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Autore: IndianaJones25    17/11/2021    2 recensioni
Gli anni sono trascorsi, lenti ma inesorabili. Anche per il professor Henry Jones, Jr. sembra essere giunto il momento di appendere la frusta al chiodo e di dire addio alla vita avventurosa. L’intrepido archeologo giramondo, ormai, è diventato un anziano signore che porta addosso i segni, i dolori e i ricordi dolceamari della sua spericolata vita passata.
Ma c’è ancora chi sembra avere bisogno di lui e Indiana Jones non è certo il tipo da tirarsi indietro dinanzi a una minaccia che potrebbe sconvolgere il mondo intero. Così, in compagnia di sua figlia Katy, di una giovane bibliotecaria e di un prete dal grilletto facile, Indy torna a impugnare la frusta e si getta a capofitto in un’ultima impresa, al cui termine potrebbe trovare la speranza di un nuovo inizio oppure una disastrosa rovina.
La lotta sarà difficile e insidiosa, perché l’ultimo vero nemico di Indiana Jones non saranno eserciti o folli invasati, ma proprio la sua irresistibile voglia di avventura…
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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   22 - Nelle mani del nemico
 
   «Quindi?» domandò il comandante, accendendosi una sigaretta di marca Drina.
   Era un uomo nerboruto, con una gran zazzera di capelli biondicci e untuosi. La divisa verde che indossava conteneva a stento il suo fisico possente. Il suo sguardo era freddo e glaciale e una lunga cicatrice gli deturpava il volto dai tratti squadrati e dalla mascella decisamente volitiva.
   Uno degli agenti che si era avvicinato alla macchina distrutta tornò verso di lui dopo essersi accertato delle condizioni di tutti i passeggeri.
   «Sono svenuti e feriti, ma non gravemente e soprattutto ancora tutti vivi, colonnello Civic» riferì.
   Il colonnello trasse una lunga boccata di fumo e poi lo lasciò andare, mischiandolo all’umida nebbia.
   «Molto bene. Perfetto. Mi sarebbe dispiaciuto saperli morti prima del tempo e in maniera così rapida e indolore. Caricateli sui fuoristrada e portiamoli di nuovo a casa del dottore. Voglio interrogarli al caldo, non in mezzo a questa dannata nebbia!» Buttò via la sigaretta spingendola con il dito indice dopo averne tratto un’altra boccata. In mezzo al buio emanò un ultimo bagliore aranciato, prima di scomparire tra le volute del vapore. «Quando si sveglieranno, si pentiranno di non essere morti nell’incidente.»
   A un cenno dell’agente a cui aveva dato l’ordine, gli altri cominciarono a estrarre dalle lamiere i corpi contusi dei passeggeri.

 
* * *

   Furono delle secchiate d’acque gelida a risvegliare Indy, Katy, Valerija, don Mavro e Pavle.
   Grondanti e tremanti, ancora frastornati, si guardarono attorno, cercando di capire dove si trovassero. Non fu difficile comprenderlo. Erano stati trasportati di nuovo a casa del dottor Obradovic, il quale si trovava steso al suolo a pochi centimetri da loro, con il volto tumefatto e le mani palesemente spezzate. Era immobile, ma quando un energumeno gli si avvicinò e gli assestò un calcio nelle costole emise un lieve gemito dalla bocca impastata di sangue, facendo comprendere di essere ancora vivo.
   «Allora, dottore, ci aveva detto il vero» constatò il bestione che lo aveva colpito. «Mi scuso per averla trattata tanto rudemente senza motivo.» Nel suo tono, freddo e sadico, non c’era nessuna traccia di pentimento.
   A quella vista, Indy fece per scattare in piedi, ma non ci riuscì. Riemergendo de tutto dal suo stato di intontimento, scoprì di avere mani e piedi bloccati da numerosi giri di robusto nastro adesivo isolante, esattamente come sua figlia e gli altri compagni.
   Notando il suo movimento, l’uomo che aveva colpito Obradovic si voltò a guardarlo con un sogghigno.
   «Buonasera, professor Jones, io sono il colonnello Zoran Civic, comandante dell’OZNA» si presentò, con tono falsamente cerimonioso. «Finalmente ho l’opportunità di conoscerla.»
   L’archeologo lanciò un breve sguardo al medico steso a terra e uno a sua figlia, accasciata al suo fianco.
   «Mi conosce?» domandò, con ironia.
   Il sogghigno di Civic si allargò. Unito allo sfregio che gli deturpava il volto, lo rendeva davvero mostruoso.
   «Non finga che non sia così, professore» replicò. «Il povero professor Pavkov era venuto a intercettarla assieme a una squadra comandata dal mio collega Popovic.» Sollevò un sopracciglio, fingendo ammirazione. «Abbiamo impiegato diversi giorni a ritrovare i loro cadaveri, ben nascosti dentro la collina di Visoko. Devo dire che sono sorpreso. Non avrei mai pensato che una squadra tanto bene addestrata si sarebbe fatta mettere nel sacco a quel modo da un vecchio decrepito, un prete e due ragazzine. Vi abbiamo cercato in lungo e in largo e, per fortuna, in questi luoghi i patrioti veri sono ancora tanti, sebbene gli schifosi traditori siano anche troppi. Una piaga da eliminare in ogni maniera, il più rapidamente possibile… anzi, a questo proposito…»
   Portò una mano alla fondina che gli pendeva dalla cintura, estrasse la pistola, la puntò alla testa di Pavle e sparò. L’intera azione avvenne talmente in fretta che, probabilmente, il poveretto non si rese conto di nulla.
   Katy e Valerija gridarono, inorridite, mentre il cadavere del ribelle si accasciò contro il muro, imbrattandolo con il proprio sangue, che cominciò a gocciolare sulle assi del pavimento. Indy riuscì a rimanere impassibile. Don Mavro, invece, si lasciò sfuggire un’imprecazione.
   «Che tu sia maledetto, vile assassino!» strepitò. «Bruciare all’inferno per tutta l’eternità è troppo poco, per mostri pari a te!»
   Il colonnello Civic spostò la pistola verso di lui, appoggiandogliela nello spazio in mezzo agli occhi. Le due ragazze, che avevano iniziato a piangere, trattennero il fiato, sgomente. Jones riuscì a mantenersi calmo, sebbene si sentisse montare dentro la collera più nera di secondo in secondo. Don Mavro restò immobile e sereno, sebbene fosse impallidito.
   Civic rimase fermo un istante, come se stesse valutando che cosa fare di preciso, poi ritrasse l’arma e la rimise al suo posto.
   «Troppo comodo, per voi, andarvene così» dichiarò. «Avete ucciso alcuni dei miei uomini migliori e io non dimentico. E, poi, so che Pavkov stava cercando qualcosa che dovreste avere trovato voi, e dovrete dirmi di che cosa si tratta, prima che io vi conceda il lusso di porre fine alle vostre sofferenze.»
   «Bastardo!» sibilò Indy, cercando ancora una volta di alzarsi.
   Uno degli uomini che gli aveva gettato addosso l’acqua, e che fino a quel momento era rimasto in disparte, fuori dal suo campo visivo, gli si avventò addosso e lo colpì con un manrovescio, buttandolo contro il muro. L’archeologo picchiò la testa con durezza e restò stordito.
   «Papà!» gridò Katy, spaventata.
   Civic li soppesò per qualche istante con lo sguardo, poi indicò proprio la ragazza.
   «Prima lei» ordinò. «Cominciamo con qualche trattamento preliminare. Sono certo che, dopo che si sarà ammorbidita, non avrà più nessun segreto per noi.»
   Mani rudi e forti si strinsero attorno alle braccia di Katy, tirandola in piedi. Lei gridò e provò a mordere, ma un altro agente la immobilizzò alle spalle. Valerija e don Mavro si agitarono e urlarono a loro volta, e per questo vennero zittiti con calci e pugni.
   «Nell’ambulatorio del medico» ordinò Civic, impassibile, indicando la porta chiusa.

 
* * *

   Le tre sorelle Obradovic correvano nella foresta, trascinandosi dietro la loro madre in lacrime. Anche Fata piangeva, e Aleksandra tratteneva a stento i singhiozzi. Soltanto Marija appariva in grado di controllarsi e di padroneggiare la situazione, sebbene fosse sconvolta.
   Le tre giovani avevano invano cercato di rianimare loro padre prima che fosse troppo tardi. Il cloroformio che aveva inalato, però, lo aveva stordito così tanto che non erano riuscite a svegliarlo. Stavano confabulando tra di loro, decidendo se fosse il caso di caricarlo sopra la barella che si trovava nell’ambulatorio per poterlo portare via, quando nel cortile erano risuonati i motori dei due fuoristrada. Disperate, non avevano potuto fare altro che prendere la madre e correre a nascondersi in mezzo agli alberi.
   Dal loro nascondiglio, avevano visto gli agenti dell’OZNA entrare in casa. Dalle urla e dalle bestemmie che avevano lanciato, era stato chiaro tutto il loro disappunto nel non trovare le persone che stavano cercando. Da una finestra, avevano veduto quello che sembrava il capo del gruppo accanirsi con rabbia contro il corpo inerte di loro padre, che proprio in quel momento aveva accennato un leggero movimento.
   «No!» gridò Ðurada, cercando di slanciarsi in soccorso del marito.
   Le tre ragazze la fermarono appena in tempo.
   «Ferma!» sussurrò Marija. «Vuoi farti ammazzare…?»
   All’improvviso, dalla strada che si stendeva ai piedi dei colli erano risuonati degli spari. Un suono che non era sfuggito agli uomini che erano entrati in casa e che, subito, lasciato perdere il medico, erano corsi alle loro macchine, urlando concitati, ed erano partiti sgommando nella direzione da cui proveniva l’eco della sparatoria.
   Ritenendo che il pericolo fosse ormai cessato, tutte e quattro raggiunsero di corsa la casa per andare a prestare aiuto al medico ferito. Era in cattive condizioni, il comandante dell’OZNA gli aveva spezzato le dita delle mani schiacciandole sotto il tacco degli anfibi, ma almeno era ancora vivo. Tuttavia, non poterono fare molto per lui, perché nel volgere di una decina di minuti soltanto udirono di nuovo il rumore dei fuoristrada che si avvicinavano.
   Un’altra volta, le quattro donne furono costrette a correre a nascondersi nella foresta, abbandonando il medico, che non sarebbe mai stato in grado di reggersi in piedi e di seguirle tra gli alberi. E, questa volta, dal loro punto di osservazione poterono vedere che gli agenti trasportavano in casa Indy, don Mavro, Pavle e le due ragazze.
   «Bene, li hanno catturati!» approvò Ðurada. «Adesso, allora, possiamo tornare a casa nostra senza più problemi…»
   Lo schiaffo improvviso di sua figlia Marija le raggelò il sangue, più ancora che farle male. Cominciò subito a piangere, come fecero le due ragazze più giovani. L’infermiera, però, era furibonda e non si lasciò commuovere da quello spettacolo.
   «Come pensi che possa andare bene, questa cosa?!» sibilò. «Non hai visto che cosa hanno fatto a papà, quei macellai? Vuoi che lo facciano anche a quei disgraziati?! E pensi, forse, che ci lascerebbero in pace, se rientrassimo adesso come di ritorno da una passeggiata notturna?»
   La vecchia era ammutolita, la guancia rossa e pulsante nel punto in cui sua figlia l’aveva colpita. Aprì bocca per parlare, la richiuse, la aprì di nuovo. Invece della sua voce, si udì uno sparo.
   Fata, che stava guardando verso la casa, si coprì la bocca per soffocare un urlo. Si voltò disperata verso la madre e le sorelle.
   «Ha sparato a Pavle!» quasi urlò. «Lo ha ucciso!»
   Tutte sbiancarono, sia per l’orrore della morte di quel ragazzo che conoscevano da sempre, sia per il timore che quel grido le avrebbe tradite; ma nessuno degli agenti dell’OZNA sembrò averlo udito.
   Marija, infine, decise di prendere in mano la situazione una volta per tutte. Quella congiuntura di eventi drammatici si era creata a causa dello sconsiderato comportamento di suo padre e, adesso, si sentiva in dovere di essere lei stessa a porvi rimedio.
   «Muoviamoci!» sussurrò, indicando il folto della foresta. «Andiamo subito a cercare la cellula ribelle! Per fortuna li conosciamo, sappiamo a chi rivolgerci.» Gettò di nuovo un’occhiata verso la loro casa, quel luogo tanto amato e sicuro che, all’improvviso, si era tramutato in covo di terrore. «Non possiamo abbandonarli!»
   La madre sembrò voler fare ancora resistenza, ma le figlie in lacrime la presero per le mani e la trascinarono con loro nel bosco, alle spalle della sorella più grande che apriva la strada.

 
* * *

   Katy, sollevata di peso, venne trascinata all’interno dell’ambulatorio. La porta venne richiusa dietro di lei.
   Pur avendo mani e piedi immobilizzati, provò lo stesso a ribellarsi, ma ottenne soltanto di venire colpita con un ceffone e gettata sul pavimento. Picchiò duramente il viso e cominciò a perdere sangue dal naso, mentre un grosso livido le si allargava sullo zigomo sinistro.
   «Tiratela su!» ordinò Civic.
   La ragazza emise un gemito quando venne sollevata di nuovo con rudezza e, subito, colpita con estrema brutalità dal colonnello. Il primo pugno le spaccò il labbro, il secondo la raggiunse allo stomaco.
   «Allora, bella ragazzina» disse il colonnello, facendo scrocchiare le dita delle mani. «Spero che ti abbia fatto piacere fare la mia conoscenza. Io, purtroppo, mi trovo dinnanzi a un dilemma che soltanto tu puoi risolvere.»
   Katy sollevò su di lui lo sguardo vitreo. Dai capelli le gocciolava l’acqua con cui era stata svegliata poco prima e il sangue le aveva già inzuppato tutto il giubbotto. Se non ci fossero stati i due uomini a sorreggerla, si sarebbe senza dubbio accasciata. Ogni respiro le provocava un dolore immane, ma cercò di restare impassibile. Non voleva dargli la soddisfazione di farsi vedere sofferente.
   «Io so che Pavkov cercava qualcosa di molto importante quando vi ha seguiti a Visoko, ma non so che cosa» ammise Civic. «Purtroppo, era un altro mio stimato collega a occuparsi di questa missione, lo stesso che voi cani avete ucciso, e io non avevo avuto accesso ai documenti stilati dal professore. Però, visto che erano molto interessati a te, a tuo padre, all’altra sgualdrinella e al prete, presumo che voi sappiate benissimo di che cosa si tratti. Perché non me lo dici tu, allora?»
   La giovane lo sfidò con lo sguardo.
   «Vattene a cagare!» mugugnò.
   Il nuovo pugno di Civic la spedì sul pavimento, facendole sputare sangue.
   «Voi americani vi credete i padroni del mondo, con i vostri stupidi atteggiamenti da perenni cow-boy» riconobbe il colonnello. «Ma io so come rimettervi tutti quanti in riga. Vuoi che vada avanti a picchiarti fino all’alba, spezzandoti le ossa una a una? Non avrei problemi.» Si colpì il palmo della mano sinistra con la destra chiusa a pugno per apparire più minaccioso, quindi soggiunse: «In alternativa, se ti piacciono i fuochi d’artificio, posso infilarti in bocca il cavo della batteria della mia macchina e provare a vedere che cosa succede di divertente. O magari preferisci che uccida tutti i tuoi amici davanti ai tuoi occhi? Anche questo, a me, non farebbe né caldo né freddo. Devi solo scegliere.»
   Katy si lasciò sfuggire un’imprecazione gorgogliante a causa del sangue che le aveva riempito la bocca, cercando di sollevarsi in ginocchio.
   Il colonnello sorrise sprezzante.
   «Sei una dura, eh?» domandò. «Ma io sono più duro ancora.» Indicò ai suoi uomini il lettino operatorio. «Mettetela lì e tenetela stretta.»
   I due agenti che si trovavano nella stanza afferrarono Katy per le caviglie e per le spalle e, sollevatala senza nessuno sforzo, la trasportarono dove gli era stato ordinato. Lei si agitò, cercando di buttarsi sul pavimento, ma gli uomini la tennero immobilizzata, con le mani che le schiacciavano i piedi e la fronte.
   Ostentando indifferenza, Civic cominciò a passeggiare con lentezza per l’ambulatorio, osservando le vetrinette dietro cui erano riposti medicinali e strumenti chirurgici di vario genere. Si fermò a osservare con attenzione una raccolta di bisturi di varie dimensioni.
   «Che ne diresti, carina, se compissi su di te un’operazione chirurgica?» domandò, mettendosi in bocca una sigaretta e accendendola. «Senza anestesia, si intende. Sai, nel tempo libero mi interesso di storia medievale. Gli inglesi erano molto fantasiosi, quando si trattava di condannare a morte qualcuno. Mica si limitavano a impiccarli, no. Per prima cosa strappavano gli organi sessuali del condannato, poi gli aprivano la pancia e gli toglievano le budella, una per una. Chissà cosa si prova.» Si girò a guardarla negli occhi. «Vogliamo per caso scoprirlo su di te?»
   Katy, atterrita, lo osservò avvicinarsi. Urlò e si dimenò quando l’uomo abbassò le mani e le slacciò la cerniera del giubbotto di pelle, rivelando la canottiera che portava sotto. Con uno strappo secco, lacerò la tela, scoprendo il suo fisico minuto e il seno piccolo.
   «Ma che bel corpicino che abbiamo qui» commentò il colonnello, sbuffando fumo. «È proprio un vero peccato doverlo rovinare.»
   Toltosi di bocca la sigaretta, ne appoggiò la punta incandescente accanto all’ombelico di Katy. La ragazza strillò per il dolore, mentre lacrime copiose le scendevano dagli occhi. Smise soltanto quando la sigaretta venne ritirata. Subito, però, la fiamma tornò a straziarla, questa volta sul capezzolo destro.
   Le urla di Katy riempirono l’ambulatorio e, da dietro la porta chiusa, si udirono le imprecazioni di Jones, Valerija e don Mavro. Ignorando ogni suono, Civic spostò la sigaretta e provocò un’altra bruciatura sulla pelle della ragazza, questa volta all’altezza della spalla sinistra. Infine la lasciò cadere in terra e la spense sotto la suola.
   Ansimante, il volto rigato di lacrime e di sangue, la giovane chinò la testa, ma il colonnello la afferrò per la bocca e la costrinse a girarsi verso di lui, fissandola negli occhi.
   «Allora, me lo dici, adesso, che cosa interessava a Pavkov?!» sbraitò. «Io so che voleva trovare quella dannata Fonte, ma che cosa c’era in quella collina per spingerlo a seguirvi fin lì?! Dimmelo!»
   Per tutta risposta, Katy gli sputò in faccia.
   «La metti così, dunque?» sussurrò il colonnello, pulendosi dalla guancia il misto di saliva e sangue con cui la ragazza lo aveva sporcato.
   Tornò verso la vetrinetta che custodiva i bisturi e, dopo averla aperta, ne prese uno. Tornò da lei e, senza porre altre domande, le praticò un taglio all’altezza dello sterno. Fu un’incisione leggera, ma il bruciore fu tale che la ragazza non riuscì a trattenere un nuovo urlo.
   «Quindi?» la incitò.
   Lei continuò con insistenza a non parlare e Civic, per tutta risposta, la ferì di nuovo, aprendolo un altro taglio, questa volta più profondo, lungo il muscolo tricipite del braccio sinistro. Un nuovo grido doloroso sfuggì dalle labbra della giovane.
   «Posso andare avanti a tagliuzzarti fino a domani!» minacciò il colonnello, brandendo il bisturi contro di lei. «Ma forse questi piccoli sfregi non ti fanno impressione. Che ne diresti, allora, se ti amputassi un orecchio? O se ti cavassi gli occhi?!»
   Avvicinò la lama al viso della ragazza, come a voler mettere in pratica il suo proposito. Katy pianse lacrime silenziose, ma non disse nulla. Non avrebbe mai ceduto a quel mostro, nemmeno se le avesse strappato il cuore ancora pulsante dal petto.
   Uno sparo, poi un altro e un altro ancora. I vetri delle finestre dell’ambulatorio esplosero e il colonnello Civic crollò, crivellato di proiettili. I due uomini che trattenevano Katy la lasciarono andare e provarono a mettere mano alle pistole. Uno venne ucciso mentre cercava di estrarla dalla fondina, l’altro riuscì a stringerla ma un proiettile preciso gli attraversò il cranio prima che avesse fatto danni.
   La ragazza, sbalordita, dimenticò all’improvviso tutti i dolori che aveva patito, mentre cercava di capire che cosa stesse succedendo.

 
* * *

   Alla disperata chiamata di Marija e delle sue sorelle, i piccoli gruppi ribelli sparsi per tutta la regione si erano scambiati dei veloci passaparola e, dopo essersi riuniti e organizzati in fretta, erano confluiti in forze in direzione della casa del dottor Obradovic.
   Chiamarli ribelli, in verità, non era forse il modo corretto per definirli. Erano, semmai, dissidenti del regime: uomini e donne di etnie e religioni molto differenti, che in altri tempi si sarebbero quasi definiti nemici, costretti a restare uniti e sempre pronti all’azione per difendersi nel caso non certo improbabile che la polizia segreta arrivasse per prelevare uno di loro. Parecchi erano già stati fatti scomparire negli oscuri sotterranei di caserme dalla tetra fama, pozzi oscuri destinati a fagocitare chiunque ardisse levare una voce di protesta contro il regime comunista. Ma, col tempo, in molti avevano cominciato a dire basta a quella situazione tragica.
   Non erano un vero esercito, ma erano tanti e armati. La maggior parte con fucili da caccia caricati a pallettoni, altri con pistole, alcuni con AK-47, altri ancora con dei malmessi Carcano 91 e un paio addirittura con vecchi mitra MP 40 di fabbricazione tedesca, risalenti ai tempi della seconda guerra mondiale, antiquati ma sempre efficaci e, soprattutto, letali.
   Silenziosi come soldati addestrati – erano più che consapevoli che, contro gli uomini dell’OZNA, il fattore sorpresa sarebbe stato determinante – presero posto attorno all’edificio, circondandolo completamente. Dalle finestre illuminate si vedeva tutto molto chiaramente, dagli uomini armati in piedi a quelli legati e addossati alle pareti, fino alla ragazza che stava subendo un’atroce tortura.
   Fu quella vista a spingere Bojan Fejsa, che era stato incaricato di guidare il gruppo, a non attendere un solo istante di più e a dare subito l’ordine di aprire il fuoco senza risparmiarsi. Fu lui stesso, corso alla finestra dell’ambulatorio, a dare avvio alle danze, abbattendo il vetro e spedendo una raffica del suo rugginoso souvenir che i tedeschi avevano lasciato nei Balcani addosso all’uomo che stava torturando la giovane.
   Dalle altre finestre della casa si sollevarono quasi subito degli scoppi e degli spari. Sebbene colti alla sprovvista da quell’attacco inatteso, gli agenti segreti dell’OZNA si erano immediatamente organizzati e avevano cominciato a rispondere al fuoco. Uno di loro, armato di lanciagranate, sparava bombe a tutto spiano, mettendo in seria difficoltà gli attaccanti, che sul lato principale della casa furono costretti a ripiegare in direzione della foresta per evitare di essere falciati e fatti a pezzi dalle esplosioni.
   Ma Fejsa, seguito da altri sette, era intanto entrato nell’ambulatorio e, dopo essersi accertato che la ragazza sanguinante fosse al sicuro e tutti gli altri morti, si lanciò verso la porta che conduceva al resto della casa. Era un ambiente che conosceva molto bene, dal momento che era lui stesso un paziente del dottor Obradovic.
   Si trovò di fronte uno degli agenti segreti, che aprì il fuoco appena lo vide. Gettatosi di lato per evitare la raffica mortale, Fejsa rispose con una scarica che travolse l’avversario. I suoi compagni si aggiunsero alla sparatoria, tramutando la casetta in un vero e proprio inferno. Un inferno che, però, durò soltanto una manciata di minuti.
   Presi tra due fuochi, sopraffatti dalla superiorità numerica degli avversari, gli agenti dell’OZNA caddero uno a uno, non senza essersi trascinati dietro diversi ribelli. Alla fine, soltanto uno di loro rimase vivo, sebbene gravemente ferito.
   Fejsa gli si avvicinò, osservandolo mentre respirava a fatica, il sangue che gli colava dal naso e dalle orecchie. Era accasciato a terra, sotto una finestra infranta. L’uomo, come vide il ribelle avvicinarsi, fece scattare la mano in direzione della pistola che gli era sfuggita ed era immobile a pochi centimetri da lui. Non l’aveva ancora sfiorata che già un proiettile gli aveva attraversato la testa da parte a parte.
   «Il posto è sicuro» dichiarò il comandante.

 
* * *

   Indy, don Mavro e Valerija, pur essendosi trovati seduti sul pavimento in mezzo alla sparatoria, erano miracolosamente riusciti a scampare al devastante scambio di proiettili e non avevano riportato ferite, se si escludeva un piccolo graffio che una scheggia di legno saltata dal pavimento aveva provocato al braccio destro dell’archeologo. Quindi, non appena furono liberi dal nastro isolante che gli impediva di muoversi, si affrettarono a farsi largo tra i cadaveri e ad entrare nell’ambulatorio, per sincerarsi delle condizioni di Katy.
   Lo studio del dottor Obradovic versava in pessime condizioni. Le finestre erano distrutte, le pareti crivellate di proiettili e il pavimento rosso per il sangue dei tre corpi che vi giacevano sopra. Molti armadietti erano andati distrutti.
   In compenso, trovarono Katy a sua volta già libera. Si era sfilata il giubbotto di pelle, aveva tolto ciò che restava della sua canottiera e, adesso, seduta sul lettino, si stava tamponando con del cotone imbevuto di disinfettante le ferite che aveva sul corpo. Ogni volta che il liquido che puzzava di alcol passava su un taglio, la sua faccia era attraversata da una smorfia dolorosa.
   «Katy…» mormorò Indy, avvicinandosi.
   La ragazza alzò gli occhi dal suo lavoro e, sebbene pallida, stanca e logorata, trovò la forza di sorridere.
   «Ciao, Old J» mormorò. «Hai visto come mi hanno conciata per bene?»
   Il vecchio guardò preoccupato i tagli e le bruciature sul busto e sulle braccia della figlia, e osservò i lividi che aveva sul viso. Un singhiozzo disperato gli sfuggì dalle labbra.
   «Oh, papà, non ti metterai mica a piangere, vero?!» sbottò la ragazza, con un sogghigno. «Ne ho passate di peggio, te lo assicuro.»
   Valerija si avvicinò e le fece una carezza leggera, prima di chinare il viso verso il suo per lasciarle un bacio veloce sulle labbra. Don Mavro, che già si era voltato dall’altra parte per non guardare la giovane a petto nudo, avvertì il bisogno repentino di uscire dalla stanza e andare a parlare con il capo dei ribelli.
   «Hai bisogno di aiuto?» domandò Jones, sollecito, guardandosi attorno in mezzo alla confusione per cercare garze, pomate e qualsiasi altra cosa che sarebbe stata utile per alleviare le sofferenze della figlia.
   «Penso a tutto io» assicurò Valerija, che si era abbassata per raccogliere un rotolo di bende che era finito vicino alla scrivania del dottore, sconquassata da un colpo di proiettile.
   Indy indugiò per qualche secondo su Katy, osservandola con attenzione. Per fortuna, le ferite erano tutte piuttosto superficiali e le bruciature erano abbastanza circoscritte. Quel maledetto boia che ora giaceva ai suoi piedi doveva essere molto esperto nel far soffrire i suoi prigionieri senza infliggere loro danni troppo gravi, in maniera da far durare il più a lungo possibile la tortura. Un pensiero che gli fece montare la collera, e che sfogò dando un forte calcio al cadavere del colonnello Civic.
   «D’accordo, aiutala tu» approvò. «Poi immagino che vorrai riposare…»
   Katy scosse la testa con disappunto.
   «Non ci penso nemmeno, Old J! Ne ho piene le palle, di questo posto della malora!» sbottò. «Vai subito a parlare con quelli che ci hanno salvati e digli che vogliamo partire al più presto per la Georgia. Non voglio restare qui un solo minuto più del necessario!»
   Indiana Jones assentì con il capo, indirizzò un ultimo sorriso alla figlia e fece come gli era stato detto con quel tono che non ammetteva nessuna replica. Anche lui, in fondo, non vedeva l’ora di tagliare la corda, prima che accadesse qualcos’altro.
 
   
 
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