Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: J Stark    16/11/2021    0 recensioni
Cosa succederebbe se inaspettatamente ti ritrovassi nel mondo dell'Attacco dei Giganti? Conoscendo la storia agiresti per cambiare gli eventi o lasceresti che facciano il loro corso? Assisteresti da spettatrice/spettatore alla morte dei tanti personaggi o cercheresti a tutti i costi di salvarli?
Ti invito a scoprirlo unendoti all'avventura di Carol, la protagonista di questa storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Salve a tutti! Mi scuso per il ritardo con cui sto aggiornando e spero che i “pochi ma buoni” che ancora seguono il mio racconto siano ancora presenti. Volevo fare una piccola precisazione che mi ero dimenticata di aggiungere nel capitolo precedente. Dal momento che nel manga e nell'anime non viene indicato il nome del Caposquadra che organizza la famosa grigliata, e avendo appunto necessità di citarne il personaggio per esigenze narrative, mi sono presa la libertà di chiamarlo Grime (spero che Isayama non si arrabbi :D). Per ora è tutto, vi ringrazio per l’attenzione e buona lettura!








 
“Ci siamo”

Constatò tra sé Levi quando dal ramo su cui era appostato vide uscire dalla foresta una ventina di persone.
Le osservò disporsi formando un cordone orizzontale in mezzo alla piana erbosa in cui regnava un completo silenzio.
Non sembravano soldati, da essi non traspariva il classico portamento tronfio e militare, avanzavano con la testa china ed il dorso curvo come se portassero sulle loro spalle uno zaino carico di pietre.

L’immagine più calzante che gli venne in mente fu quella dei condannati diretti al patibolo, talmente rassegnati alla propria morte da essere già cadaveri prima ancora che essa sopraggiungesse.

E ben presto si sarebbe accorto di quanto quell’impressione non fosse affatto sbagliata.

Quando tutti loro ebbero preso posizione, il barbuto biondo che si trovava al centro di quella fila ordinata emise un potente grido.
Il Capitano dovette schermarsi gli occhi tanto era accecante la luce che ne seguì.
Davanti a lui numerosi giganti di varia grandezza presero il posto degli uomini di poco prima e per quanto Levi avesse assistito molte volte agli esperimenti di Eren, queste trasformazioni gli fecero un effetto del tutto diverso.

A differenza dei mutaforma infatti quei giganti semplici sarebbero stati confinati per sempre in quello stato, senza più un briciolo di umanità, nessuna facoltà intellettiva, nessun raziocinio.

Solo la feroce fame di cibarsi di altri esseri umani.

Tornò con la mente al giorno in cui Hange aveva sottoposto a lui ,Erwin e Pixis l’ipotesi che quelle orripilanti creature fossero in realtà persone. E proprio come allora il pensiero di quante vite erano state troncate in questa folle guerra gli fece venire la nausea.
Non si trattava più di fare un bilancio tra quanti mostri erano stati abbattuti e quante perdite aveva sostenuto il genere umano.

Le vittime appartenevano tutte alla stessa stirpe, fin dall’inizio si era trattato di uno scontro tra esseri umani.

Lui stesso aveva da sempre ucciso esseri umani.

Forse, convenne con amarezza, il titolo di “Assassino più forte dell’umanità” gli calzava meglio.

Chissà se lo avrebbero osannato ancora in patria una volta scoperta quell’amara verità.

Ma, ironia della sorte, non poteva comunque lasciarsi sopraffare dal senso di colpa, la missione richiedeva il suo distaccato e freddo temperamento.

Il proprio istinto lo spinse a canalizzare quel rancore verso il barbone che ora aveva rivelato la sua forma titanica.

Eccola finalmente, la ributtante scimmia di cui tanto aveva sentito parlare.

Il gigante Bestia.

Levi era ben consapevole di quanto il fattore tempo fosse di vitale importanza in quel frangente.
Bisognava agire prima che quello stronzo scagliasse il macigno, altrimenti i compagni che già si trovavano sulle mura, così come lui stesso e la truppa al proprio seguito, sarebbero rimasti intrappolati ed impossibilitati ad usare i cavalli.
Al segnale del Capitano i soldati planarono silenziosamente sul terreno, sparpagliandosi a ventaglio alle spalle di quegli esseri ancora ignari della loro presenza.
Lui si scagliò senza tante cerimonie sul Bestia recidendogli con un colpo secco i tendini delle caviglie e facendolo crollare rovinosamente a terra.
Poi con un guizzo fu sopra la sua testa, accecandolo.
Non seppe spiegarsene il motivo ma il mettere al tappeto quella scimmia gli procurò un’enorme soddisfazione.
Il gigante si dimenava urlando a squarciagola, probabilmente incapace di comprendere appieno ciò che stava succedendo, tanto erano fulminei i movimenti di Levi.
Infine puntò alla nuca, dilaniandola con precise raffiche di fendenti.
E quando sotto quella spessa pelliccia intravide il corpo dell’ospite, lo afferrò per i capelli estraendolo dal groviglio di tendini sanguinolenti.
Zeke rantolava per il dolore, ancora stordito dalla furia di quell’attacco.

«E smettila di fare tanto baccano, barbone» esclamò stizzito il corvino mentre troncava gli arti di quella sudicia creatura per impedirne una nuova trasformazione.

Si guardò intorno, i suoi sottoposti erano a buon punto con l'uccisione dei giganti, la minaccia sembrava scongiurata.

Improvvisamente però una strana nebbia che sembrava giungere dalla foresta iniziò a propagarsi attorno a loro, riducendo di molto la visibilità. I militari, ad eccezione di Levi, cominciarono a tossire coprendosi istintivamente il volto per proteggersi da quell’insolito vapore.

«Capitano ma che succede?»

«Signore, non si vede più nulla!»

«È opera tua vero, bastardo?» ringhiò il Capitano affondando ancora di più la spada nel petto di Zeke.

«Lo vedrai» gli rispose l’altro sogghignando mentre sputava sangue.

Levi era spaesato, Carol non aveva fatto menzione di una potenziale arma segreta, forse perché nemmeno lei ne era a conoscenza.

Ma di cosa si trattava esattamente?

I suoi dubbi furono presto fugati non appena Zeke lanciò un altro urlo a pieni polmoni.

Nell'attimo di un respiro la grigia foschia fu illuminata dagli inconfondibili bagliori gialli delle trasformazioni.

Levi assistette impotente all’agghiacciante spettacolo dei propri compagni che venivano sfigurati, la pelle dei loro corpi umani che si lacerava lasciando il posto alle grottesche fattezze dei giganti.

Ora era completamente solo, in territorio pianeggiante e circondato da fin troppi titani.

Una situazione di merda persino per un soldato abile quanto lui.

Non poteva far tornare alla normalità quegli uomini e non c’era modo di fronteggiare da solo tutti quei giganti, doveva mettersi in salvo. Portarsi appresso il barbone era escluso, l’avrebbe rallentato rendendolo facile preda di quelle bocche fameliche e benché ne avesse il bruciante desiderio, non poteva ucciderlo seduta stante poiché Carol era stata chiarissima su quel particolare.

«Merda» sibilò a denti stretti.

Quella parte della missione era andata a puttane, non poteva fare altro che ritirarsi verso le mura e riunirsi con il resto dell’esercito.

Lanciò un ultimo sguardo d’odio verso Zeke, il cui corpo aveva già avviato la rigenerazione, e fischiò forte per richiamare il proprio cavallo nascosto nel bosco. 
Quando il destriero emerse dal margine della foresta Il Capitano gli montò in groppa e partì a rotta di collo verso le rovine della città. Stranamente i giganti non si erano lanciati al suo inseguimento, ma anzi se ne stavano fermi come in attesa di ricevere ordini che sicuramente sarebbero giunti dal Bestia.

Mentre cavalcava all’impazzata sentiva un’immensa rabbia montargli dentro.

Quel mostro aveva ammazzato i suoi sottoposti, dei valenti soldati che avevano votato la propria vita all’umanità.

Ma li avrebbe vendicati, tutti loro.

L’ennesimo giuramento che si aggiungeva alla lista di anime di cui Levi doveva onorare la morte, anche a costo di sacrificare sé stesso.
 







 
 
Carol si dimenticò per un attimo di Reiner e volse l’attenzione a Zeke stringendo con forza la spilla appuntata al cuore. Quando vide i giganti accasciarsi a terra uno dopo l’altro, capì che Levi e la sua squadra erano entrati in azione e si concesse di respirare.
Ma non c’era tempo per godersi lo spettacolo, dovevano ancora occuparsi del Corazzato che in quel momento si preparava a prendere la rincorsa per risalire le mura.
Quando questo ebbe artigliato la parete di pietra Erwin diede il segnale ai due soldati scelti della squadra Grime, i quali si portarono ai lati del titano per scagliare le lance fulmine.
Entrambi i colpi andarono a segno, frantumando la mandibola di Reiner che per il dolore perse la presa sul muro cadendo all’indietro. Fu poi il turno di Grime,il quale centrò il bersaglio con altrettanta precisione, tanto che a seguito dell’esplosione il corpo del Guerriero venne scaraventato fuori dalla nuca del suo gigante. I soldati circondarono quindi il malconcio traditore ormai fuori combattimento, immobilizzandolo a terra.

Dall’alto delle mura si levò l’urlo di vittoria degli altri militari e anche Carol esultò in cuor suo.

Ma l’euforia durò poco.

Quando si voltò verso Smith si raggelò nel vederlo improvvisamente sbiancato.

E di fronte alla comparsa dei lampi di nuove trasformazioni che brillavano dietro una grigia foschia, comprese immediatamente la ragione di tale turbamento.

“Non è possibile” pensò terrorizzata.

Il respiro le si mozzò in gola alla vista di una figura lontana che emerse a cavallo dalla nebbia, procedendo spedita in direzione delle mura.

“Fa che sia lui ti prego” implorò silenziosamente cercando di mantenere il proprio contegno, nonostante i suoi muscoli fossero un fascio di nervi ed il battito sordo del cuore le rimbombasse nelle orecchie.

“Ti prego”

Quando la distanza si ridusse e fu in grado di riconoscere destriero e cavaliere, Carol si lasciò cadere sulle ginocchia sospirando profondamente.
Anche Erwin fu altrettanto sollevato nel vedere ritornare il suo più fidato sottoposto, il suo migliore amico, sano e salvo.

Quando il Capitano atterrò sulle mura la ragazza gli corse incontro gettandogli le braccia al collo e stringendolo a sé il più possibile, come se da un momento all’altro egli potesse svanire. Levi rispose a quell’abbraccio con altrettanta enfasi, affondando il viso nei capelli di lei e respirandone a fondo il profumo.

«Sei ferito?» chiese Carol con apprensione, scostandosi quanto bastava per controllarne le condizioni ed osservandone la divisa sporca di sangue e polvere.

«No tranquilla» la rassicurò lui, la voce ancora affannata per lo sforzo.

«Levi, cosa è successo agli altri?» si intromise serio il Comandante, interrompendo quel breve scambio di battute.

La giovane aveva paura di conoscere la risposta a quella domanda, poiché la nube di poco prima poteva significare una cosa sola.

«Avevamo quasi sterminato i giganti, io ero riuscito ad abbattere il Bestia, c’eravamo quasi Erwin» iniziò a fare rapporto il corvino, le nocche strette fino a sbiancare e la mascella contratta «Poi dal bosco ha iniziato a salire una fitta nebbia, non si vedeva più nulla ed i soldati tossivano violentemente. Lo scimmione ha lanciato un urlo e in un attimo sono comparsi nuovi giganti»

I militari all’ascolto reagirono sconvolti di fronte a quella tragedia e solo Erwin non si scompose, ritto nel suo stoicismo, gli occhi ancora fissi sul proprio vice.

«Erano troppi, non ho avuto altra scelta se non quella di ritirarmi. Ho fallito»

Il Comandante gli si avvicinò e gli pose una mano sulla spalla per confortarlo.

«No Levi, hai agito nella maniera più giusta e razionale. Avremo modo di piangere i nostri morti quando torneremo a casa, ora concentriamoci sul resto della missione»

I due si scambiarono un’occhiata di assenso ed in essa Carol poté cogliere ben più del semplice paternalismo tra un superiore ed il suo sottoposto.

In quello sguardo c’era tutto l’affetto e la fiducia che due grandi amici, due fratelli, provavano l’uno per l’altra.

Smith si rivolse poi a lei, in una muta richiesta di spiegazioni che tuttavia non sottintendeva alcuna accusa.

«Io… non ne sapevo nulla Erwin. Questa evenienza mi era sconosciuta»

«Ti credo Carol. L’imprevisto a quanto pare è il prezzo da pagare quando si cerca di cambiare la storia» rispose lui malinconico scuotendo il capo.

Si concentrarono sul limitare del bosco, dove la nebbia ormai dissolta lasciava intravedere Zeke pronto a lanciare il famigerato macigno.
Nell’arco di pochi secondi un potente fragore e le urla spaventate dei militari accompagnarono l’impatto del masso contro la parete di pietra. Una porzione della base delle mura si sbriciolò collassando su sé stessa e bloccando completamente l’apertura del cancello interno.

«Ci ha mancati!» Fu l’ingenua affermazione di una giovane recluta.

«Niente affatto, ha mirato con intelligenza» osservò mestamente Erwin «Ha fatto in modo che i nostri cavalli non possano passare il cancello. Vogliono privarci dei cavalli e circondarci, così saremo bloccati qui dentro mentre ci stermineranno. Abbiamo entrambi lo stesso desiderio, chiudere i conti una volta per tutte. L’umanità e i giganti, chi sopravvivrà? E chi morirà?»

Le parole del Comandante vibrarono nell’aria mentre in Carol cresceva sempre di più il sospetto di essersi illusa, e che la storia si stesse ripetendo senza che lei potesse porvi rimedio.

Una semplice spettatrice, questo era? A che scopo dunque mandarla in quel luogo ed in quel preciso momento se era destinata a soccombere dinnanzi al fato?

Ad un tratto si accorse che qualcuno le aveva afferrato la mano, volse lo sguardo alla propria sinistra e trovò gli occhi di Levi che la scrutavano impensieriti.

No, il suo viaggio non era stato inutile. Il calore di quella stretta e quelle profonde iridi metalliche erano lì a ricordaglielo.

Una certezza che si promise di non dimenticare.

Sorrise quindi in risposta a Levi con ritrovata forza.

Zeke emise un’altra delle sue urla bestiali ed i giganti più piccoli, che fino a quel momento erano rimasti immobili, presero a correre a tutta velocità verso le case.
I soldati rimasero a fissare inorriditi quella moltitudine di corpi tozzi e dalle movenze sgraziate, sapendo che non c’era altra scelta se non combattere contro i loro stessi compagni.

«Arrivano! Giganti di classe 2-3 metri in avvicinamento!» avvisò Hange che nel frattempo aveva fatto ritorno con la squadra.

Carol spostò l’attenzione su Erwin che in quel momento aveva il capo abbassato in chiaro atteggiamento di riflessione. Ora che parte del piano era andata in frantumi solo lui poteva riprendere in mano le redini della situazione.

Dopo quella che parve un’attesa interminabile, l’uomo riportò lo sguardo verso l’orizzonte.

Il Comandante Smith aveva elaborato la sua strategia.

«Oh, finalmente ti sei deciso a parlare. Ma prima mi sarebbe piaciuto fare colazione» fu la battuta sarcastica del Capitano.

«Ascoltate! Squadre Dirk e Marlene, raggiungete la squadra Klaus e proteggete i cavalli. Squadre Levi e Hange, recatevi al centro della città e preparate il necessario per mantenere immobilizzato il Corazzato. Utilizzate le lance fulmine o qualsiasi altro mezzo e portate a termine la vostra missione! La sopravvivenza dell’intera umanità dipende da questo momento e da questa battaglia. Ancora una volta, OFFRITE I VOSTRI CUORI PER L’UMANITÀ!» la voce di Erwin riscosse anche gli animi più timorosi, riecheggiando autorevole e perentoria come era sempre stata «Dovete avanzare restando sempre protetti dalle pareti degli edifici perché il Bestia potrebbe scagliarvi addosso altre pietre, mi avete capito?»

«SIGNORSÍ»

I soldati si lanciarono verso i rispettivi obiettivi con la foga di chi non solo è ligio al dovere, ma ha piena fiducia nella missione a cui ha votato la propria vita.

Prima di calarsi dalle mura Hange si portò l’indice ed il medio davanti agli occhi, rivolgendoli poi verso Carol.

Quest’ultima annuì, dandole segno di non aver dimenticato il loro patto.

Che volesse o meno tenervi fede, quello era un altro conto.

«Levi, Armin aspettate» li bloccò Smith «A differenza della tua squadra tu sei da questa parte Levi»

«Quindi devo proteggere i cavalli e non Eren?»

«Esatto. E al momento opportuno ti occuperai di lui» la lama del biondo luccicò al sole mentre era puntata in direzione del Bestia.

«Hai già dimostrato di essere l’unico in grado di portare a termine questo compito. Inoltre, per qualche strana ragione la nebbia non ha avuto effetto su di te… quindi sembrerebbe che solo tu possa avvicinarti a quella creatura senza correre il rischio di essere trasformato»

«Sì ricevuto. Prima ho fallito, ma ora mi prenderò la mia rivincita su quel bastardo» asserì l’altro osservando Zeke con fare sprezzante.

Chiunque fosse il destinatario di quello sguardo truce poteva dirsi spacciato, il Capitano Levi era decisamente un uomo da non inimicarsi.

Ma quando si rivolse a Carol la sua espressione cambiò radicalmente.

«Ci vediamo dopo» le sussurrò premendo la propria fronte contro quella di lei in un gesto colmo di tenerezza, ormai incurante che gli altri li potessero vedere.

«Sarà meglio» ribatté lei, cercando di nascondergli la paura che le stava rodendo le viscere.

Lui sdrammatizzò con un sorriso sghembo e poi in un movimento fluido scomparve nel vuoto.

«Erwin…» parlò Carol con gli occhi ancora fissi sulla figura del Capitano, che ora si muoveva sui tetti delle abitazioni sottostanti «Dobbiamo allontanare subito Reiner dalle mura, perché se dovesse in qualche modo chiamare Berthold l’esplosione che ne deriverebbe ci ucciderebbe tutti»

«Hai ragione e questo ci porta a te, Arlert»

Sentendosi preso in causa il ragazzino sussultò. Era rimasto in disparte in attesa di ordini e guardava Carol con circospezione, memore delle parole che la giovane aveva usato con Reiner poco prima.

«Armin, questa battaglia deciderà le sorti dell’umanità. Affido il comando di una delle sue fasi a te e ad Hange. Recati dalla squadra Grime e riferisci loro di trasportare Braun verso la posizione di Eren e gli altri. Accompagnali tu e assicurati che tutti sappiano che il Corazzato non deve avvicinarsi alle mura»

Arlert indirizzò un’ultima occhiata inquisitoria alla ragazza, poi si congedò rispettosamente con il Superiore e si dileguò.

Carol indugiò sulla minuta figura di Armin, rammaricata per averne perso la sua fiducia. Quelle biglie azzurre che qualche giorno prima sotto l’ombra dell’acero le si erano rivolte con stima e affetto, ora la scrutavano con diffidenza.

Con il cuore in tumulto si accostò ad Erwin per controllare lo svolgersi della battaglia sotto di loro; nell’aria risuonavano i versi strozzati dei giganti ed il rumore di quelle nude carni che venivano affettate.

Udì Levi intimare i propri sottoposti a non morire, una preghiera più che un ordine che si perdeva nel concitato frastuono di quel momento.

«Stanno avendo difficoltà contro i classe tre-quattro metri e ci sono già stati diversi feriti. La forza del Corpo di Ricerca non è più quella di una volta. Ma senza tutte quelle perdite... non saremmo mai arrivati al punto in cui siamo ora» il Comandante parlava con voce atona, forse rivolto più a sé stesso invece che ad un interlocutore.
«Durante l'addestramento, parlavo spesso agli altri della teoria pensata da me e mio padre. Volevo entrare nel Corpo di Ricerca per dimostrarla. Ma dopo esservi entrato, per qualche motivo smisi di parlarne del tutto. Anzi no... So bene quale fu il motivo, mi accorsi di una cosa. Solo io... stavo combattendo per me stesso. Solo io... stavo inseguendo il mio sogno. In un lampo, mi ritrovai con subordinati da comandare e compagni da incoraggiare. Dissi loro di offrire il proprio cuore per la salvezza dell'umanità. È così che ho ingannato i miei compagni, è così che ho ingannato me stesso, ed è così che ho creato la montagna di cadaveri su cui adesso mi trovo. Ma nonostante tutto, non riesco a togliermi dalla testa quella stanza sotterranea. Anche se la missione dovesse fallire, forse potrò comunque vederla prima di morire…La stanza lasciataci da Grisha Jaeger»

Carol ascoltò in silenzio, e finalmente dal vivo, quel toccante monologo. La ragionata conclusione a cui era giunto Erwin dopo tanti anni passati a tirare le fila del Corpo di Ricerca.

Lo struggente senso di colpa che da tempo dilaniava quell’uomo tormentato ora si era fatto insormontabile, appesantito dalla consapevolezza che l’ideale che inseguiva così strenuamente forse non fosse così altruista.

Per quanto il suo ego gli avesse sempre sussurrato il contrario, egli aveva capito quanto la realtà con cui si ritrovava ora a fare i conti fosse tragicamente dura e beffarda.

Persino il celebre Comandante Smith aveva ceduto alla tentazione dei propri desideri mostrandosi così per ciò che era, non una creatura irreale senza macchia o incorruttibile, bensì un essere umano in tutta la sua realistica imperfezione.

Un uomo come tutti gli altri a cui però, in virtù della carica che ricopriva, la società non permetteva di essere tale.

Lui doveva essere il soldato perfetto, abnegante fino al midollo e senza un briciolo di egoismo.

Ed invece eccolo lì ad ammettere la propria debolezza, a confessare le proprie colpe di fronte all’invisibile tribunale dei compagni caduti in battaglia.

Ma Carol non trovò nulla di vergognoso in quell’ammissione, che non sottolineava altro che la natura frammentata e fallibile dell’animo umano.

Sentì di dover dire qualcosa ora che ne aveva la possibilità.

«Tutti inseguiamo i nostri sogni, dopotutto che cosa saremmo senza di essi? Dei gusci vuoti che si limitano a sopravvivere all’incessante scorrere del tempo» si espresse accostandosi ad Erwin, il quale come ridestatosi da uno stato di trance si era appena reso conto di aver esternato il proprio monologo interiore.
«Ma se hai un sogno, questo ti dà la forza e l’energia di combattere, di vivere. E sono convinta che se esso non è dettato da sentimenti malvagi ti consentirà di contribuire al bene dell’umanità nel corso della sua realizzazione. Ed è anche il tuo caso Erwin. Me lo hai detto tu stesso durante il nostro colloquio qualche giorno fa, mi hai confidato la speranza che il tuo sogno possa essere di aiuto al genere umano»

Pose una mano sul braccio di lui, specchiandosi in quei bellissimi e tristissimi occhi azzurri che la fissavano smarriti forse in cerca di un’assoluzione che tuttavia lei non aveva il potere di elargire.

«Chi ti ha seguito e ti segue tuttora l’ha fatto non solo perché si fidava dei tuoi ordini, ma perché era guidato dal proprio desiderio di servire il genere umano. E tramite il sacrificio ha realizzato quell’ideale, Erwin, perché se tutti loro non avessero offerto il proprio cuore ora non ci troveremmo qui. Se tu non avessi inseguito la tua chimera non saremmo qui. Dunque non colpevolizzarti, il tuo sogno ha permesso a quei soldati di realizzare il proprio» concluse Carol, la voce carica di emozione.

Sul volto del soldato si dipinse fugace come un lampo un’espressione incredula, che poi si aprì in un sorriso riconoscente.

Lui era sempre stato un eccellente oratore, aveva sempre scelto le parole perfette per motivare i propri uomini anche nei momenti più critici.

Quali che fossero le circostanze, tutti sapevano che avrebbero trovato un pilastro ed un faro nel Comandante Erwin.

La ragazza capì che in quell’attimo stava ricoprendo lei quel ruolo, le parole che aveva pronunciato erano ciò di cui lui avesse bisogno, ora era stata lei a dargli coraggio.

E questa consapevolezza risollevò il morale anche a lei stessa.

La lucidità annunciò il proprio ritorno nella mente della giovane con un oscuro presentimento,
interrompendo quel momento di comunione platonica.

Nonostante i loro sforzi la strategia per contrastare il Bestia era fallita, se possibile era andata anche peggio che nella storia originale poiché avevano perso dei soldati ancora prima dell’inizio della battaglia. Ora tutto sarebbe dipeso dall’altra parte del piano, se fossero riusciti a mantenere sotto controllo Reiner evitandogli di richiamare Bertholdt forse ci sarebbe stata ancora speranza.
Carol esaminò i combattimenti sotto di sé, sembrava che i soldati per ora non avessero problemi ad evitare i massi di Zeke, i cui lanci non parevano potenti e devastanti come nel manga. Gli edifici non erano stati sbalzati via ma solo parzialmente danneggiati.

Che il barbone fosse ancora troppo indebolito dal combattimento con Levi? Si chiese Carol riflettendo sulle alternative possibili.

In effetti la roccia che aveva scagliato per bloccare il cancello principale doveva avergli richiesto parecchie energie, uno sforzo non indifferente in concomitanza con una rigenerazione. 

Forse poteva concedersi un cambio di programma.

«Erwin, devo andare da Hange e gli altri. Credo che in questo momento potrebbero avere più bisogno loro di me»

Il volto dell’uomo si incupì per un secondo, indeciso sul da farsi e Carol temette che le avrebbe impedito di agire.

«D’accordo, vuoi che ti faccia scortare da uno dei miei uomini?»

«Non è necessario, andrò da sola. È meglio che i soldati restino in posizione per ogni evenienza»

Il Comandante annuì, piacevolmente colpito dalla sua determinazione.

La giovane si portò sull’altra sponda del muro trovandosi a riflettere, stupita come lo era stata la prima volta, di come le case sembrassero minuscole viste da quella prospettiva. Una vasta distesa di costruzioni Lego che riproducevano una città in miniatura. Ora che doveva saltare di nuovo nel vuoto da una tale altezza sentì il coraggio venirle meno, e le dita si strinsero ancora più saldamente attorno alle impugnature delle lame. Risalire la parete delle mura non era stato difficile, discenderle era tutto un altro paio di maniche e questa volta non ci sarebbe stato Levi ad assisterla.

«Non guardare giù Carol, salta e basta. Lasciati cadere, conta fino a tre e poi apri gli occhi»

Lei ridacchiò, non riuscendo a trattenersi dal rivolgergli un’occhiataccia

«Adesso ho capito da chi Levi ha appreso questo discutibile consiglio»

Erwin sorrise stancamente, fissando un punto in lontananza.

«Nemmeno il tuo Capitano era immune alle vertigini all’inizio»

I muscoli della ragazza si tesero come corde di violino di fronte all’oculata scelta di quell’aggettivo, quel “tuo” volutamente enfatizzato.

Carol fu certa che il rapporto tra lei e Levi non fosse mai passato inosservato all’attento sguardo del Comandante.

Non era però altrettanto sicura di volerne conoscere il parere ed avvertì l’impellente urgenza di dileguarsi, improvvisamente attratta dall’idea di essere inghiottita da quel panorama vertiginoso.

«Non spetta a me dirti cosa devi o non devi fare Carol, sarebbe alquanto ipocrita da parte mia» proseguì lui, ed il tono amareggiato della sua voce lasciava intendere la piega che il discorso avrebbe assunto.
«Hange è entusiasta per te e Levi, mi dispiace fare la parte del guastafeste. Per quanto mi rallegri vederlo aprire il proprio cuore, ho paura di quello che accadrà quando l’idillio che avete costruito avrà fine. Io c’ero Carol, tutte le volte in cui il destino è stato crudele nei suoi confronti. Io l’ho visto raccogliere i pezzi e rimetterli insieme, ce l’ha sempre fatta… anche se ogni volta con più fatica della precedente. Ma questa volta sento che è diverso…quando te ne andrai, perché quel momento arriverà, temo che non reggerà il colpo altrettanto bene. Forse quello che voglio dire è…che non credo dovreste approfondire questo rapporto, per il bene tuo e di Levi»

Non poteva dirsi offesa da quell’osservazione, era un semplice parere personale che poteva tranquillamente scegliere di ignorare. Ma il vedersi sbattere in faccia che quanto era nato con il Capitano avesse una data di scadenza, e neppure troppo lontana, la irritò fortemente.

«Nemmeno tu sai come reagiresti all’eventualità che il tuo desiderio fosse irraggiungibile. Eppure non mi sembra che questa incognita ti impedisca di inseguirlo» sentenziò lei tagliente guardandolo dritto negli occhi «Anche io ho dovuto rimettere insieme i miei pezzi, così spesso che ormai ho perso il conto. Si chiama vita. Dovremmo forse rinunciare a sperimentare, a vivere, perché non abbiamo alcuna certezza di dove ci porteranno le nostre scelte? L’importante è che qualsiasi scelta si compia, non si abbiano rimpianti. Sono parole tue Erwin. E proprio tu, hai così poca fiducia nelle capacità di Levi da credere che la nostra separazione lo annienterà? È vero non siamo indistruttibili, siamo solo esseri umani. Ci illudiamo, falliamo, cadiamo… ma in questo risiede la nostra forza, nel fatto che non importa quante volte ci schiacceranno a terra. Noi ci rialzeremo sempre»

Smith sostenne quello sguardo di sfida, leggendovi la potente risolutezza che ardeva in quella giovane straniera.

«Non poteva che innamorarsi di te» concluse sorridendole teneramente.

Lei si rilassò, lasciando che il calore che le ribolliva in corpo affluisse al volto, probabilmente l’effetto adrenalinico di quella conversazione che ora stava sfumando.

Ritornò sul bordo del muro per prepararsi al salto.

«Carol fammi un favore, non morire» le giunse nuovamente alle spalle la voce di Erwin.

Lei gli fece l’occhiolino

«Non ne ho alcuna intenzione Signore»

Poi avanzò nel vuoto contando fino a tre.

Rigorosamente ad occhi chiusi.
   
 
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