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Autore: IndianaJones25    16/11/2021    2 recensioni
Gli anni sono trascorsi, lenti ma inesorabili. Anche per il professor Henry Jones, Jr. sembra essere giunto il momento di appendere la frusta al chiodo e di dire addio alla vita avventurosa. L’intrepido archeologo giramondo, ormai, è diventato un anziano signore che porta addosso i segni, i dolori e i ricordi dolceamari della sua spericolata vita passata.
Ma c’è ancora chi sembra avere bisogno di lui e Indiana Jones non è certo il tipo da tirarsi indietro dinanzi a una minaccia che potrebbe sconvolgere il mondo intero. Così, in compagnia di sua figlia Katy, di una giovane bibliotecaria e di un prete dal grilletto facile, Indy torna a impugnare la frusta e si getta a capofitto in un’ultima impresa, al cui termine potrebbe trovare la speranza di un nuovo inizio oppure una disastrosa rovina.
La lotta sarà difficile e insidiosa, perché l’ultimo vero nemico di Indiana Jones non saranno eserciti o folli invasati, ma proprio la sua irresistibile voglia di avventura…
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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   21 - In fuga
 
   La nebbia aveva invaso tutta la zona, rendendo praticamente invisibili anche le cose più vicine. La fredda umidità penetrava nelle ossa e nel naso e, alleata al buio spettrale della notte, velava tutto come una cappa impenetrabile. Pur sapendo dove fosse parcheggiata la Yugo di don Mavro e pur avendo ormai imparato a conoscere benissimo il giardino e l’orto, le due ragazze fecero quasi fatica a raggiungerla, costrette a brancolare nel buio con le mani tese come sonnambule.
   «Ci siamo» disse Katy, scorgendo finalmente davanti a sé la sagoma sgraziata dell’automobile, con i vetri appannati e la carrozzeria che gocciolava acqua.
   Lei e Valerija si affrettarono ad aprire il bagagliaio e, come previsto, trovarono i due AK-47, che trasportarono sul cruscotto, a portata di mano in caso di necessità. Poi, restando immobili accanto alle portiere spalancate, fissarono i loro sguardi ansiosi in direzione delle casa, una forma appena intuibile a causa della luce  giallastra che si faceva largo dall’interno.
   «Speravo che quei maledetti non ci avrebbero più dato alcuna noia» borbottò Valerija, sfregandosi le braccia indolenzite e rabbrividendo per il freddo.
   «Ci siamo illusi troppo in fretta» ammise Katy, con voce stanca. «Dovevamo prevedere che, prima o poi, sarebbero tornati all’attacco. E, per fortuna, che ci hanno almeno concesso il tempo necessario perché papà si riprendesse. Se ce li fossimo visti capitare addosso soltanto qualche giorno fa, credo che non avremmo avuto alcuna speranza di farcela…»
   Tacquero, udendo degli scricchiolii sull’acciottolato. Passi affrettati, che si muovevano verso di loro. Per un fugace istante ebbero il timore che gli uomini dell’OZNA li avessero già raggiunti. Invece, con un sospiro di sollievo, videro sbucare dalla nebbia Indy, don Mavro e il ribelle.
   «Presto, facciamo sdraiare don Mavro sul sedile posteriore!» ordinò bruscamente Indy.
   Con un po’ di fatica, dopo aver abbassato il sedile del passeggero, riuscirono a far entrare il sacerdote nella macchina. Per qualche secondo sembrò in grado di restare seduto, ma poi chiuse gli occhi, ciondolò e si accasciò sui sedili, occupandoli per intero con la sua stazza pantagruelica.
   «Quel demonio di medico deve avergli fatto inalare una dose potentissima di cloroformio» grugnì Indy, guardando il prete svenuto. «Ci vorranno diverse ore perché don Mavro riesca a riprendersi. Be’, perlomeno mi consolo che, tutto il resto della boccetta, sia finito in faccia a quel disgraziato.»
   Si voltò verso le due ragazze e indicò loro lo spazio ristretto tra i sedili anteriori e quello posteriore.
   «Mi dispiace se viaggerete scomode, ma a meno che non vogliate restare qui…»
   «Papà, come accidenti pensi che possiamo fare a stare infilate in quei due buchi?!» sbottò Katy, esasperata.
   «Non mi pare che ci sia alternativa…» borbottò suo padre. «Non è certo questo, il momento di pensare alle comodità…»
   Ignorandolo, Katy si affrettò ad aprire un’altra volta il bagagliaio e a togliere la cappelliera, che gettò senza troppi riguardi nell’orto. Quindi si arrampicò all’interno dell’automobile e fece cenno a Valerija perché le si accucciasse in fianco. La ragazza lo fece subito senza protestare. Lo spazio era così ristretto da impedire quasi ogni movimento, ma per fortuna avevano entrambe un fisico minuto e, schiacciandosi un po’, riuscirono a starci entrambe.
   «D’accordo, viaggerai nel baule come facevi da bambina» mugugnò Indy, un sorriso svergolo ma brillante sulle labbra. «Attente alla testa!» aggiunse poi, richiudendo il portellone con uno scatto secco e sonoro.
   Corse a sedersi sul sedile del passeggero, accanto a Pavle che aveva già preso posto al volante. Afferrò uno dei due mitra e se lo appoggiò tra le gambe, mentre l’altro si allungò all’indietro per passarlo a Katy, che lo prese con un po’ di soggezione.
   «Pensi che dovremo sparare…?» domandò, con una vocina sottile che tradiva la sua paura.
   «Mi auguro di no» sbottò Indy, tornando a voltarsi in avanti.
   Pavle mise in moto al secondo tentativo – la batteria faceva i capricci – e, senza accendere i fanali, si avviò lungo la strada sterrata.
   «Dove andiamo?» domandò l’archeologo, osservando il muro di nebbia che si innalzava come una barriera di fronte a loro.
   Pavle inserì la seconda marcia, procedendo con estrema lentezza per non correre il rischio di finire in un qualche fosso, che tra il buio e la nebbia sarebbe stato impossibile individuare, se non quando fosse stato ormai troppo tardi.
   «Per il momento raggiungiamo la strada principale» disse. «Lì potremo accendere i fanali, perché daremo meno nell’occhio. Speriamo di riuscire a non attirare sguardi indiscreti su di noi, perché questo macinino non è certo in grado di sostenere un inseguimento e, se finissimo in un fossato, ci troveremmo tutti con le ossa fuori posto.»
   «Che allegria» borbottò Jones, lanciando occhiate di disappunto agli economici e spartani interni della piccola macchina comunista e rimpiangendo la solida e robusta sicurezza del suo pick-up Ford, perfetto e affidabile esempio di capitalismo su ruote, che lo attendeva nel garage di casa, qualche migliaio di chilometri in direzione occidentale. «E, se sopravvivessimo a questo viaggio notturno, dove andremo?»
   «Sperando di non incappare in posti di blocchi, cercheremo di raggiungere l’aeroporto di Sarajevo» spiegò il ribelle.
   «I terminal…» cominciò Indy.
   «Di quelli non si preoccupi, abbiamo già pensato a ogni cosa» lo interruppe Pavle. «Uno degli addetti alla zona di carico e scarico delle merci è dei nostri. Ci farà entrare e, da lì, raggiungeremo la pista dei voli commerciali. Vi abbiamo trovato dei posti su un volo diretto in Bulgaria. L’unico inconveniente è che dovrete viaggiare in compagnia di un carico di polli.»
   Jones sogghignò, perdendosi in lontani ricordi dei bei tempi andati.
   «Non ha importanza, ci sono più che abituato» replicò.
   «Benissimo» rispose il ribelle. «Una volta in Bulgaria, non dovreste avere difficoltà a trovare un volo per qualsiasi luogo dobbiate raggiungere. Per fortuna, pur essendo a sua volta un paese socialista, la Bulgaria è ideologicamente molto più vicina all’Unione Sovietica che alla Jugoslavia, per cui gli uomini dell’OZNA non dovrebbero riuscire a seguirvi fin là.» Un dubbio improvviso gli si palesò sul viso. «Non avete avuto noie anche con il KGB, vero?»
   Un altro ghigno contorse le labbra dell’archeologo.
   «No» rispose. «Non negli ultimi anni, comunque. In ogni caso, adesso come adesso non penso che mi stiano più cercando.»
   «Perfetto…» replicò Pavle, un poco scettico, domandandosi come accidenti fosse possibile che un professore universitario in pensione potesse avere tutti quei nemici. Scrollò le spalle. «Per adesso, comunque, il problema principale resta quello di raggiungere l’aeroporto senza intoppi. Fatto quello, non dovrebbe succedere altro…»
   Un sorriso cupo rabbuiò il volto di Indy, ispido per la barba trascurata da ormai diversi giorni, mentre tamburellava con le dita sopra il calcio del fucile che teneva appoggiato sulle gambe.
   «Meglio non fare troppe previsioni» commentò. «Ormai, ogni giorno è una sorpresa…»
   
* * *

   Proseguirono in silenzio per una decina di minuti, procedendo con una lentezza esasperante ma necessaria per riuscire a superare la strada sterrata e serpeggiante che discendeva dalla collina immersa nei boschi senza accendere i fanali che avrebbero potuto tradirli. Oltre al rumore del motore e a quello della ghiaia che scricchiolava sotto i copertoni, non si udiva provenire alcun suono dall’esterno. Viaggiando con i fari spenti, era come essere immersi in un mondo fatto semplicemente di nebbia grigia e fumosa, privo di orizzonti e di altri esseri viventi. La sensazione era opprimente, come se fossero rimasti soli al mondo.
   Per quanto i loro occhi cercassero di scorgere qualcosa, non riuscivano a vedere alcunché. Pavle era addirittura stato costretto ad abbassare il finestrino e a guidare con la testa fuori e lo sguardo rivolto in basso, per riuscire a tenere d’occhio il piano stradale e non finire fuori dalla dimessa carreggiata. Così, l’aria pungente e umida aveva invaso tutto l’abitacolo, facendoli rabbrividire.
   «Se penso che, fino a un quarto d’ora fa, mi trovavo immersa in una tinozza piena d’acqua bollente con una ragazza che mi massaggiava la schiena…» provenne da dietro la voce lamentosa di Katy.
   «Sei stata fortunata che, almeno, il bagno te l’hanno lasciato fare» commentò Indy, girandosi a guardarla. «Pensa se fossimo dovuti scappare mentre eravate ancora nella foresta… quello sì, che sarebbe stato un bel guaio.»
   Si accorse che don Mavro, forse stuzzicato dal freddo, aveva riaperto gli occhi e si stava sfregando le tempie.
   «Come va, padre?» domandò, con tono sollecito.
   Il prete farfugliò qualcosa, provò a rimettersi seduto, fu scosso da un altro capogiro e tornò a sdraiarsi.
   «Non riesco a capire che cosa mi sia successo…» riuscì a balbettare.
   «Cloroformio» rivelò Indy in breve. «Non è una bella sensazione, respirarlo…»
   «Se mi capita tra le mani quel dannato Obradovic, giuro che lo spedisco all’inferno a calci nel…» cominciò a imprecare don Mavro.
   «Ah, no, padre!» lo interruppe l’archeologo, sarcastico. «Comprensione e perdono, ricorda? Porgi l’altra guancia, tratta il prossimo tuo come te stesso e via discorrendo…»
   «Il secondo Concilio Vaticano ha cambiato le carte in tavola» borbottò don Mavro. «Ora c’è una clausola segreta che dà ai preti il diritto di sparare ai loro nemici, dopo averli benedetti…»
   Katy e Valerija scoppiarono a ridere allegramente.
   «Questo te lo sei inventato tu!» ridacchiò Valerija. «Io, proprio, questa cosa non l’ho mai sentita e…»
   Un fascio di luce balenò nel buio, attraversando la nebbia e rifrangendosi contro il parabrezza. Pavle sterzò di scatto, facendo sobbalzare Indy e ribaltando le due ragazze nel piccolo baule, e si infilò in un viottolo strettissimo, nascondendo la Yugo in una macchia di noci bianchi e spegnendo il motore.
   «Che accidenti succede…?» sbottò don Mavro, accasciato sul sedile.
   Gli fecero cenno di tacere, mentre gli sguardi di tutti si rivolgevano al lunotto posteriore, cercando di vedere che cosa stesse succedendo dietro di loro. Si udì il rombo di un motore potente, seguito da un secondo, e le luci dei fanali squarciarono le tenebre.
   «Sono loro…» sibilò Pavle, sbiancandosi le nocche sul volante.
   «Ci avranno visti?» sussurrò Indy, guardingo, imbracciando il Kalashnikov e posizionando il selettore sulla modalità automatica.
   Il ribelle osservò i fanalini rossi che si allontanavano nella direzione da cui erano giunti loro poco prima, risalendo in fretta la collina.
   «Non credo, altrimenti non sarebbero passati oltre» disse. «Stanno andando verso la casa di Obradovic. Dobbiamo approfittare di questo momentaneo vantaggio per filare. C’è una cosa che mi inquieta, però.»
   L’archeologo lo osservò mentre girava la chiave nel motorino d’avviamento e iniziava a fare retromarcia per uscire dalla macchia d’alberi e tornare nel viottolo.
   «E sarebbe?» domandò.
   «Le auto che ci hanno sorpassato erano soltanto due» borbottò Pavle. «Io, invece, sono certo di aver visto tre camionette, dirette da questa parte. Dov’è andata a finire l’ultima?»
   Jones scrollò le spalle.
   «Presumo sia andata a prepararci un mare di guai» rispose. «Ma non sarà certo restandocene nascosti qui che riusciremo a evitarli.» Indicò la strada. «Forza, andiamo. E, questa volta, non risparmiare l’acceleratore.»
   Il ribelle fece un cenno d’assenso, continuando a procedere lentamente e a fari spenti per alcuni metri. Infine, ritenendo di essere ormai fuori dalla vista delle altre due auto, scomparse dietro una curva della cunetta che conduceva alla casa del medico, accese i fanali e schiacciò il piede sul pedale dell’acceleratore, cercando di far sputare alla piccola macchina ogni minima stilla di efficienza e vitalità che avesse in corpo.
   La Yugo, nata come progetto alla Fiat di Torino e poi ceduta alla Zastava prima di entrare in produzione, essendo risultata troppo poco innovativa rispetto ai modelli più vecchi, non poteva certo essere considerata un’automobile stabile e potente. Di per sé, era già piuttosto lenta e inaffidabile. Inoltre, essendo l’auto del prete, che la utilizzava essenzialmente per brevissimi tragitti e guidando con la massima prudenza possibile, il motore era legato e disabituato a essere sollecitato al di sopra dei quaranta chilometri orari.
   Nondimeno, sotto le spinte frenetiche di Pavle, riuscì a guadagnare velocità, sollevando un gran polverone che andò a frammischiarsi alla nebbia sempre molto fitta, che i deboli fanali riuscivano a malapena a penetrare. Fu con uno stridio di pneumatici e una gran puzza di gomma bruciata che, finalmente, lasciarono la strada sterrata e si immisero su quella asfaltata, che procedeva in maniera sinuosa tra le colline alberate, scartando in maniera secca e brusca in direzione della non lontana capitale.
   «Forse ce l’abbiamo fat…» cominciò a dire Katy, che stava provando a ricomporsi dopo essersi rovesciata addosso a Valerija a causa della curva troppo rapida.
   Il suono di uno sparo le fece morire le parole in bocca. Un secondo colpo infranse il lunotto, passando proprio in mezzo allo spazio ristretto tra le teste delle due ragazze e andando a distruggere anche il parabrezza anteriore.
   «Giù, state giù!» sbraitò Indy. Spaventate, le due giovani non se lo fecero di certo ripetere e si schiacciarono come poterono sul fondo del minuscolo bagagliaio, a rischio di soffocarsi.
   Dietro di loro, ruggì il motore di una Zastava AR55 lanciata all’inseguimento della piccola utilitaria. Dal grosso fuoristrada questa volta venne sparata una raffica di mitra, che squarciò la fiancata sinistra e fece scoppiare una gomma. La piccola Yugo compì un testacoda, fumando dal motore, ma Pavle doveva essere un pilota davvero provetto, perché riuscì a tenere la presa sul volante senza lasciarsi spaventare e, ritrovato il giusto assetto, riuscì a ripartire in corsa sulla strada, correggendo di continuo con rapide e secche sterzate l’instabilità dovuta alla ruota distrutta.
   «La mia macchina!» sbraitò don Mavro, furente, cercando di rialzarsi. «Dov’è il mio Kalashnikov?! Gli insegno io, a quelli, a trattare così la macchina che mi hanno regalato i parrocchiani!»
   Senza perdere tempo a girare la manopola per abbassare il finestrino, Indy infranse il vetro con la canna del mitra e, sportosi in fuori, cominciò a sua volta a sparare verso l’auto lanciata al loro inseguimento. Prendere la mira, con i bruschi sobbalzi della malridotta Yugo e con la nebbia che rendeva tutto contorto e fumoso, sarebbe stato semplicemente impossibile. Si accontentò di sparare a casaccio in direzione delle luci della Zastava inseguitrice.
   A rispondergli fu un’altra raffica, mentre il fuoristrada, molto più rapido di loro, guadagnava terreno. I proiettili fischiarono così vicino alla testa dell’archeologo, che Jones fu costretto a tirarsi all’indietro per non essere colpito. Nel farlo perse la presa sull’AK-47, che finì in strada, e urtò rudemente Pavle, che gridò mentre l’automobile finiva fuori dalla corsia e cominciava ad avanzare tra innumerevoli sobbalzi sul ciglio della collina, a pochi centimetri da uno strapiombo di cui non si riusciva a scorgere il fondo.
   «Sranje!» imprecò il ribelle, facendo uno sforzo immenso per riuscire a non capottare e riguadagnare la strada asfaltata.
   L’altra macchina, intanto, era arrivata proprio dietro la Yugo e, accelerando, la tamponò nella parte retrostante, cercando di buttarla definitivamente fuoristrada.
   Nel clangore delle lamiere, Katy e Valerija gridarono per il terrore, temendo di finire schiacciate. La bibliotecaria fu lesta ad arrampicarsi fuori dal loro rifugio ormai insicuro e, incastrandosi alla meglio, passò sul sedile posteriore, finendo addosso a don Mavro, che ululò quando lei gli pestò l’ampio ventre.
   Katy, invece, accarezzò la canna del fucile. Le era appena venuta un’idea folle, ma non voleva perdere tempo a ragionarci: se ci avesse pensato troppo a lungo, non l’avrebbe mai messa in pratica, ne era certa. Tanto valeva agire senza porsi molti problemi.
   Impugnò l’arma, si premurò di togliere la sicura e, improvvisamente, si alzò sulle ginocchia e cominciò a sparare raffiche dal lunotto distrutto. Il potente rinculo minacciò di farle sfuggire di mano il Kalashnikov, ma Katy tenne duro e continuò a fare fuoco, anche se i muscoli delle braccia urlavano di dolore. Il fuoristrada era proprio in linea con la Yugo, pronto a tamponarla una seconda e definitiva volta, quindi la ragazza poté godere di un tiro pulito, senza intoppi.
   Vide chiaramente il vetro della AR55 infrangersi in mille schegge e il radiatore esplodere, spandendo acqua e vapore sulla carreggiata. L’uomo alla guida, colpito al torace, si appiattì sul volante, facendo sterzare l’automobile in direzione del versante della collina su cui la strada correva. Fuori controllo, la macchina uscì di strada e si cappottò tre volte, prima di andare a schiantarsi contro un enorme quercia secolare e prendere fuoco.
   «Visto che roba che ho combinato?» trillò Katy, girandosi con un sorriso verso gli altri. Le mani le tremavano così tanto a causa dell’adrenalina che le si era riversata nelle vene che pensò fosse meglio appoggiare il mitra, per non premere inavvertitamente il grilletto.
   «Ben fatto, tesoro!» si congratulò Indy, fiero di lei.
   Non aveva ancora finito di dirlo, che all’oscurità sbucarono altre due camionette, che avevano viaggiato a fari spenti per non farsi vedere mentre arrivavano. Accesero di colpo tutte le loro luci, illuminando in pieno la carcassa della macchina di don Mavro che ancora arrancava sulla carreggiata, e la investirono di raffiche di mitra.
   «Maledizione, sono gli altri uomini dell’OZNA!» ruggì Pavle, cercando di strappare alla moribonda automobile ogni capacità residua di sopravvivenza.
   Non poté fare molto di più. Mitragliata sui due fianchi, con ormai tutte e quattro le gomme a terra, il fumo che si levava sempre più nero, oleoso e copioso dal motore, la povera Yugo uscì di nuovo dalla carreggiata e, con uno schianto terribile, si accartocciò addosso a una staccionata, che le impedì di precipitare lungo la scarpata.
   Quando gli echi delle ultime raffiche degli AK-47 ebbero cessato di risuonare, nella notte calò un silenzio irreale. Un silenzio che fu immediatamente rotto dallo stridore dei freni dei due fuoristrada e dal precipitarsi degli uomini che sopraggiunsero di corsa attorno al rottame, circondandolo.
   A un cenno di uno dei comandanti, gli uomini dell’OZNA si avvicinarono con circospezione alle portiere distrutte e guardarono all’interno per accertarsi se qualcuno fosse sopravvissuto alla sparatoria e al devastante impatto.
 
   
 
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