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Autore: elenatmnt    30/11/2021    10 recensioni
"Non ho saputo ricambiare l'attenzione che mi hai regalato, non potrò nemmeno guidarti o guardarti le spalle quando crescerai e diventerai il guerriero che sei destinato ad essere e di questo ti chiedo perdono, ma sappi una cosa, io credo in te, sono fiero di te. Lo sono sempre stato e sempre lo sarò".
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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“Non posso crederci, non sta succedendo davvero”.
 

Questo mi ripetevo costantemente, vedermi bloccato, immobile e impotente mi stava facendo impazzire.
La cosa che più mi mandava fuori di testa era avere la consapevolezza che la mia condizione fosse irreversibile.
Come potevo accettare di rimanere paralizzato a vita, senza muovermi, senza respirare, mentre mi pisciavo e cagavo addosso? No, era un incubo spaventoso. Volevo svegliarmi a tutti i costi, ma ad ogni risveglio ero sempre in quel dannato letto.
Non volevo nessuno intorno a me, urlavo con la mia flebile voce contro tutti e più lo facevo più mi innervosivo. Volevo ruggire e ne usciva un patetico miagolio. Mi vergognavo. Dio se mi vergognavo.
Mi ero trasformato in un morto vivente. Non mi sono più guardato allo specchio da allora e non ho intenzione di farlo, ma lo vedevo bene che il mio corpo si era rimpicciolito, i miei meravigliosi e massicci muscoli non c’erano più, ero più magro di Donatello.
Ve lo immaginate? Io il più magro di tutti, ridicolo!
I primi giorni furono i peggiori, sia per me che per la mia famiglia. Prendere consapevolezza della realtà fu un duro colpo, abituarsi a quel costante fissare il vuoto a farsi toccare, rivoltare come un oggetto; il gesto più semplice era impossibile, anche solo voltare la testa o allungare la mano verso qualcosa. Potrei fare un miliardo di esempi, continuare all’infinito, ma non si comprende una situazione finché non la si vive di persona e io la stavo vivendo in un tempo che pareva un’eternità
Sapevo che i miei fratelli e mio padre soffrivano per me, che avevano convissuto col dolore di non rivedermi più, tutto quel tempo in coma non ha distrutto solo me, nel corpo e nello spirito, aveva distrutto anche loro. Lo potevo vedere nei loro occhi tristi che forzatamente sorridevano, nelle occhiaie, nei loro passi lenti senza energia, nel loro disordine. Era fin troppo evidente che ci stavamo inabissando in una situazione che non ci avrebbe permesso di tornare a galla.
Le mie speranze morirono nei loro occhi; occhi che non avevo il coraggio di guardare.
Per darmi un po’ di serenità decisero di spostarmi in camera mia. Non me lo chiesero fu così e basta, già mi trattavano come una nullità, come un invalido, un idiota. Non mi ribellai, volevo andar via dal laboratorio, l’enormità della stanza mi faceva sentire ancora più piccolo.
Seppur loro fossero costantemente con me, facevano turni per non lasciarmi solo, io mi sentivo escluso dalla loro vita, dall’idea di quotidianità che c’era una volta, mi ripetevo che era una conseguenza normale al fatto di non potermi muovere; eppure sentivo, nonostante loro mi fossero vicini, li sentivo lontani, distanti, distaccati. Probabilmente ero passato dall’essere il protettore, quello che guardava le spalle di tutti, più di Leo, a essere quello da proteggere.
Donatello costruì una barella per trasportarmi fino su nella mia camera, sentivo un enorme soggezione mentre vedevo i miei fratelli e mio padre lavorare per trascinare insieme a me anche i macchinari che mi tenevano in vita.
Tutto il percorso che mi separava dal laboratorio alla mia camera lo feci a occhi bassi, non osavo guardare nessuno di loro. Lo capirono e mi evitarono, fu Michelangelo, come sempre, che tentò di alleggerire la tensione con qualche frase sciocca, fu di grande aiuto anche se non lo dimostravo.
Una pugnalata al cuore mi trafisse, quando entrando vidi chiaramente che le mie cose non c’erano più, né la mia amaca, né la mia batteria, né la mia piccola palestra attrezzata nell’angolo. Furono lasciate solo cose che non ingombravano, i miei poster, le mie armi appese al muro, il mio stereo sulla mensola. Di grande furono lasciati solo l’armadio e la cassettiera. Ora al posto della mia amaca c’era un letto da degenza e tutti i macchinari attorno. Uno schifo!
Mi adagiarono sul letto trattandomi come fossi di cristallo, una porcellana che si sarebbe rotta con un soffio di vento.
“Le tue cose le abbiamo messe nelle nostre camere, magari con un po’ di organizzazione potremmo rimetterle al proprio posto” mi rassicurò Senzapaura come se mi avesse letto nella mente.
Non gli risposi.
Splinter fece cenno di uscire sia a Mikey che a Leo, entrambi i miei fratelli capirono e non se lo fecero ripetere due volte. Donatello armeggiò sul mio corpo sistemandomi gli odiosi fili e tubi, poi controllò scrupolosamente ogni macchinario che attorniava il mio letto. 
“Ok, Raph, abbiamo finito” disse premuroso Donatello poggiando una mano sulla mia gamba.
“Traslocare l’intera tana sarebbe stato più semplice e veloce” tentai una battuta amara.
Avrei voltato la testa dall’altra parte, no, mi sarei alzato e sarei scappato via sulla mia amata moto, questo era ciò che volevo fare.
“Lasciaci soli Donatello, ho bisogno di parlare con tuo fratello” prese parola Splinter. Donnie non rispose, annuì solo con un cenno della testa e andò fuori.
Mio padre mi si sedette di fianco come faceva tutti i giorni ormai da… da quanto? Non lo ricordavo.
“Non ci guardi più negli occhi, figlio. Vuoi parlarmi, vuoi dirmi qualcosa?”
Tacqui e naturalmente non lo guardavo. Percepivo il suo disagio, mio padre il grande maestro ninja che si sentiva a disagio con me, non sapeva cosa dire ovvio. Cosa poteva dirmi? Scommetto che non aveva nemmeno uno dei suoi famosi proverbi da enunciare che dessero un senso alla situazione.
Poi mi decisi a dire qualcosa “non è reale” dissi con fermezza.
“Come?” chiese lui discretamente.
“Tutto questo non è reale, non mi sta succedendo veramente, è impossibile! Vedrai che domattina mi sveglierò da questo incubo e sarò in ritardo per l’allenamento e tu mi punirai facendomi fare un’ora extra da solo o magari mi farai meditare…” sentivo le lacrime che mi pizzicavano gli angoli degli occhi “non è reale, non è reale, non è reale”, continuavo a dire insistente come un matto fuori controllo. Nella mia follia ebbi il coraggio, infine, di porgere lo sguardo a mio padre, appena incrociai i suoi occhi, arrestai la mia cantilena. ‘Ma che sta facendo?’ pensai. ‘Piange, ancora. Dov’è finito il mio forte e valoroso padre?’.
“Papà perché piangi?” chiesi, era raro che lo chiamassi così, forse erano anni che non lo facevo. Ci eravamo ormai abituati a chiamarlo Sensei o Maestro o Padre… così formali, che avevo dimenticato di come fosse bello pronunciare la parola ‘papà’.
“Raffaello, per quanto sia dura e spietata, questa è la realtà. Se potessi scambiarmi di posto con te lo farei figlio mio” singhiozzò ogni parola, era rotto, completamente rotto, povero vecchio ratto.
Fissammo entrambi il niente, il tempo si fermò, la realtà era una bastarda carogna. Spregevole, inaccettabile, disgustosa.
Non così.
Non potevo vivere così, non io, un ninja, un ribelle. Colui che sfogava la rabbia a suon di pugni, piuttosto che con le parole.
“Allora se questo è reale… papà ti prego… uccidimi!” lo avevo finalmente detto, dal primo giorno mi frullava questa idea per la testa e finalmente avevo avuto il coraggio di dirglielo, eravamo solo io e lui.
Mi avrebbe capito, ne ero certo.
“Figlio, cosa stai dicendo?” era esterrefatto, anche se ero certo che se lo aspettava, pensavo infatti che fosse pronto alla mia richiesta; purtroppo la sua reazione fu peggio di ciò che mi aspettavo “Raffaello non chiedermi questo, non posso… non posso figlio mio…” si allontanò dal mio letto voltandomi le spalle, sembrava volesse scappare da me, allontanarsi dal burattino dai fili spezzati che ero diventato.
Non lo capiva? Non lo voleva? Non lo accettava?
“Ma padre se non lo chiedo a te, a chi lo dovrei chiedere? Ti prego guardami!”, non si voltò. “Non voglio rimanere così, non ce la faccio più. Ti supplico” lo imploravo dal più profondo della mia anima.
Continuò a rimanere fermo e distante, stava respirando affannosamente fissando un punto nel vuoto, non riusciva proprio a guardarmi. So che gli stavo chiedendo tanto. Tutto.
Come un cappio al collo mi soffocò il silenzio, maledetto silenzio. Mi stavo abituando a quello, non mi ci sentivo più in imbarazzo.
Udii un sonoro sospiro che infranse quel concetto astratto senza suoni, il Sensei era pronto a rispondermi. In quell’istante riposi in lui tutte le mie speranze. Avrebbe acconsentito, lo avrebbe fatto per la mia felicità.
“NO!”, dichiarò con fermezza rigirandosi con uno scatto verso di me, “è fuori discussione Raffaello”. La mia illusione di felicità volò via come cenere al vento. “Tutti noi ti aiuteremo, Donatello sta già lavorando ad un modo per agevolare i tuoi spostamenti. Non provare a pensare più ad una cosa del genere. Sono stato chiaro?”. Splinter fu irremovibile, era furioso, un modo strano per nascondere la sua disperazione, ma del tutto comprensibile. Quelle parole mi fecero male, ma il suo atteggiamento, se non altro, fu un ritorno alla fermezza di un tempo, almeno quello lo apprezzai.
Mi zittii, più che supplicare non sapevo cosa fare, stranamente ero calmo, questo andava contro la mia natura, un ‘no’ per me sarebbe stato sfogato con un pugno sul muro e un ringhio animalesco, eppure ero lì quiete e arreso. Erano incomprensibili per me quei momenti di tregua, di calma.
Era solo la quiete prima della tempesta.
 

Fare il padre non deve essere semplice. Immagino che un figlio ti cambi totalmente la vita, qualsiasi tua azione è la conseguenza di una scelta atta a far star bene la tua creatura.
Per mio padre deve essere stato molto e ripeto, molto difficile. Immaginatevi di essere delle creature che all’improvviso vengono trasformate in qualcos’altro da una sostanza verde e appena dopo ti ritrovi quattro figli adottivi, che sono mutanti anche loro.
Doversi nascondere, cercare cibo, accudire i propri figli, proteggerli dal mondo…
Dai diciamoci la verità, io sarei impazzito!
Mio padre no, lui è forte, lui è il migliore, se siamo ciò che siamo lo dobbiamo solo a lui. Io spero solo di averlo reso fiero di me, almeno un po’.
 
……………………………………………………………………………………………
 
 

Note dell’autrice:

Ciao a tutti! Questo capitolo è un po’ più corto, in realtà non rispetterò molto la lunghezza, questa storia è nata come una one shot, che poi è diventata un multi capitolo, quindi il numero di parole varierà un pochino. Spero vi stia piacendo questa avventura, ci vediamo al prossimo capitolo.
Ciaoooooooooo!!
   
 
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