Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Dorabella27    27/11/2021    13 recensioni
Qualche tempo fa, nel mese di luglio, pubblicai su questa piattaforma un racconto, una one shot cross over ispirata non solo ai personaggi di Ryoko Ikdea, ma anche al mio romanzo preferito, quello che mi ha fulminato sin da quando ero poco più che bambina, tanto da tradurmelo io stessa da sola dal francese, quello che, da sempre, ho associato a Oscar e André, quando immaginavo di vedere addirittura i personaggi dell'anime sbucare tra le inquadrature del film tratto dal libro, visto e rivisto sino allo sfinimento.
La one shot, "Aveva uno scopo", è stata accolta da un insolito favore, e molti mi hanno chiesto, anche in privato, un seguito, in cui ho cercato e cercherò, come spesso faccio, di alternare toni e sfumature. E dunque, ecco qui: la one shot diventa il primo capitolo di una long - non molto long, se mi conoscete bene, ormai - e, di seguito al primo capitolo, che qualcuno di voi conosce già, troverete subito il secondo. Come vi ricorderete, ci troviamo in una mattinata nevosa del dicembre 1782, e, in quel clima ovattato e fatato, il Comandante delle Guardie Reali, Oscar François de Jarjayes riceve una singolare richiesta ...
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era irritata. Era chiaramente di pessimo umore, e non faceva nulla per nasconderlo.
 E del resto, pensava André, perché mai avrebbe dovuto nasconderlo? Un alto ufficiale, un colonnello, può e deve esprimere senza remore i suoi malumori, la sua irritazione, il suo disappunto: non si tratta certo di una dama costretta dall'etichetta e da quel groviglio di regole che si chiama "uso di mondo" a reprimere la sua stizza, a dire "sì", quando vorrebbe dire no, o un "forse" garbato accompagnato da una sorriso aggraziato quando invece vorrebbe battere un pugno sul tavolo, rispondere seccata, e magari sbattere una porta lasciando la stanza in preda alla contrarietà più nera. Era quello che, in fondo, faceva Madame de Jarjayes, da decenni, sempre impeccabile, sempre composta, sempre inappuntatabile, per nascondere il suo malumore.
 
Eppure, il viaggio verso Arras era stato perfetto, sotto una neve da favola.
Ed era stata Oscar per prima, lei, che non amava crogiolarsi nel ricordo del passato, a rievocare un episodio della loro infanzia, quando ad Arras ci andavano per le feste natalizie in carrozza, con il Generale e Madame la Comtesse. E se di solito lui e Oscar viaggiavano nella carrozza del Generale, e Madame Marguerite, invece, con le figlie non sposate, quell'anno il Generale aveva annunciato che non avrebbe potuto liberarsi dai suoi pressanti impegni che per l'antivigilia, per cui André e Oscar avevano viaggiato con la contessa e con l'ultima delle sorelle rimaste a Palazzo Jarjayes, Hortense. La madre le teneva la testa sulle ginocchia, accarezzandole i boccoli castani, e la bambina sonnecchiava a tratti, e, a tratti, da sotto la pesante coperta di lana azzurra, si lamentava, levando gli occhi verso Madame la Comtesse, ora della scomodità del viaggio, ora degli spifferi che entravano nella carrozza. Allora, la madre le raccomandava di portare pazienza, che la parte più lunga del tragitto era già finita, e che ad Arras la aspettavano una torta al cioccolato e il suo letto caldo. Ad ogni lamento di Hortense, Oscar, che, avvolta in un mantello maschile blu notte chiuso da un alamaro dorato, sedeva composta di fronte alla sorella insieme ad André, levava gli occhioni azzurri e ruotava spazientita le pupille, finché, all'ennesima querimonia di quella damina in sedicesimo, pensò di anticipare lo scherzo che si era preparata per il giorno dopo,
        Mentre Hortense si era assopita, e Madame la Comtesse era concentrata sul suo libro, Oscar infilò la mano sotto il mantello, nella tasca interna della sua elegante marsina da piccolo gentiluomo. E mentre André cercava, con qualche smorfia, di dissuaderla, sperando che la contessa Marguerite non alzasse lo sguardo da quelle pagine evidentemente così interessanti, prese il ragno di fil di ferro che aveva costruito qualche giorno prima, e, con la scusa di un sobbalzo troppo forte della carrozza, che l'aveva fatta cadere in avanti, sul sedile di fronte, lo aveva lasciato sulla coperta di Hortense, profondendosi in mille scuse all'indirizzo della sorella, che bofonchiò qualcosa da semiaddormentata, proprio sotto gli occhi della madre, che le aveva rivolto una occhiata distratta condita da un convenzionale: "Stai bene, Oscar?".
 
Poco dopo, riaperti gli occhi, e visto il ragno, Hortense si era messa a strillare come un'ossessa.
Come avevano riso, lei e André!
A un certo punto, anche la Contessa Marguerite si era unita alla loro allegria, perché, nonostante Oscar, colta da un sussulto di pietà per lo spavento fuori misura della sorella, cercasse  - senza però smettere di ridere - di farle vedere che il ragno, sì, beh, era grosso, brutto e nero, ma era finto, fatto di fil di ferro, Hortense continuava a gridare e a piangere. Sino a che questa, una volta smaltito quello spavento che l'aveva colta nel delicato e nebbioso territorio di confine tra veglia e sonno, e proprio per questo tanto più potente, aveva guardato con sdegno la sorella e André (che, da un lato, avrebbe voluto gridare la sua innocenza, ma che, dall'altro, si sentiva vagamente colpevole per le grasse risate che quello spettacolo gli aveva procurato), e li aveva inceneriti col suo contegno già da gran signora:
"Siete due stupidi, e due grandissimi maleducati! Maman", aveva aggiunto, rivolgendosi verso la Contessa Marguerite, "non intendo più rivolgere la parola a questi due individui, privi come sono di ogni delicatezza e di qualsiasi uso di mondo!".
 
E ciò detto, si era raggomitolata sul sedile, voltando le spalle a quella screanzata della sorella e al suo degno amico André, e tirandosi la coperta sin sopra il capo. Nemmeno Madame la Comtesse era riuscita a soffocare una risata, e aveva lanciato a Oscar  - André ne era sicuro - uno sguardo divertito, carico di complicità, come se fosse stanca, per una volta, di essere la Comtesse de Jarjayes, icona di femminile perfezione e di compitezza nobiliare, e rimpiangesse un tempo in cui anche lei aveva potuto andare per pozzanghere sotto la pioggia battente, o terrorizzare le sorelle con dei ragni di fil di ferro.
 
        Mentre cavalcavano sotto la neve, il viso circondato dal bordo di volpe bianca della sua cappa d'ordinanza ("André, ma che dici? Perché ne dovrei portare anche un'altra? Questa basta e avanza! Non sono una dama vanesia che, per pochi giorni lontano da casa, riempie interi bauli di abiti di ricambio!E poi, dobbiamo viaggiare leggeri, se vogliamo andare a cavallo!", gli aveva detto), Oscar gli aveva chiesto: "Chi sa se dietro quel vecchio mattone mobile del camino della cucina c'è ancora il mio ragno di fil di ferro. Te lo ricordi, André? Come abbiamo riso mentre Hortense gridava per lo spavento! Lo scherzo ci era piaciuto tanto che avevamo nascosto il ragno per poterlo ripetere in futuro ... e poi ce ne siamo dimenticati!".
André aveva sorriso, ricordando quel momento felice, e pensando che le fossette ai lati della bocca di Oscar non erano cambiate da allora, nonostante fossero passati ormai diciassette anni. Tutto prometteva, dunque, bene, anzi, benissimo...
 
Una volta arrivati alla proprietà della famiglia Jarjayes ad Arras, però, gli angoli della bocca di Oscar si erano improvvisamente piegati all'ingiù: nella grande corte davanti alla villa, c'era una carrozza che non avrebbe dovuto essere là.
 
 
 
Un doveroso, grande ringraziamento a Galla88 per l’azzeccatissima e bellissima fan art.
E un ricordo nostalgico della signora G., alla quale, da bambina più piccola di Oscar, propinai lo scherzo del ragno di fil di ferro, procurandole uno spavento pari a quello di Hortense. Il mio ragno è ancora nel nascondiglio dietro il mattone del camino, in attesa di tornare in azione...
 
 
   
 
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