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Autore: IndianaJones25    17/11/2021    2 recensioni
Gli anni sono trascorsi, lenti ma inesorabili. Anche per il professor Henry Jones, Jr. sembra essere giunto il momento di appendere la frusta al chiodo e di dire addio alla vita avventurosa. L’intrepido archeologo giramondo, ormai, è diventato un anziano signore che porta addosso i segni, i dolori e i ricordi dolceamari della sua spericolata vita passata.
Ma c’è ancora chi sembra avere bisogno di lui e Indiana Jones non è certo il tipo da tirarsi indietro dinanzi a una minaccia che potrebbe sconvolgere il mondo intero. Così, in compagnia di sua figlia Katy, di una giovane bibliotecaria e di un prete dal grilletto facile, Indy torna a impugnare la frusta e si getta a capofitto in un’ultima impresa, al cui termine potrebbe trovare la speranza di un nuovo inizio oppure una disastrosa rovina.
La lotta sarà difficile e insidiosa, perché l’ultimo vero nemico di Indiana Jones non saranno eserciti o folli invasati, ma proprio la sua irresistibile voglia di avventura…
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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   23 - Il cammino della vita
 
    Pendici del monte Kazbek, Repubblica Socialista Sovietica di Georgia

   L’aria gelida e odorosa di neve che proveniva dalle alture del Caucaso portava con sé l’annuncio di un inverno anticipato, che sarebbe stato particolarmente rigido. A parte il freddo e la stanchezza della lunga arrampicata che li aveva portati tanto in quota, però, muoversi in quel luogo era quanto di più incantevole si potesse credere; non sembrava per niente strano, allora, che in passato uomini e donne  di ogni condizione lo avessero considerato come il Giardino dell’Eden, il luogo dove tutto aveva avuto inizio.
   Dalle vette spirava il vento che, insieme all’aria gelida, portava con sé profumo di erba umida e di boschi. Un odore penetrante di acqua, che presto si sarebbe mutata in neve e ghiaccio, acqua purissima che scorreva su quelle vette ancora vergini e incontaminate. Lì sembrava che l’inquinamento e le altre sciagure del mondo contemporaneo non fossero ancora stati capaci di giungere.
   Il silenzio, quasi assoluto e non smorzato da nessun suono estraneo e fastidioso, era intervallato soltanto dai tintinnii dei campanacci appesi al collo di un gregge di capre al pascolo, dai latrati di un vecchio cane e dalle canzoni tradizionali che il pastore dalla lunga barba grigia, seduto sopra un masso, cantava pizzicando le corde del panduri, lo strumento tipico della Georgia.
   A fare da cornice a quella poesia estatica creata dalla natura, erano i prati verdi circondati dall’abbraccio roccioso delle montagne, che si innalzavano aguzze verso il cielo grigio e nuvoloso, già bianche di neve e accese di arancione dai raggi del sole al tramonto, come giganti addormentati. E quella catena montuosa non era soltanto un insieme di pietre e di ghiaccio, ammassi antichi quanto il mondo, bensì un confine: il confine tra due realtà che si erano spesso scontrate e mai realmente comprese. Da una parte l’Europa, sempre più proiettata verso il futuro, e dall’altra l’Asia, ancorata in maniera salda alle sue più antiche tradizioni.
   Sbuffando per la lunga arrampicata che avevano dovuto affrontare per giungere fin lì, affrontando sentieri appena accennati e mulattiere su cui era difficile tenere un passo regolare, Indiana Jones e i suoi tre compagni si fermarono, contemplando l’alto monte innevato che gli si parava di fronte, oltre la valle. Tutti e quattro si appoggiarono con aria stanca ai robusti bastoni che li avevano assistiti nel cammino.
   «Ditemi che ci siamo» implorò don Mavro, prendendo dalla tasca del cappotto il suo solito fazzoletto e utilizzandolo per asciugarsi la fronte, che grondava di sudore nonostante il freddo.
   «Ci siamo» confermò Indy, indicando la montagna innevata. «Quella è la nostra meta. L’eremitaggio che cerchiamo si trova lassù.» Si guardò attorno. «Ma abbiamo ancora parecchi chilometri da percorrere, e presto calerà il buio.» Diede un’occhiata dubbiosa alle nuvole basse che, trasportate dal vento, si addensavano sopra la vallata, promettendo un’abbondante nevicata. «Sarà meglio accamparci qui, per stanotte, e domattina riprenderemo il cammino alle primi luci. Per mezzogiorno di domani saremo a destinazione.»
   «Era ora!» borbottò Katy, togliendosi di dosso il pesante zaino che portava sulle spalle e sbattendolo in terra senza troppi riguardi. Aveva acconsentito a sostituire il suo solito giubbotto di pelle con un pastrano da uomo molto più pesante, e aveva nascosto quasi per intero la testa sotto un’ampia cuffia di lana.
   «Non hai nessuna pietà, della tua povera figliola ferita» andò avanti a lagnarsi. «Ora, oltre ad avere tagli dappertutto, ho pure i piedi pieni di vesciche. Sarai felice, presumo.»
   Jones sogghignò, osservandola con ironia, per nulla intenerito dai suoi lamenti.
   «Io farei più attenzione, se fossi in te» si raccomandò. «Quello zaino è pieno di esplosivo.»
   «Adesso me lo dici!» strillò la giovane, sobbalzando. «E che accidenti ce ne facciamo, dell’esplosivo?»
   Indy si sfilò dalle spalle il suo zaino e cominciò a estrarne una tenda e i relativi picchetti. Si strinse nelle spalle.
   «Come, che cosa ce ne facciamo?» borbottò. «Hai per caso dimenticato, il motivo per cui ci troviamo qui? Il vicario ci ha chiesto di rendere inoffensiva la Fonte e noi così faremo.»
   Katy non disse nulla, iniziando ad aiutare Valerija a togliere dal suo zaino l’altra tenda. Don Mavro, invece, si mise a sedere sopra una pietra, prestando orecchie alle parole della canzone del pastore, che il vento accompagnava fino a loro.
   «Non capisco una sola parola, ma questa melodia è davvero struggente» asserì, annuendo piano.
   Indy alzò la testa, osservando in lontananza il musicista, la cui lunga barba vibrava a ogni nota.
   «Una canzone sacra, padre» spiegò. «Dedicata alla Madonna.»
   Notando lo sguardo stupito del prete, si strinse nelle spalle come aveva fatto poco prima.
   «Lo studio delle lingue è sempre stata una mia deformazione, fin da bambino» rivelò. «Ne conosco talmente tante che, alla lunga, dimentico persino di averle studiate. Poi, però, mi basta udire poche parole, magari di una canzone, per rendermi conto di comprendere ogni cosa.»
   Don Mavro borbottò un complimento, mentre l’archeologo, con un grugnito, piegò le ginocchia indolenzite per arrivare a terra e cominciare a picchiare sui paletti, come stavano facendo anche Katy e Valerija. Finalmente, rendendosi conto di essere seduto a riposare mentre gli altri faticavano, il sacerdote cominciò a darsi da fare per preparare la cena.
   Con il contributo di tutti, il campo fu presto allestito, due tende abbastanza capienti dinnanzi alle quali venne acceso un fuocherello scoppiettante. Le prime ombre si stavano allungando e, nel cielo, in mezzo agli spazi lasciati liberi dalle nubi che non avevano ancora finito di addensarsi tutte insieme, cominciavano ad apparire le prime stelle. Presto, però, le fievoli luci degli astri scomparvero e le nubi si compattarono, promettendo cattivo tempo per la notte.
   Persino il pastore, dopo aver interrotto la sua dolce nenia, radunò con l’aiuto del suo cane le pecore all’interno del recinto coperto da una tettoia, per poi rientrare nella sua casa di pietra a ridosso di due grandi abeti secolari. Lo videro apparire ancora una volta, per chiudere l’ingresso di un pollaio accanto all’abitazione, poi scomparve definitivamente dietro la porta chiusa. Dopo qualche minuto, dal camino cominciarono a uscire lente spiarli di fumo.
   Nessuno parlò, mentre consumavano il pasto. Quel mutismo non era dovuto tanto alla stanchezza di essersi arrampicati fino a lì – non solo, almeno. Ciò che li rendeva nervosi era l’idea di quello che si accingevano a compiere. Tutti e quattro apparivano piuttosto turbati, ciascuno perso a rincorrere l’ombra di qualche pensiero sfuggente, mentre con la mente ripercorrevano gli ultimi giorni, vissuti completamente in vista dell’indomani, quando avrebbero finalmente raggiunto la loro meta.
   Dopo l’ultima sparatoria a casa del medico, non erano accaduti altri avvenimenti degni di nota. Katy, ancora pallida e un poco tremante per ciò che aveva passato, ma comunque in buone condizioni di salute nonostante la tortura subita, si era accomodata a bordo di un fuoristrada, tenendosi stretta a Valerija; nessuna delle due sembrava avere fatto caso ai cadaveri degli agenti dell’OZNA che si erano accumulati lungo i corridoi. Don Mavro, dopo aver impartito la sua rapida benedizione ai defunti e aver mormorato una preghiera per le loro anime – pur borbottando che, per come la vedeva lui, assassini simili meritavano soltanto il fuoco dell’inferno – le aveva seguite quasi subito, sedendosi in silenzio al loro fianco.
   Anche Indy stava per salire, quando si era sentito toccare il braccio da una mano delicata e leggera. Era Marija, la figlia del dottor Obradovic che si era presa tanta cura di lui, in quegli ultimi giorni.
   «Professor Jones…» aveva mormorato, tenendo lo sguardo basso, come se si vergognasse.
   L’archeologo, osservandola, aveva intuito che dovevano soltanto a lei la salvezza. Non aveva avuto bisogno di domandare nulla per comprendere che era stata lei a correre a chiamare i ribelli che erano venuti in loro aiuto. Senza una sola parola, l’aveva stretta in un abbraccio colmo di gratitudine.
   Lei, sorpresa, aveva soffocato un singhiozzo, incapace di parlare. Le sue labbra avevano sfiorato la sua guancia scavata dalla vecchiaia e ispida di barba, e Indy si era sentito rimestare il sangue. Poi si era staccata da lui ed era corsa via, per andare a occuparsi di suo padre e degli altri feriti. Jones era rimasto fermo a guardarla per qualche secondo, meravigliato ma anche fiero della sua capacità di saper fare ancora breccia nel cuore di una ragazza così giovane, poi era salito in macchina.
   Accompagnati da due ribelli, erano stati subito condotti all’aeroporto senza più incidenti.
   La prima parte del viaggio in aereo, come preannunciato, era stato a bordo di un cargo carico di gabbie al cui interno starnazzavano polli e galline. L’odore era insopportabile e le piume che svolazzavano ovunque irritavano il naso e gli occhi. Tutti, però, erano così stanchi che non ci avevano fatto alcun caso, specialmente Indy che, dopo essersi accoccolato alla meglio, si era abbassato il cappello sugli occhi, aveva conserto le braccia sul petto e si era addormentato.
   Una volta giunti in Bulgaria, avevano cambiato volo e, superato in poche ore il Mar Nero, erano atterrati a Tbilisi, la capitale della Georgia; da lì, come normali turisti, avevano coperto a bordo di uno scassato torpedone i circa centoventi chilometri che li separavano dalla loro meta finale, che infine gli si era parata dinnanzi agli occhi in tutta la sua imponente bellezza. Il monte, alto e austero, sembrava quasi osservarli impassibile, sfidandoli a svelare i suoi più arcani segreti.
   Arrampicarsi sulla montagna non era stata una passeggiata per nessuno: Indy, anche se non voleva ammetterlo, era ormai davvero troppo vecchio per cose del genere, come gli ricordavano le gambe che soffrivano a ogni metro guadagnato e la schiena che pareva decisa a spaccarsi in due a ogni movimento errato; don Mavro, poi, non aveva fatto nessun tentativo per cercare di nascondere la sua stanchezza, sbuffando a ogni singolo passo come una vecchia locomotiva sfiatata e appellandosi più volte alla Madonna e a San Bernardo, patrono degli alpinisti, perché lo proteggessero in quel calvario; Valerija, pur avendo fatto gli allenamenti camminando nella foresta, non si era scordata una sola volta di essere pur sempre una bibliotecaria, e non un’alpinista; e Katy non aveva fatto altro che lamentarsi di avere male dappertutto per via dei patimenti subiti.
   Ma, in un modo o nell’altro, ce l’avevano fatta. Ormai soltanto un’ultima vallata li separava dall’ampio declivio dove, celati da qualche parte, si trovavano i resti dell’antico eremitaggio che erano venuti a cercare.
   Adesso, consumata la cena, non restava che affrontare una notte di sonno, per rimettersi in forza in attesa del giorno seguente.

 
* * *

   Valerija baciò Katy con una passione tale da sembrare intenzionata a risucchiarle l’anima attraverso la bocca. Le si aggrappò, le mani strette sulle spalle, e affondò le labbra nelle sue, giocando con la punta della sua lingua e accogliendola famelica attorno alla propria.
   La tenda, di tela spessa e cerata, era molto confortevole. Non si poteva certo dire che ci si stesse al caldo, ma imbacuccate com’erano negli abiti pesanti e avvolte nei sacchi a pelo, strette l’una all’altra, le due giovani non pativano il freddo. In un angolo, accanto agli scarponi che si erano tolte, brillava fievolmente una lampada da campeggio a gas, spandendo ombre tremolanti sulle pareti di tela. Lo zaino che custodiva l’esplosivo, invece, su insistenza di Katy, era stato portato da suo padre a una decina di metri di distanza, al riparo tra alcune rocce: non avrebbe chiuso occhio, sapendo di avere quella roba troppo vicino.
   «E domani, se proprio ci tieni tanto, te lo porti tu, sulla schiena!» gli aveva detto, quando era tornato indietro. «Ha ragione la mamma, quando dice che sei un dinamitardo!»
   Il vecchio aveva fatto una smorfia.
   «La mamma non dice che sono un dinamitardo…»
   «Questo lo pensi tu, Old J!» aveva replicato lei, cercando apparire acida ma non riuscendo a soffocare una risata.
   Ora, però, mentre le labbra umide e salate di Valerija si stringevano attorno alla sua lingua, succhiandola quasi con avidità, alla giovane Jones non importava niente, né della dinamite, né tantomeno della lunga scarpinata che avevano dovuto affrontare per arrivare fin lì, tra le aspre e fredde vette del Caucaso Maggiore, e neppure di un sasso che si trovava proprio sotto la tenda e le stuzzicava dolorosamente la schiena a ogni singolo movimento del corpo.
   Certo, sapere di essere tanto vicini alla meta la riempiva di euforia. Dopo tante pene, dopo aver rischiato più volte di rimetterci la pelle, erano quasi giunti a destinazione, e questo le produceva una strana sensazione di vittoria. Tuttavia, in quel preciso momento non ci voleva pensare.
   Ora le interessava soltanto abbandonarsi ai baci dell’altra ragazza, godendo appieno della prima notte tranquilla e tutta per loro che stavano avendo dopo diversi giorni. Non voleva fare altro che svuotare la mente e riempirla un’altra volta con la consapevolezza delle dolci labbra di Valerija incollate in modo sensuale alle sue.
   Dopo alcuni minuti di paradiso, però, fu la bibliotecaria stessa a staccarsi da lei. Quell’interruzione inaspettata del dolce contatto che le aveva unite fece patire a Katy un senso di vuoto e di freddo che non aveva niente a vedere con il clima delle montagne della Georgia settentrionale.
   «Che succede?» domandò, cercando di sporgersi in avanti per riguadagnare quella meraviglia perduta.
   Valerija si era sollevata, la testa appoggiata alla mano e il gomito a terra, e si tenne fuori dalla sua portata.
   «Stavo pensando a una cosa…» mormorò, passandosi la lingua sulle labbra ancora intrise del sapore dell’altra.
   Quella vista procurò un fremito a Katy, che si sentì rimestare il sangue nelle vene. Nondimeno, riuscendo a controllare la propria voglia di balzarle addosso e strapparle gli abiti uno per uno, domandò: «A che cosa?»
   «Alla Fonte dell’Eterna Giovinezza» ammise Valerija.
   Si fissarono negli occhi, che alla luce della lampada brillavano in maniera strana, quasi sinistra. Dall’esterno, giunse il mormorio cupo di una raffica di vento, e qualcosa di leggero cominciò a picchiettare contro la tenda. Nevicava.
   «So che ne abbiamo già parlato, anche se non abbiamo affrontato per bene l’argomento» continuò la ragazza. «È da quando abbiamo saputo che il tuo zaino era pieno di esplosivo che tuo padre si è procurato chissà dove, che ci penso…»
   Katy ridacchiò, portandosi la mano davanti alla bocca.
   «Oh, ti assicuro che ci penso pure io, e di continuo» bofonchiò, un po’ aspra. «Gliel’ho detto chiaro e tondo: domani, se proprio vuole tirarsi ancora dietro quella roba, se la tiene in spalla lui, vecchio artificiere pazzo!»
   «Non è quello…» continuò Valerija.
   Adesso era decisamente a disagio, mentre Katy, dal canto suo, cominciava sul serio a sentirsi curiosa. Voleva davvero scoprire che cosa avesse in testa la sua amica di così importante da indurla a smettere di baciarla proprio quando cominciavano a darsi da fare per davvero.
   «E cosa sarebbe, allora?» la incitò.
   «Io…» iniziò la ragazza.
   Trasalì, in difficoltà, come se quello che aveva in mente di affrontare fosse un argomento parecchio imbarazzante. La giovane archeologa notò che sfiorava la tasca del cappotto di montone, come se volesse tirare fuori qualcosa. Poi, però, parve ripensarci e tornò a distendere la mano. Fuori, la neve cominciò a cadere più copiosa.
   «È sempre quella cosa che ti stavo dicendo quando eravamo nella vasca da bagno…»
   Katy aggrottò le sopracciglia, tentando di fare mente locale. Ma gli avvenimenti che si erano succeduti in quella notte tremenda erano tali che, proprio, non riusciva a ricordare di che cosa stessero parlando lei e Valerija, prima di essere interrotte dall’arrivo del ribelle e da tutto lo sconquasso che ne era seguito.
   «E che cosa mi stavi dicendo?» domandò. Si sporse in avanti e le accarezzò i capelli dorati. «Giuro che ti ascolto sempre volentieri, quando mi parli, la tua voce mi incanta, ma questa volta non riesco a farmi venire in mente che cosa…»
   «Della possibilità di non distruggere la Fonte e, anzi, utilizzarla per rinforzare i ribelli» replicò la ragazza, trovando finalmente il coraggio di parlare. «Hai visto che razza di mostri sono quelli dell’OZNA, no? E, allora, perché non utilizzare quelle acque miracolose contro di loro? Non ci sarebbe più sparatoria o tortura in grado di fermare i rivoltosi e, nel giro di poco tempo, la piaga comunista sarebbe definitivamente abbattuta!»
   La giovane archeologa si lasciò sfuggire un lunghissimo sospiro.
   Capiva perfettamente le motivazioni che spingevano l’amica a parlare in quella maniera, e in parte le condivideva: aveva sperimentato sulla sua stessa pelle di che cosa fossero capaci gli agenti comunisti – i tagli sotto le bande, che si stavano cicatrizzando, in certi momenti le facevano ancora maledettamente male, per non parlare delle bruciature – e poteva comprendere il desiderio di rivalsa contro quegli uomini mostruosi. Il sogno di potergli opporre un esercito invincibile era stuzzicante, quantomeno. Tuttavia, c’era un fattore molto importante di cui non poteva non tenere conto.
   «Ammetto che sarebbe una bella tentazione» rispose. «Ma ci sono mille motivi differenti per dubitare che sarebbe la soluzione giusta.»
   Valerija inarcò un sopracciglio, senza capire. I suoi occhi la invitarono a proseguire.
   «Be’, vedi, papà mi ha raccontato un sacco di storie» spiegò Katy, sperando di non apparire come una bambina disposta a credere a ogni fiaba che le veniva rifilata.
   Si spostò in una posizione migliore, intrecciando le braccia dietro la testa. Il sasso sotto la schiena non smise di infastidirla: sembrava prenderci gusto, a premerle contro la carne.
   «Ora so che non sembrerebbe, a guardarlo, ma anche Old J è stato giovane. E, quand’era giovane, ha più volte avuto a che fare con gente che si sarebbe voluta impadronire di antichi e preziosi manufatti ritenuti magici per utilizzarli a scopi, diciamo così, bellici.»
   Valerija parve non capire.
   «E con ciò?» domandò.
   «Con ciò» rispose Katy, girando lo sguardo su di lei, «voglio dire che, tutta quella gente, ha fatto una gran brutta fine.»
   Le sue labbra perennemente screpolate si dischiusero in un ampio sorriso, mentre rammentava alcuni momenti della sua infanzia.
   «Quando non volevo andare a letto, o facevo i capricci per non mangiare il passato di verdure, o non avevo voglia di farmi il bagno nonostante fossi sporca di fango dalla testa ai piedi, papà mi raccontava dei suoi nemici e di come erano finiti tutti molto male.»
   Fece la voce grossa, cercando di imitare quella bassa e cavernosa di Indy.
   «“Se non fai il bagno, finirai sciolta e con la testa esplosa come Belloq davanti all’Arca dell’Alleanza”, oppure “se non mangi la minestra, diventerai uno scheletro come Donovan!” O, ancora, “sbrigati a lavarti i denti, altrimenti arriveranno gli esseri intradimensionali e ti porteranno via con il loro disco volante come hanno fatto con Mac!”»
   Ridacchiando, riprese il suo solito tono, un poco roco.
   «All’inizio non capivo, ero troppo piccola e pensavo che quei tizi fossero protagonisti di qualche film scadente o di storie dell’orrore che papà aveva letto in qualche giornaletto. Invece, quando sono stata più grande, mi narrò che lui aveva davvero visto accadere tutte quelle cose ai suoi nemici. Quelle e molte altre, persino peggiori. E mi ha messa in guardia, dicendo che, dagli antichi e occulti poteri che un tempo dominavano il mondo, e i cui residui sono ancora celati nei posti più lontani e impensabili, è molto meglio tenersi alla larga e non averci nulla a che fare.»
   Per quanto fosse sorpresa da un simile racconto – la sola idea che potessero davvero esistere simili fonti di potere era per lei al limite dell’accettabile, e non ci avrebbe mai creduto se non fosse stata distesa in una tenda sotto la neve, riprendendosi piano piano da una lunga scarpinata affrontata per trovare la Fonte della Giovinezza di cui narravano le leggende – Valerija scosse il capo.
   «Ma qui non si tratta di un potere occulto o cose del genere!» insisté. «Questa è solo un’acqua un po’ strana che fa miracoli, che ringiovanisce la gente e guarisce malattie e ferite… potrebbe addirittura essere una panacea per tutti i mali…»
   Katy, in un certo senso, la pensava come lei. Ma se il vecchio archeologo voleva distruggere la Fonte, doveva avere le sue buone ragioni, e lei aveva imparato da tempo a non dubitare di suo padre. Anche se molto spesso lo prendeva in giro, dandogli dell’uomo preistorico a causa della sua età, sapeva bene quanto fosse esperto nel suo campo e stimato in campo accademico, persino adesso che si era ormai ritirato dall’insegnamento.
   Tuttavia, si rendeva conto che, continuare a parlarne, non sarebbe servito a nulla.
   «Adesso siamo stanche e la notte si fa sempre più buia e fredda» mormorò. «Io penso che dovremmo approfittare di queste ore per riposarci e per fare cose molto più belle, anziché perderci in chiacchiere…»
   Ciò detto, allungò il braccio, l’agguanto, la trasse a sé, senza badare all’urto con qualcosa di duro e pesante che Valerija aveva nella tasca del giubbotto, e ricominciò a baciarla, dimenticando tutto il resto.

 
* * *

   Nella sua tenda, sdraiato accanto a don Mavro – il quale, dopo aver mormorato un paio di rapide preghiere a cui il vecchio archeologo aveva risposto con un «amen» incerto e svogliato, si era messo subito a russare della grossa – Indy fissava nel vuoto, lo sguardo perso nel buio, la mente intenta a inseguire un pensiero che lo affascinava e al medesimo tempo lo terrorizzava. Nonostante la stanchezza e i dolori che la lunga e faticosa scarpinata gli aveva lasciato nella schiena e nelle gambe, il sonno tardava ad arrivare e non riusciva a chiudere occhio. Era più che certo che, quella notte, non avrebbe dormito. Non valeva nemmeno la pena provarci, sarebbe stata fatica inutile; in più, aveva capito che quello era il momento di pensare, di ragionare, perché dopo, forse, non ne avrebbe più avuta l’opportunità.
   Si sentiva come un uomo aggrappato a una parete rocciosa, ripida e levigata, senza più la possibilità di muoversi in qualsiasi direzione, e con un tetro abisso sotto di sé; un abisso di cui era impossibile scorgere il fondo. La possibilità di cadere nel vuoto e sfracellarsi al suolo dopo un pauroso volo si sarebbe potuta verificare a ogni minimo movimento errato. Un movimento che lui non intendeva compiere.
   L’indomani, di questo non aveva più alcun dubbio, avrebbe trovato la Fonte dell’Eterna Giovinezza. Ne era certo: tutti gli indizi lo avevano condotto fin lì e, ormai, non aveva più alcun motivo per diffidare. Il cammino della sua vita, alla fine, lo aveva condotto a scoprire anche quell’ultimo segreto, quel mistero tanto favoleggiato e intrigante, che era sempre stato lì, celato tra le vette del Caucaso, in attesa che qualcuno giungesse a svelarlo. Un compito che, alla pari di moltissimi altri, era toccato a lui. Ancora una volta, il destino o chi per lui aveva posto Indiana Jones sulla pista di un’immensa scoperta, che trascendeva dalla semplice archeologia a cui si era votato.
   Non avrebbe saputo come definire il proprio stato d’animo, in quel momento.
   Eccitato? Spaventato? Lusingato? Distaccato? Gli sembrava che, tutte queste emozioni e mille altre ancora, gli si accavallassero nella mente, affollandosi l’una sull’altra e facendo a pugni per prendere il sopravvento, senza concedergli un solo istante di tregua. Era un po’ come tutte le altre volte in cui aveva scoperto oggetti mitologici o messo piede in luoghi leggendari: anche in tutte le altre occasioni si era sentito cogliere da sensazioni contrastanti e indefinibili, che gli scorrevano con prepotenza sotto la pelle.
   Questa volta, tuttavia, c’era anche qualcosa di differente, che lo riguardava da vicino. Qualcosa che, contrariamente alle altre occasioni in cui si era trovato a sfidare il mondo intero per giungere a un risultato, lo coinvolgeva in maniera molto più personale del solito.
   Era pronto a distruggere per sempre la Fonte, come gli era stato ordinato di fare. Si sarebbe dato da fare senza rimpianti, in quel senso. Aveva sufficiente esperienza pregressa per non sapere che, lasciarla scorrere intatta, avrebbe potuto comportare un immenso pericolo per chiunque. Il fatto che, finora, nessuno se ne fosse servito per scopi malvagi, non significava che sarebbe stato così per sempre: bastava pensare ai comunisti, che avrebbero voluto trovare quelle acque e usarle a loro vantaggio. Non c’erano riusciti e, ormai, era certo che l’OZNA avesse rinunciato: probabilmente, se era stata organizzata una nuova squadra, erano ancora alla loro ricerca nei Balcani: e, oltretutto, era ormai chiaro che la morte di Pavkov avesse mandato a monte l’intera operazione, considerato che gli altri membri della polizia segreta non avevano idea di che cosa cercare di preciso, né dove. Non avrebbe più avuto rogne, da parte loro.
   Un ghigno gli incurvò le labbra. Era una novità assoluta, per lui, riuscire a raggiungere la meta che si era prefisso senza avere qualcuno a stargli con il fiato sul collo, magari con un mitra tra le mani; aveva dovuto diventare vecchio, per vivere una simile esperienza.
   Ma quanti ancora si sarebbero fatti avanti, in quella ricerca, e non animati da amore per il prossimo e per la collettività? E, come c’erano riusciti lui e i suoi compagni, prima o poi anche altri avrebbero trovato il modo di arrivare alla meta, e allora sarebbero stati grossi guai per tutti, perché difficilmente a spingersi fin lì sarebbe stato un mecenate, un benefattore dell’intera umanità.
   No, riguardo a questo non aveva nessun dubbio: la Fonte dell’Eterna Giovinezza, pur apparendo a prima vista come una benedizione per chiunque vi si fosse approssimato, era in realtà un pericolo, un pericolo per tutti, e come tale andava annientato. Un compito che sarebbe spettato a lui e a cui non si sarebbe mai sottratto: ecco perché non si era fatto alcuna remora, durante una sosta nel viaggio verso il Caucaso, a rivolgersi a un venditore clandestino di esplosivi e armi per farsi consegnare dinamite sufficiente a cancellare dalla faccia della terra quella sorgente.
   Ciò che non aveva detto a nessuno, e che quasi si vergognava di ammettere persino con se stesso, era che, nella tasca del suo parka, accanto all’accendino con cui intendeva dare fuoco alla miccia che avrebbe posto fine a quell’antico mistero, era custodita anche un’ampolla vuota. Una piccola ampolla di vetro, che avrebbe però potuto contenere sufficiente acqua da regalargli ancora la gioventù e, insieme ad essa, almeno un’altra ottantina d’anni di vita felice. Non ne voleva di più. Quelli gli sarebbero bastati. Eppure, soltanto a pensare di poterli guadagnare aveva i brividi, e la morsa del terrore lo avvolgeva completamente.
   Fece un rapido conto mentale.
   Ringiovanire adesso e riguadagnare salute e forza fisica avrebbe significato poter vivere numerose altre avventure fino almeno all’anno 2065 o giù di lì. Forse anche dopo: chi poteva scommettere sul fatto che, nel frattempo, sempre in movimento com’era, non avrebbe trovato altri modi per prolungare la propria esistenza di altri cento, duecento, mille anni? In ogni caso, limitandosi soltanto a quella, era comunque una data che, adesso, al solo pensarla, gli sembrava lontanissima, come se si trattasse non solo di tempo, bensì addirittura di un orizzonte fisico impossibile da superare e di cui non poteva neppure intravedere i confini incerti e irraggiungibili.
   Un nuovo brivido, che non aveva nulla a che vedere con il pur rigido clima della montagna, lo attraversò da parte a parte.
   Vivere tanto a lungo avrebbe significato vedere realizzarsi il futuro, avrebbe voluto dire assistere a immensi cambiamenti di cui non era nemmeno in grado di prevedere gli sviluppi. Avrebbe significato andare incontro a qualcosa di completamente nuovo, che poco o nulla aveva a che fare con lui.
   Provò a pensare a come appariva il mondo all’epoca in cui lui era nato, e a quanto fosse mutato nel corso del Novecento. Si erano verificati cambiamenti immensi e profondi, capaci di sconvolgere la mente se solo li si provava a mettere in fila uno dopo l’altro; trasformazioni che spesso era riuscito ad accettare e a integrare nella propria vita ma che, altre volte, lo avevano colto di sorpresa, togliendogli il fiato.
   Giusto per dirne una, la prima che gli si parò dinnanzi alla mente, aveva accolto come una piacevole novità l’invenzione degli aerei supersonici, che adesso permettevano di compiere in poche ore tratte che, prima, richiedevano giorni interi di viaggio. I tempi in cui, per fare il giro del mondo, occorrevano ottanta giorni, sembravano ridicolmente lontani, sebbene fossero i medesimi tempi in cui i suoi occhi si erano schiusi per la prima volta alla luce dorata del sole.
   Un po’ meno, si disse saltando di palo in frasca, molto meno, anzi, gli andava a genio il degrado delle periferie, oggi abitate da quei punk maleodoranti e vestiti come straccioni. La moralità, col tempo e con il progresso, era proprio andata a farsi benedire, insieme al buongusto e alla buona creanza. C’erano poi altri aspetti che faticava ad accettare, come quella malattia mostruosa che passava da un essere umano all’altro attraverso gli atti sessuali, scoperta soltanto da pochi anni e per la quale, ancora, non esisteva una cura: gli esperti dicevano che ci si sarebbe dovuto fare i conti molto a lungo, per tantissimi anni, forse addirittura per sempre.
   Per non parlare, poi, delle crescenti tensioni che stavano attraversando il mondo, un’altra volta. Di nuovo ci si trovava sul limitare dell’abisso. Di nuovo sembrava di essere pronti ad andare verso una nuova guerra. Combattuta contro chi, e con quali armi, erano quesiti a cui, per il momento, non sapeva dare una risposta. Eppure c’erano troppi fermenti, ovunque, per ignorare che, i prossimi decenni, non sarebbero stati per niente semplici. Quella relativa stabilità che si era creata all’indomani della fine della seconda guerra mondiale era ormai sul punto di concludersi, sempre che fosse davvero mai esistita.
   C’era anche un altro problema, con cui il progresso si stava muovendo a pari passo. L’inquinamento. Un dilemma antico che, però, come una malattia lenta ma inesorabile, dalle grandi città si era spostato ai piccoli centri e poi anche agli spazi aperti. Il mondo verde e pulito in cui lui aveva vissuto le sue grandi avventure stava lentamente scomparendo sotto i fumi delle industrie e le piogge acide che bruciavano le erbe e le chiome degli alberi.
   E poi, le avventure. Era per quelle che avrebbe voluto ritrovare la gioventù, solo per quelle. Ma dove potevano essere, quelle nuove avventure che avrebbe voluto cercare e vivere? Che cosa ancora poteva nascondersi, in un mondo i cui cieli erano solcati dai satelliti artificiali e dove, ormai, tutto ciò che valeva la pena di scoprire era stato scoperto? Il mondo, che aveva iniziato a disincantarsi quando lui era giovane, era ormai libero da qualsivoglia mistero. Che cosa avrebbe potuto fare, un uomo come lui, se non rassegnarsi a starsene seduto, senza più nulla da fare? Si sarebbe condannato a osservare, incapace di fare un passo in un’epoca che non gli apparteneva, che non era la sua.
   Inquinamento, assenza di misteri e di nuove avventure, degrado sempre più imperante, malattie che si diffondevano a macchia d’olio anche a causa del costante aumento della popolazione, nuove guerre in vista… ecco, quelli erano parti dell’avvenire che faticava a mandare giù. E non era certo roba da niente.
   Ma, in fondo, cos’erano mai, quelle cose, a confronto con la possibilità di vivere ancora per tanti anni, di nuovo giovane e bello? Avrebbe avuto dinnanzi a sé mille possibilità, mille nuove opportunità… il mondo sarebbe stato un’altra volta ai suoi piedi… se non avesse potuto viverlo, perlomeno avrebbe potuto guardarlo, da solo, in disparte…
   Quel pensiero gli attanagliò le interiora come una morsa. D’improvviso, la tenda gli parve soffocante. Si sentì asfissiare ed ebbe bisogno di uscire all’esterno, al freddo.
   Indy si alzò, facendo piano per non svegliare don Mavro – ma il prete, distrutto dalla fatica, dormiva così bene e beato che, probabilmente, non si sarebbe ridestato neppure se una slavina improvvisa li avesse investiti – e, dopo aver richiuso la zip del cappotto, si fasciò la gola con la pesante sciarpa di lana rossa e si calcò il cappello in testa. Scostò il lembo di tela che fungeva da ingresso della tenda, piegò la schiena e uscì all’esterno.
   Ad accoglierlo, insieme all’aria gelida che gli arrossò subito le guance ispide, furono alcuni delicati fiocchi di neve. Le nubi si erano addensate e aveva iniziato a nevicare. Sperò che non esagerasse, o il giorno successivo sarebbe stato molto più complesso del previsto arrivare alla loro meta.
   L’aria fredda e la neve sul viso, comunque, gli fecero bene. Un nuovo brivido – questa volta dovuto proprio alla temperatura – lo fece sentire vivo, molto più di quanto si fosse ritenuto fino a un istante prima. Persino i dolori che provava nelle ossa, e che avrebbe dovuto tentare di circoscrivere e combattere con una buona dose di analgesici, lo rallegrarono.
   Pensare al tetro futuro in cui, presumibilmente, avrebbe potuto vivere di nuovo giovane e sano, lo aveva spaventato sul serio. L’idea di una nuova giovinezza, anziché rallegrarlo, gli procurava un senso di terrore e gli dava quasi la nausea. Provò ad addebitare quello stordimento all’altitudine, ma sapeva che non aveva niente a che fare con la montagna. La sua era paura, paura folle di stare facendo la scelta sbagliata. Una paura che mai, in vita sua, ricordava di avere provato. Aveva commesso moltissimi errori, ma a tutti, bene o male, era riuscito a porre rimedio. Questo sarebbe invece stato irrimediabile, e lo sapeva.
   Ripensò a sua padre, quell’uomo sempre così distante e disinteressato a lui, con cui aveva stretto un buon rapporto soltanto verso la fine, negli ultimi anni della sua esistenza terrena, dopo che anche il vecchio aveva ricevuto la sua illuminazione, comprendendo che cosa contasse davvero nella vita e che cosa, al contrario, fosse di secondaria importanza. E quel pensiero gliene fece nascere un altro: quello della sua infanzia. Si rivide bambino, mentre giocava insieme al suo adorato cane Indiana, e stretto tra le braccia della sua mamma, la sua dolce, bellissima e amata mamma, che se n’era andata troppo presto e che, pure, viveva costantemente dentro di lui, un ricordo inconfondibile e sempre luminoso che gli scaldava il cuore. E ripensò a Marcus Brody, il suo padrino, l’amico di una vita intera, che aveva sempre creduto in lui. E ancora ad Abner Ravenwood, che per lui era stato come un secondo padre, e al vecchio Garth, che più di chiunque altro gli aveva insegnato a non arrendersi di fronte a niente.
   Persone importantissime, che avevano avuto un peso fondamentale nella sua esistenza, contribuendo a renderlo l’uomo che era e che era sempre stato. La vita gliele aveva messe accanto e poi gliele aveva portate via, come volevano le leggi naturali, come era giusto che fosse, per quanto doloroso da accettare; ma tutti loro non erano morti per davvero, perché una parte di loro viveva dentro di lui, e finché lui fosse stato vivo avrebbero continuato a esistere. E lo avrebbero fatto anche dopo che, pure per lui, fosse arrivato il momento supremo, quello dell’ultimo congedo; doveva soltanto dimostrarsi capace di trasmettere e lasciare ad altri una dolce e buona memoria di se stesso.
   Sul serio avrebbe sfidato la natura, rinunciando a invecchiare come essa comandava? Davvero avrebbe avuto il coraggio di sovvertire l’ordine costituito delle cose, proprio lui che aveva sempre combattuto per il trionfo della giustizia e del bene? E dei suoi ricordi, che cosa ne sarebbe stato? Vivendo troppo a lungo, in maniera innaturale, non li avrebbe forse condannati all’oblio, facendoli sbiadire finché non fossero scomparsi per sempre? E se fosse rimasto solo, rinchiuso egoisticamente nella propria paura di invecchiare e di affrontare l’ultimo traguardo della vita, a chi avrebbe potuto affidare la propria memoria, che ne custodiva mille altre che non avrebbero meritato di andare perdute?
   Si scoprì a ripercorrere antichi gesti, di quando era cinquant’anni più giovane, mentre entrava nella cappella in cui era custodito il Santo Graal. Ritrovò davanti ai propri occhi la figura del vecchio cavaliere che aveva sacrificato la vita per conservare quel segreto. Aveva vissuto per centinaia d’anni chiuso in una cella sotterranea, senza concedersi nulla, sospeso tra la preghiera e la riflessione. E, probabilmente, anche tra i rimpianti, se aveva ben interpretato l’ombra che aveva scorto nel suo sguardo e che gli era rimasta impressa come se l’avesse avuta davanti soltanto pochi minuti prima. Che cosa ne era stato dei suoi sogni, delle sue speranze, dei suoi ricordi? Quell’uomo, così vecchio e debole, rammentava ancora i suoi genitori, le carezze di sua madre, la voce di suo padre? Gli era rimasto qualcosa, nella mente, o era stato condannato all’oblio perenne a causa della sua vita infinitamente lunga?
   E lui? Era davvero pronto a guadagnare anni e anni nuovi, ma correndo il rischio di dimenticare tutto a causa di un’esistenza troppo prolungata? E avrebbe avuto il coraggio, uomo del suo secolo, di affrontare un futuro sfumato e dai contorni distanti? Si sarebbe sul serio voluto fiondare in un tempo, un’epoca, che non gli appartenevano, e che lo avrebbero stupito sempre di più, fino magari ad annientargli la mente? E come avrebbe potuto andare avanti, sapendo che sarebbe rimasto solo, che tutti coloro che aveva amato e che erano stati importanti per lui, invece, sarebbero rimasti indietro?
   Per non parlare, poi, di colei che era invecchiata al suo fianco. Marion, la sua Marion, la sua dolce Marion, che lo aveva amato giorno dopo giorno, anche quando lui era lontano ed era convinta di odiarlo. Lo aveva visto uscire di casa anziano, qualche settimana prima, e lo aveva baciato come sempre, raccomandandogli prudenza e di tornare a casa presto. E, come sempre, quando lo aveva abbracciato e lui aveva borbottato che gli faceva male la schiena, non si era lasciata sfuggire la possibilità di una bonaria presa in giro, chiamandolo il suo vecchio brontolone pieno di acciacchi.
   Come avrebbe reagito se, invece del marito con cui aveva speso tutti gli anni della sua vita, avesse visto tornare quel ragazzo per cui aveva perso la testa decenni e decenni prima? Forse sarebbe rimasta incredula e senza parole. Forse avrebbe creduto di aver soltanto sognato. Forse sarebbe uscita di senno, dicendosi che tutto era stato soltanto un’illusione, un miraggio a cui aveva prestato fede, sbagliando tutto. Più probabilmente lo avrebbe cacciato di casa, urlando che lui non era Indy, ma solo un impostore, e che gli doveva restituire il vero amore della sua vita.
   All’improvviso, comprese che la Fonte dell’Eterna Giovinezza, in realtà, portava la dannazione, niente altro che quella. Proprio come il Graal. Quello falso, che strappava la vita, e quello vero, che invece la rendeva odiosa, tramutandola in un’attesa perenne tra pareti di pietra. La Fonte non costringeva a rimanere rinchiusi da nessuna parte, eppure si sarebbe ugualmente rivelata una maledizione per chiunque avesse osato dissetarsi alle sue acque.
   La vita perenne altro non era che una condanna peggiore della morte. Perché la morte, come e più di molte altre cose, è parte fondamentale della vita; allontanarla, scacciarla, avrebbe significato soltanto rinunciare a vivere, condannandosi da soli a un’esistenza di solitudine, in un mondo che non è più quello in cui si è nati per esistere. Ciascuno deve lasciare qualcosa di sé nel momento che gli è destinato, senza forzare il corso naturale delle cose; altrimenti, si sarebbe rischiato di non lasciare null’altro all’infuori che pietà e vergogna per una colpa terribile.
   Il vecchio archeologo infilò la mano in tasca, ne tolse l’ampolla vuota e la soppesò con lo sguardo.
   Il cammino della vita, quello che lo aveva condotto anche su quella in cima, e che nonostante i suoi malanni gli avrebbe permesso di scoprire ancora mille altre cose, era in fondo un andare avanti secondo le logiche della natura. Nascere, crescere, invecchiare… alla fine, anche morire. Morire come chiunque altro. Sottrarsi a quella legge significava deviare da quel cammino, intraprendendo una strada nuova e innaturale, che lo avrebbe inevitabilmente condotto alla solitudine, all’oblio. E tutto questo era assai peggio che perdere la propria agilità e guadagnare qualche nuovo dolore articolare.
   Un sogghigno ironico attraversò il volto di Indiana Jones. C’era quasi cascato. Era quasi finito nella stessa trappola mortale che aveva annientato tutti i suoi nemici, accomunati tutti da una medesima follia: trovare un modo per sovvertire la natura delle cose. In tanti ci avevano provato e tutti ne avevano ricevuto in cambio una bruttissima e dolorosa morte. Come al solito, invece, lui si era salvato; anche se, ne era ben consapevole, questo significava andare inevitabilmente incontro alla propria fine, per vicina o lontana che fosse. Ma se ogni avventura aveva la propria fine, perché non avrebbe dovuto averla anche quella?
   Un destino comune a tutti gli esseri viventi. I suoi amici più cari, i suoi genitori… tutti se n’erano andati da qualche altra parte e, se non lo avevano fatto, lo avrebbero fatto, presto o tardi. Era inevitabile, e averne paura significava non avere capito assolutamente nulla della vita.
   Perché lui sarebbe dovuto essere diverso? Perché lui si sarebbe dovuto sottrarre come un egoista a ciò che doveva essere uguale per tutti? E per guadagnare che cosa, poi? Soltanto un senso di vuoto e di incertezza. Se avesse rinunciato alla morte, avrebbe rinunciato anche alla vita: avrebbe visto andarsene tutti, poco per volta, mentre lui sarebbe rimasto. A un certo punto, forse, sarebbe toccata anche a lui, in un futuro remoto: ma chi si sarebbe più rammentato di Indiana Jones, a quel punto? Nessuno, forse nemmeno lui stesso.
   Restando se stesso, invece, decidendo di andare avanti nel suo cammino come chiunque altro, invecchiando secondo le leggi della natura, avrebbe vinto ancora una volta, trionfando anche in quest’ultima impresa. La sua ennesima vittoria.
   Al diavolo la vita eterna. Cosa gliene poteva fregare di avere qualche ruga in più, i capelli bianchi e la schiena dolorante? Sintomi del tempo, condivisi da milioni di altri uomini e donne. Nulla a cui fare davvero caso. Perché ciò che contava era l’età che ciascuno si sentiva dentro. Quella era l’importante. E lui, di dentro, era lo stesso di sempre, senza nessun bisogno di strane acque dalle proprietà sconosciute. E ne andava fiero. Non vedeva l’ora di tornarsene a casa, adesso, prendere Marion tra le braccia e fare l’amore con lei come due adolescenti appassionati. E non gliene importava un accidenti se, dopo, avrebbe dovuto fare ricorso a una buona dose di antidolorifici per rimettersi in sesto, o se gli sarebbe servita una settimana per riprendersi.
   Sollevò il braccio, stringendo l’ampolla vuota, e poi la scagliò con forza nel buio, in mezzo alla neve che vorticava sempre più fitta.
 
   
 
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