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Autore: elenatmnt    29/11/2021    11 recensioni
"Non ho saputo ricambiare l'attenzione che mi hai regalato, non potrò nemmeno guidarti o guardarti le spalle quando crescerai e diventerai il guerriero che sei destinato ad essere e di questo ti chiedo perdono, ma sappi una cosa, io credo in te, sono fiero di te. Lo sono sempre stato e sempre lo sarò".
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Si lo so, sono una Testa Calda, il mio lato istintivo è più forte di quello razionale, da sempre. Non immaginerete mai le centinaia di volte che mio padre ha cercato di farmi lavorare sul mio autocontrollo. Una noia!
Pensare non è il mio forte, non ho mai capito perché perdere tanto tempo a pensare, quando semplicemente si potrebbe agire. Mio fratello Leonardo è uno stratega, non a caso è il leader. Da una parte l’ho sempre un po’ invidiato, ma col senno di poi, capisco che lui è stata la miglior scelta per questa famiglia, non c’è leader migliore di lui.
Mio fratello Michelangelo mi assomiglia di più sotto questo aspetto, anche lui è istintivo, ma non è guidato dalla rabbia, al contrario, lui agisce per puro divertimento, è il raggio di sole che illumina le nostre giornate, la nostra vita non sarebbe la stessa senza di lui.
Potrei dire che io e Donnie siamo due poli opposti: calmo e irascibile, paziente e impaziente, riflessivo e impulsivo. L’ho sempre spinto al limite durante il combattimento, trattandolo come un debole, una femminuccia. No, lui è un coraggioso e forte guerriero, sono fiero di lui, lo sono sempre stato.
Se non vi spiace torno al mio racconto, al mio ricordo… cosa ricordo? Ah sì, suoni.
 

Furono i suoni che man mano mi riportarono al mondo della realtà, non fu un veloce risveglio, fu lento, più lento di Mikey quando era il suo turno di lavare i piatti.
Sentivo voci, incomprensibili, i suoni erano ovattati, mi sembrava tutto lontano. Sicuramente c’erano almeno due persone con me, chi fossero ancora mi era impossibile capirlo.
Non tardò ad arrivare l’odore nauseabondo di medicinali, disinfettante e alcool, non l’ho mai sopportato era disgustoso, se fossi stato un umano, non credo che avrei mai fatto il medico, forse Don sì.
Ed era proprio la voce di Donatello che si faceva più chiara nelle mie orecchie, in principio era ancora vaga, poi sempre più limpida “Raph, fratello mi senti? Raffaello?”
Riuscii a schiudere gli occhi, la penetrante luce del laboratorio quasi mi accecò, mi ci vollero alcuni minuti per abituarmi.
“D…Don…” fu il rantolo affannoso e impercettibile che uscì dalla mia bocca, la sentivo secca che quasi faceva male, la cosa positiva fu che riuscii a mettere a fuoco lo sguardo commosso di mio fratello. Anzi stava proprio piangendo, perché piangeva?
“Andrà tutto bene Raph, ora che sei sveglio vedrai che andrà tutto bene”.
Quanto tempo avevo dormito? Non certo cent’anni.
Ho vaghi ricordi di loro accanto a me, che mi chiamavano, piangevano, litigavano. Credo di essermi svegliato e riaddormentato più volte in un tempo infinito e ripetitivo, in inutili tentativi di svegliarmi.
Solo in quel momento mi sentivo saldamente legato alle immagini, ai suoni e agli odori; riuscivo a stare sveglio e a percepire nuovamente il mondo.
Lentamente spostai i miei occhi verso tutte le altre figure che mi circondavano, tutta la mia famiglia era lì con gli occhi rossi, Michelangelo aveva le lacrime che gli rigavano il viso.
‘Che esagerazione! Uno si fa un po’ male e qui già gli fanno il funerale. Sto bene ragazzi’ pensavo tranquillo mentre la mia mente tornava lucida, sicuramente la mia tranquillità era dovuta ad un momento di ignoranza, ancora non avevo ben capito cosa mi fosse realmente accaduto.
Provai a girare la testa, per osservarmi meglio intorno, tuttavia ad ogni tentativo, la risposta era la stessa: niente. Nessun muscolo del mio corpo rispondeva ai miei comandi, riuscivo solo a muovere gli occhi, la bocca e a respirare… Respirare? ‘Aspetta un momento’. No, non stavo respirando da solo ero collegato ad una macchina, un tubo si allungava da lì fino alla… oddio fino alla mia gola. Avevo un tubo nella gola ed un collare che mi teneva eretto il collo.
Ero abbastanza sollevato da molti cuscini per vedere una serie di fili sul mio petto, uno che collegava il mio braccio ad una flebo e quello maledetto nel mio collo.
Lo ammetto, mi spaventai.
Il bip di un qualche macchinario iniziò ad aumentare di velocità e Donatello fu subito su di me “Calmati Raph!”.
“Tranquillo, figlio mio, ci siamo qui noi” anche mio padre si avvicinò prendendomi la mano.
“Che gli succede?” fu la voce di Michelangelo ad urlare.
“Sta avendo un attacco di panico. Devo somministrargli un sedativo altrimenti si farà del male” spiegò Donatello, che veloce e preciso riempì una siringa con un liquido trasparente. Con la serietà di un professionista, infilzò il mio braccio con i suoi ‘strumenti di tortura’ come li definisco io.
Provai a parlare, a dire qualcosa, qualsiasi cosa. Giuro che ci misi tutta l’intenzione e tentai finché il mondo divenne buio.
 

Permettetemi di divagare con un pensiero che mi è sorto spontaneo, forse inconsciamente pensando all’ago con cui Don mi ha infilzato, mi son venuti in mente i miei sai.
I miei preziosi sai.
Da quanto non li impugno? Sicuramente da quella stessa notte in cui tutto ebbe inizio.
Quando mio padre ci donò le armi non fui felice dei miei sai, io volevo le spade, volevo le katana. Pensateci bene, tutti i più grandi guerrieri brandiscono le spade; cavalieri, samurai, ninja, vichinghi tutti loro la spada…il simbolo dei leader, degli eroi. Il sai chi lo brandisce? Nessuno, cioè io.
Compresi già da allora che mio padre aveva una particolare predilezione per Leonardo, non si poteva nascondere era palese, solo che ai miei due fratellini non importava, a me sì invece.
Un giorno Splinter, notando la mia insoddisfazione, mi chiese cosa ci fosse che non andava, io non dissi nulla naturalmente, non avrei mai svelato i miei sentimenti. Io sono un duro, i sentimenti sono per i teneri di cuore.
Chi voglio prendere in giro? Certo che sono un sentimentale, solo che lo nascondo e la mia famiglia questo lo sa bene.
Dov’ero? Ah si! Splinter. Mio padre intese da subito quali fossero i miei demoni interiori e mi chiese di porgergli i miei sai; io fui un po’ scettico ma ubbidii, in fondo erano solo dei giganteschi stuzzicadenti.
Con la grazia di un ballerino e la precisone di un ninja mio padre si destreggiò abilmente con i miei “stuzzicadenti”, era stupendo, fantastico. Giuro avrei voluto essere come lui, ma ero ancora un bambino.
Quando finì e si fermò di fronte a me, io lo guardai come fosse la prima volta, era il mio eroe, la mia guida e io volevo diventare come lui, lo giurai. Ci scrutammo l’un l’altro, avevo capito cosa voleva dirmi. Mio padre sapeva come parlare anche senza le parole.
 

Riaprii gli occhi debolmente, la seconda volta fu più semplice perché già sapevo cosa avrei visto, benché non sapessi ancora nulla. Era arrivato il momento di chiarire alcune cose.
Il primo che vidi fu sempre Donatello in lontananza, armeggiava qualcosa alla scrivania, il mio fratellino in modalità dottore sapeva diventare un po’ ossessivo a volte, è sempre stato così, immagino si senta tutta la responsabilità sulle spalle, come biasimarlo?!
Poi puntai il mio sguardo verso Sensei, riuscivo finalmente ad avere una visione più lucida, c’erano solo loro due. Splinter aveva il pelo arruffato e disordinato, gli occhi erano rossi, forse dal pianto o dal mancato sonno o entrambi; mi stringeva la mano, si rese conto che mi ero svegliato. Si alzò in piedi e mi chiamava con una flebile voce, appena un sussurro.
A quel suono, Donatello intuì che ero sveglio e accorse al mio fianco, mio fratello aveva delle occhiaie nere che sulla sua pelle verde chiaro e il volto magro risaltavano così tanto da farlo sembrare uno zombie.
La mia attenzione ricadde sulla sua spalla, quella che si era ferito durante quella sera, era cicatrizzata, quasi sbiadita, questo la diceva lunga sul tempo trascorso.
“D… Don… che…suc…cede?” andai dritto al sodo con la mia gracchiante e poco convincente voce, nessun giro di parole, ormai ero tornato. In un primo momento sembrarono felici di sentire la mia voce, ma la domanda li aveva turbati e non poco, celarono i loro sentimenti dietro a uno stanco e triste sorriso.
“Raph…” Don mi parlò dolcemente, era come se presero una boccata d’aria dopo tanto tempo; il nerd con cura si avvicinò a me sussurrandomi piano le sue parole e tenendomi la mano.
“Ecco… cosa ricordi?” mi chiese, sciocco tentativo di divagare, certamente poteva servirgli come informazione, ma palesemente stava prendendo tempo. Fui breve.
“Tutto… dallo sparo… alla caduta… Mi ricordo di essere… caduto dal tetto… Poi più… nulla” perché era così difficile parlare? Mi stavo innervosendo per quel limite, da tutti i limiti che il mio corpo stava subendo. Non ne capivo la ragione.
“Donatello… ti prego… la verità…” preservai tutto l’autocontrollo che avevo, sentivo che stava per dirmi qualcosa che non volevo sentire.
“Sei caduto dal tetto di un palazzo di cinque piani… è un miracolo che tu sia vivo… sei stato in coma per quasi tre mesi…” le parole di Don sembravano più una premessa che un’informazione, come per giustificarsi da qualsiasi cosa stava per dire; almeno avevo scoperto quanto tempo ero rimasto incosciente. Mio padre si limitava a stringermi la mano tenendo la testa bassa.
“M… Mal… male…dizione… Don…p…parla!” sembrò quasi un grido minaccioso, se non fosse stato per il fatto che la mia voce era a volume uno.
“La caduta ti ha rotto il guscio causandoti la pentaplegia” disse secco tutto d’un fiato. La parola era veramente antipatica e difficile, infatti non ne compresi il significato e lui lo sapeva “significa che… oltre al coinvolgimento di tutti e quattro gli arti, il tuo corpo è colpito da paralisi alla testa e al collo, con… conseguenti difficoltà nella respirazione e nella deglutizione.”
Divenni di pietra, Splinter mi guardava trattenendo il respiro e Donatello iniziò a piangere “Mi dispiace tantissimo Raph… mi dispiace…”.
 

Avete mai visto il film Titanic? Io si, mi ci ha costretto Mikey. Sia chiaro che non è il mio genere di film, ho solo fatto compagnia al mio fratellino, altrimenti mi avrebbe assillato finché non avessi accettato, alle volte è meglio arrendersi! Ops, l’ho detto veramente? Arrendersi? Si l’ho detto.
In quel film c’è la scena in cui lui salva lei dall’ipotetico suicidio e si prepara ad un eventuale salto nell’acqua ghiacciata, nell’impossibile tentativo di salvarla. Bene, in quel momento lui fa una perfetta descrizione della sensazione di cadere nell’acqua ghiacciata, dice qualcosa tipo ‘cadere in acque gelide, è come avere tutto il corpo trafitto da mille lame. Non riesci a respirare. Non riesci a pensare… a nulla, tranne che al dolore’.
In quel dannatissimo istante mi sentii proprio così.
 

“Ho… q… qualche… chance di… gu… guarigione?” chiesi con una voce che era infinitesimale persino per me, tuttavia al genio non sfuggì la mia domanda.
“Raph… io…” tentò di parlare piangendo.
“B…basta così… ho… capito” risposi calmo. Tutto ciò che stava accadendo non era reale, era solo un incubo, troppi film drammatici. Avrei dovuto vedere più film d’azione per sognare una bella avventura.
In quel momento entrarono Michelangelo e Leonardo entusiasti nel vedermi cosciente, si avvicinarono con foga chiamandomi, parlandomi, erano commossi. Suoni, solo suoni, non sentivo nulla delle loro parole, ero in un limbo. Smisero di parlare quando dai nostri volti intuirono che io ormai sapevo tutto.
Silenzio.
Solo chiassoso silenzio.
“V…Voglio… ri…rimanere… da solo” proferii sorridendo. Perché io stessi sorridendo, proprio non lo sapevo; mi venne spontaneo.
Tutti mi guardarono sospettosi, il mio sorriso li aveva turbati “non credo sia il caso che tu rimanga da solo…” suggerì il Maestro Splinter. “Ma… io…lo… voglio” insistetti senza togliermi il sorriso dal volto, fu Leo ad intromettersi “il Sensei ha ragione Raph, non è saggio nelle tue condizioni…”.
Credo che il mio volto divenne spiritato, tipo bambola assassina o qualcosa del genere, sorridevo falsamente ma i miei occhi avrebbero saettato fulmini se avessi avuto quel potere. “In… Insisto” lo interruppi. Fu la mia ultima parola detta a denti stretti.
Sensei con un cenno della testa, diede il permesso a tutti di congedarsi, lui fu l’ultimo ad uscire dal laboratorio guardandomi con occhi sconfitti e segnati dal dolore; so che rimasero dietro alla porta ad origliare, non ero stupido, lo sapevo. Non averli lì davanti a me mentre crollavo come un castello di carte era una piccola soddisfazione, mi accontentai. Lasciai che le lacrime cadessero inesorabili, almeno quello mi era ancora concesso dal mio corpo.

 
Quando avevamo circa cinque anni, Michelangelo adottò un pesciolino rosso, divenne il suo migliore amico, se non ricordo male si chiamava Bobby. Che nome sciocco!
Nonostante sia nota a tutti l’infantilità di Mikey, con Bobby il mio fratellino cambiava atteggiamento, diventando più responsabile.
Una mattina come tante, Michelangelo si diresse dal suo pesciolino rosso per dargli il mangime, purtroppo con suo sgomento il pesciolino non era più nella boccia di vetro ma sul pavimento e chissà da quanto. Bobby aveva la mania di saltare oltre il filo dell’acqua; più volte avevo avvertito Mikey di coprire il vaso di vetro con qualcosa che facesse da coperchio, ovviamente ignorò il consiglio e le conseguenze furono fatali. Il mio ingenuo fratellino lo raccolse e lo rimise nell’acqua, Bobby era chiaramente morto. Ma non per lui! Michelangelo corse a chiamare me trascinandomi per un polso verso la boccia di vetro “Raphie, perché Bobby dorme a pancia all’aria?”.
La sorte aveva voluto che fossi proprio io a dare la cattiva notizia al mio fratellino “Mikey… Bobby… è morto”.
Michelangelo alzò un sopracciglio confuso “No Raph, Bobby sta dormendo. Ma lo fa a pancia in su!”, il volto innocente di quella peste era qualcosa che ti faceva sciogliere il cuore, rendeva la realtà ancora più dura. Gli misi una mano sulla spalla “Mikey, quando i pesciolini si mettono a pancia all’aria, significa che sono morti… Mi dispiace”.
“Quindi non giocherà più con me?”
“Temo di no” ero terribilmente mortificato, il mio otouto* realizzò, per la prima volta la sottile linea tra la vita e la morte.
Dopo quell’incidente, Michelangelo ebbe dei momenti di tristezza, scoprii solo grazie a mio fratello genio che quella tristezza si chiamava ‘lutto’; Mikey stava attraversando un momento di dolore.
Sempre il genio, mi spiegò che il dolore, come il lutto, ha delle fasi: negazione, rabbia, patteggiamento, depressione, accettazione.



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*fratello minore



Note dell’autrice:

Ecco un nuovo capitolo fresco fresco! Lo sono, sono stata cattiva nei confronti di Raph, non odiatemi vi prego, mi è simpatico, non ho nulla contro di lui! XD Piano piano sto cercando si sottolineare il mondo visto da una sola angolazione, spero il mio esperimento stia riuscendo bene.
Ringrazio infinitamente 
Made of Snow and Dreams, Ciarax e chi dedica qualche minuto del suo tempo per leggere la mia storia, non sapete che gioia immensa. Alla prossima.
Ciaooooooo!!
   
 
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