. E sentii il mio cuore battere così forte che avevo paura che potesse sentirlo anche lei. Ma come una stupida lasciai scivolare fuori dalla mia bocca la mia insicurezza e i miei timori. "Auber c'entra qualcosa in questo?" Erano anni che non pronunciavo il nome di quel viscido.

"Lui," disse evitando di guardarmi, "centra tutto."

"Ovviamente," risi. "Che stupida."

"Lo stai facendo di nuovo."

"Cosa?" inveii. "Lo capisci come mi fai sentire ogni volta? Io-" La mia voce tremò. "Io non ti ho mai toccata senza che tu lo volessi. Non ti ho mai costretta, non ti ho mai lasciato un livido addosso. Eppure continui ad avere paura di me!"

Amélie sussultò, come se si fosse rotto qualcosa in lei.

Questo è quello che mi ferisce più di ogni altra cosa al mondo, il fatto che ha paura di me più di quanta ne ha mai avuta di lui. Questo mi fa imbestialire. 

In quel momento si alzò dal letto con la mano sulla bocca e gli occhi pieni di lacrime. 

"Aspetta!" L'ho fatto di nuovo, ho messo me stessa al disopra di lei. Sono così stupida!  "Amélie!" 

Quando la vidi dirigersi verso la porta, sfrecciai fuori dal letto. Non mi importava del dolore, dei punti che potevano rompersi, della ferita che poteva riaprirsi... La cosa più importate nella mia vita mi stava lasciando ancora una volta, e questa volta era totalmente colpa mia, della mia insensibilità e del mio egoismo. Come potrebbe mai innamorarsi di una persona così egocentrica e stupida? Lux aveva ragione, dovevo aspettare, dovevo aspettare!

"Amélie!" Sentii il cuore sprofondare in una fossa quando si girò a guardarmi. Stava crollando ed era tutta colpa mia. 

"Per favore..." protese il braccio contro di me per fermarmi. "Torna a letto." Ogni parola era un singhiozzo e un pianto disperato. 

Non sapevo, non potevo credere che potesse arrivare a questo. L'avevo portata al limite senza nemmeno accorgermene.

Lei si poggiò contro l'armadio e scivolò a terra. "Tu," disse, ma i singhiozzi erano troppo forti e le parole non uscivano. "Non puoi capire." Il suo viso era completamente bagnato. 

Mi staccai dalla pediera del letto, sembrava che riuscissi a sorreggermi da sola. Mi avvicinai a passo lento. Amélie si era chiusa a riccio. Io mi piegai, combattendo con il dolore, e mi misi in ginocchio difronte a lei. Alzò lo sguardo, pulendosi le guance e strofinando gli occhi, ma era inutile, non volevano fermarsi. Cercò di trattenere qualche mugolio, ma più mi guardava più vedevo dai suoi occhi che stava pensando intensamente a qualcosa, e quella cosa la spaventava. Vederla così, mi portò a provare un insieme di emozioni che non avrei mai voluto sentire. Paura, pena, rimpianto, rabbia... Ero travolta da tutto ciò, ma ero l'odio verso me stessa e quello che le avevo fatto che faceva da padrone a tutte le altre. Mi sporsi verso di lei, allargando le mie braccia.

"No, non voglio farti del male, per favore."

Non mi ero mai resa conto quanto fosse stato traumatico per lei spendere tutti quegli anni insieme a quell'uomo. Mi ricordai di quando mi diede quello schiaffo e il volto terrorizzato che aveva fatto subito dopo. Forse dopo tanto, troppo, tempo avevo capito.

"Amélie..." 

"C'è violenza in me, Rhea."

"No." Misi una mano dietro la sua nuca, la spinsi verso di me, stringendola con l'altro braccio. Lei aprì le gambe, permettendomi di avvicinarmi ancora di più, e finalmente l'avvolsi completamente. "Non c'è."

"Non lo puoi sapere."

"Allora," mormorai, con la guancia contro la sua testa. Sentivo il suo umido respiro contro il mio petto. "Fammi quello che hai sempre voluto fare." Sentii un cambio di respiro in lei e si stacco leggermente da me, guardandomi negli occhi. "So quello che ti sto dicendo e so cosa implica." Le sorrisi. 

"Ma-"

"Ha il mio più totale consenso, è quello che voglio." Mi guardò preoccupata e io aggiunsi: "Io credo in te."

E dal quel momento i suoi occhi puntarono il mio collo. Mise le sue mani sulle mie spalle, per spingersi in su o per tirare giù me. Ma non ebbi molto tempo per pensarci perché non appena i suoi canini entrarono nella mia pelle, io persi le forze e lei mi spinse violentemente indietro, facendomi cadere di schiena. La circondai con le mie braccia e poi iniziai ad annegare nel piacere.

 

Non potete immaginare quante volte abbia riscritto e modificato questo capitolo, ma spero vi sia piaciuto. Tra l'altro sto seriamente valutando se fare un prequel con loro due come protagoniste, magari quando ho finito questo libro.

 

   
 
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