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Autore: flyerthanwind    18/11/2021    1 recensioni
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La vita di Sam è quanto di più normale esista: ha una gemella che la conosce meglio delle sue tasche, un fratello con cui condivide la passione per il calcio e una squadra a cui tiene più della sua media scolastica –ma questo non ditelo alla madre!
Eppure, dal giorno in cui un vecchio amico di suo padre si trasferisce in città, la situazione prende una strana piega. Innanzitutto, le motivazioni del trasferimento appaiono strane, suo padre è strano e i sentimenti sono strani. Questo perché il figlio del tipo di cui sopra ha uno strano potere attrattivo nei suoi confronti.
Ottimi presupposti per una bella dose di disagio, non vi pare?
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Di aggressioni verbali e amputazioni promesse

La prima partita di campionato si giocava in casa contro una squadra che non temevamo affatto. Nei campionati precedenti si erano sempre classificate nelle ultime posizioni e, nonostante il mister ci avesse avvertito di non sottovalutare le avversarie, in quel caso non ci dovemmo preoccupare affatto. Non fu una partita particolarmente difficile, io ero titolare e giocai piuttosto discretamente, riuscendo a mandare in goal un paio di azioni.

Durante l'intervallo tra il primo e il secondo tempo adocchiai papà e Lucas sugli spalti: se la ridevano amabilmente discutendo sulle azioni salienti e papà mi fece l'occhiolino mentre gli passavo davanti con le mie compagne per andare negli spogliatoi; Lucas, d'altra parte, era troppo impegnato a gesticolare con Garret e Boot per accorgersi di me o di Kate, che lo osservava sognante.

Negli spogliatoi il mister ci incoraggiò mentre Monica sgambettava ovunque, felice di quella sua prima vittoria nell'ultimo anno da capitano. In realtà mancava ancora un tempo, ma la situazione era già chiara anche agli spettatori, che ci accolsero con un caloroso applauso e urla di giubilo.

Nel tumulto generale riconobbi Austin, seduto accanto a un paio di volti a me sconosciuti; poiché non era assieme ai suoi compagni di squadra dedussi che non aveva ancora molta confidenza con loro. Gli rivolsi una linguaccia irriverente che gli fece spuntare un sorriso radioso mentre entravo in campo con le mie compagne.

Anche il secondo tempo filò liscio come l'olio, riuscii persino a mandare a segno un goal io stessa e in quel momento percepii distintamente la voce di mio padre soffocare un ringhio. Checché ne dicesse riguardo ai genitori tifosi, quando i suoi figli centravano la porta non riusciva a trattenersi del tutto e io avevo imparato a riconoscere perfettamente la sua voce nonostante tutto quel caos.

A fine partita ovviamente fummo invasi dai tifosi mentre le nostre avversarie si dirigevano mestamente negli spogliatoi degli ospiti. Lucas mi era quasi saltato addosso rischiando di farmi stramazzare al suolo – il suo entusiasmo attentava sempre alla mia salute, sia fisica sia mentale; papà invece si era complimentato velocemente, dopodiché era sparito dalla nostra vista. Garret e Boot stavano osservando il mio capitano saltellare in mezzo al campo e, se le loro espressioni non mi ingannavano, erano sul punto di dire qualche baggianata delle loro.

«Scommetto venti dollari che Monica Jakobs è strafatta di crack» borbottò Malcolm a Garret, come avevo supposto, senza toglierle gli occhi di dosso.

Era vero che, per essere un individuo che non arrivava al metro e sessanta, il capitano sapeva essere davvero energica, ma da lì a proporre che fosse fatta ce ne voleva! Monica aveva un carattere esuberante, quasi spumeggiante direi – dove per spumeggiante intendevo che era schizzata come la schiuma della coca cola dopo aver agitato per bene la lattina –, ma chiunque la conosceva sapeva che non aveva bisogno di ubriacarsi o strafare per essere così, era semplicemente se stessa, nevrosi compresa.

«Bella partita, Miller» mi apostrofò Austin entrando nel mio campo visivo. Non l'avevo visto arrivare, mi aveva colto di sorpresa con un buffetto sulla spalla e me l'ero semplicemente ritrovato davanti, con la sua cortina di spighe d’oro a incorniciargli il viso e smussare i lineamenti spigolosi.

«Lo so, Rogers, un giorno ti insegno» lo schernii in risposta, rifilandogli un occhiolino volutamente ammiccante in maniera grottesca.

«Ah davvero? Se non ingoi troppa polvere a corrermi dietro» mi provocò con uno sguardo irriverente. Mi piaceva il nostro modo di scherzare e prenderci in giro a vicenda, Austin era sarcastico e sapeva stare al gioco, accettava la sconfitta e non sembrava permaloso come la maggior parte dei maschi. Inoltre, non aveva mai frainteso i miei tentativi di approccio, dunque non aveva mai osato andare oltre le semplici battutine pungenti che ci eravamo scambiati fino ad allora.

«Temo che ti stia confondendo, forse tu ne hai già presa fin troppa di polvere» risposi saccente, sollevando le sopracciglia e facendo scoccare la lingua sul palato, mentre con un sorrisetto mal trattenuto Austin si apprestava a controbattere.

Il nostro amichevole diverbio fu però interrotto dall'arrivo di quel pallone gonfiato di Martin Hurt, che in maniera baldanzosa si avvicinò a noi con un ghigno beffardo, senza riuscire a staccarmi gli occhi dosso. Era talmente egocentrico che persino le sue arie si davano delle arie.

«Complimenti Miller, bel tiro» soffiò con un sorriso falso, sbucando alle spalle di Austin. Ovviamente non mi fidavo di lui e avevo un brutto presentimento, non solo perché le nostre conversazioni erano sempre state quanto di meno amichevole potesse esserci. Avevo compreso, inoltre, che quando si avvicinava in quel modo a qualcuno, lasciando ciondolare le braccia lungo il corpo e dipingendosi in volto quel suo odioso ghigno beffardo, non prometteva nulla di buono.

«Per essere una coi piedi storti ti è andata piuttosto bene a centrare i pali» gli diede man forte il suo amico. Non era nella squadra di calcio ma era praticamente l'ombra di Hurt in tutto e per tutto, non solo perché si trovava ovunque fosse lui, ma anche perché era uno spilungone magrolino che vestiva sempre di nero e avevo il volto costantemente rabbuiato.

«Per fortuna non ti sei mai allenato con me, non sia mai che al posto della porta colpisca la tua faccia» attaccai immediatamente, rivolgendomi esclusivamente a Martin. Non mi interessava il suo amico, lo consideravo una sorta di insignificante soldatino votato alla causa.

«Sono sicuro che non ci riusciresti neanche volendo» mi provocò, sporgendosi verso di me. Stava allungando una mano viscida verso il mio viso, come a volermi carezzare una guancia con il dorso, ma non gli diedi modo di avvicinarsi spintonandogli il braccio lontano dalla mia faccia.

«Se ci provi di nuovo, te la taglio» sputai minacciosa, osservandolo con occhi furenti. Ci mancava solo che iniziassi a sputare scintille e poi Amelia avrebbe potuto chiedermi consigli su come intimidire le persone.

Ovviamente Hurt non si era spostato di un millimetro, immobile e temerario in una perfetta incarnazione del machismo, ma il suo sguardo spaesato l'aveva tradito quando, per un attimo, una scintilla di sincero terrore gli aveva attraversato gli occhi.

«Hey, dolcezza, non essere aggressiva con me» si riprese immediatamente, cancellando il timore e sostituendolo con sincera strafottenza. Sinceramente avrei preferito vederlo tremare, anche se combattere una battaglia ad armi pari era decisamente più stimolante che vincere in partenza senza doversi esporre più di tanto.

«Non chiamarmi dolcezza» attaccai di nuovo, senza togliergli gli occhi di dosso. Non si poteva mostrare cedimento davanti a una persona del genere o ne avrebbe approfittato per farti sprofondare, trascinandoti con sé sul fondale e abbandonandoti negli abissi oscuri e tenebrosi, non di certo quelli in cui si trova la magnifica Atlantide.

«Altrimenti?» chiese, ancora più borioso e strafottente.

«Ti rompo il naso» risposi amorevole con il sorriso più tranquillo che riuscii a fingere e l’aria pacifica nettamente in contrasto con le mie parole. Il trucco era sembrare seri: se ci credi tu in primis, agli altri verrà quantomeno il dubbio circa la veridicità delle tue affermazioni.

«Okay, forse è il caso di calmarci» s'intromise a quel punto Austin. Fino ad allora era stato zitto, osservando la scena come uno spettatore esterno, tant’è che avevo addirittura dimenticato la sua presenza a causa della concentrazione di tutte le mie energie su Martin Hurt; forse avrei dovuto dirgli di continuare a farlo e non prestare attenzione a noi, che di teatrini del genere ne avevamo fatti fin troppi e non avevamo alcuna intenzione di placarci.

«Forse è il caso che tu ti faccia gli affari tuoi» biascicò il compare di Hurt, intromettendosi anch'egli di nuovo nel nostro dibattito per ribadire la loro supremazia in quanto maschi alpha per antonomasia.

«Sa decidere da solo cosa fare» ribattei io, più per il mero gusto di contraddirlo che per vero interesse nel farlo, ma anche per risparmiare ad Austin uno scontro con il suo compagno di squadra nei primi giorni di scuola dato che ero certa che sarebbe subentrato nuovamente Hurt.

«Tu non stai mai zitta, vero?» domandò infatti retorico il biondo con un sorrisetto tirato. Non ci eravamo parlati molte volte e tutte erano finite con insulti e minacce di violenza fisica. Non sapevo nemmeno perché ce l'avesse tanto con me dal momento che sembrava andare d'amore e d'accordo con mio fratello.

Ovviamente nei limiti in cui si può andare d'amore e d'accordo con un bastardo che odia tua sorella e non perde occasione per screditarla ma che gioca nella tua stessa squadra ed è sempre amichevole con te.

«Direi che ti sei risposto da solo» asserii con sicurezza. A quel punto molta gente si era accorta della durata eccessiva nostra conversazione e, poiché tutti sapevano quanto fossimo ai ferri corti, nessuno ipotizzava che stessimo chiacchierando amichevolmente; sentivo fin troppi occhi addosso e l'unico che pareva non accorgersi della tensione palpabile era Austin, che si ergeva tra noi e cercava invano di capirci qualcosa.

«Allora, Rogers, cosa ci trovi in lei?» domandò a quel punto Martin, come se mi avesse letto nel pensiero l’ipotetico coinvolgimento del nuovo arrivato. La mia sicurezza vacillò per un istante: non volevo mettere Austin contro il suo compagno di squadra ma al contempo mi rifiutavo di darla vinta a Martin e sapevo che, se avessi ceduto la parola al mio amico, lui avrebbe interpretato il gesto come una dichiarazione di resa.

«Che ti importa, Hurt? Sei geloso?» azzardai la prima cosa che mi venne in mente. Chiaramente era una stronzata campata in aria all'ultimo secondo, ma dal suo sguardo sconvolto intuii che non si aspettava una risposta del genere. Di certo era consapevole che non gli avrei concesso l’ultima parola così facilmente, ma ciò che avevo detto era fin troppo azzardato.

«Volevo solo avvertirlo, sai... in giro si dice che tu non sia davvero una ragazza» disse pacato per poi allontanarsi da noi mentre gli altri finalmente si avvicinavano. Se l'avessero fatto appena due secondi prima ero certa che non avrei sentito i frammenti del mio orgoglio colpire l'asfalto, ma nel silenzio irreale e inquieto che Martin aveva lasciato dietro di sé era stato inevitabile lasciarmi scalfire da quelle ingiurie infamanti.

«Tutto bene?» domandò Lucas osservando il mio sguardo perso mentre Austin non mi toglieva gli occhi di dosso. Non si azzardava a pronunciare parola anche se aveva sentito bene le insinuazioni di Hurt e gli fui grata per non aver detto a mio fratello cosa mi faceva sembrare così turbata.

Era chiaro che le sue parole avevano il solo scopo di ferirmi, il problema era che c'era riuscito sul serio. Avevo passato la mia intera seppur breve esistenza barcamenandomi tra indossare scarpini da calcio e tacchi alti, cercando di raggiungere un precario equilibrio tra la mia passione e il mio genere, eppure stavo permettendo a un idiota qualsiasi di mettere in dubbio la mia femminilità solo per lo sport che praticavo.

Trovavo assurdo il modo in cui fosse riuscito a colpire proprio nel punto più doloroso, quello in cui mi sentivo più debole, quello che mi arrecava tante insicurezze, ed era inaccettabile che potesse passarla liscia senza darmi diritto di replica.

No, decisamente, non avrei potuto permetterlo… e avevo già un piano.

   
 
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