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Autore: Enchalott    06/12/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aikaharr
 
Mahati affidò Fyratesh agli attendenti e scese la scala. Le guardie reali eseguirono il presentatarm e rimasero rigide nell’omaggio, le dorei si prostrarono a terra.
«Dov’è la mia promessa sposa?»
«È partita con l’Ojikumaar, altezza» riferì Mirai.
«Cosa!? E per dove?»
«Shamdar a quanto ho udito.»
Sentiamo quale sarebbe la tua scusa, Rhenn.
A Minkar avevano stabilito priorità diverse, inoltre il re non si era ripreso dall’ultima crisi. Allontanarsi dalla capitale era una decisione inspiegabile, a meno che non avesse stabilito di arrecargli un deliberato sgarbo.
O di accrescere il mio desiderio per costringermi ad anticipare le nozze.
«Perché non siete con la principessa?»
«L’erede al trono l’ha proibito. Non ha richiesto seguito e si è allontanato a cavallo.»
Mahati si voltò esterrefatto: mancò poco che gli cadessero le spade. Ragionò sulle motivazioni e soprattutto sui fini di tale idiozia, ma non trovò risposte.
Impossibile raggiungere il mare senza un vradak, persino io ho rischiato la vita nell’Haiflamur!
Figurarsi una ragazzina salki in sella a un volgare quadrupede. Che razza di piano suicida era quello?
È la volta che lo ammazzo! Giuro sull’Arco di Belker che gli strapperò il cuore!
«Preparate Fyratesh!»
In quel momento un messo reale si presentò alla soglia. Lesse la striscia vergata in nero e la accartocciò tra le dita, fremendo di rabbia: Kaniša lo convocava con effetto immediato, impensabile disobbedirgli.
«Mandate lo stormo! Trovateli!»
 
Il sovrano dei Khai giaceva a letto in un dormiveglia turbinoso, nel quale i momenti di lucidità si avvicendavano alle zone d’ombra popolate da incubi. Il presente si confondeva con il passato, ove il vigore e l’autorità non erano intaccati dall’infermità, ma i volti di chi più non era sfilavano accusatori, allietati dal suo tormento.
Una punizione degli dei. Sommo Belker, perché lo hai permesso? Non ti ho sempre servito con fedeltà?
Aveva mandato a chiamare il secondogenito per metterlo alle strette sulla campagna bellica e per capire quanto fosse informato sui sigilli contraffatti. Sfruttare la rivalità con Rhenn per deviarne l’attenzione era la strategia vincente. L’aveva sempre adottata per dividere i figli, per separare il loro destino e preservare il regno dalla rovina che lo aveva lambito.
Per rimediare a un ignobile fallo.
Il trascorso era divenuto pesante, le invocazioni agli Immortali giacevano inascoltate. Aveva lottato per riavere ciò che desiderava e l’unico risultato era stato perdere tutto. Solo il dio della Battaglia era rimasto al suo fianco, degno di incondizionata fiducia.
 
La luce del Sole Trigemino, schermata dalle cortine, schiariva l’ambiente impregnato dell’aroma dolciastro degli incensi medici. Mahati congedò i guaritori.
Non provò né compassione né dispiacere per colui che lo aveva generato, cereo tra le sfarzose lenzuola, abbandonato sui cuscini e madido di sudore nello sforzo di trattenere una vita già scesa nella morsa del celeste Reshkigal. Non la meritava.
«Eccomi, padre.»
Kaniša socchiuse gli occhi velati dai medicamenti, muovendo le labbra in un sussurro. Quando sollevò la mano, il Kharnot si preparò a ricevere lo schiaffo, più debole di un tempo ma parimenti umiliante, che gli veniva riservato se la regia delusione superava la scarsa pazienza.
Le dita invece gli sfiorarono la guancia e gli accarezzarono i capelli, trattenendo una delle ciocche più lunghe. Trasalì.
«Naora…»
Balzò all’indietro, liberandosi dal tocco sgradevole. La lampada a olio si rovesciò nell’impeto e la fiammella si spense. La mano del sovrano ricadde sulle coltri accompagnata da un rantolo.
«Sei tornata per vedermi morire?»
Mahati intercettò lo sguardo vacuo del padre. La voce non gli uscì. Digrignò le zanne e si rifiutò di concepire il silenzio come un groppo di remoto dolore.
«Naora, ahakineti… ciò che ho compiuto è stato per te…»
Il giovane sentì il sangue ribollire: nel volto malinconico e nella chioma d’onice Kaniša scorgeva sua madre e osava pronunciarne il nome. La chiamava se come fosse sua, come se ogni atto non fosse stato un abominio, una prevaricazione, un oltraggio alla memoria di lei. Perse il dominio di sé.
«L’hai uccisa con il tuo esecrabile egoismo! Ora la invochi, insultando ogni fibra di lei e di me che sono suo figlio! Che tu sia dannato!»
Gli serrò la mano al collo e strinse, deciso a spezzargli il respiro, a calare per sempre il sipario sul passato cruento che lo aveva messo al mondo.
Kaniša boccheggiò, piantando le unghie nelle stoffe preziose. Esalò un lamento e la fiacca opposizione si fermò.
Un solo movimento e sarebbe trapassato. Se lo avesse ucciso, gli Immortali l’avrebbero perdonato e l’anima di sua madre avrebbe riposato in pace. Rhenn sarebbe divenuto il nuovo sovrano e…
Rhenn sarebbe divenuto il nuovo sovrano.
Allentò la morsa, ansimando come fosse quello sul punto di soffocare. Un omicidio lo avrebbe reso identico a suo padre. Non poteva impedire che il sangue immondo da lui ereditato lo contaminasse, spezzare la catena che portava sul trono l’essere più dannato della loro stirpe.
L’anello che portava al mignolo brillò come la speranza.
Yozora…
L’immagine pulita della principessa si sovrappose alla tenebra. Ritirò la mano e arretrò, recuperando il raziocinio e richiamando i guaritori.
Kaniša giaceva scomposto sul baldacchino, ma era vivo e tossiva a caccia dell’aria che gli era stata interdetta. Quando la coscienza tornò, non parve ricordare che il figlio lo aveva condotto sulla porta dell’aldilà. Ascoltò il suo rapporto e lo congedò.
Mahati uscì come ubriaco. Si lasciò accarezzare dai soli alti nel cielo topazio, convinto che da solo non si sarebbe fermato. Un alito benevolo era intervenuto a dissipare il velo dell’astio. Ma estirparlo dal profondo del cuore era impossibile.
 
Kaniša si sentì stranamente energico. Affrontare un nemico rendeva forti, persino se l’avversario era il simulacro della donna per cui aveva perso la testa e l’orgoglio. Colei che ancora bramava dopo due secoli.
 
«La sposa inviata dal clan d’oltremare giungerà oggi, Kujul. Non occorre rammentarti che è tuo dovere accoglierla e onorare l’alleanza.»
Suo fratello gli aveva riservato un inchino rigido, ma aveva sorriso.
«Non chiedo di meglio, Kaniša. I guerrieri del nobile Suhail sono valorosi, da tempo desidero una moglie che riempia le mie notti e mi partorisca un erede.»
«Domandi deroga ai compiti di primo reikan
«Il permesso di condurla all’accampamento. Unirò l’utile al dilettevole.»
Il sovrano dei Khai aveva ricambiato la smorfia licenziosa: ampliare il clan reale avrebbe rafforzato la linea di sangue, lo yakuwa avrebbe garantito un sostegno dalle famiglie non invischiate nella politica di corte. Il principe della corona avrebbe goduto dell’appoggio dei futuri cugini, arginando le pretese di Ŷalda. Quell’arrogante buono a nulla aveva proposto il matrimonio con una delle figlie, ma lo aveva rifiutato. Rhenn era un ragazzino però prometteva bene: gli avrebbe trovato la moglie adeguata in tempi brevi.
Aveva lanciato un’occhiata a Hamari, assisa alla sua sinistra e bellissima. Se gli avesse dato altri discendenti e fosse stata meno indulgente, sarebbe stata perfetta. In troppe occasioni invece si era dimostrata tollerante, come con l’ultimo capriccio di Rhenn, che si era intestardito a suonare il chakde. Si era opposta al castigo che avrebbe impedito al suo successore di apparire rammollito o disonorare il clan.
Hamari rispettava la sua autorità in pubblico, ma una volta soli le discussioni erano all’ordine del giorno.
«Agisci come un despota e ti mostri indifferente ai reali bisogni del regno, Kaniša. Non ottieni altro che instabilità e discordia, il popolo obbedisce per paura, non perché ti riverisce. Questo vale anche per nostro figlio.»
Lui aveva spento l’alterco nell’amplesso, ne aveva tratto piacere senza placare l’irritazione.
«Non richiedo il tuo consiglio, bensì il tuo corpo. Spartire con me il talamo non ti autorizza a contestarmi. Pensa a darmi un altro erede e lascia a me la politica!»
«L’abolizione dei culti minori non è una decisione prudente. Scatenerai una guerra civile, quando strapperai ai sudditi non appartenenti ai clan il poco che possiedono. Non meritano di vedere la loro lealtà ripagata con la prevaricazione.»
«Ordinare ai cavalieri alati di non distruggere i templi non è ribellione a tuo marito? Non lo permetto, Hamari. Sei coraggiosa, caparbia e questo eccita il mio sangue: piegare ai miei desideri uno spirito tanto forte rende stimolanti i nostri incontri e ti salva da una pena esemplare. Ma è l’ultima grazia che ti concedo.»
Sua moglie non si era rassegnata e aveva continuato a prodigarsi per il popolo, così gli hanran erano proliferati. Una mancanza che le aveva rinfacciato fino all’ultimo.
 
Naora aveva a malapena ardito levare il capo per le presentazioni ufficiali ed era arrossita quando Kujul le aveva baciato la mano. Ne era rimasto colpito.
«È attraente. Tuttavia mi domando se, inviando lei, Suhail abbia onorato l’accordo senza impegnare le risorse migliori.»
«Il solito giudizio spietato, Kaniša. Concediamole un giorno, è la prima volta che lascia la casa di suo padre. E poi non abbiamo alternative.»
Aveva obiettato alle aspettative rosee del fratello, ma appena Naora aveva aperto bocca si era ricreduto.
«Porto la fedeltà del clan e il sangue valoroso dei Khai che vivono oltre Shamdar. Vengo per la vostra gloria, principe Kujul, e mi auguro che l’unione rechi prosperità all’intero regno.»
La voce era sicura, i movimenti fieri, la volontà ferma. Nessuna meraviglia che il fratello avesse affrontato le asheat una dopo l’altra, che rientrasse con eccessiva frequenza e procrastinasse la partenza per restare con lei, che la considerasse un dono prezioso e non un dovere. Naora lo aveva ricambiato con pari intensità: il legame indotto si era tramutato in un sentimento sincero e profondo. Pericoloso, se non fossero entrambi risultati veri Khai: insieme erano perfetti e i clan li guardavano con benevolenza.
Kaniša aveva cercato un difetto nella cognata, all’inizio per incrinarne l’immagine impeccabile, poi per curiosità, infine come àncora di salvataggio. Se avesse svelato una pecca, avrebbe smesso di sentirsi attratto da lei, non l’avrebbe più incontrata e non avrebbe immaginato di corromperne la rettitudine. Avrebbe smesso di bramarla, di pensarla, di invidiare il fratello, di detestarlo perché era lui a possederla.
Naora aveva compreso che era dominato da un ignobile ahaki. Lo aveva evitato, poi rifiutato con fermezza quando le aveva confessato la propria ignominiosa macchia. Così aveva reclamato l’aikaharr.
«È nel mio diritto, Kujul. Se gli ultimi sovrani non vi hanno fatto ricorso è perché non lo hanno ritenuto necessario. Non è un affronto a te o alle nostre leggi, le tue obiezioni sono fuori luogo.»
Non avrebbe mai scordato il volto disfatto del fratello, la mano che stringeva l’elsa della spada infoderata, la collera e l’angoscia trattenuti per decenza.
«Non puoi farmi questo, Kaniša! Hai un figlio, tua moglie è giovane, altri ne verranno! Giuro ai piedi del dio della Battaglia che non pretenderò il trono né per me né per un mio futuro discendente!»
«Ho deciso! L’aikaharr avverrà stanotte, non ti sottrarrai alla tua parte!»
«Hai stabilito di ignorare me, ma non puoi trascurare Hamari! Ti è devota, perché la costringi a sopportare un atto barbaro? Non posso credere che non ti sia preziosa quanto Naora per me! Entrambe ne soffriranno, non ti perdoneranno!»
«Si piegheranno alla volontà del loro sovrano, al bene del clan, al futuro del regno. I sentimenti sono banditi, il sangue demoniaco prevale sulle aspirazioni personali. La tua reazione è disdicevole! Provo vergogna per te, fratello!»
Il minore aveva abbassato le braccia, certo che non lo avrebbe dissuaso, squadrandolo con commiserazione.
«Ciò non vale per te, Kaniša?»
La sprezzante compassione di Kujul si era tramutata in collera, ma non aveva dato adito a un fytarei all’ultimo sangue. Aveva rispettato le decisioni e non aveva distorto la realtà con elaborate giustificazioni.
«Cosa riempie il tuo cuore abietto, fratello? Lussuria? No, ti saresti scelto una o dieci concubine per essere infedele a tua moglie e avresti soddisfatto gli impulsi senza ricorrere alla legge arcaica. Invidia? Nemmeno, possiedi una sposa incantevole e onesta, che ha il coraggio di volerti bene senza offendere il credo. Necessità? Tuo figlio è degno delle nostre speranze e un giorno sarà un dominatore migliore di te. Che ti rimane dunque? Sentimenti che non gestisci, dei quali hai curiosità e paura, che pensi di cancellare stanotte! Non sarà così! Ciò che detesti, che ti rende ignobile, ahaki, ha messo radici profonde. Sei una cancrena, corromperai chi ti è vicino!»
«In ginocchio! Offri le tue scuse o la tua vita!»
Kujul si era abbassato con lentezza, umiliandosi allo stremo per proteggere ciò che gli era caro. Nei suoi occhi color sabbia l’ira non si era estinta.
«Offro entrambe, domando il perdono del re e quello dei Superiori. Oggi muoio come fratello, come marito, come uomo: non dimenticare che sei stato tu a uccidermi.»
Gli aveva voltato le spalle senza essere congedato e lui, guardandolo abbandonare la sala del trono, aveva compreso che sarebbe stato un acerrimo nemico, testimone di una debolezza che non sarebbe dovuta affiorare.
Aveva annegato l’inquietudine dentro Naora, sfiorandole la pelle, intrecciando le dita alle ciocche nere, spingendosi con forza nel suo corpo, sussurrandole all’orecchio parole che non aveva mai pronunciato. Lei non lo aveva guardato. Si era offerta all’aikaharr come a un sacrificio umano, si era lasciata spogliare dalle sue mani smaniose, usare come fonte d’appagamento.
Non era bastata un’unica notte a placare l’eccitazione per una donna che ormai lo detestava. Aveva imposto altri aikaharr, indifferente alla feroce opposizione di Hamari, alle suppliche alternate alle minacce. Aveva ignorato lo sguardo ferito di Rhenn, che era giovane ma capiva l’oltraggio rivolto alla madre. Lo stesso sguardo che era divenuto freddo, carico d’odio inveterato.
Poi Naora era rimasta incinta: Mahati era legittimo e avrebbe messo al sicuro la successione, dunque l’aikaharr non aveva più ragion d’essere davanti ai Khai. Ma Kaniša non aveva rinunciato. Aveva emesso il verdetto interiore prima di renderlo ufficiale, aveva ordinato la battaglia in cui suo fratello non aveva avuto scampo. Kujul non era tornato e nessuno si era frapposto tra lui e la donna che lo aveva reso folle.
Nulla era andato come sperato e solo la fede nel potente Belker aveva alleviato la sua insanabile pena. O non era così?
 
Spense la lampada e attese che i farmaci facessero effetto. Sperò che Naora, almeno in sogno, lo guardasse negli occhi.
 

 
Hamari spalancò la tenda, come se la luce fosse indispensabile.
«Mahati è figlio del re ma non mio. Gli voglio bene come se lo fosse e ho giurato a sua madre che me ne sarei presa cura.»
Yozora trasecolò, volgendosi all’erede al trono.
«Perché non ve l’ho detto?» la anticipò questi «Per i Khai è legittimo che un sovrano senza successori prenda la moglie del fratello e conceda la propria. Lo chiamiamo aikaharr, evita che la famiglia reale si scanni per il trono. Non c’è modo di verificare il seme del padre, dunque la successione viene accettata senza contese. La pratica è stata abolita duecento anni fa. Siete al sicuro da me.»
Yozora ignorò la frecciata.
«Comprendo le ragioni per cui non desideriate parlarne e non contesto le regole. È altro che non capisco. Perché sua maestà ha deliberato lo scambio se voi eravate già venuto al mondo?»
«Un’osservazione intelligente. Dovresti risponderle, Eirhenn» conciliò Hamari.
«Cosa, madre!? Che colui che mi ha generato è la vergogna della nostra stirpe?»
«Che tuo padre, a suo modo, amava Naora.»
«È la stessa cosa! Un’infamia! Un Khai non ama! Proprio voi lo giustificate!? Siete stata oltraggiata, costretta a darvi al vostro iwadar
«Kujul non mi ha mai toccata. Kaniša era tutto per me, anche se non ha scusanti.»
«Avreste dovuto ucciderlo, sarebbe stato vostro in eterno! E avreste riscattato l’onore evitando di nascondervi come una sconfitta!»
Yozora trattenne il fiato ai termini tanto duri. Gli occhi viola di Rhenn erano un crogiolo di rabbia e amarezza, non lo aveva mai visto tanto fuori di sé.
«È questo che non mi perdoni?» mormorò la regina «Lo comprendo, Eirhenn, ma il sangue chiama altro sangue. Ne era stato versato a sufficienza con la morte di tuo zio, di Naora e della piccola appena nata.»
«Ciò sarebbe stato evitato, se gli aveste squarciato la gola nel sonno!»
«Tuo padre era prezioso per me, ma tu di più. Da quell’infausto giorno il mio unico scopo è stato proteggerti, non privare lui della vita.»
«Pensate che io creda a una tale pletora di fandonie!? Non sono più un moccioso, i fatti dimostrano che state mentendo!»
Hamari trasse un lungo sospiro.
«Non ti impedirò di detestarmi, ma ci sono particolari che non conosci, ōthysar. Il parto della terzogenita del re è stato complicato, però i guaritori erano fiduciosi. Nessuno avrebbe immaginato che Naora si sarebbe lasciata morire. Mi ha fatto giurare di accogliere Mahati e la bimba come se fossero miei, ho dovuto accettare il suo rifiuto di farsi curare, perdere la mia adorata kalhar. La mia unica amica si è spenta tra le mie braccia e la piccola l’ha seguita. Sono rimasta a Mardan finché non ti ho reputato pronto per affrontare la corte e per salvaguardare tuo fratello.»
«Pronto!? Sapete che significa vivere alla capitale!?»
«Per questo ho accettato il matrimonio con Rasalaje, sebbene tu fossi molto giovane. Sarebbe stata un appoggio e un affetto.»
«Invece non ho avuto nulla, tranne l’onta di voi, che siete fuggita tra gli hanran
«Non potevo rimanere con Kaniša. Ho scelto di pregare l’unica dea che non induce i Khai a comportarsi come bestie e non ho mai smesso di pensare a te.»
Ci sarò sempre, Eirhenn. Cercami nel momento in cui ti sentirai debole e sconfortato, raggiungimi quando la parte più profonda di te avvertirà il bisogno di una madre, quando l’odio rischierà soffocare la ragione. È semplice divenire sovrani, complesso diventare uomini…
«E vi sentite fiera del mio orgoglio khai? Nessun cedimento, nessuna necessità! Un uomo, un futuro re che non ha bisogno di voi!»
Yozora lo scorse passare dalla collera all’abisso. Il principe sedette con la testa fra le mani, incapace di contenere le emozioni.
«Mi hai abbandonato, mamma. È l’unica verità. La accetto, ma non ti perdono.»
   
 
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