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Autore: Dorabella27    07/12/2021    13 recensioni
Qualche tempo fa, nel mese di luglio, pubblicai su questa piattaforma un racconto, una one shot cross over ispirata non solo ai personaggi di Ryoko Ikdea, ma anche al mio romanzo preferito, quello che mi ha fulminato sin da quando ero poco più che bambina, tanto da tradurmelo io stessa da sola dal francese, quello che, da sempre, ho associato a Oscar e André, quando immaginavo di vedere addirittura i personaggi dell'anime sbucare tra le inquadrature del film tratto dal libro, visto e rivisto sino allo sfinimento.
La one shot, "Aveva uno scopo", è stata accolta da un insolito favore, e molti mi hanno chiesto, anche in privato, un seguito, in cui ho cercato e cercherò, come spesso faccio, di alternare toni e sfumature. E dunque, ecco qui: la one shot diventa il primo capitolo di una long - non molto long, se mi conoscete bene, ormai - e, di seguito al primo capitolo, che qualcuno di voi conosce già, troverete subito il secondo. Come vi ricorderete, ci troviamo in una mattinata nevosa del dicembre 1782, e, in quel clima ovattato e fatato, il Comandante delle Guardie Reali, Oscar François de Jarjayes riceve una singolare richiesta ...
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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IV Cena e dopocena
 
La cena era stata servita alle sette e trenta in punto, come sempre nella magione di Arras, quando erano presenti i padroni.
 
Oscar e Hortense sedevano ai due capi del lungo tavolo. Oscar, sempre di pessimo umore, non aveva detto una sola parola, eccetto: "André, siedi qui", indicando il posto alla sua destra, un gesto che era stato accolto dalla Contessa Hortense con un'alzata di sopracciglio.
"Davvero, Oscar, posso mangiare in cucina", avrebbe voluto obiettare lui, rifiutando il tetro privilegio di poter sedere al tavolo padronale, sotto gli occhi critici di Hortense; ma aveva subito intuito che una simile obiezione avrebbe spazientito Oscar, che non stava concedendo un privilegio a lui, e nemmeno aveva parlato per indispettire la sorella, ma, semplicemente, desiderava avere accanto, durante quel pasto che avrebbe sbocconcellato e che le sarebbe andato tutto in fiele, una presenza amica, di fronte alla quale Hortense si sarebbe astenuta di dare la stura a una serie di sgradite, e per Oscar imbarazzanti, lamentele sulla sua pessima vicenda matrimoniale e sugli affronti alla sua dignità che era costretta a tollerare.
Senza conversazione, e senza altro suono che non fosse il tintinnio assordante delle forchette e dei coltelli sui piatti, la cena scivolò via velocemente. "Credo che mi ritirerò nella mia stanza: sono piuttosto affaticata e infreddolita dopo il lungo viaggio", disse Oscar, alzandosi mentre ancora si tamponava le labbra con il tovagliolo di fiandra candida, seguita subito dopo da André. E, appena arrivata alla soglia della sua camera, senza avere pronunciato una sola parola mentre percorreva il lungo corriodoio, lo congedò con un: "Buonanotte André: ti inviterei a leggere con me qualche ode di Orazio, ma sono troppo stanca", e, aperta la porta, sparì subitaneamente dietro il quel legno massiccio senza pronunciare una sola sillaba in più.
 
        Se Oscar era nella sua camera, alle prese con la fonte Bandusia e le nevi del Soratte, e - André ne era certo - in compagnia di una bottiglia di brandy, Hortense - giacché sarebbe stato disdicevole per una nobildonna indulgere nei superalcolici e nei liquori - ci aveva dato dentro con lo champagne: quando André, dopo qualche ora passata disteso sul letto nella sua stanza leggendo il “Candide", andò nel salottino cinese per controllare che le candele fossero spente per la notte, trovò la contessa Hortense addormentata sul canapé rivestito di seta rossa ricamata con dragoni d'oro, la testa riversa sul bracciolo rigido, e il braccio destro che sfiorava a terra una bottiglia di champagne, vuota; raccogliendole, André vide, poco lontano, alla luce della sola candela ancora accesa, altre due bottiglie. Mentre le riportava in cucina, rifletteva fra sé su come, in casa Jarjayes, fosse decisamente diffuso un certo gusto per le buone bottiglie: sua nonna si preoccupava della propensione di Oscar - in questo, seguita e, anzi, coadiuvata da lui - a trascorrere le nottate a bere nelle taverne parigine, e lo rimproverava regolarmente ("Non ti vergogni a portare Madamigella Oscar in quei postacci? Il tuo compito dovrebbe essere quello di tenerla al riparo dai pericoli e dalle cattive abitudini, non di ubriacarti con lei!"); e forse erano ancora peggiori i rimproveri che gli toccavano quando la nonna scopriva, al mattino, che lui e Oscar avevano passato la serata bevendo cognac e giocando a scacchi, o leggendo in biblioteca ("André! Dovresti vietare a Madamigella Oscar di bere in questo modo, in casa, poi! Il Generale potrebbe aversene a male! E poi, il resto della servitù ha occhi e lingue affilate!"); per non parlare di quando la nonna, rifacendo il letto di Oscar e rigovernando la sua camera trovava, in un angolo, o sotto il letto, una bottiglia di bordeaux vuota ("Dove sarebbe la buona influenza che dovresti avere su Madamigella Oscar, André? Non ti ricordi più l'incarico che il Generale ti ha dato mettendoti al suo fianco? E non sai che quando una donna, una damigella, beve da sola, la cosa si viene subito a sapere? Non hai proprio nessun riguardo per la reputazione di Madamigella Oscar?").
 
        Ma, del resto, Hortense, a quanto pareva, amava smodatamente lo champagne; e non era nemmeno un mistero che Clothilde, alcune sere, dopo la visita nelle sue stanze del marito, il Marchese di Marivaux, cercasse sempre di addormentarsi con il viatico di qualcosa di forte, certo per farle dimenticare il disgusto di quegli incontri ravvicinati; la moglie del Generale, poi la soave Comtesse Marguerite, nel cassetto segreto della sua toeletta, custodiva - se si doveva credere alla sua cameriera personale - una nutrita scorta di vezzose bottigliette di rosoli e di liquori alla frutta; e da questa riserva segreta attingeva nelle serate - ed erano ormai molte - in cui il Generale non si palesava nemmeno a tavola, per la cena, ma restava nel suo studio, concentrato sulle carte topografiche e militari, e riflettendo, con malumore crescente, su come fosse possibile che quell'imbecille del Conte di Girodelle, che a stento sapeva distinguere un fioretto da una sciabola, avesse avuto sette figli maschi, uno più stupido dell'altro, eccetto l'ultimo, quell'elegantone dai lunghi capelli sempre perfettamente incipriati, che, quanto meno, quando non era a caccia di gonnelle per i corridoi della Reggia, si faceva onore come vice-comandante della Guardia Reale, agli ordini di Oscar; mentre a lui, il Generale Jarjayes, discendente da una lunga stirpe di militari che avevano onorato con il loro coraggio e il loro sangue la dinastia dei Borboni, la sorte aveva elargito sei figlie femmine, una dopo l'altra. Per fortuna, l'ultima, Oscar, l’ultimogenita, si era rivelata pienamente all'altezza delle aspettative, ed era cresciuta come il più degno e desiderabile degli eredi; ma Oscar,  a sua volta, non avrebbe mai avuto figli, e la rovina del nome Jarjayes, la fine della famiglia, era stata solo rimandata di una generazione, visto che nemmeno una delle cinque figlie maggiori era riuscita a produrre un erede maschio, da insignire del doppio titolo, affiancando al nome del padre quello degli Jarjayes.
 
Stranamente, però, rifletteva André, il Generale, quell'uomo amaro e severo, che sembrava concentrare in sé tutti i pregi e i difetti più spiccati della virilità, non aveva alcuna propensione per il bere, ma era, anzi, di una sobrietà rara e ammirevole, agli occhi degli estranei, e che era invece il segno esteriore di una freddezza e rigidità di cui egli per primo era stato vittima; il vino, i liquori, le carte, il gioco d'azzardo, il libertinaggio, erano tutti piaceri che gli erano sconosciuti, unicamente inebriato come era della gloria del casato e dei meriti militari che aveva accumulato negli anni e decenni passati al servizio di sua Maestà.
 
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"Contessa", mormorò André, una volta riportate le bottiglie in cucina e ritornato nel salottino cinese, il tono di voce atteggiato a cerimoniosa cortesia. Non poteva lasciarla lì, a predersi una infreddatura, o un mal di schiena, su quello scomodo canapé, nella stanza dove il camino si era ormai spento.
 
"Contessa, vi prego, la vostra stanza è preparata e un bel fuoco sta già scoppiettando nel camino", ritentò André. Nessuna reazione. André si maledisse, e maledisse la sua sfortuna. Se si fosse trattato di Oscar, non ci sarebbe stato nessun problema: quante volte l'aveva sollevata e, passato un braccio di lei attorno alle sue spalle, e sostenendola per l'altro fianco, l'aveva condotta, ubriaca, nella sua stanza, guidandone i passi mentre era semi-incosciente? Ma poteva farlo con Madame la Comtesse de Brissac - Montségour? Certamente no. Avrebbe dovuto occuparsene, forse, la sua cameriera, Marie, una rubizza bretone che però, al momento stava russando, seduta al tavolo della cucina, con la testa china sulle braccia conserte, e davanti a sé una bottiglia di robusto vino rosso italiano, prelevata dalla riserva speciale del Generale. "Maledizione!", si era detto, "possibile che a casa Jarjayes bevano tutti come spugne?!", e gli era sfuggito un sorriso, pensando che, in certe occasioni, aveva colto anche sua nonna con le guance arrossate e l'alito che sapeva di Borgogna.
 
"Contessa", ripeté ancora, a voce leggermente più alta, rispettosamente chinato verso la figura accasciata sul canapé. "Contessa di Brissac-Montségour", chiamò per l'ennesima volta. Che doveva fare? Non gli passò nemmeno per l'anticamera del cervello l'idea di andare a bussare alla porta di Oscar per chiederle di aiutarlo a portare la sorella a letto.
 
"Hortense!", chiamò infine, passando al "tu", che aveva usato per l'ultima volta molti anni fa, quando era solo una ragazzina già consapevole che non avrebbe mai potuto fargli girare la testa, non a lui, e prendendole la mano, scuotendola. E finalmente la donna biascicò qualche sillaba indistinta, aprendo un occhio, con la bocca ancora impastata di champagne.
 
"Mmmmmhhhh.....André? Ma che ore sono?".
 
"È mezzanotte e mezza, Contessa. Mi permetto di farvi notare che forse sarebbe meglio se vi ritiraste per la notte: il salottino cinese è troppo freddo".
 
"MHHHHH, sì...uhhh", sbadigliò Hortense, ancora, all'apparenza, mezza ubriaca, coprendosi la bocca con il dorso della mano. "Sì", ripeté, raddrizzandosi sul canapé; e poi aggiunse: "Dite al Conte mio marito, André, che.."
 
"Ehm, Signora Contessa", la interruppe imbarazzato André, "Ho l'ardire di ricordarvi che il Conte di Brissac-Montségour non si trova qui ad Arras con voi".
 
"Ah, no?". Hortense adesso gli aveva piantato in faccia due occhi azzurrissimi, sgranati e stupiti: evidentemente non era mezza ubriaca; era proprio ubriaca fradicia. Eppure, riuscì ad alzarsi con sufficiente sicurezza; ma subito dopo, non riuscendo a restare saldamente in piedi, ripiombò di schianto seduta sul canapé.
 
Raramente André si era sentito così imbarazzato come quella notte, di fronte a quella donna sempre così sussiegosa ed elegante, conscia della sua bellezza e del suo rango sino a diventare odiosa, e che adesso sembrava comicamente smarrita.
 
"Ah, no: è vero! Mio marito è rimasto a Parigi", mormorò, con voce torbida e pensosa, alzando l'indice sinistro, e poi lasciandosi sfuggire un singhiozzo che copriva un suono molto poco adatto alla tenera gola di una nobildonna. André sorrise, imbarazzato, nella penombra fitta.
 
"Esattamente, Madame la Comtesse. Adesso, se me lo concedete, potrei darvi il braccio e accompagnarvi sino alla vostra stanza: non è salutare dormire vestite in una stanza fredda in questa stagione", e già André si era chinato e si protendeva verso Hortense, quando la donna gli chiese, con un tono di voce fattosi improvvisamente stizzoso e provocatorio, che sembrava proprio quello di chi fosse perfettamente padrone di sé: "E sapete perché mio marito è rimasto a Parigi? E perché io sono venuta qui a passare il Natale tutta sola, se non foste arrivati voi?"
 
"No, Madame la Comtesse. Lo ignoro", rispose cortesemente André, rialzandosi.
 
"Perché mi ha tradita. Per l'ennesima volta", disse in tono secco Hortense. "Sedete qui", e, con mano ferma, gli prese una manica della marsina, e lo costrinse con uno strattone a sedere a fianco a lei; poi continuò guardando diritto di fronte a sé, nella penombra del salottino illuminato dall'ultima candela: "E non con le solite filles de joye delle case di tolleranza; quelle, bof! - e fece un gesto nell'aria con la mano, a indicare la sua totale indifferenza- "non le metto più nemmeno in conto! E nemmeno con quella mercantessa di vini, che  - lo saprete certo, visto che a Versailles non si fa altro che spettegolare - oltre che avere otto, no, nove, no undici anni più di me, e avere le mani screpolate, e una guancia e il naso segnati dal vaiolo, gli ha anche dato un figlio, maschio, ovviamente! Ma adesso mi tradisce con una giovane attrice della Comédie Italienne! Ci pensate, André?".
 
Agitava le mani nel buio, ed era costernata e indignata, col ditino della mano sinistra levato, insieme comica e tragicamente, profondamente indignata. E la sua indignazione - rifletteva André, lucidamente imbarazzato a morte - sarebbe cresciuta a dismisura se la mattina dopo, passata la sbronza, la contessa avesse ricordato di avere confidato i suoi dispiaceri coniugali all'attendente della sorella, a un servo, come l'aveva chiamato sprezzantemente una volta, rivolta a Oscar, mentre credeva che André fosse ancora nelle cucine e non fosse già alla porta dell'orangerie con il vassoio della cioccolata.
 
"Mi chiedo a volte che gusto ci troviate, sorella cara, a passare le vostre serate in casa a giocare a scacchi e a carte con quel servo, invece di frequentare i balli e le feste organizzati da qualche famiglia comme il faut!".
       
 
"Ci provo il gusto, cara sorella, di riposare con una persona amica e che non spreca fiato raccontando pettegolezzi e sciocchezze, dopo una giornata di lavoro intenso insieme al mio reggimento, e prima di tornare, di lì a poche ore, ancora a Versailles a prestare servizio per un'altrettanto lunga giornata", aveva risposto Oscar, piccata e insieme tranquilla. E allora lui si era palesato oltre la soglia, come se fosse arrivato in quel momento, e aveva messo davanti a Oscar e a Hortense le loro tazze, versato la cioccolata, e si era rispettosamente defilato, raggiunto, pochi secondi dopo, da Oscar, che, senza dire una sola parola di commiato alla sorella, si era alzata, lasciando la cioccolata a freddarsi nella tazza, ed era uscita dall'orangerie.
"André, sella i cavalli: ho voglia di andare a fare una lunga cavalcata. Vieni con me?".
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Adesso, invece, Hortense aveva voglia di confidarsi. Lo champagne rende espansivi, aveva pensato, André. Speriamo che domani non si ricordi di nulla, aveva pregato mentalmente.
"E sapete, André, quell'attricetta, quella ... Léopoldine  - ma vi sembra un nome da cristiana?! Non chiamerei la mia cagnetta così! - nemmeno sa che cosa sia la discrezione, no! Dovreste sentire come si gloria di essere la maîtresse en titre, l'amante ufficiale, del conte di Brissac - Montségour. E sapete che è una piccoletta con gli occhi strabici e senza petto?". Era veramente fuori di sé; e ora si era volta verso di lui, e lo fissava, nella penombra che diventava buio pesto, mentre solo il chiarore della luna piena di dicembre entrava dalle finestre con le tende ancora scostate.
 
"Insomma, André! Ditemi: che cosa ho che non va?!" Adesso, Hortense aveva aperto le braccia, i gomiti aderenti al busto, mentre la testa dondolava a sinistra e destra e le parole le uscivano a raffica, appena un po' imbrogliate:"Prima mio marito mi tradisce con una donna del popolo, una vecchia, con il volto deturpato dal vaiolo, o da che so io, con le mani screpolate, avvezza a maneggiare i soldi dei clienti, ma si sa, quelle svergognate devono compensare certo i loro difetti fisici con ...con ....con che so io, ma con quel che piace agli uomini! E poi, mi tradisce con una piccoletta strabica e senza forme, quando, quando io..." Si era alzata in piedi e, lasciato cadere lo scialle di lana rosa, leggera e soffice, in cui si era ravvolta quella sera, indicava il suo decollété perfetto, messo in mostra dalla scollatura quadrata e strizzato dal corsetto. "Vi pare possibile, Andrè?!". Fece un passo, e, malcerta sulle gambe, si sbilanciò, e sarebbe caduta in avanti, con la faccia a terra, magari rompendosi il suo bel nasino all'insù, di cui era sempre stata tanto fiera, se André non l'avesse sostenuta, prendendola per le braccia e mettendosi con uno scatto davanti a lei. Hortense si era trovata con il volto a poca distanza da quello di lui, e aveva cominciato a piangnucolare, querula. "Oddio, ecco un'altra che ha la sbornia triste", pensò André.
Che serata ignobile....
 
"Come siete buono, André! Non siete come mia sorella Oscar, che non mi ascolta mai quando provo a spiegarle quanto sono infelice...:", continuava nel frattempo Hortense; e André, al pensiero di una Oscar, magari alticcia e un poco torbida e cupa, come sempre le accadeva quando aveva bevuto un paio di biccheri di troppo da sola, costretta ad accogliere le confidenze alcoliche della contessa di Brissac-Montségour, desiderosa di aprire il cuore alla sorella sulle sue disavventure coniugali, non poté trattenere un sorriso, fortunatamente coperto dal buio del salottino, benché la situazione fosse a dir poco drammatica.
 
"Come siete buono, voi, André!", ripeteva nel frattempo la contessa, sempre artigliandogli la marsina e il fazzoletto da collo, " Mio marito, lo sapete, mi avrebbe lasciato cadere faccia a terra! Ma voi siete buono, voi siete gentile, voi vi preoccupate della gente....", e dopo aver rumorosamente tirato su col naso, gli aveva posato un bacio sulle labbra, con la bocca che sapeva di vino. André, allibito, aveva sentito un brivido di terrore nella schiena l'aveva subito allontanata e lasciata: quella donna era chiaramente fuori controllo, e fuori di sé. "Madame la Comtesse, io non credo che.....penso che dovreste ritirarvi. E anche io, ecco, è bene che mi ritiri dopo questa giornata così pesante".
 
"No! Non ve ne andate André". Ora Hortense de Brissac-Montségour era in ginocchio ai suoi piedi, e lo strattonava per una gamba, e per la coda della marsina. "Non lasciatemi sola anche voi....non mi lasciate.,...", e giù lacrimoni lungo le guance. André in altri momenti di sarebbe messo a ridere, di un riso genuino e spensierato, di fronte a quello spettacolo, e con la consapevolezza di come tre bottiglie di champagne erano sufficienti a polverizzare le differenze di classe e ceto, e l'albagìa di una contessa. Ma in quel momento Hortense ubriaca gli faceva solo una gran pena, e la aiutò a rialzarsi, sperando di riuscire a farle fare qualche passo e a condurla almeno alla porta della sua stanza. "André, guardatemi! Ma vi sembro da buttare via?" Adesso, con le dita tremanti e senza vederci quasi nulla, Hortense aveva allentato i lacci del vestito e del corsetto e gli stava mostrando il seno: "Che cosa c'è che non va in me?! Voglio saperlo!" André si era coperto il volto con le mani, che adesso Hortense, scarmigliata, ubriaca, mezza svestita, cercava di togliergli da davanti agli occhi. "No, no, André! Voi siete buono, voi conoscete il mondo, voi dovete dirmelo! Che cos'ho che non va? Perché mio marito preferisce quella donna piatta come una tavola da falegname e con le gambe storte?".
"Contessa, davvero, io devo andare!", ripeteva André, sbigotitto e morto dall'imbarazzo, e dalla paura, mentre quella continuava a brancicargli le maniche, il fazzoletto da collo, i pantaloni. Adesso si era rialzata in piedi, e aveva piegato la gamba, e appoggiato un piede sul canapé, sollevando l'ampia gonna e scoprendo la coscia, chiedeva fra le lacrime, balbettando e imbrogliandosi con le sillabe: "André, ma che cos'hanno le mie gambe che non vanno? Eh? Non sono belle? E sode? Toccate qui!", e nonostante André, al colmo della vergogna, cercasse di divincolarsi, non tropppo energicamente però, per non rischiare di farle del male, Hortense, approfittando del fatto di non essere respinta con violenza, gli afferrò la mano e ne posò il palmo sulla sua coscia.
 
In  quel momento, la porta si spalancò e una Oscar in tenuta da casa, camicia bianca che occhieggiava da sotto la vestaglia maschile di damasco rosso, entrò nel salottino con un doppiere in mano. "Ma che cos'è questo baccan...ANDRÉ! HORTENSE! Ma che sta succedendo qui? Non ti vergogni?!".
 
Non era del tutto chiaro a chi dei due fosse diretta l'ultima domanda, ma il tono con cui fu pronunciata ebbe l'effetto di far rinsavire immediatamente Hortense, che realizzò in quel momento di essere discinta e seminuda di fronte all'attendente della sorella, con la mano di lui sulla coscia, sotto gli occhi critici di Oscar, i quali, dietro le fiammelle delle candele che reggeva, dardeggiavano come fiamme azzurre.
"Oscar, non è come sembra! Non crederai che ..:", disse André, al colmo della preoccupazione, e sudando freddo, mentre Hortense, lanciato un gridolino di disperazione, esclamò: "Ah! Mon Dieu! Quelle honte!!!!", e cercò di scappare via, per ricomporsi in corridoio e guadagnare la sua camera; ma si sbilanciò e cadde a terra, sulle ginocchia, e solo grazie a un barlume di riflessi superstiti riuscì ad appoggiare i palmi delle mani sul pavimento, per attutitire la caduta e non rompersi il naso sul marmo rosa di Candoglia. Oscar le si avvicinò, con tre passi decisi e severi, e la sollevò per un braccio: "Ma tu hai bevuto, Hortense! Sei ubriaca!", la rimproverò, una volta sentito il suo alito."Vieni! Ti riporto nella tua stanza!", disse, un po' sostenendola, e un po' strattonandola.
 
"Oscar, ti aiuto", si offrì André, slanciandosi in avanti.
 
"Non ti preoccupare: tu hai già fatto abbastanza, per oggi!", ribatté lei, gelida, e, poi, spingendo avanti Hortense con una decisione ai limiti della malagrazia, si allontanò dal salottino.
 
Rimasto solo, André spense l'ultima candela, che stava morendo lentamente, e si lasciò cadere sul canapé, prendendosi la testa fra le mani.
 
Che razza di situazione!
 
Per fortuna Oscar lo conosceva bene, e non poteva certo pensare che lui stesse .... quasi non riusciva a formarsi nemmeno nella mente quel verbo ... approfittando della sorella; aveva ben visto come Hortense fosse completamente ubriaca, incontenibile, e certo capiva che lui aveva cercato di frenarla, ma, non potendo ovviamente usare le maniere forti ... se lo diceva e se lo ripeteva, ma non riusciva a togliersi dalla testa l'occhiata di Oscar, in cui si mescolavano incredulità, furia, delusione e ... gelosia?
O era solo lui che sperava di avere colto negli occhi di lei le ombre di quel sentimento?
 
André rimase per qualche tempo a riflettere, umiliato, scoraggiato, afflitto, annientato, sino a quando i rumori al piano di sopra - parole sconnesse di Hortense, il tono di voce fermo e gelido di Oscar, suono di passi nel corridoio, e di porte sbattute - non cessarono; poi, una volta spenta anche l'ultima brace nel caminetto, André uscì dal salottino. Prima di entrare nella sua stanza, bussò alla porta di quella di Oscar. "Oscar, tutto bene?". Nessuna risposta. "Oscar, io....". Che cosa poteva dire? Da dietro la porta, non veniva nessun rumore. Segno che Oscar già dormiva. O era talmente adirata da non voler rispondere e da voler stare sola: nell'un caso e nell'altro, era perfettamente inutile sprecare fiato in spiegazioni inutili, in quella condizione e a quell'ora. E così André si ritirò nella sua stanza, e, infilatosi sotto le coperte, cadde in un sonno plumbeo e triste, senza sogni e senza leggerezza, da cui si risvegliò all'alba più stanco e spiritualmente ammaccato di quando si era coricato.
 
 
Ve l’avevo anticipato, vero, che in questa ff mi sarei divertita a variare un pochettino la tonalità – passatemi il termine  - fra le varie parti del racconto? Ed ecco qui, un quarto capitolo con inserti da commedia, o forse, da farsa italiana, quella che andava di moda nei teatri del tempo. Se poi qualcuno fosse appassionato di commedia all’italiana, secondo me riuscirebbe facilmente a risalire al film che mi ha ispirata! E dunque, ecco una situazione certo grottesca, su cui si chiude l’episodio. Oscar è indignata ... o gelosa? E soprattutto, è consapevole della differenza fra i due stati d’animo?
Poi, prometto che varierò ancora registro: elegiaco, sentimentale, drammatico (non troppo)... per un Natale senza noia. A chi mi legge e mi dedica il suo tempo, grazie davvero!
   
 
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