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Autore: IndianaJones25    17/11/2021    2 recensioni
Gli anni sono trascorsi, lenti ma inesorabili. Anche per il professor Henry Jones, Jr. sembra essere giunto il momento di appendere la frusta al chiodo e di dire addio alla vita avventurosa. L’intrepido archeologo giramondo, ormai, è diventato un anziano signore che porta addosso i segni, i dolori e i ricordi dolceamari della sua spericolata vita passata.
Ma c’è ancora chi sembra avere bisogno di lui e Indiana Jones non è certo il tipo da tirarsi indietro dinanzi a una minaccia che potrebbe sconvolgere il mondo intero. Così, in compagnia di sua figlia Katy, di una giovane bibliotecaria e di un prete dal grilletto facile, Indy torna a impugnare la frusta e si getta a capofitto in un’ultima impresa, al cui termine potrebbe trovare la speranza di un nuovo inizio oppure una disastrosa rovina.
La lotta sarà difficile e insidiosa, perché l’ultimo vero nemico di Indiana Jones non saranno eserciti o folli invasati, ma proprio la sua irresistibile voglia di avventura…
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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   25 - Il Giardino dell’Eden
 
   Era come trovarsi in un sogno, oppure all’interno dell’illustrazione di un libro di favole. Pareva quasi di aver chiuso un momento gli occhi e, riaprendoli, scoprire di essere stati catapultati in un mondo incantato, che non aveva assolutamente nulla a che spartire con quello in cui erano abituati a muoversi giorno dopo giorno da quando erano nati.
   Sembrava davvero impossibile che, quella che avevano davanti agli occhi, fosse la realtà: eppure non poteva essere altrimenti. Che si trattasse di un’allucinazione collettiva, infatti, era un’idea da scartare a priori, perché era del tutto fuori luogo pensare che tutti e quattro potessero vedere la medesima cosa, identica in tutto e per tutto, e per così a lungo. Eppure, le loro espressioni stupefatte erano la prova lampante che, dinnanzi agli sguardi sbalorditi, avevano tutti il medesimo, straordinario panorama.
   Crederci, comunque, era molto difficile, al limite del possibile, e richiedeva uno sforzo sovraumano, poiché significava rinunciare tutto in una volta a qualsiasi ragionamento di ordine logico. Non c’era spazio per la logica o per la razionalità, nel luogo un in cui i quattro ammutoliti esploratori erano sopraggiunti. Dovevano quindi rassegnarsi a guardare senza pensare, senza cercare di concepire un singolo concetto che potesse servire, almeno in parte, a dare un perché a tutto questo.
   Un paesaggio incantevole si apriva dinnanzi ai loro occhi, alcuni metri più in basso rispetto all’arco costellato di rose, da cui si godeva di un panorama inatteso e mozzafiato. Un giardino di ineguagliabile bellezza, un prato verde solcato da ruscelli di acqua cristallina che gorgogliava delicata e che spandeva un chiarore capace di illuminare e scaldare l’ambiente sotterraneo come se si fosse trovato sotto il cielo terso di un giorno d’estate. E la copertura di pietra che avvolgeva quello strano mondo perduto pareva davvero essere un cielo, perché era composta interamente da cristalli variopinti che riflettevano la luce misteriosa che si innalzava dall’acqua e creavano un’atmosfera strana e iridescente, intangibile, che una volta di più diede la sensazione di essere immersi in una visione onirica. Fiori noti e sconosciuti dai mille colori differenti occhieggiavano in mezzo all’erba e alberi di rara magnificenza, coperti di fiori e di frutti profumati, si intrecciavano gli uni con gli altri, formando un insieme che avrebbe fatto impallidire anche i parchi curatissimi delle più belle e raffinate ville europee.
   L’aria era tiepida, pregna di una dolce vibrazione che colpiva i sensi, distendendoli. Gli aromi di spezie, di fiori e di frutti formavano un insieme gradevole, capace di stuzzicare l’olfatto e di far nascere sentimenti nuovi, mai provati prima, come se quel luogo fosse persino in grado di suscitare emozioni inesistenti nel resto del pianeta. Ma erano davvero ancora sul pianeta, oppure erano passati a una dimensione surreale, che esulava dalla concretezza fisica a cui erano abituati? Questo era un dilemma a cui non sembrava esistere alcuna risposta.
   Una brezza leggera, che proveniva da chissà dove, faceva frusciare le fronde degli alberi, che pareva cantassero una canzone primordiale di infinita dolcezza, proprio come se lì fosse stato suscitato il canto della creazione da cui era nata la vita. Si percepiva la medesima pace che soltanto in un tempio buddhista isolato tra le aguzze vette di catene montuose inaccessibili, con i monaci riuniti e intenti a modulare il sacro verso dell’Om, era possibile ritrovare.
   Increduli, Indy e i suoi compagni restarono immobili, incantati da tanto splendore. Si erano aspettati di trovare una sorgente, magari anche una fontana lavorata dalla mano di antichi uomini, e forse circondata dalle immagini bibliche riferite alle leggende di cui parlava la tradizione locale, ma di certo non questo. Un simile spettacolo esulava da qualsiasi cosa che avessero avuto in mente fino a quel momento.
   Non avrebbero saputo dire neppure loro per quanto tempo restarono fermi in contemplazione. Forse per delle ore intere, probabilmente soltanto per un minuto. Il tempo, in quel paradiso perduto, in quel regno di sogno, era qualcosa di inconcepibile e di estraneo. Smarrirsi completamente era forse il solo modo per poter accettare ciò che si aveva davanti agli occhi e dentro tutti gli altri sensi.
   Fu la voce di Katy, bassa e stridula per la grande emozione che stava vivendo, a riportarli alla realtà, dando forma ai pensieri che stavano attraversano la mente di tutti loro.
   «Forse gli abitanti di questo posto non esageravano, quando dicevano che questo è il Giardino dell’Eden.»
   Indy provò a riflettere in fretta, consapevole che, alla lunga, non avrebbe potuto fare altro che accettare tutto questo senza più porsi nessun problema in merito. La sua mente, sempre analitica e razionale, cercò di trovare una spiegazione, una qualsiasi spiegazione, a ciò che stava vedendo.
   Era già stato testimone, in passato, di uno splendore sotterraneo, quando si era trovato a vagare tra le strade di Atlantide, le cui rovine avevano ripreso vita, colori e splendori tutto attorno a lui: in quel caso, però, si era trattata semplicemente di una visione, un miraggio molto concreto suscitato da qualche sorgente di potere sconosciuto, che gli aveva mostrato il passato o qualcosa del genere.
   Questa volta era tutto molto diverso. Questa volta erano svegli, non si trattava di un miraggio o di un’allucinazione, a meno che non pensassero di aver perso tutti e quattro, nello stesso istante, l’uso della ragione. No, non era così. Non erano usciti di senno, sebbene potesse supporre che, esperienze del genere, potessero facilitare a intraprendere il sentiero della pazzia. Lo stavano vedendo perché era reale, concreto. E una spiegazione, a ciò che avevano davanti agli occhi, semplicemente non esisteva. Oppure, se esisteva, lui non era in grado di scorgerla.
   Sospirò, frustrato. Era sempre stato un uomo razionale; persino dinnanzi all’evidenza dei fatti, quando tutto gli dava la prova che dovesse esserci qualcosa che andava ben oltre il mondo per come lo conosceva e lo intendeva lui, non aveva mai ceduto completamente, continuando a ripetersi che dovesse esistere anche un’altra interpretazione, al di là di quella spirituale. Lui non era mai stato pronto, per cose del genere, e probabilmente non lo sarebbe stato mai.
   Tutto a un tratto, Indiana Jones si sentì invadere dalla nostalgia e dalla solitudine. Avrebbe tanto voluto avere al proprio fianco suo padre, oppure Harold Oxley, o magari Abner Ravenwood. Loro, con le loro sconfinate conoscenze e con la loro capacità di accettare come vero ciò che esulava dal puro e semplice intelletto scientifico, avrebbero saputo trovare il modo per chiarire tutto questo, anche se ciò avesse significato scomodare illuminazioni o spazi tra gli spazi. Anche Sophia Hapgood, la sua vecchia fiamma che non incontrava più da molto tempo, avrebbe senza dubbio saputo decifrare in modo convincente ciò che avevano di fronte.
   Lui no. Lui non era fatto per l’insolito e per il trascendente, sebbene avesse trascorso tutta la vita a sbatterci contro, a volta facendosi persino molto male. Anche se poteva in un certo senso definirsi l’erede spirituale di Henry, di Harold e di Abner, non era mai riuscito a essere fino in fondo come loro. A dirla tutta, non aveva mai neppure provato, a essere come loro, perché in ultima analisi questo avrebbe significato rinunciare alle proprie idee e convinzioni e, in breve, a essere se stesso. Per lui tutto questo, semplicemente, era insensato, eppure allo stesso tempo era reale, lampante davanti ai suoi occhi. Non poteva fare altro che accettarlo, sperando di poterci riflettere meglio, in seguito, a mente fredda, alla ricerca di una spiegazione logica. Forse, alla fine, sarebbe giunto a una conclusione soddisfacente; ma che fosse quella reale, ovviamente, non poteva esserne certo. L’importante, come mille altre volte, sarebbe stato esserne convinto.
   «Una cosa è chiara» si fece udire la voce di don Mavro, leggermente roca.
   A fatica – perché distogliere lo sguardo da una simile visione costava un notevole sforzo – tutti e tre si voltarono a guardarlo.
   «Che cosa è chiaro?» domandò Valerija, con una vocina appena percettibile.
   Il prete sorrise in maniera affabile.
   «La teoria del vicario, riguardo all’acqua che beneficerebbe di una strana composizione chimica, se ne va a farsi friggere, se mi passate l’espressone volgare.» Fece vagare lo sguardo sul meraviglioso ambiente naturale, battendo piano le palpebre. «Nessun effetto della chimica, neppure il più bizzarro e sconosciuto, potrebbe spiegare tutto questo. Qui siamo al cospetto di un vero e proprio miracolo: la scienza china il capo e la fede deve guidare i nostri cuori, senza che questi sentano il bisogno di un raziocinio che, per una volta, non ha senso di essere chiamato in causa.»
   Pur senza aprire bocca, Indy gli diede ragione, approvando con un cenno del capo le sue parole. Una volta di più, come tantissime altre in passato, anche lui doveva arrendersi all’evidenza: era il momento di deporre lo scettro della riflessione e accettare che tutto accadesse per come era, senza indagare troppo sulle cause di ciò che lo circondava e che gli capitava tutto attorno. Per fortuna sapeva di esserne capace, considerato che lo aveva già fatto moltissime volte negli anni precedenti, per quanto ogni volta fosse stato un passo difficile da compiere. Anche questa volta non sarebbe stato semplice. Comunque, come già si era ripetuto pochi istanti prima, avrebbe avuto tutto il tempo, in seguito, per provare a riflettere su ciò di cui era stato testimone, cercandovi una spiegazione o soltanto convincendosi di essersi ingannato.
   Poi i suoi occhi tornarono a fissare lo spettacolo, concentrandosi in particolare su uno dei piccoli ruscelli cristallini e luccicanti che attraversavano la misteriosa vallata. Non poté fare a meno di domandarsi se, quella, fosse l’acqua che donava l’eterna giovinezza.
   «Tu credi che…?» pigolò Katy, seguendo il suo sguardo.
   Indy alzò una mano per fermarla.
   «Sono tanti ruscelli, ne conto almeno sette» borbottò, osservando i vari corsi d’acqua che si snodavano in lontananza. «Ma guarda bene: convergono tutti verso quella grande macchia di alberi e arbusti che si trova nel centro del… uhm… chiamiamolo giardino.»
   «E lei, professore, pensa che la Fonte si trovi là in mezzo?» mormorò Valerija, osservando a sua volta il punto in cui tutti i ruscelli scomparivano, diventando invisibili ai loro occhi a causa della fittissima vegetazione che nascondeva alla vista ciò che vi si trovava dietro.
   Era un boschetto davvero affascinante, non molto vasto. I prati fioriti terminavano contro una barriera di nodosi alberi secolari dalla folta chioma, che non lasciavano intravedere nulla di ciò che nascondevano nel proprio cuore, anche perché loro non si trovavano sufficientemente in alto per sperare di riuscire a scorgervi qualcosa. Il boschetto si snodava a mezzaluna, interrompendosi sul proprio fondo contro un piccolo altipiano di roccia che si perdeva in lontananza. Osservandolo bene, l’archeologo provò a chiedersi quanto accidenti fosse grande quel luogo, ma anche in questo caso rinunciò a trovare una risposta.
   «C’è un solo modo, per scoprirlo» biascicò Indy, cominciando a camminare. «Andiamo laggiù e vediamo che cosa c’è davvero, dietro a tutti quegli alberi. È del tutto inutile restarcene qui fermi a fare le belle statuine in attesa che accada qualcosa.»
   Il vecchio archeologo – che, ormai, a causa dell’emozione e della tensione di una nuovissima e straordinaria scoperta, non sentiva più neppure un minimo accenno di qualche tipo di disagio fisico, se non un crescente batticuore per l’imminenza della rivelazione – discese in fretta il dolce declivio erboso che, dal punto in cui si trovava l’arco, immetteva in quel vero e proprio paradiso terrestre, e avanzò a passo risoluto verso la macchia di alberi, che distava all’incirca cinquecento metri da lì.
   Dopo essersi scambiati delle veloci occhiate per accertarsi di essere tutti d’accordo, Katy, Valerija e don Mavro si affrettarono a seguirlo. Anche loro, in fondo, non vedevano l’ora di scoprire la verità, qualunque essa fosse.

 
* * *

   Dal prato, in mezzo alle erbe profumate e aromatiche – qua e là, ovunque si guardasse, si riconoscevano essenze come timo, menta, lavanda, artemisia e altre piante officinali, oltre a decine e decine di piante dal nome sconosciuto, che nessuno di loro aveva mai visto in precedenza – spuntavano pratoline, violette, primule, lupini, campanule, tulipani, tageti e mille altri fiori, solitamente appartenenti a stagioni e latitudini molto differenti. Anche per i fiori, come per le erbe aromatiche, vi erano numerosissimi esemplari di specie che, ne erano certi, non esistevano da nessun’altra parte in tutto il mondo.
   Papaveri e garofani intrecciavano i loro petali, giacinti e bocche di leone mischiavano i loro adorabili profumi. La pulsatilla spiccava purpurea in mezzo al verde, l’aconito e il favagello dai bagliori dorati si contendevano lo spazio. Dolci gigli dal calice bianco spandevano il loro gradevole olezzo insieme a quello del glicine e delle rose, le calle mormoravano piano spingendo le loro radici dentro i ruscelli. Moltissimi altri, a volte irriconoscibili anche a causa della stretta vicinanza che li rendeva un insieme unico e variegato, si confondevano in un tappeto variopinto e splendente, apparendo come la tela di un visionario pittore naïf.
   Ai margini dei prati, alberi in fiore di mandorli, agrumi, allori e moltissimi altri attorcigliavano i loro rami in un delicato abbraccio, creando una copertura vegetale di incredibile bellezza. Catalpe dalle foglie larghe e ippocastani altissimi parevano inchinarsi davanti a querce secolari e a nobili ulivi argentati. Le foglie e i petali profumati accarezzavano l’olfatto, regalando a ogni passo delle sensazioni senza eguali.
   Il gorgoglio dell’acqua riempiva l’aria, giungendo soave e melodioso alle orecchie insieme allo stormire delle foglie. Se non fosse stato per la totale assenza del ronzio degli insetti e del cinguettio degli uccelli, sarebbe stato facile credere di aver sognato e, anziché salire sul Caucaso, pensare di aver raggiunto qualche amena località sulle rive del Mediterraneo.
   Era davvero come trovarsi nel centro del mondo, nel luogo esatto in cui tutte le forme della natura erano state concepite da una mente superiore e poi create una ad una. Era bellissimo, ma allo stesso tempo anche difficile da accettare. Nonostante queste lievi difficoltà dovute a delle menti ancora abituate al ragionamento, più si andava avanti e più la sensazione di benessere aumentava: lì tutto era perfetto, lì non esistevano tempo e preoccupazioni, lì disagi e problemi non erano contemplabili. Sarebbe stato meraviglioso dimenticare tutto e poter trascorrere l’eternità sospesi in quella dimensione della natura così perfetta e amabile, perdendosi per sempre in una vera fiaba a occhi aperti.
   Katy camminava al fianco di suo padre, guardandosi attorno. Il suo sguardo irrequieto correva da una parte all’altra del giardino, di continuo, cercando di scorgere il maggior numero possibile di dettagli. I suoi scarponi frusciavano contro il manto erboso e aveva preso a mordicchiarsi le unghie, come sovente faceva quando era nervosa o confusa per qualcosa. In quel momento, non avrebbe saputo dire nemmeno lei come si sentisse davvero.
   La sensazione più vicina alla realtà che le venne in mente fu quella di essersi addormentata e di star sognando ogni cosa. Eppure era certa che non si trattasse di attività onirica: era tutto troppo reale perché potesse essere soltanto un sogno. E, poi, i sogni non durano tanto a lungo, non si snodano come un racconto interminabile e senza confini. E sono confusi, soltanto in apparenza legati da un filo conduttore. Qui, invece, andava tutto in avanti, procedendo come al solito, un istante dopo l’altro.
   Gettò un’occhiata al suo vecchio padre, che a sua volta si guardava attorno, insieme ammirato e spaesato; neppure lui, evidentemente, aveva mai visto qualcosa del genere: e questo, a dire il vero, la spaventava parecchio, perché era sempre stata abituata a ritenere che il leggendario Indiana Jones fosse a conoscenza di qualsiasi cosa e possedesse una spiegazione logica per tutto. Si girò lentamente verso don Mavro, che aveva congiunto le mani come se stesse pronunciando un’orazione, e poi verso Valerija, che aveva gli occhi colmi del medesimo stupore che, ne era certa, avrebbe potuto ammirare nel proprio sguardo se avesse avuto a portata di mano uno specchio.
   Nessuno di loro pareva propenso alla conversazione, in quel momento. Lasciarsi alle spalle una valle gelida e innevata, percorrere una scalinata intagliata nella pietra e ritrovarsi in un immenso giardino pieno di fiori e di alberi, molti dei quali sconosciuti, il tutto nel trascorrere di soltanto pochi minuti, è di certo un’esperienza capace di ammutolire chiunque, anche il più loquace di tutti i chiacchieroni. Ma Katy moriva dalla voglia di provare a dare una risposta a tutto ciò che li circondava da ogni lato e non era più capace di tenere a freno la propria curiosità.
   Tornò a rivolgersi a suo padre, che stava giocherellando nervosamente con l’impugnatura della frusta che gli pendeva dalla cintura. Un atteggiamento insolito, per uno come lui, che faceva capire molto bene quanto fosse disorientato da tutta quella strana situazione. Se, un secondo prima, questo l’aveva spaventata, ora lo trovava rassicurante, perché le faceva comprendere che anche il vecchio e coriaceo archeologo che stillava sarcasmo da tutti i pori, in fondo, era un uomo come chiunque altro, capace di cedere allo stupore nel trovarsi immerso in qualcosa di insolito.
   Lo soppesò ancora per un istante e, infine, si decise a rompere il silenzio che li avvolgeva.
   «Old J, posso farti una domanda?» chiese, con voce stridula per l’emozione.
   Suo padre, che stava osservando da vicino un albero dalla corteccia bianca e dalle foglie verde scuro che era certo di non aver mai visto prima in vita sua, alla cui base crescevano rigogliose delle felci giganti che fino a quel giorno aveva incontrato soltanto dietro le bacheche dei musei di storia naturale, fossilizzate nella pietra, le lanciò un’occhiata veloce.
   «Non c’è bisogno di chiedere il permesso di fare una domanda, se la si ritiene intelligente e necessaria» disse, tornando a studiare la strana vegetazione del luogo.
   Katy socchiuse le labbra in un sorrisetto.
   «È questo il punto: non so se la domanda che voglio farti sia intelligente o meno…»
   Questa volta, disinteressandosi alla flora, Indy la guardò più a lungo, sorridendo in maniera indulgente.
   «Tesoro, per quanti sforzi noi possiamo fare per dargli un senso, questo posto fa a pugni con la nostra intelligenza» le rammentò. «Considerato che lo stiamo percorrendo senza avere ancora perso l’uso della ragione, direi che siamo pronti a qualsiasi cosa. Anche alle domande che ci potrebbero parere sciocche o stupide. Facciamo così: tu fammi la domanda, e io ne valuterò la portata.»
   Incoraggiata, la ragazza si decise a porre il quesito che la stava rodendo.
   «Papà, tu pensi che questo… che questo sia il Giardino dell’Eden?» Si morse il labbro, prima di soggiungere: «Nel senso, quello vero… quello di cui parla la Bibbia… insomma, il paradiso terrestre in cui abitavano Adamo ed Eva, prima di venirne scacciati?»
   Indiana Jones mosse la testa, pensoso. Si girò per un istante a guardare don Mavro, come se volesse accertarsi di poter rispondere o se, magari, non volesse essere lui stesso a farlo, essendo quella materia di sua competenza. Il sacerdote, però, pareva così assorto nelle sue orazioni mentali da non essersi neppure reso conto dei loro discorsi. Valerija, invece, li guardava con attenzione, aspettando piena d’ansia una risposta, proprio come Katy. L’archeologo comprese di dover provare lui, a dare un’opinione: visto che non poteva contare su suo padre, o su Harold, o magari anche su Sophia, quel compito spettava a lui e a lui soltanto.
   Prima di farlo, però, volle riflettere con concentrazione.
   Nel corso della sua vita aveva più volte diretto i propri passi verso luoghi e oggetti che ben poco, se non proprio niente, avevano a che vedere con l’archeologia. Era stato testimone di avvenimenti che chiunque, al solo sentirli raccontare, avrebbe potuto scambiare come favole senza fondamento. Di quello che pensavano gli altri, comunque, non gli importava un accidente: lui conosceva da molto tempo la verità, ossia che il mondo andava ben al di là della mera apparenza fisica. C’era qualcosa di trascendentale, qualcosa che eludeva dalla ragione, e questo aveva imparato ad accettarlo da tempo, sebbene non avesse significato, da parte sua, l’accettazione di dogmi religiosi che non condivideva affatto. In effetti, era davvero ironico che proprio lui la pensasse a quel modo: nonostante tutto, infatti, era ancora certo che nessun testo sacro e nessuna dottrina mistica, neppure la più elaborata, sarebbero mai stati in grado di spiegare cos’era quell’andare oltre le cose in cui si era più volte imbattuto.
   Nondimeno, come si ripeteva di continuo, non aveva ancora cessato di essere un razionalista della peggior specie, e forse non avrebbe mai smesso di esserlo. Prima di innalzarsi verso il metafisico, per lui qualsiasi cosa poteva – e doveva – essere spiegata con i parametri della ragione pura e semplice. E quel luogo non faceva eccezione, in nessuna maniera. Che cosa fosse, comunque, non lo sapeva, anche se era certo che, da qualche parte, si celasse la chiave anche di quel mistero. Sarebbe stato sufficiente capire dove fosse per avere tutte le risposte che stavano cercando.
   Riguardo alla seconda parte della domanda di sua figlia, invece, si era già fatto un’idea precisa, ed era pronto a esporla; anche se questo, ovviamente, significava doversi mettere a dissertare di filosofia, che poco o nulla aveva a che vedere con la concretezza dell’archeologia a cui aveva dedicato la sua vita. Ma, in fondo, con gli anni si era appassionato anche alla dissertazione filosofica, e quindi la cosa non gli dava più così fastidio come in gioventù. Forse neppure per mezzo della filosofia sarebbe stato possibile giungere alla verità – come un tempo era solito suggerire ironicamente ai suoi studenti – ma valeva pur sempre la pena di provarci.
   Guardò ancora verso don Mavro. Gli era venuto in mente un vecchio aforisma, che aveva sentito dire da qualche parte. Le domande non sono mai indiscrete. Le risposte lo sono, a volte. Oscar Wilde, o forse Douglas Mortimer, non rammentava con precisione. La domanda di Katy non era stata indiscreta, ma la risposta che stava per dare lui, forse, lo sarebbe stata, almeno alle orecchie di un sacerdote. Ma ormai aveva superato da molto tempo il desiderio di mantenere una certa discrezione verso gli altri.
   «Sai, non penso che Adamo ed Eva possano essere ritenuti figure reali» rispose, quindi.
   Gettò un’altra occhiata di traverso a don Mavro. Il prete ora lo stava osservando e ascoltando, ma non sembrava per niente intenzionato a contraddirlo o a smentirlo. Anzi, gli fece un cenno di incoraggiamento, invitandolo a proseguire. Probabilmente permettere a un eretico di parlare senza spedirlo immediatamente al rogo era un’altra delle famose trovate del secondo Concilio Vaticano, rifletté Indy.
   «Penso, infatti» proseguì, «e mi perdoni se parlo così, padre, che Adamo ed Eva rappresentino niente altro che degli archetipi: essi non sono nulla di più, a mio parere, che la raffigurazione del modo in cui la religione tiene tutta l’umanità, uomini e donne senza distinzione, prigioniera dell’ignoranza e dell’oscurantismo.»
   Don Mavro aggrottò le sopracciglia, ma non replicò nulla, più interessato a osservare dei mazzolini di violaciocche che crescevano sulla sponda del ruscello accanto a cui stavano camminando. Katy, invece, dopo aver riflettuto per qualche istante su quelle parole, disse: «Che cosa intendi dire? Vuoi forse dire che chi crede in una religione è scemo?»
   «Ma no!» sbottò suo padre. «Sei sempre così drastica!» Scosse il capo, sogghignando per le maniere spicce che contraddistinguevano sua figlia. «Ognuno deve anzi essere libero di fare le proprie scelte, senza che per questo qualcuno debba sentirsi in dovere di giudicarlo: non vorrai mica fare come i comunisti, che imponevano l’ateismo di stato e guai a chi non obbediva. Non è questo che intendo dire. Voglio dire, piuttosto, che la religione si propone di dare una spiegazione e una risposta certa e facile a tutto ciò che sfugge alla comprensione, evitando così agli uomini di doversi porre delle domande. Nel momento in cui, però, gli uomini si sottraggono a questo stato delle cose, la ricerca costante diviene il motore dell’esistenza.» Sorrise leggermente. «È in quel momento, se vogliamo guardare le cose più da vicino, che nasce la filosofia. E quindi, forse, gli ateniesi non avevano poi tutti i torti, nel ritenere Socrate un uomo che negava l’esistenza degli dèi… ma ora sto divagando, scusami…»
   Jones sospirò, cercando di fare ordine nei propri pensieri tumultuosi per poter parlare nella maniera più chiara che gli fosse possibile. Già era assurdo trovarsi a passeggiare in un giardino sotterraneo, figurarsi se poi, stanchi e stralunati com’erano, avevano anche la voglia di perdersi in lunghe dissertazioni filosofiche. Era molto meglio venire subito al dunque, senza fare troppi giri astrusi.
   «Ecco, vedete: Adamo ed Eva vivono beati nella loro ignoranza. Il Signore ha dato loro tutto ciò di cui hanno bisogno: frutta, animali, acqua. Adamo all’inizio era solo, ma il Signore gli affianca Eva per tenergli compagnia e non fargli soffrire la solitudine. Essi vivono insieme, felici e in un certo senso inconsapevoli, al punto che non si vergognano per nulla della loro nudità. Hanno tutto, meno una cosa, che gli è negata per ordine divino: la conoscenza. È loro proibito, infatti, avvicinarsi all’albero che dona il frutto della conoscenza. Ma il serpente tentatore li induce nel peccato, ed Eva propone ad Adamo di cogliere il frutto interdetto. Per questo vengono scacciati e, dopo essersi coperti le nudità perché ora provano tutte le emozioni, compresa la vergogna, sono costretti a errare sulla terra, dove divengono i progenitori della civiltà umana.»
   L’archeologo si schiarì la gola, a disagio per la presenza di don Mavro. Già non era abituato a fare certi discorsi, figurarsi poi se era facile tenerli davanti a un prete. Ormai, però, era lanciato nel suo discorso e non poteva più tornare indietro. Proseguì incallito, grattandosi il mento.
   «Quindi, per come mi è dato interpretare questa storia, è la Bibbia stessa, nel suo proemio, a impartirci una lezione fondamentale, che però, a quanto pare, è stata ignorata per migliaia di anni: l’unico modo per essere davvero liberi e poter abbracciare la conoscenza, la sola via per sciogliere le catene di una prigione – per quanto dorata, sempre di una prigione si tratta – e per uscire dall’ignoranza, è rinunciare una volta per tutte a dio e alle sue proibizioni. Insomma, è come se la Bibbia ci desse due possibilità: leggerla fino in fondo, e restare ignoranti, oppure chiuderla, e acquisire la sapienza. E, in questa storia, il serpente, il diavolo nemico, appare in realtà come un alleato di tutta la razza umana, un vero e proprio benefattore incompreso.»
   A quel punto, Indy si sarebbe aspettato uno scoppio da parte di don Mavro che, non resistendo oltre, lo avrebbe senza dubbio trascinato in un’interminabile disputa teologica, opponendogli mille e più argomenti. Una disputa da cui, lo sapeva, l’archeologo sarebbe uscito sconfitto, non tanto per mancanza di idee, bensì per mere ragioni dialettiche, visto che il prete, di sicuro, era più abituato di lui all’oralità e ai sermoni. Per questo, stringendo forte le nocche sull’impugnatura del suo bastone da montagna, gettò un’occhiata verso la macchia d’alberi che volevano raggiungere, sperando che fosse abbastanza vicina da evitargli problemi di quel tipo.
   Era ancora troppo lontana per impedire una battaglia dialettica. Inaspettatamente, però, don Mavro sorrise e fece un cenno di approvazione.
   «Ben detto, professore, ben detto» commentò, in tono pacato. «Lei ha davvero centrato un punto che, a detta di molti sacerdoti e teologi, non viene mai sottolineato abbastanza: la Bibbia non va considerata come un testo storico, bensì soltanto come un insieme di indicazioni utili alla vita e alla fede. Certo, il suo punto di vista mi sembra un po’ troppo radicale: addirittura evitare di leggerla. Però, insomma, comprendo le sue ragioni nel dire questo.»
   Indy trasse un lungo respiro di sollievo. L’aveva scampata bella.
   «Tuttavia» proseguì don Mavro, «c’è un punto su cui mi sento in dovere di contraddirla nella maniera più assoluta.»
   «Ecco, lo sapevo» borbottò a mezza voce Indy, facendo ridacchiare Katy e Valerija.
   «Si tratta del diavolo» andò avanti il sacerdote, ignorando il suo commento. «Lei lo ritiene un benefattore perché ha fatto uscire l’umanità dall’ignoranza a cui era stata condannata dal Signore. Ma è sicuro che, per questa sua azione, lo si possa davvero ritenere un alleato degli uomini e non il loro più grande nemico?»
   Per quanto non avesse voglia di discutere di quelle cose, questa volta Indy non riuscì a trattenere un ghigno.
   «E le pare che il problema si ponga, padre?» domandò con ironia, voltandosi a guardarlo. «Insomma, è chiaro come il cielo di primavera che, senza il frutto della conoscenza, l’umanità non avrebbe mai raggiunto i grandi traguardi che la contraddistinguono!»
   Un sorriso bonario apparve sul volto di don Mavro.
   «Presumo, dunque, che lei stia alludendo agli omicidi, alle guerre, alle armi, alle stragi, ai campi di sterminio, alla bomba atomica, all’inquinamento, alla deforestazione, alla scomparsa delle specie animali e a tutte quelle altre cose che l’uomo ha consapevolmente provocato e costruito per mezzo della sua intelligenza e della sua conoscenza» elencò, docilmente, come se stesse dettando la lista della spesa. «E anche su tutto questo, lo ricorderà, la Bibbia ci aveva avvisati: l’episodio di Caino e Abele, infatti, è immediatamente successivo alla cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden. Acquisire la conoscenza ha condotto l’essere umano a inventare l’agricoltura e l’allevamento, d’accordo, ma anche l’assassinio.»
   Indy, che si era voltato a osservare il bellissimo paesaggio naturale, tornò a girarsi di scatto verso di lui. Lo guardò per un istante, cercando di elaborare un pensiero razionale che gli permettesse di ribattere, aprì la bocca, la richiuse, la aprì di nuovo e finalmente disse: «Lei parla di brutture e nefandezze, ma dimentica apposta tutte le grandi opere… le basiliche… la letteratura… l’arte… la musica… le scoperte scientifiche…»
   Don Mavro si strinse nelle spalle.
   «Tutte cose molto belle, glielo concedo, ma che non prescindono dal fatto che, la stessa mente che le ha create, abbia poi messo a punto anche la bomba nucleare, usandola in maniera spietata contro i propri simili.»
   L’archeologo, smarrito ma non deciso ad arrendersi troppo facilmente, cercò gli occhi di sua figlia, sperando che gli venisse in aiuto con la sua solita tagliente favella, capace di zittire chiunque. Lei e Valerija, però, non sembravano più interessate ai loro discorsi di filosofia, perché i loro sguardi sgranati erano concentrati sui margini della folta vegetazione che, ormai, avevano quasi raggiunto.
   Indy si voltò a guardare, cercando di scoprire che cosa le avesse turbato così tanto.
   Dapprima non notò nulla di strano, perlomeno se si ostinava a considerare non strano quell’immenso giardino sotterraneo: vide palmizi i cui tronchi affondavano nel terreno circondati da felci, vide mandorli, peschi e albicocchi dai rami coperti di fiori delicati, vide abeti azzurri che crescevano rigogliosi accanto ad alberi dell’incenso, e vide piante grasse condividere lo spazio con larici attorno ai cui fusti si intrecciavano i rami delicati della passiflora da cui pendevano i fiori bianchi e blu e i frutti verdi.
   Certo, sembrava l’assemblaggio pazzesco di un botanico uscito completamente di senno, ma lì per lì non vide alcunché che potesse giustificare il repentino sconcerto delle due giovani.
   Poi, però, un movimento attrasse la sua attenzione.
   Guardò meglio e, tra i pesanti rami di un imponente cedro del Libano che arrivavano a sfiorare il terreno, formando quasi una sorta di tempio di aghi verdi e di legno odoroso di resina, vide comparire due figure che si muovevano con infinita lentezza, come se gli pesassero addosso tutti gli anni del mondo.
   Un gemito gli sfuggì dalla bocca nel riconoscere un uomo e una donna che indossavano degli strani abiti ottenuti intrecciando foglie e fiori di varie forme e dimensioni; i loro volti, estremamente rugosi, esprimevano un’età indefinibile, ma sorridevano leggiadri e affabili come due bambini curiosi. Con gesti leggeri, entrambi li invitavano ad avvicinarsi senza timore e a seguirli.
   «Cristo santo…» imprecò Indy, incapace di trattenersi.
   Katy si grattò un sopracciglio, facendo tintinnare tutti i suoi innumerevoli braccialetti; con un sogghigno, si voltò verso il padre, più sbalordito di lei.
   «Che cosa dicevi, Old J, riguardo ad Adamo ed Eva?»
 
   
 
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