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Autore: Evali    08/12/2021    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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GLI OTTO VIZI CAPITALI (parte 3)
 
Intorno a lui vi era la desolazione.
Riconosceva quel luogo, molto bene, dai suoi ricordi che risalivano dall’infanzia al presente.
Il terreno sconfinato della galleria.
L’assenza totale di suono era a dir poco destabilizzante.
Non c’era vento, nè pioggia, nè sole.
Poi, improvvisamente, cominciò a visualizzare dei corpi, delle figure muoversi, camminare barcollando.
Erano figure che riconobbe bene.
Sua madre, suo padre, suo fratello, padre Craig, Judith, Quaglia.
Tutti sfigurati e in punto di morte, a causa dell’epidemia che aveva colpito Bliaint.
Continuavano a barcollare senza vita, senza scopo, come cadaveri risvegliati.
D’un tratto, i suoi occhi vennero attirati dall’entrata buia della galleria.
Da essa fuoriuscì una figura. Minuta, con il vestitino troppo largo per il suo corpicino.
Bonnie gli sorrideva a distanza, appena uscita dalla galleria. Un sorriso inquietante e privo di preoccupazioni.
In mano aveva un’orribile Mandragora appena sradicata, con ancora la terra tra le radici.
Improvvisamente, il tremendo urlo acuto della Mandragora invase le sue orecchie e l’ambiente circostante, costringendolo a tapparsi le orecchie con forza.
Quando l’urlo terminò, si accorse di essere ancora vivo.
Ma lo stesso non valeva per le persone barcollanti che vi erano lì intorno: ora erano tutti stesi a terra, senza vita e con le orecchie sanguinanti.
Quando si rivoltò verso l’entrata della galleria, Bonnie non c’era più.
“Il Mostro è Dietro di te” udì quel sussurro roco da parte della bambina, proveniente alle sue spalle.
Si voltò di scatto, ma al posto della fanciullina trovò due calderoni uguali, contenenti due metalli fusi e bollenti che riconobbe immediatamente.
Il suo stomaco si attorcigliò in un groviglio: uno conteneva oro fuso, l’altro piombo.
“Infila le mani” sussurrò di nuovo la voce inconsistente di Bonnie nelle sue orecchie.
Tuttavia, il suo istinto di sopravvivenza ebbe la meglio e non la ascoltò.
“Infila le mani” ripetè con più vigore quel sussurro agghiacciante, costringendo ad ascoltarla.
Il ragazzo infilò il braccio destro nel calderone contenente il piombo incandescente, bruciandosi e squagliandosi tutta la pelle e la carne dell’arto.
Afferrò qualcosa sul fondo, e lo tirò fuori, trovando il suo avambraccio divenuto un groviglio di ossa e sangue.
Le mani stringevano a sè un corpicino.
Il ragazzo lo osservò a lungo, senza capire cosa fosse: non era nè un bambino, nè una bambola.
Sembrava una via di mezzo: era troppo reale per essere un fantoccio, ma era anche troppo piccolo e deformato per essere un bambino.
 Sembrava più ... un ometto in miniatura.
“Infila l’altra mano”. Ascoltò nuovamente e infilò anche il braccio sinistro nel metallo bollente, questa volta nell’oro, avvertendo di nuovo il dolore inumano della sua carne che si liquefaceva, macchiando la superficie dorata.
Anche stavolta afferrò qualcosa sul fondo, ma stavolta molto più difficile da artigliare.
Quando lo tirò fuori, realizzò con orrore si trattasse della testa del Giudice, senza occhi e senza lingua, esattamente come lo aveva lasciato in quel seminterrato.
Lasciò andare quella testa immediatamente facendola rimmergere nell’oro fuso, restando con solo l’ometto inquietante nella mano.
Quest’ultimo aprì improvvisamente gli occhietti vitrei e iniziò a dimensarsi con impeto, spaventandolo.
“Dietro di Te” di nuovo Bonnie lo richiamò alle sue spalle, facendolo voltare di nuovo verso il “Mostro”.
Stavolta la trovò davvero, in piedi, sin troppo vicina a lui, che lo guardava dal basso con gli occhietti, il naso e la bocca orribilmente pieni di terra.
- Perchè lì ci sei riuscito?? - gli domandò la bambina con tono d’accusa.
- A fare cosa..?
- A trasformare il piombo in oro! Come ci sei riuscito??
- Non lo so!
- Come hai fatto?
- Non lo so. Quando me ne sono andato quell’oro è ritornato piombo!
- Ma ci sei riuscito comunque per un attimo!
- Non ne sono sicuro!

- Devi riuscirci di nuovo, Blake. Se non lo farai non avrai più pace. Io non ti darò più pace.
- Tu non sei reale.
Ella sorrise in risposta, in modo distorto, crudele. – Ne sei sicuro? – gli domandò poi voltando gli occhi verso la sua mano destra. – Dovresti stare attento a lui – gli disse osservando l’ometto. – Potrebbe mordere.
Si alzò di scatto da quel sogno, ansimando.
Era mattino e si era appisolato seduto su una sedia, con la testa sul tavolo della cucina, mentre faceva colazione.
Le numerose ore di sonno perse e arretrate si stavano facendo sentire, ma non avrebbe più ceduto.
Si alzò, si attivò, scrisse un messaggio da far recapitare a Judith e si preparò per uscire di casa.
 
Camminò spedito, con la testa completamente invasa da quel sogno fatto poche ore prima, tanto da farlo tremare mentre si muoveva. Le mani gli facevano ancora male a causa dell’ustione avvenuta nel sogno, nonostante sapesse benissimo non fosse stata reale.
Eppure, il dolore atroce lo era stato.
Se le guardò per l’ennesima volta, involontariamente, trovandole perfettamente intatte.
La mente gli tornò anche al ricordo avvenuto alcuni minuti prima, ancora vivido nella sua memoria:
Ephram aveva appena terminato di fare la seconda sessione di evocazione degli antenati di Quaglia.
Blake si era avvicinato all’uomo quasi immediatamente, con gli occhi avidi di conoscenza che gli brillavano più che mai. Quaglia aveva aperto gli occhi, trovandoselo davanti. Il suo sguardo era ancora vuoto, quasi in trance.
- Homuncolus – era stata la sua unica parola.
Blake ed Ephram si erano guardati, ognuno cercando risposte nello sguardo dell’altro.
- Che significa?
Quaglia era incerto, neanche lui sapeva come mai quella parola lo avesse scosso tanto. – I miei antenati. Lo hanno sussurrato una miriade di volte. Non so se l’ho solo sognato oppure ...
- Che altro?
- Homuncolus. Il fantoccio che contiene l’anima nera dell’uomo. Non so altro. Mi spiace ...
Blake camminò ancora velocemente, le sue falcate avrebbero messo in difficoltà persino un fuggitivo.
Entrò nella cattedrale del Creatore senza guardare in faccia nessuno, diretto verso la sua meta, completamente estraniato dalla realtà.
- Even Blake?
Quella voce sconosciuta che aveva improvvisamente chiamato il suo nome lo aveva riscosso e riportato alla realtà.
Il ragazzo si voltò verso chiunque lo avesse chiamato, togliendosi il cappuccio.
Un monaco, seguito da altri tre, tutti con un grande sorriso stampato in faccia, lo raggiunsero, osservandolo.
- Siete qui per la vostra amata, supponiamo. Ella ci ha riferito poco fa che le avreste fatto visita questa mattina. Oh, ma che maleducato, io sono padre Thomas! – gli disse affabile, stringendogli una mano nella sua, facendogliela ritirare immediatamente indietro a causa del dolore.
Padre Thomas gli rivolse uno sguardo preoccupato. – Avete dolore alle mani per caso? Vi è successo qualcosa?
- No – rispose secco Blake, pensando che quel monaco si stesse prendendo troppe libertà e confidenze per i suoi gusti.
Lo guardò incerto, alzando un sopracciglio. - Il piacere è mio – gli disse, cercando di sembrare normale. - Sì, sto andando da Judith.
- Oh, ma vi prego, toglietevi il mantello, fate come foste a casa vostra qui.
- No, grazie, preferisco tenermelo per ora. Sto risentendo ancora del freddo esterno – gli rispose continuando a guardare quei monaci in evidente stato di confusione.
Loro gli sorrisero ancora, e un altro gli si avvicinò. – Dunque? Avete già deciso la data di nozze?
Blake impietrì in risposta. – Cosa...?
- Certo, non c’è fretta, d’altronde la nostra cara Judith darà alla luce il vostro piccolo miracolo tra mesi. Nessuno vi corre dietro. Tuttavia, eravamo solamente curiosi di sapere se aveste già un’idea a riguardo.
- Per i preparativi! – aggiunse un altro, con sin troppa enfasi. – Sapete, noi conosciamo le migliori sarte del nostro culto. Elle non hanno mai realizzato abiti per dei servi del Diavolo, ma hanno da sempre realizzato splendidi vestiti per i matrimoni dei servi del Creatore. Sono delle vere professioniste! Sarebbero liete di realizzare dei bellissimi abiti di nozze per voi e per Judith, per valorizzarvi al massimo. D’altronde, tanta meraviglia deve essere necessariamente valorizzata – gli disse l’altro, avvicinandosi sin troppo a sua volta.
- Non abbiamo ancora parlato di nozze – rispose sinceramente, con la testa ancora più offuscata.
- Giusto, non vi tartasseremo ancora, non temete – tentò di rassicurarlo l’altro monaco sorridendo.
- Ad ogni modo, sappiate che qui siete sempre il benvenuto! Potete considerarci i vostri secondi padri se lo desiderate.
- Grazie – gli rispose frettolosamente il ragazzo, non vedendo l’ora di allontanarsi da loro.
- Siamo davvero felici che finalmente Judith abbia trovato un degno consorte per lei. Avevamo paura che data la sua elevata intelligenza, cultura e dato anche il suo rango, non sarebbe riuscita mai a trovare una persona alla sua altezza. E invece eccovi qui! Un ragazzo brillante, intelligente, perspicace e molto attento ai suoi bisogni.
- Come fate a dirlo? Voi non mi conoscete.
- Oh ma lo si deduce dall’aura che emanate. Inoltre, Judith ci ha molto parlato di voi, descrivendovi come il ragazzo più ingegnoso e interessante che abbia mai conosciuto.
Si sarebbe dovuto sentire lusingato da ciò che pensava Judith di lui? Forse sì, ma in quel momento, con il suo stato d’animo e il disagio che gli stavano incutendo quei monaci, voleva solo filarsene via e fu quello che fece.
- Ora devo andare da Judith, scusatemi – disse quasi volatilizzandosi, non attendendo una risposta da parte loro, fiondandosi su per le scalinate che lo avrebbero condotto verso il luogo in cui lei lo attendeva, come sempre.
Bussò, e non appena la ragazza gli aprì la porta dell’enorme biblioteca, permettendogli di entrare, non le diede neanche il tempo di salutarlo.
- Buongior-
- Cosa gli prende a quei monaci? – le domandò sorpassandola.
- Perchè? Vi hanno importunato o messo a disagio?
- Decisamente.
- Perdonateli. Sono fatti così. Loro sperano che io trovi la mia anima gemella almeno sin da quando avevo undici anni. Hanno questo sentimento paterno che li lega a me, che li fa agire in questo modo.
- Io mi lamento dell’unico padre che ho, mentre voi ne avete almeno una decina. Non deve essere facile per voi. Ad ogni modo sembra che voi li abbiate esaltati ancora di più con le vostre parole.
- Ho dovuto. Considerando il fatto che non ho neanche deciso se battezzarmi o no, nonostante i miei sedici anni stiano giungendo al termine, loro sono già in subbuglio per questo, perciò ho voluto rabbonirli. Questa mattina hanno voluto parlarmi e mi hanno riempito di domande su di voi. Non lo fanno con cattiveria, credetemi. Semplicemente, tengono a me e alla mia felicità, a loro modo.
- Se quei monaci sapessero davvero cosa regna nel mio cuore e tutti i “peccati” che ho commesso nel corso della mia breve vita, non sarebbero così contenti di vedermi al vostro fianco – le disse togliendosi il mantello, sentendola sorridere di sottecchi dietro di sè, un suono che riuscì lievemente ad acquietarlo, ma solo di poco.
- Ad ogni modo, come mai volevate vedermi questa mattina? Quando mi è giunto il vostro messaggio poco fa, ero incredula. Credevo che ci saremmo visti questa sera, piuttosto. Perchè tutta questa fretta? Blake? - domandò avvicinandosi alla sua schiena.
Il ragazzo si accorse che il suo tono stesse assumendo tinte preoccupate.
Ancora non si sentiva bene. La sua testa viaggiava da un piano all’altro, dalla realtà alla fantasia, dalla materialità al sogno, a velocità inaudita, insopportabile.
Improvvisamente, Blake si voltò verso di lei, trovandosela davanti, sorprendendola. – Vi vedo dimagrita. Ho saputo da padre Craig, che in questi giorni vi ha vista più di me, che stavate dimagrendo a vista d’occhio. Lui se ne è accorto, se ne è allarmato e me ne ha parlato. Ora che vi vedo, concordo con lui. 
A quelle parole, i grandi occhi di ossidiana della ragazza si spalancarono, abbassandosi. – Padre Craig avrebbe dovuto parlarne prima con me ed espormi le sue preoccupazioni in prima persona.
- Sarebbe cambiato qualcosa? – le domandò lui studiandola. – Volete dirmi per quale motivo avete smesso di mangiare?
- E voi invece? Volete dirmi per quale motivo avete smesso di dormire? – gli domandò rigirando la domanda, lasciandolo sorpreso. – Anche a me padre Craig ha parlato di voi. Mi ha detto che le ultime due nottate le avete passate fuori casa, non si sa a fare cosa. Mi ha detto che quando vi avrei rivisto avrei trovato delle profondissime occhiaie sotto i vostri occhi blu, e che mi sarei quasi spaventata dallo stato di caos e confusione che traspare dal vostro viso. Mi ha anche detto cosa è accaduto alla galleria l’ultima volta ...
- Quel dannato prete che non riesce a tenere la bocca chiusa ...
- Egli è preoccupato per noi, Blake. Potete biasimarlo? Allora? Volete dirmi cosa vi sta succedendo? Sto iniziando a preoccuparmi anche io.
- Voi conoscete il latino? – le domandò a bruciapelo, ponendo le braccia conserte convulsamente.
- Sì, ma perchè...?
- Sapete cosa vuol dire “homuncolus”? Credo sia latino, ma non ne sono certo.
- Sì, è latino – confermò la ragazza. – Significa “piccolo uomo”.
Blake vi riflettè su, ripensando all’ometto deforme che aveva ripescato nel piombo nel suo sogno, cercando di cancellare immediatamente quell’immagine.
- Questa mattina abbiamo fatto una seconda sessione di evocazione a Quaglia, per fargli incontrare i suoi antenati. Il nostro scopo era stimolargli alcuni ricordi, per carpire informazioni sulla polvere nera. Ma ciò che è venuto fuori è altro. Il mistero della generazione dei Philippus si sta infittendo sempre di più.
- Sembra che la questione vi stia ossessionando.
- Non è questo che mi sta ossessionando.
- Blake, state tremando. Ve ne siete reso conto?  – gli disse puntando gli occhi sulle braccia del ragazzo conserte, strette tra loro e frementi.
- La colpa è solo della mancanza di sonno – le rispose. A ciò, andò immediatamente in cerca di un foglio, di una piuma e di un calamaio.
- Che state facendo? – Judith era sempre più confusa dal suo atteggiamento.
- Ho bisogno di fare qualcosa che mi calmi – le rispose trovando ciò che gli occorreva, sedendosi dietro all’enorme tavolo e iniziando a tracciare convulsamente con l’inchiostro una serie di numeri e di calcoli che agli occhi di Judith risultarono quasi incomprensibili. La velocità con la quale scriveva quei numeri era quasi inumana, tanto che, in poco più di un minuto aveva già riempito un intero foglio, e si accingeva a prenderne un altro.
- E ... fare calcoli riesce a calmarvi, solitamente? – gli domandò lei alzando un sopracciglio incuriosita.
- Sì. Se volete sapere perchè non sto riuscendo a dormire, il motivo sta nelle visioni che mi stanno apparendo, nei sogni che sto facendo. Gli incubi sono diventati talmente frequenti che ho paura di addormentarmi.
- Ma se non dormirete, il vostro corpo crollerà...
- Lo so.
- Capisco come vi sentite, in parte. Quello che entrambi abbiamo vissuto mentre eravamo lontani, per quanto totalmente diverso, ci ha segnati nel profondo. Ed ora, solo ora ne stiamo subendo le conseguenze in prima persona, entrambi. Cosa vedete nei vostri sogni e visioni?
- Non posso spiegarlo.
A ciò, Judith sospirò, arrendendosi e abbassando le difese, cedendo al bisogno di sfogarsi. Di sfogarsi con lui. - Volete sapere perchè ho smesso di mangiare, Blake...? Perchè, inconsciamente, in questo modo mi sembra di impedire al bambino che è dentro di me di crescere. Di ucciderlo dolcemente. Perchè non voglio tenere il mio bambino. Non ho mai voluto.
A tali parole, Blake si bloccò immediatamente, smettendo di scrivere quel caos di numeri.
Era impietrito e aveva alzato lo sguardo su di lei, che era ancora in piedi, dall’altra parte del tavolo.
- Judith ...
- No, vi prego. Non dite niente. Non potrei mai accettare un giudizio da parte vostra. La vostra opinione è troppo importante per me.
- Non ho intenzione di giudicarvi, non lo farei mai.
- Voi... se foste me e non voleste questo.. cosa fareste al mio posto?
- Perchè continuate a farmi domande alle quali non potrei mai rispondere? Io non posso lontanamente immaginare come vi sentite ... – le rispose sorridendo amaramente, continuando a guardarla.
- Ma siete una persona empatica – ribatté lei. Il suo sguardo era quanto di più doloroso si potesse osservare in quel momento per Blake.
- Io ... credo solo che, ogni donna avrebbe il diritto di scegliere per sè. La scelta dovrebbe essere vostra e di nessun altro. Non dovreste farvi condizionare dai giudizi e dalle costrizioni di alcuna persona. Il corpo è vostro. Se volete ucciderlo ... avreste il diritto e il potere di farlo.
Judith rimase attonita da quella risposta. – Non credete ... non credete sia estremamente crudele essere costretti a scegliere per la vita di qualcun altro?
- Dovreste scegliere comunque per la sua vita, Judith, in quanto lui non può farlo, ahimè. Scegliereste per lui sia se decideste di farlo nascere e di donargli la vita, sia se sceglieste di privarlo della vita. Dunque, per quale motivo dovreste optare per una soluzione o per l’altra? Se lui potesse farlo da per sè, sarebbe sicuramente meglio. Ma non può.
Ad ogni modo, smettere di mangiare non è la soluzione.
- Lo so. Ma non posso farne a meno – non appena pronunciò quelle parole, la ragazza si sentì cedere le gambe. La fame non c’entrava questa volta.
Era debilitata dalla vita, dalle scelte che era costretta a compiere. Una tremenda voglia di lasciarsi andare, di piangere e di sentirlo accanto a sè, la invase, facendola avvicinare a lui e inginocchiare a terra, ai suoi piedi. Judith lo guardò dall’alto con gli occhi lucidi, distrutti, inverosimilmente belli. Ella gli prese le mani tra le sue e gliele strinse, lasciandolo sconvolto.
Improvvisamente il dolore alle mani del ragazzo si placò.
Judith avvicinò le nocche di lui alla proprie labbra e iniziò a trattenere le lacrime.
Avendo ben compreso cosa stesse accadendo in lei, di cosa avesse bisogno in quel momento, Blake non attese un secondo di più.  Si inginocchiò a sua volta sul pavimento freddo, di fronte a lei, e la abbracciò, stringendola a sè, mentre lei ricambiava bisognosa, invasa da piccoli spasmi.
Egli la cullò un po’, accarezzandole dolcemente la schiena e avvolgendole la nuca scoperta con le sue dita calde e rassicuranti.
Judith, dal canto suo, affondò il viso nel suo collo e nella spalla, stritolandogli la schiena con una mano, e stringendogli i folti capelli con l’altra.
I loro profumi si mischiarono, facendoli cadere in uno stato di piacevolissimo torpore, quasi una dipendeza l’uno dell’altra.
Sarebbero rimasti così, abbracciati stretti l’una all’altro, con i loro corpi quasi fusi tra loro, per una vita intera, senza stancarsi mai.
Erano comodi, al sicuro, felici, frementi nelle braccia dell’altro. Una miriade di sensazioni che non credevano di riuscire a provare.
- Ditemi cosa vi tormenta nei vostri incubi, vi prego.. voglio aiutarvi in qualche modo – sussurrò lei muovendo le labbra sul suo collo.
Lo sentì irrigidirsi lievemente tra le sue braccia.
- Nella casa del Giudice ... accadde qualcosa di inspiegabile. Mi è rimasto nella mente e mi martella, in cerca di risposte. Devo cercare di replicarlo. Per carpirne qualcosa.
- Di cosa stiamo parlando?
- Di alchimia, Judith.
- E poi? So che non è solo questo.
- E poi c’è la polvere nera ... è vero, è un’ossessione per me, e non solo per il nostro progetto. Voglio sapere come funziona, voglio crearla con le mie mani, e lo voglio ancora di più da quando ho assistito con i miei occhi a cosa è in grado di fare. Inoltre, voglio anche curare mio fratello definitivamente con la mandragora, ma ho paura. Ho il terrore che alcuni effetti negativi imprevisti si possano riversare su di lui e non me lo perdonerei mai se accadesse. Ed ora si aggiunge anche questa nuova scoperta dell’homuncolus...
La ragazza si staccò lievemente da lui, solo per porre il viso davanti al suo e prenderglielo tra le mani delicatamente. – Tutto ciò finirà per divorarvi, Blake ... Non voglio vedervi disintegrarvi davanti ai miei occhi. Dovete fermarvi. Riuscite a fermare i vostri pensieri?
- No – le rispose sinceramente lui.
- Voglio che facciate qualcosa per me oggi pomeriggio.
- Che cosa?
- Voglio che vi prendiate del tempo per dormire, sconfiggendo la paura. Potete provarci, almeno? Ne avete bisogno.
Lui la guardò combattuto. – Voi, in cambio, mangerete qualcosa di sostanzioso?
- Sì, lo farò – gli rispose con convinzione, non sapendo se sarebbe riuscita a farlo davvero o no. – Cos’altro vi turba?
- “Il fantoccio che contiene l’anima nera dell’uomo” ha detto Quaglia questa mattina, in riferimento all’homuncolus, sotto suggestione dei ricordi dei suoi antenati. Avete in mente cosa possa significare?
Judith vi pensò su. – L’anima nera? Beh, solitamente siamo avvezzi a distinguere in noi due anime, giusto? Un anima buona e una cattiva. Così è come lo spiegheremmo ai bambini. Due concetti binari, che in realtà non sono così semplici come li classifichiamo. Queste due anime, nera e bianca, si fondono tra loro, si intersecano, formando le persone che siamo.
- Nessuno di noi possiede solo una delle due anime – aggiunse Blake, ragionando di nuovo per concetti semplici. – Le possediamo tutti entrambe. Perchè siamo esseri umani.
Rimasero in silenzio a guardarsi, riflettendo.
- Queste informazioni non bastano. Dovremo scoprire qualcosa di più con le prossime sessioni di evocazione tenute da Ephram.
- A proposito di Ephram, ieri è accaduta una cosa strana.. è venuto da me ma non sembrava quasi lui..
Ma prima che la ragazza potesse terminare la frase, la porta della biblioteca venne aperta all’improvviso, e un monaco entrò con due infusi caldi tra le mani, paralizzandosi all’entrata.
- Oh, scusate, cari ... non pensavo di star per interrompere qualcosa – disse imbarazzato e mortificato.
Solo in quel momento i due giovani si resero conto di trovarsi ancora in una posizione abbastanza equivoca: Judith aveva ancora le dita affondate nei capelli di Blake, mentre quest’ultimo aveva le mani strette al busto della ragazza, ed entrambi erano ancora estremamente vicini, inginocchiati a terra.
I due si divisero e si rialzarono in piedi.
- Da quando non si bussa più, padre? – lo rimproverò lei.
- Oh cara, ho sentito che le vostre voci provenissero da qui in lontananza, e ho pensato di venire a portarvi qualcosa di caldo da sorseggiare. Insomma, per determinate pratiche è più adatta la camera da letto, non credete? E poi, vi devo ricordare che la biblioteca è vietata a qualunque popolano? – la rimproverò più con un tono che ricordava quello di un padre amorevole.
Blake si dovette trattenere dallo scoppiare in una risata di scherno, di seguito a quell’ultima domanda da parte del monaco.
- Blake è il mio promesso, padre. Lui non è un “qualunque popolano”, ha molti più privilegi.
Il ragazzo accennò un sorriso divertito a quella risposta per le rime, accorgendosi, tuttavia, che dal modo in cui aveva parlato Judith, i monaci più malfidati si sarebbero potuti tranquillamente fare un’idea sbagliata del loro rapporto, iniziando a sospettare che lui stesse recando vantaggio dalla sua relazione con Judith, per ottenere più privilegi, come un qualsiasi approfittatore senza scrupoli.
Un’accusa che gli era già stata mossa, ma in circostanze e con persone ben differenti.
Il monaco si scusò ancora mortificato e si dileguò, uscendo dalla porta.
Rimasti nuovamente soli, Judith tornò a guardarlo.
- Stasera ci rivedremo – le disse lui, accingendosi a prendere il suo mantello per rinfilarselo. – Tornerò qui e passeremo più tempo insieme.
Judith annuì, accennando un sorriso. – Credo ci rivedremo anche prima di stasera, tuttavia.
- Perchè? – domandò lui curioso.
- Blake ... ve ne siete dimenticato? Tra qualche ora ci sarà l’ultima veglia per commemorare la scomparsa della piccola Bonnie. Quella definitiva, a cui quasi tutti i servi del Diavolo parteciperanno.
A quell’informazione, Blake sbiancò completamente, ricordando l’immagine grottesca e terribile di quella bambina ridente e con gli occhi colmi di terra del suo sogno.
- Ve ne eravate dimenticato?
- Non ci stavo pensando.
- Eppure, voi avete assistito alla sua morte, avete anche tentato di salvarla. Usavate giocare e scherzare con lei. Credevo sareste stato il primo a voler partecipare, dato che non siete andato neanche ad una delle veglie in sua memoria. E considerando che a quest’ultima saranno presenti tutti, in rispetto e in sostegno alla sua famiglia. Avete intenzione di non venire?
- Verrò. Certo che verrò – rispose con convinzione.
Si diede dello stupido mentalmente. Bonnie era una bambina solare e meravigliosa in vita, che meritava certamente il suo ultimo saluto. Ella non aveva alcuna colpa per il suo atroce fantasma che gli compariva costantemente in sogno e in visione.
A ciò, la ragazza accennò un sorriso. – Allora ci vedremo lì.
Blake annuì, si accostò a lei, le diede un bacio sulla guancia e si avviò verso l’uscita della biblioteca.
- Aspettate – lo bloccò Judith con la sua voce, mentre egli stava per aprire la porta; tirando fuori un argomento che Blake non credeva avrebbero affrontato a breve, per lo meno non quella mattina, la quale stava prendendo una piega sempre più particolare:
- Ditemi ... voi avete già deciso se battezzarvi o no?
 
Gli ci vollero un bel po’ di impegno, di favori da riscuotere e di vecche conoscenze per scoprire dove abitasse temporaneamente Myriam.
Da quando quella mattina si era risvegliato di nuovo nel suo deprecabile corpo, un vuoto incolmabile aveva iniziato a divorare padre Cliamon dall’interno, facendogli desiderare di abitare nuovamente il corpo dello stregone.
Avrebbe dovuto immaginarlo. Tuttavia, credeva che un giorno gli sarebbe bastato.
Lo credeva davvero.
Non pensava che quell’unico giorno in un corpo diverso, e con la vista tornata, avrebbe alimentato la sua sete ancor di più.
Doveva parlarne assolutamente con la strega. Motivo per cui si era mosso sin da quella mattina stessa, per cercare chiunque l’avesse minimamente scorta in giro, rientrare in una casa in particolare.
Fortunatamente, era riuscito ad ottenere furbescamente le informazioni che gli servivano, mentendo, spargendo la voce che la donna fosse ricercata per essere interrogata dai monaci.
Se qualcuno gli avesse chiesto spiegazioni, gli avrebbe detto che la questione fosse oramai risolta.
Il monaco bussò alla casa che gli avevano indicato, sperando fosse quella giusta.
Il rumore della porta aperta gli giunse alle orecchie, un profumo pungente e di un’aroma che non riuscì a riconoscere gli invase i sensi, seguito dalla voce profonda di lei.
- Sapevo vi avrei trovato davanti al mio uscio – esordì Myriam atona, senza aggiungere altro.
Gli permise di entrare e lo fece sedere dinnanzi ad un tavolino, mentre ella continuava ad aspirare quei fumi intensi e densi.
- Volete favorire? – gli domandò, vedendolo tossire in risposta e rifiutare gentilmente.
La casa che le era stata lasciata, per viverci in solitudine sin quanto volesse, apparteneva ad una sua vecchia cliente, recentemente morta di vecchiaia.
- Dunque? Com’è stata la vostra elettrizzante esperienza nel corpo che avete sempre voluto avere?
- Lo rivoglio – pretese il monaco, sorprendendola.
- Che cosa rivolete?
- Voglio riprovare quelle sensazioni. È stato come trovarmi in paradiso, per la prima volta – disse con le lacrime agli occhi. – Certo, non è stato tutto rosa e fiori – ammise. – Ho appurato che la vita per voi servitori del Diavolo non è affatto semplice, anzi. È più dura di quanto mi aspettassi. Tuttavia, la consapevolezza di possedere tale aspetto ... per me, annulla qualsiasi altra cosa.
Myriam lo guardò assorta, ascoltando. – Siete un caso perso. Molto più di quanto mi aspettassi.
- Mi rendo conto di sembrare molto egoista e superficiale.
- È quello che siete.
- Eppure ... non riesco a farne a meno – confessò colpevole, mettendosi totalmente a nudo dinnanzi a lei.
Oramai non aveva più un briciolo di orgoglio. Oramai, più niente lo teneva a freno. Quanto repentinamente era giunto sino a quel punto..? - Non si tratta solo della piacevolezza che mi provoca osservare la mia immagine riflessa o essere guardato in un determinato modo. Si tratta di qualcosa che va decisamente oltre ...
- Avete anche goduto dei piaceri della carne quando eravate nel corpo di Ephram? – lo interruppe lei.
- Non voglio che riduciate tutto a questo. Per me non è così. I piaceri della carne sono l’ultimo motivo che mi ha spinto a ...
- Rispondete alla domanda, padre.
- Io ... non avrei voluto. Davvero, non è qualcosa che mi interessa. Tuttavia, sono capitato in una situazione che mi ha reso impossibile evitare di farlo.
- “Una situazione che vi ha reso impossibile evitare di farlo”? – ripetè lei sorridendo di scherno. – E quale sarebbe?
- Una donna mi ha minacciato di denunciarmi ai monaci del Creatore per un incantesimo che ... Ephram deve aver compiuto del tempo addietro.
- Minacce del genere per noi sono quasi all’ordine del giorno, padre, se abbiamo l’ardire di mostrarci al villaggio come stiamo facendo io ed Ephram. Avreste potuto farle passare la voglia di minacciarvi in quindici modi diversi, senza assecondarla. Eppure... avete comunque ceduto al richiamo della carne. “Con immensa fatica” immagino.
- Dunque credete che Ephram non avrebbe fatto lo stesso ...?
- Non lo credo, ne sono certa: ad Ephram non piace essere minacciato. Inoltre ... – disse lei avvicinandosi maggiormente al tavolo, poggiandovi i gomiti sopra. – Voi siete un monaco. Non dovreste avere dei principi?
Cliamon abbassò lo sguardo. – Cosa volete che ammetta, Myriam? Che mi avete in pugno? Sì, mi avete in pugno. Mi avete offerto ciò che ho sognato da tutta la vita ed ora non riesco più a farne a meno. Sono un peccatore.
Myriam aspirò ancora quei fumi, poi li lasciò sfuggire dalle sue labbra a piccole dosi.
- Cosa volete da me, monaco? Un patto?
- Un giorno nel corpo di un servo del Diavolo, ogni settimana.
- Non posso farvi rientrare nel corpo di Ephram. Egli è uno stregone come me, potente quanto me. Se gli rifilassi di nuovo uno scherzetto del genere me la farebbe pagare nel peggiore dei modi, dunque è escluso.
- Non deve essere per forza Ephram. Escludiamo tutti gli stregoni, dunque.
- Volete il corpo di un servitore del Diavolo qualsiasi, dunque? Un semplice contadino?
Cliamon annuì caldamente, già fremente all’idea.
- Qualcuno di più vicino alla vostra età, questa volta? Qualcuno di più maturo...
- No! – esclamò egli interrompendola, lasciandola nuovamente attonita. – Li voglio giovani. Solo ragazzi giovani – disse con decisione, senza vergogna.
- Sarebbe saggio ... – aggiunse poi il monaco. – che fosse sempre lo stesso. E che questi sia al corrente del nostro accordo e lo accetti.
- Impossibile.
- Allora, potreste rimuovere i suoi ricordi di quel giorno, ogni volta.
Myriam vi pensò su, facendo piombare la casa nel silenzio.
- Dunque ... potreste farlo? Potreste cancellare i suoi ricordi ...?
- L’unica cosa che potrei fare è distorcerli.
 - Andrà bene!
- E io cosa ci guadagnerei in cambio? Voi, vecchio monaco del Creatore, non avete nulla da darmi che possa lontanamente interessarmi.
- Posso offrirvi dell’oro. Tutto quello che volete ...
Myriam scoppiò in una sguainata e divertita risata, all’udire tali parole.
- Dovrei cacciarvi via da questa casa a calci all’istante, dopo ciò!! – esclamò spazientita dopo aver terminato di ridere.
- Aspettate! – il monaco si scervellò, alla disperata ricerca di una soluzione.
- Posso fare in modo di persuadere gli altri monaci a liberare la vostra amica, Beitris.
- Non è sufficiente.
- Posso darvi libero accesso alle biblioteche, in modo che potrete ...
- Non è sufficiente.
- Posso uccidere qualcuno per voi!
Myriam si pietrificò, e il monaco con lei, dopo quel che aveva appena pronunciato.
Non credeva che quelle parole potessero davvero provenire dalla sua bocca.
- Posso uccidere qualcuno per voi ... – ripetè. – E fare in modo che la colpa non ricada su nessuno.
Gli occhi scuri ed espressivi della strega si spalancarono ancor di più e si illuminarono.
- Tu ... ti macchieresti di un oltraggio simile, “uomo di Dio”? – gli domandò tra lo sprezzante e il fremente.
- Sì. Lo farò.
- Mi sorprendete sempre di più, padre – pronunciò la donna abbandonandosi con la schiena allo schienale della sedia, con gli scenari più temibili che le invasero la mente.
Due volti le comparvero improvvisamente in testa, con lampante nitidezza.
Sorrise di sottecchi, soddisfatta, già pregustando la sua vendetta, su entrambe.
- Ho due nomi per voi. Tuttavia, una di queste deve essere assassinata, mentre l’altra non la voglio morta, in quanto ho intenzione di farla soffrire.
Padre Cliamon deglutì, non realizzando pienamente neanche lui in che tremendo e inconcepibile guaio si stesse cacciando facendo quel patto col Diavolo, letteralmente.
- Parlate – le disse.
- Alma Heloisa. L’avete mai incontrata?
- Una volta sola. Ella è la madre di Blake, l’amico di Judith. Ricordo di aver creato un brutto equivoco con lei, per proteggere Judith – sussurrò il monaco, sentendo un magone insormontabile dentro al solo scoprire che uno di questi due nomi appartenesse ad una donna che aveva già incontrato, seppur una sola volta.
Ella gli era sembrata una persona buona, semplice, pura di cuore.
Eppure, avrebbe dovuto farla soffrire in un modo addirittura peggiore della morte stessa.
Era disposto davvero a così tanto per la sua fame di bellezza?
Improvvisamente i suoi rimorsi di coscienza ebbero la meglio. – Non credo di essere sicuro di volerlo ancora fare. Credo sia stato un errore venire qui – disse, facendo per rialzarsi in piedi e andarsene, sperando di essere ancora in tempo e che, se lo avesse fatto subito, sia Myriam, sia lui stesso, si sarebbero dimenticati del pericolosissimo discorso appena avvenuto tra loro. Forse, la sua coscienza si sarebbe redenta, col tempo, per aver quasi accettato quel tremendo patto. Magari aiutando Judith con lo spettacolo dei bambini, confessando e aiutando almeno una dozzina di fedeli al giorno, essendo di conforto e aiuto per tutti i bisognosi, unificando i due credi come lui e Judith si erano ripromessi di fare da anni.
Magari, quel giorno nel corpo di Ephram sarebbe scomparso dalla sua mente e dalla sua anima con facilità se avesse riempito il suo spirito con tutt’altro.
Non avrebbe più desiderato di possedere un corpo diverso, la sua invidia si sarebbe attenuata e forse ... forse persino Dio lo avrebbe perdonato.
Convinto da questi pensieri positivi, si alzò dalla sedia, ma venne improvvisamente bloccato dalla mano spigolosa e dolorosa della strega, la quale gli afferrò il polso con forza, facendogli male, ritrascinandolo seduto.
- Volete tirarvi indietro, padre...? Davvero..? Dopo tutto quello che mi avete appena detto? – gli domandò lei ridendo maligna. – Ora riaccomodatevi, in quanto siamo già a metà del nostro patto. Non potete lanciare il sasso e poi ritirare la manina, dopo avermi fatto già assaporare i risultati e i vantaggi che potrei ottenere col nostro accordo.
- Ma io non voglio più farlo. Vi prego, lasciatemi andare ... Vi domando immensamente scusa per avervi fatto perdere tempo.
- E siete totalmente certo che non ritornerete da me correndo con la coda tra le gambe tra qualche giorno? Quando il desiderio di abitare un corpo bellissimo non si ripresenterà in voi con più prepotenza di ora?
Padre Cliamon deglutì rumorosamente.
- Il tuo desiderio abita in te con radici talmente salde, da farmi impallidire, monaco.
Non lo estirperai.
In nessun modo al mondo.
Rimarrà lì, in te, a consumarti, sino alla morte, portandoti alla pazzia – gli sussurrò melliflua, avvicinando il viso al suo. – Ritornerai sempre da me. Sempre. Quando non riuscirai più a sopportarlo.
- Tuttavia ... tuttavia, se provassi a...
- Vi ridarò il dono della vista.
- Cosa...? – le domandò il monaco non credendo alle sue orecchie.
- Solo per oggi. Solo per convincervi che non riuscirete a rinunciare alla vostra natura invidiosa, al vostro desiderio malato e incommensurabile. Se riuscirò a convincervi a stipulare il nostro patto, col sangue, avrete ciò che avete sempre desiderato per un giorno a settimana, seppur ad un piccolo prezzo, che ora percepite come enorme, ma che si attenuerà col tempo, quando la vostra anima diverrà ancor più corrotta. Invece, se neanche col mio tentativo riuscirete a convincervi, vi lascerò andare e ci dimenticheremo di questa chiacchierata. Che ne dite?
Cliamon acconsentì.
A ciò, la donna osservò il sole fuori dalla finestra. – Dovrebbe essere quasi ora.
- Di cosa?
- Vi porterò nel luogo che oggi riunirà quanti più giovani servi del Diavolo possibile, tutti vicini tra loro, e senza stregoni. Un luogo in cui potremo osservarli indisturbati. Così potrete scegliere.
- Scegliere...?
- Scegliere chi sarà il “fortunato” che una volta a settimana ospiterà il vostro corpo. Sempre se accetterete di aderire al patto, sia chiaro ...
Quello si chiamava giocare sporco, pensò padre Cliamon.
Ridonargli la vista e fargli osservare così tanta bellezza tutta riunita insieme in un unico punto, tutta a sua disposizione, era crudele, immensamente crudele per la sua volontà debole.
- Cos’è questo luogo?
- La cattedrale del Diavolo, ovviamente. Vi porterò all’ultima veglia per commemorare la scomparsa della bambina morta sotto le galleria crollata.
Myriam si alzò già dalla sedia, poco prima che Cliamon le rivolgesse un’altra domanda:
- Non mi avete ancora detto il nome della seconda persona ... quella che volete che uccida – disse, sforzandosi di non tremare nel pronunciare quelle parole.
A ciò, la strega sorrise, animandosi ancor di più. – Tempo al tempo, padre. Lo saprete presto. Ora venite con me.
 
Myriam fece un banale incantesimo di camuffamento volto che usava fare di frequente nella sua giovinezza, e con il quale si divertiva spesso.
In quel semplice modo, per un tempo limitato, sia la strega che il monaco avrebbero posseduto un volto che non era il loro, seppur il corpo fosse lo stesso, in modo da poter sembrare altri e non destare l’attenzione dentro la cattedrale del Diavolo, lei perchè era una strega che aveva partecipato alla rivolta, mentre lui un servo del Creatore.
Si mossero di soppiatto, nascondendosi dietro una delle imponenti colonne che circondavano l’immensa sala, colma di servi del Diavolo di ogni età e sesso, e che riempivano le sedie di entrambe le navate.
La veglia consisteva fondamentalmente in dei canti comuni e preghiere in sintonia per commemorare la scomparsa di Bonnie. Nonostante non vi fossero più monaci del Diavolo in vita per poter presiedere la veglia, i servi del Diavolo avevano comunque trovato il modo per pregare e commemorare in comunità senza il bisogno di una figura di autorità che amministrasse il tutto.
Erano tutti seduti e cantavano.
Cliamon, ora con gli occhi di nuovo funzionanti, osservò quella scena ammaliato.
Non solo per la bellezza di tutti quei servi del Diavolo, bensì per la solennità di quell’evento, di quegli sguardi concentrati, che intonavano con le loro belle voci quelle parole splendide, con passione, trasporto e sacralità insieme. Persino gli anziani emanavano un’aura di intenso magnetismo.
Cliamon non capì come fosse possibile che risultassero così sacri e al contempo carnalmente intensi insieme.
Non aveva mai udito prima i canti e le preghiere dei servi del Diavolo e le trovò meravigliose.
- Osservali bene tutti ... – gli sussurrò Myriam all’orecchio, riportando la sua attenzione al motivo per cui fossero lì.
A ciò, il monaco fece vagare lo sguardo sui ragazzi più giovani, studiandone singolarmente e minuziosamente alcuni, quelli che attirarono maggiormente la sua attenzione.
I suoi occhi si fermarono per prima su un giovane dai capelli rossi.
Egli aveva il bellissimo volto macchiato di lentiggini che non facevano altro che donargli un aspetto più intenso, e anche più dolce rispetto ad altri.
La sua pelle era bianca come il latte, il naso dritto e ben proporzionato, le labbra decisamente carnose, gli occhi grandi e azzurri come il cielo limpido.
Rispetto ad altri della sua età era più basso, ma rimaneva comunque decisamente alto agli occhi di padre Cliamon, il quale vagò con lo sguardo anche sui suoi vestiti semplici, comuni ma ordinati, che nascondevano un corpo molto avvenente, dai tratti sottili. Era un corpo molto diverso da quello di Ephram, il quale risultava molto più imponente e alto, con le spalle più larghe e le curve più definite rispetto a quel ragazzino.
Sicuramente ciò era dovuto anche alle loro età differenti, in quanto quel fanciullo dimostrava non più di quindici anni.
I suoi occhi passarono ad un altro, poco lontano dal primo.
Ce ne erano talmente tanti da guardare e da osservare, che gli si accaponò quasi la pelle, sapendo già che, in seguito a quella paradisiaca visione, si sarebbe convinto ad accettare il patto della strega, abbandonando definitivamente ogni speranza di redimere la sua anima.
Era sicuro che non sarebbe minimamente riuscito a guardarli e a studiarli tutti, non sarebbe bastata un’intera giornata, e la veglia prima o poi sarebbe finita.
Inoltre, stava venendo distratto anche dall’avvenenza delle splendide creature di sesso femminile che popolavano quel luogo.
Si concentrò sul secondo ragazzo che aveva adocchiato, notando le differenze rispetto al primo. Egli era sicuramente un figlio di contadini, uno zappatore probabilmente. Lo dicevano chiaramente le sue braccia gonfie, il suo corpo scolpito e muscoloso che si intravedeva dai vestiti semplici, rovinati, rattoppati, lievemente anneriti, sicuramente i migliori che aveva.
Nonostante tutto, su di lui assumevano un fascino strano e quasi malsano quei vestiti, considerando il penetrante bell’aspetto del ragazzo.
La sua era una bellezza intensa e virile, molto più virile del primo giovane, con la mascella perfetta e squadrata, gli zigomi alti, la pelle ambrata, i capelli ricci e neri come l’ebano, e, infine, gli occhi che si stagliavano in quella distesa in modo quasi doloroso, di un colore che ricordava quello del ghiaccio, tendente al grigio.
- Se lo continuate a guardare in tal modo, quel povero ragazzo si consumerà – gli sibilò Myriam riscuotendolo. Ella osservava tutto, chiunque egli guardasse. – Avete scelto lui?
- Voglio guardarne anche altri, prima – le disse, cercando di passare gli occhi su ognuno, tremendamente e drammaticamente indeciso. Fosse stato per lui avrebbe passato un giorno nel corpo di ognuno di loro, ma sarebbe stato troppo rischioso.
Improvvisamente, i suoi occhi vennero attirati da una figura che conosceva e che aveva rivisto il giorno prima, involontariamente attratto da tutto di lui.
Ma il monaco non fece neanche in tempo ad incantarsi sui meravigliosi occhi blu tempesta di Blake, e sul suo corpo talmente bello da risultare quasi conturbante, che avvertì la sua mascella venire afferrata fermamente dalla strega, la quale gli voltò il viso con violenza verso di lei. – Non osate minimamente posare i vostri repellenti occhi su di lui. Non lui. Potete scegliere chiunque, ma non lui. Sono stata chiara? – gli sussurrò minacciosa come non l’aveva mai sentita.
A ciò, annuì fermamente, capendo che la strega dovesse essere legata in qualche modo a quel ragazzo, realizzando che vi fossero ancora parecchie cose che gli erano oscure in lei.
Lei gli lasciò andare la mascella con sdegno, ed egli, stavolta, venne attirato dalla figura accomodata di fianco a Blake: la sua splendida Judith cantava i canti del proprio credo con una lucentezza che adombrava quella di tutte le altre donne.
Si preoccupò di non starle abbastanza accanto dal momento che si accorse solo in quell’istante che fosse più magra del solito.
Chissà se il suo bambino stava bene. Chissà se lei stava bene. Era talmente concentrato su se stesso ultimamente, da non aver prestato attenzione alla sua pupilla.
Poi, inconsciamente, i suoi occhi sostarono sulla donna seduta sempre accanto a Blake, ma dalla parte opposta: Alma Heloisa. La donna che avrebbe dovuto far soffrire ...
Ricordava i suoi pomposi ricci scuri, che nessuno dei due figli aveva ereditato, e gli occhi sinceri, grandi, azzurri come un lago illuminato dal sole.
Ella cantava ignara, ignara di cosa le sarebbe accaduto.
Cliamon deglutì a vuoto.
- Non abbiamo tutto il giorno, padre – lo riscosse ancora Myriam.
A ciò, Cliamon, di nuovo in crisi, sapendo di non poter guardare e concentrarsi su tutti quegli splendidi giovani contemporaneamente, posò gli occhi sull’unico che era in piedi in quel momento.
Si chiese come mai si fosse improvvisamente alzato in piedi, e perchè proprio lui.
Essendo il ragazzo posizionato molto avanti rispetto al punto da cui il monaco osservava, in quanto era quasi davanti all’altare, Cliamon riuscì a vederlo solo di spalle.
Un istante dopo, tutti i servitori del Diavolo si zittirono improvvisamente, smettendo di cantare e facendo piombare il salone nel silenzio.
Il ragazzo si voltò verso le navate, verso tutti coloro che si erano recati lì, quel pomeriggio, per commemorare la piccola Bonnie.
- Dato che non ho mai preso la parola, durante tutte le veglie che abbiamo tenuto per mia sorella, in questi giorni... ho deciso che lo farò ora. Vi ringrazio, voi tutti, a nome mio e dei miei genitori, di esserci in così tanti, per darle un ultimo e accorato saluto – disse il ragazzo a gran voce.
Cliamon spalancò gli occhi, ora gli era tutto chiaro.
Si trattava del fratello della ragazzina deceduta.
Si perse ad osservarlo, non riuscendo ad ascoltare le sue parole, in quanto troppo preso e concentrato a scandagliarlo da capo a piedi, a nutrirsi di ogni dettaglio.
Egli aveva i capelli biondi e lunghi sino alla schiena, legati disordinatamente indietro.
Ma non era lo stesso biondo di Maroine e Maringlen, in quanto i suoi erano talmente chiari da tendere quasi al bianco.
Nonostante non li valorizzasse, e li trattasse con noncuranza, riuscivano comunque a risaltare nella loro bellezza, e a spiccare su tutto il resto.
La pelle liscia, d’avorio, il viso che sembrava intagliato con lo scalpello, dai tratti delicati, ammalianti.
I suoi occhi dal taglio affilato, quasi felino, erano due topazi verdi, preziosi, vivaci, con sfumature tutte diverse e difficili da categorizzare. Tuttavia, nonostante la distanza, riuscì a riconoscere dei filamenti di smeraldo che si diramavano nelle iridi, quasi potesse nuotarci dentro.
Il monaco non si spiegò minimamente come riuscisse ad osservare ogni più piccolo dettaglio del ragazzo come fosse a due centimetri da lui, nonostante la distanza.
Sicuramente, quando Myriam gli aveva ridonato la vista, aveva fatto in modo di potenziarla con qualche suo strano stratagemma, per dargli modo di osservare quei ragazzi da molto più vicino di quanto non fosse, per studiarli meglio.
Mise a fuoco nuovamente la sua giovane figura, in piedi e intenta a fare il suo discorso di saluto per la sorella, aguzzando la vista quasi fosse un animale selvatico, un rapace che adocchia la sua preda da chilometri di distanza. Il suo corpo era molto diverso dal secondo ragazzo visto, praticamente opposto, in quanto era tanto slanciato e tonico, quanto asciutto. I vestiti, non abbastanza stretti, lasciavano tuttavia intravedere quanto le linee del suo corpo fossero raffinate, affusolate, quasi femminee.
Era strano come riuscisse a far trasparire delicatamente la sua virilità, e al contempo quanto le forme del suo corpo trasmettessero un fascino incantatore tanto maschile quanto femminile.
Gli abiti che indossava davano l’idea di una certa agiatezza, in quanto il padre, essendo uno scavatore della galleria, veniva sicuramente pagato bene da Dun Rolland.
In fondo, era risaputo quanto Rolland fosse generoso con i suoi dipendenti, quanto li ripagasse della fatica abbondantemente e con gli interessi.
Era un grande pregio dell’entrare nella privilegiata schiera degli scavatori.
Il fardello che questi erano costretti a portare, tuttavia, consisteva nel non sapere se fossero riusciti a tornare vivi a casa la sera.
I lavori che svolgeva quel ragazzo in casa non dovevano essere troppo pesanti.
A parte qualche minuscola cicatrice sul collo e sulle mani, il monaco non notò marchi di fatica nel suo corpo.
Ma non avrebbe potuto dirlo con certezza, in quanto il giovane era quasi tutto interamente coperto dagli abiti.
Il suo sguardo era deciso, la sua voce potente e d’impatto.
Il ragazzo era indubbiamente bellissimo, e tutto in lui gli faceva pensare che sì, quel fanciullo etereo era la sua scelta e che sì, avrebbe stipulato il patto con Myriam. Avrebbe fatto di tutto, letteralmente di tutto, per abitare quel corpo.
- Accetto il patto.
- Oh, padre ... dunque abbiamo un prescelto. Sono così felice di sentirvelo dire – sussurrò trionfante la donna. – Tuttavia.. tra tutti, avete optato proprio per il ragazzo ferito, appena distrutto dal lutto della sorella amata. Siete un uomo crudele, ed egoista, fino al midollo – disse teatralmente amareggiata.
- Ed ora intoniamo di nuovo le nostre voci e diamo un ultimo saluto alla mia amatissima, dolcissima e compianta giovane sorella, Katrin Bonnie.
A te, raggio di luce dei miei giorni.
A te, giovane promessa.
Addio, Katrin.
 
AVARIZIA
 
Heloisa bussò alla porta della camera del suo primogenito, con mano incerta.
Avrebbe voluto vederlo e parlare con lui, da soli, lo desiderava da giorni oramai, era divenuto un punto fisso.
Tuttavia, non ci riusciva mai, per un motivo o per un altro.
Aveva compreso che lui stesse cercando di evitarla in ogni modo, e questa non era una novità per lei, considerando il carattere ribelle di Blake.
Tuttavia, egli sembrava stesse evitando tutti ultimamente, persino suo fratello, e questo era un dato preoccupante.
Non sentendo alcuna risposta, decise di entrare comunque in camera sua, rischiando di dover incontrare l’ira del ragazzo, ma non le importò.
Entrò e, come aveva iniziato a sospettare, lo trovò addormentato nel suo letto.
Quella visione la rilassò e la tranquillizzò visibilmente. 
Erano forse mesi che non lo vedeva dormire beatamente nel proprio letto.
Benchè volesse parlargli, ne fu felice, perchè stava finalmente riposando e ne aveva immensamente bisogno.
Si era accorta che qualcosa lo turbasse, si era accorta che avesse smesso di dormire.
Sono dettagli di cui una madre si accorge, prima di qualsiasi altro, pensò.
Cercò di camminare più silenziosamente possibile, poggiando i piedi nudi a terra con una delicatezza e una cura rarissime, mentre si avvicinava al suo giaciglio, osservandolo.
Si sedette sul bordo del letto, cercando di farsi piccola e di occupare meno spazio possibile.
Blake era sdraiato a pancia in giù sul letto spazioso, con le coperte tirate su fino alla bassa schiena, ma che lasciavano comunque intravedere la posizione lievemente contorta in cui si addormentato e in cui sempre si addormentava, con le lunghe gambe spalancate e un ginocchio piegato.
Aveva un braccio che pendeva a penzoloni dal bordo del letto e il volto per metà immerso nel cuscino e per metà rivolto verso l’esterno. I suoi capelli erano per la prima volta sciolti, lasciati liberi dalle costrizioni di spille o nastri che li tenevano tirati indietro, e alcune spesse ciocche scure gli ricadevano davanti al viso, rilassato, con i bei lineamenti totalmente distesi e placidi.
Heloisa sorrise dolcemente inebetita nel guardarlo dormire, allungando una mano per accarezzargli quella folta chioma ribelle di capelli castani, scoprendo il suo viso da quelle impertinenti ciocche e spostandole dietro il suo orecchio. Erano cresciuti davvero tanto, e sembrò realizzarlo solo ora.
Le dita leggere gli sfiorarono lo zigomo alto e definito, che somigliava a quello di suo padre in maniera strabiliante. Scorsero giù, fino alle labbra chiuse, morbide, lievemente screpolate.
Cercò di carpire una somiglianza, anche una sola, in quei lineamenti da vertigine, che potesse rincondurlo a lei. Forse, solo la forma di quelle labbra era l’unica cosa che avevano davvero in comunque.
E il naso. Sì, decisamente il naso, pensò la donna, osservando rapita il profilo del ragazzo, che gli invidiavano praticamente tutti.
La mano raggiunse il collo affusolato, e ben fasciato dalla benda bianca, non troppo stretta.
Sostò per troppo tempo su quella benda, desiderando posarsi sulla pelle sottostante, per avvertire il suo respiro calmo e bearsene, e per controllare di nuovo l’entità di quella ferita che quei mostri gli avevano provocato.
Come aveva fatto a creare qualcosa di tanto bello?
Se lo domandò, guardandolo. Così come se lo domandava sempre, sin dal giorno della sua nascita.
Probabilmente, la stessa domanda se la poneva ogni madre.
Eppure, quando lo aveva avuto stava per perderlo.
Eppure, averlo era stato il dolore fisico più grande che avesse mai vissuto.
Un dolore che avrebbe rivissuto milioni di volte quel dolore, se fosse significato averlo ancora.
Il solo pensiero che Blake potesse non esistere in quel mondo, e nella sua vita, le fece accaponare la pelle.
Non si era domandata neanche una volta se il suo fosse un amore troppo viscerale nei suoi confronti.
Non lo aveva mai fatto perchè c’era stato qualcuno, che lo aveva amato addirittura più morbosamente di quanto lo avesse amato lei, seppur non fosse sua madre.
Scacciò il pensiero di lei dalla sua mente, che da solo fu in grado di provocarle una rabbia che le infiammò le vene.
- Perchè mi odi...? – sussurrò di sottecchi, con la stessa innocenza di una bambina, avvicinando il volto alla sua testa e al suo orecchio, lasciandogli un delicato bacio tra i capelli. Aveva sempre avuto un buon profumo, sin da piccolo, tanto che Heloisa trascorreva ore a bearsi nell’inspirare l’odore della sua pelle quando era bambino, e dormiva tra le sue braccia, credendo di proteggerlo da tutti i mali del mondo. A quel tempo, lui si fidava ancora di lei. Ma, almeno, quel profumo era sempre lo stesso, e si era solo intensificato. – Perchè non mi vuoi, amore?
Continuò ad accarezzargli i soffici capelli, fin quando non lo sentì muoversi lievemente sotto di lei, strusciarsi sotto le coperte con dei mugolii sconnessi e sonnolenti.
A ciò, si scostò in fretta da sopra di lui, prima che egli si accorgesse della sua vicinanza e ne rimanesse indispettito.
Era arrivata al punto di aver paura di avvicinarsi, di rinunciare a toccarlo, per evitare di infastidirlo.
Rimase seduta sul bordo del letto, consapevole di averlo svegliato e sentendosi in colpa a causa di ciò, considerando quanto raramente Blake stesse dormendo negli ultimi tempi.
Aveva sempre avuto la sfortuna di possedere un sonno molto leggero.
Il ragazzo affondò totalmente il volto nel cuscino, spalmandocisi come se potesse immergercisi dentro, per poi realizzare la vicinanza della presenza familiare accanto a sè.
Sbattè le palpebre un paio di volte, la luce delle numerose candele nella stanza gli invase gli occhi semiaddormentati, facendogli quasi male.
Alzò la testa e si voltò nel letto, tirandosi su ponendosi in posizione seduta, con la schiena poggiata alla parete dietro al giaciglio, spostando lo sguardo indefinibile e penetrante su sua madre, per poi coprirselo con le mani, sull’orlo di un’esperazione sonnolenta.
Heloisa abbozzò un sorriso impacciato. – Ehi, tesoro – sibilò poggiandogli una mano su una gamba, in segno di confidenza.
Blake la osservò criptico, ancora con gli occhi non completamente aperti, ponendo le braccia conserte, come per alzare già un muro tra loro.
Ma la donna non si arrese e persistette, iniziando a carezzargli delicatamente il ginocchio da sopra le coperte, con movimenti rilassanti e circolari. – Come ti senti..? – tentò.
Le occhiaie nere e scavate sul volto di Blake non mentivano e sarebbero state palesi per chiunque.
- Mamma – sussurrò lui, con la voce arrochita dal sonno. – Cosa c’è? – le domandò diretto, senza preamboli.
- Mi dispiace tanto di averti svegliato ... ma sai – guardò altrove con sguardo perso, cercando di trovare le parole giuste. – Oggi, all’ultima veglia per Bonnie... le parole di suo fratello mi hanno fatto pensare. Mi hanno fatto riflettere su quanto, nella vita, potrei perdere. Su quanto siano fugaci gli attimi che trascorriamo con le persone che amiamo di più.
- Mamma, sono ancora qui. Non sono morto sotterrato nella galleria anche io – le disse schietto.
- Lo so, Blake.. – sussurrò, trattenendo a stento le lacrime e abbassando gli occhi sulle proprie gambe. – Ma ho paura lo stesso. Riesci a capirlo? Riesci a capirmi...?
- Non devi avere paura.
A ciò, vedendolo più approcciabile del solito, tentò una mossa azzardata e sperò che, complice il sonno e l’intorpidimento, Blake non si sarebbe scanzato: allungò una mano verso le sue braccia conserte e strette al petto, infilando le dita dentro quel groviglio, trovando la sua mano e tirandola fuori, stringendola nella sua.
Blake non disse niente e la lasciò fare, passivo.
- Sai ... le cose tra noi non devono essere sempre così difficili – tentò speranzosa, con la voce rotta e il sorriso tremante, guardandolo dritto negli occhi. – Posso cambiare, se lo desideri ... potrei essere come tu desideri che sia. Così, potremmo ...
- Io non te l’ho chiesto. Non ti ho mai chiesto di cambiare per me.
- Ma Blake, lo farei con piacere, se questo servisse ... servisse a sentirti più vicino.
- Perchè non riesci semplicemente ad accettare il fatto che siamo troppo diversi? – le disse lui con una naturalezza che la fece impietrire. – Insomma, dovrebbe essere semplice. Lo è per due persone che condividono un legame coniugale, perchè non dovrebbe esserlo per noi? Se si è troppo diversi, lo si accetta, e si cerca di convivere con la cosa, di non far funzionare il rapporto forzatamente.
- Blake, un conto sono due adolescenti che stanno scoprendo se si piacciono o no, un conto è il legame genitori-figli. Sono due cose completamente diverse.
- Perchè?
- Il nostro legame è sacro!
- No, non lo è.
- Ti prego ... ti prego, tesoro ... non voglio litigare con te come sempre – gli disse stringendogli la mano ancor di più nella sua e guardandolo accorata. – Sono stanca di litigare con te. Mi si spezza il cuore ogni volta. Lo sai.. lo sai che è l’ultima cosa che vorrei. Vorrei poter essere libera di amarti senza dovermi trattenere, senza dover lottare con le unghie e con i denti per ottenere un pezzo di te, un pizzico della tua vicinanza, della tua attenzione. Sto chiedendo troppo...?
A ciò, lui ritirò indietro la mano, sfuggendo alla sua presa. – Dimmi per quale motivo mi ami.
- Cosa.. che domanda è?
- Dimmelo.
- Per una miriade di motivi.
- Dimmene uno, avanti.
- Perchè...
- Perchè?
- Perchè sei mio figlio.
Blake sorrise amaro e trionfante, esattamente la risposta che voleva.
- Cos’è quello sguardo? – domandò preoccupata lei, temendo di aver sbagliato a rispondere.
- Tu non mi ami, mamma. Ami solo quello che rappresento. Lo capisci?
- Blake, basta, smettila. Abbi pietà della tua povera madre!
- D’accordo, la smetto. E tu smettila di combattere per avermi. Smettila di volermi avere per te, come fossi un trofeo da vincere. Dovete smetterla entrambe, tu e Myriam.
Quelle ultime parole fecero paralizzare totalmente Heloisa, facendole sgranare gli occhi chiari fino all’inverosimile.
Anche Blake sembrò rendersi conto in quel momento del danno appena fatto.
- Hai usato il presente ...“dovete”. Significa che lei è ... ancora viva..?? Si è fatta viva?? L’hai vista?! Blake, rispondimi!
- No, non l’ho vista. Lei è morta, esattamente come mi hai detto tu anni fa, giusto? È morta per quello stupido incidente alla Taverna, come mi hai raccontato. Io mi sono fidato delle tue parole – le disse sfidandola con gli occhi, attraversandola da parte e parte con il suo sguardo ora divenuto velenoso, incandescente.
- ... Giusto – confermò Heloisa, cercando di calmarsi, cercando di scacciare quel pensiero irrazionale che oramai stava invadendo la sua mente come una malattia da settimane. – Ad ogni modo, il punto non era questo.
- Lei è sempre stata il punto – controbattè il ragazzo. – Lei e la malsana battaglia che c’era tra voi.
- Blake, tu non puoi capire. Lei era diventata una presenza tossica per te. Avevate un legame viscerale che sconfinava nell’ossessione da perte sua nei tuoi cofronti. Io dovevo intervenire!
- Per quale motivo?
- Perchè sono tua madre e perchè sei mio! – esclamò scattando immediatamente in piedi, improvvisamente animata da quel sentimento che albergava in lei e la muoveva più di ogni altro, quando si trattava dei suoi figli: l’avarizia. – Non permetterò mai più a nessuno di toccare le mie cose! Non permetterò a nessuno di toccare te, di toccare Ioan, e un tempo anche tuo padre rientrava in questa cerchia! Prima che decidesse di buttarsi nelle braccia di un’altra donna! – esclamò addolorata, ansimando trafelata, stringendo i pugni convulsamente.
- Se hai lasciato andare mio padre... perchè non puoi lasciar andare anche me?
- Non avverrà mai. Mai.
- Perchè no?
- Perchè con te è diverso. Non riuscirei mai a lasciarti andare. Ne morirei prima. Lo so – disse con una sincerità disarmante.
 
In seguito a quell’impegnativa discussione, Heloisa tornò nell’atrio principale della casa, lasciando Blake in camera sua, sperando che riuscisse a riprendere sonno nonostante tutto, cercando di dimenticare la conversazone appena avuta.
Ad attenderla trovò sia Quaglia che padre Craig, seduti silenziosamente intorno al tavolo.
Quella situazione era quanto di più imbarazzante si potesse creare, dopo ciò che era accaduto due notti prima tra loro.
Durante quei due giorni non avevano mai avuto modo di incrociarsi tutti e tre, ma sapevano che il fatidico momento sarebbe arrivato prima o poi, vivendo tutti nella stessa casa.
Heloisa cominciò a pensare che stesse diventando sin troppo affollata quella casa.
Sempre affollata, ma mai delle persone giuste: Blake e Rolland passavano più tempo fuori casa, piuttosto che dentro ultimamente.
- Come sta? – le domandò freddamente padre Craig, evidentemente molto più interessato allo stato di Blake per lasciarsi vincere dalla rabbia che nutriva nei confronti della donna.
Heloisa aveva tentato più volte di inquadrarlo nel corso di quelle lunghe settimane che il prete aveva trascorso in casa loro, approfittando della loro ospitalità per un periodo molto più esteso di quello previsto.
Le sue teorie erano due al momento: egli stava rimanendo o per Blake, o per quella Judith, a quanto pare anche lei una presenza costantemente ricercata dal prete, insieme a Blake. Inizialmente, Heloisa si era stupidamente illusa che il prete si stesse trattenendo più del dovuto per lei.
Considerando il modo in cui la guardava e le provocazioni che lei gli mandava, credeva di essere riuscita nell’intento di sedurlo. Non che il suo obiettivo iniziale fosse quello di sedurlo; tuttavia, la serva del Diavolo sapeva benissimo che effetto facessero tutti loro, agli stranieri che visitavano il loro villaggio.
Era come un lento e graduale afrodisiaco assunto a piccole dosi.
Il suo unico scopo era quello di sentirsi lusingata, desiderata, ammirata come Rolland non la faceva sentire da tanto oramai.
Non chiedeva molto, d’altronde.
Voleva solo che un uomo la guardasse come voleva che suo marito la guardasse.
Voleva suscitare un minimo senso di gelosia nell’animo del suo consorte, una genuina scintilla e volontà di possesso nei suoi confronti.
E, invece, non aveva ottenuto nulla.
Solo un puro e semplice sfogo.
Doveva ammettere che era felice di aver attirato più facilmente le attenzioni di Quaglia, invece, e non solo perchè quell’uomo era indubbiamente affascinante, per essere uno straniero.
Se fosse riuscita nel suo intento di far cedere ai piaceri della carne padre Craig prima che arrivasse Quaglia, si sarebbe sentita in colpa per aver tentato e portato al peccato un uomo di dio. Nonostante non del dio che lei serviva.
Dunque, era stato meglio così. D’altronde, era quasi del tutto certa che non avesse in alcun modo ferito i sentimenti del giovane prete nel momento in cui era stata scoperta da lui con Quaglia, in quanto aveva smesso di credere che padre Craig stesse rimanendo a Bliaint per lei, o nutrisse un qualsiasi tipo di sentimento nei suoi confronti. E anche se così fosse stato... probabilmente ad Heloisa non sarebbe importato.
Perchè Heloisa era fondamentalmente una persona egoista, ed era stanca di fingere di non esserlo.
Ragion per cui non si sarebbe certo giustificata con padre Craig, non ne aveva alcun motivo.
Era dal giorno in cui l’uomo per cui aveva perso la testa e che aveva sposato senza battere ciglio, aveva deciso di infilarsi nel letto di un’altra donna, che aveva smesso di dare spiegazioni.
Tanto meno poteva pretenderne padre Craig.
Tuttavia ... nonostante tutto, era ancora divorata dalla paura che il prete potesse rivelare ciò che aveva visto a qualcuno in casa.
Tutto ciò su cui poteva contare, era il desiderio di benessere familiaire che padre Craig non voleva rovinare rivelando un fatto simile.
Rolland non avrebbe sicuramente reagito bene nello scoprirlo.
Rolland ... il suo consorte. L’uomo che, nonostante tutto, malgrado ogni difficoltà affrontata, malgrado l’infedeltà ... amava ancora. Alla follia.
L’uomo che aveva smesso di toccarla, persino di guardarla. Lei, invece, desiderava ancora toccarlo, guardarlo, approcciarsi a lui in qualsiasi modo. E ci provava, continuava a provarci ogni notte.
Ma non vi era niente da fare.
Rolland la trattava come una povera donna di cui farsi carico, di cui prendersi cura.
La trattava solo come la madre dei suoi figli, non come sua moglie.
Heloisa non sapeva ben identificare quando avesse iniziato a farlo.
Egli era sempre stato un uomo passionale, affiatato, un vulcano in eruzione in ogni cosa che faceva.
Da quando il loro rapporto si era raffreddato a tal punto?
Smise di porsi tali domande e iniziò a concentrarsi amaramente sui due uomini dinnanzi a lei.
Lo sguardo infastidito e risentito di padre Craig lo aveva categorizzato per bene; mentre, al contrario, Heloisa non riusciva minimamente a leggere cosa passasse per la testa di Quaglia.
Non era solo perchè fosse arrivato da pochi giorni. Quell’uomo era un totale mistero per chiunque, anche solo per il fatto che avesse perduto la memoria della sua vita passata.
Un bambino nel corpo di un uomo adulto.
Con istinti da uomo adulto.
Quando lo aveva facilmente sedotto due notti prima, Heloisa non avrebbe mai immaginato che, dopo l’attimo di impacciatezza iniziale che le fece sembrare di stare per rubare la verginità ad un ragazzino, l’uomo si sarebbe trasformato in un tumulto di voracità, creatività e spigliatezza sotto le coperte.
Era stata una piacevole scoperta, che l’aveva fatta sentire giovane di nuovo, che l’aveva fatta ritornare una fanciulla con il fuoco dentro.
- Heloisa ... – riattirò bruscamente la sua attenzione padre Craig, ricordandole di non aver ancora risposto alla sua domanda. – Vi ho chiesto come sta.
- Non bene – rispose distaccatamente lei.
Il volto di padre Craig si rabbuiò immediatamente, quasi come gli avesse detto che gli mancassero trenta giorni di vita.
- Cos’ha che non va? – domandò in tono più composto Quaglia, dal quale traspariva una preoccupazione più controllata.
- Non dorme. Non riesce a farlo o si rifiuta di farlo, non lo so... il suo corpo ne sta risentendo. Credo si tratti di incubi. Anche da bambino ne faceva spesso, e lo tenevano sveglio per nottate intere.
- E, giustamente, voi avete ben pensato di andare a svegliarlo nell’unico momento in cui avrebbe potuto recuperare un po’ di sonno – la rimproverò padre Craig.
- Avevo bisogno di parlargli, padre. Non vi devo alcuna giustificazione.
Da quando è tornato da quel viaggio ... non è più la stessa persona. Non so cosa darei per sapere cosa gli è accaduto – sospirò esasperata.
- Quando lui è tornato eravate voi a non essere più la stessa, Heloisa – le disse padre Craig, in tono d’accusa. - Avete dimenticato in che stato vi ha trovata? – aggiunse.
- Ora mi sento meglio – dichiarò stizzita. – Provvederò alla mia famiglia come ho sempre fatto.
Padre Craig scoppiò in una risata nervosa a quelle parole.
- “Ora vi sentite meglio”..? Perdonatemi ma a me non sembra, considerando che avete tradito il vostro consorte proprio sotto il tetto di casa vostra! – le parole uscirono dalla bocca del giovane prete senza controllo, con una rabbia che non aveva mai creduto di possedere. – Avete una famiglia stupenda e neanche ve ne rendete conto. Avete due figli meravigliosi e un marito premuroso che provvede a tutti i vostri bisogni. Siete disposta a rovinarla in tal modo e per cosa..? Per lui?? – domandò sconcertato, indicando il povero Quaglia, rimasto serio e in silenzio fino a quel momento.
Ora il giovane prete parlava guidato dall’ignoranza e dai pregiudizi, ed Heloisa non poteva accettare neanche una di quelle pesanti e gravi parole che l’uomo le aveva sputato addosso.
- Voi ... voi, come diavolo vi permettete...? Chi siete voi, per noi?! – gli gridò avvicinandosi a lui a grandi falcate fino a che i loro visi non furono vicini. – Non siete n-e-s-s-u-n-o – gli specificò, scandendo bene ogni lettera. – Non siete nessuno per questa famiglia. Credete di aver acquisito una certa importanza qui, una certa autorità, solamente perchè siete nostro ospite da un’eternità oramai, approfittandovi della nostra gentilezza? Che illuso... riuscite solo a ispirarmi compassione e null’altro – gli disse velenosa, mossa da un’irrazionale ferocia. – Ditemi, padre .. : per quale motivo siete ancora qui? Qual è la ragione per cui non state ritornando nel vostro villaggio di appartenenza?
Quella domanda improvvisa devastò totalmente tutta la sicurezza che il giovane prete aveva mostrato fino a quel momento.
Se lo domandò e ridomandò a sua volta: per quale motivo stava rimanendo a Bliaint?
Oramai le questioni commerciali non c’entravano più, dato che aveva acquisito già tutte le informazioni necessarie a riguardo.
Aveva evitato quella domanda come una malattia, negli ultimi giorni.
Ed ora, l’unica risposta che la sua coscienza pura già messa a dura prova era disposta ad accettare, era la seguente: stava rimanendo per scoprire cosa fosse davvero accaduto quella notte funesta.
Non appena l’avrebbe scoperto, sarebbe ritornato ad Armelle ad espiare le sue colpe, senza guardarsi indietro.
Se avesse scavato lievemente sotto la superficie di quel fasullo e pericolante muro di protezione che si era costruito addosso, avrebbe trovato una verità molto diversa da quella, una risposta che non era disposto ad affrontare e a sopportare, ma che conosceva benissimo, nel profondo.
Due persone in particolare lo stavano trattenendo in quel villaggio.
Padre Craig stava iniziando a temere sempre di più, che non sarebbe mai riuscito a staccarsi da loro, e quel solo pensiero, era il più pericoloso che potesse mai infettare la sua mente dedita a Dio.
In quel momento, per sua grande fortuna, ad interrompere l’accesa discussione intervenne Quaglia, il quale si alzò in piedi e si avvicinò con calma. – Padre – lo richiamò a sè.
Padre Craig si voltò a guardarlo quasi come fosse un fantasma.
- Il rapporto tra me e Alma Heloisa è solamente fisico. Solo uno sfogo fisico e null’altro. Penso di parlare per entrambi – disse con tranquillità, cercando conferma negli occhi della donna.
- Assolutamente, mi sembra superfluo specificarlo – disse Heloisa priva di ogni dubbio, sedendosi e sospirando esasperata.
- Avete visto? Io non ho alcun interesse nei suoi confronti, nè lei nei miei. Semplicemente, stiamo sfruttando questa occasione entrambi. Io per conoscermi meglio, lei per sfogarsi. Non vi è nulla di male, e non vi è alcun bisogno che alcuno lo sappia, dato che non lede minimamente alla stabilità di questa famiglia.
La tranquillità e la sicurezza con la quale quell’uomo aveva pronunciato tali parole, lasciò padre Craig a dir poco sconvolto. Fu come se vedesse Quaglia per la prima volta solo in quel momento.
Osservò i suoi occhi chiari, placidi, e cercò di leggerci dentro qualcosa, qualsiasi cosa. Ma non vi trovò nulla.
- Quaglia ... voi...?
Ma il giovane prete non fece in tempo a terminare la frase che, improvvisamente, la porta di casa si aprì, ed entrarono l’imponente figura di Rolland, accompagnata a quella minuta di Ioan.
I due si fermarono sul ciglio della porta, sorpresi nel ritrovarseli tutti e tre lì nell’atrio, immersi in quell’aria di tensione.
- Salve – ruppe il silenzio Rolland, richiudendosi la porta dietro di sè.
- Dove sei stato, caro? – gli domandò immediatamente Heloisa rialzandosi in piedi, ma senza avvicinarsi.
- Sono andato a prendere Ioan alla cattedrale alla fine della sua lezione di teatro. Dato che si sta facendo buio, non volevo farlo tornare a casa da solo.
- Giusto ... com’è andata la tua lezione, tesoro? Ti sei divertito? – domandò Heloisa al suo figlio minore, il quale annuì e le accennò un lieve sorriso, restando accanto al padre.
- Puoi iniziare a preparare la cena anche senza di me. Ioan ha una fame da lupi – le disse Rolland senza neanche togliersi il mantello.
- Perchè?? Dove stai andando? – gli domandò immediatamente lei, vedendo il piccolo avviarsi verso la propria camera.
- Sto andando alla galleria. Per cercare di capire cosa si può fare per riaprire l’entrata, per comprendere di che entità è stato il crollo. I lavori devono riprendere. E vorrei portare Blake con me alla galleria.
- No! – dissero in coro Heloisa, padre Craig e Quaglia, impietrendo nel momento in cui si resero conto di averlo esclamato nello stesso momento.
Rolland li guardò confuso, sorpreso, e forse anche un po’ stranito da quella strana situazione.
- Blake ha bisogno di riposo al momento – spiegò Heloisa, cercando di risultare calma. – Verrà la prossima volta.
A ciò, Rolland annuì senza dire nulla e uscì di casa alla stessa velocità con cui era entrato.
 
HYBRIS – TRACOTANZA
 
Judith camminò placidamente per le strade buie del villaggio, con una pessima sensazione ad annebbiarle i pensieri.
Quella sera lei e Blake avrebbero dovuto rivedersi, per discutere sul come procedere per il loro progetto.
Tuttavia, la lezione con i bambini si era un po’ protratta, e non era riuscita ad avvertirlo che avrebbe ritardato.
Non sapeva se egli si fosse recato alla biblioteca e l’avesse aspettata, pur non avendola vista arrivare. Ad ogni modo, ora si stava recando a casa sua per scusarsi dell’inconconveniente.
Si ricordava dove fosse collocata l’abitazione del ragazzo, nonostante non vi fosse mai stata, in quanto sia Blake che padre Craig le avevano descritto la sua posizione.
Sperò che fosse ancora sveglio, e sicuramente lo era, data la fatica che stava facendo a dormire ultimamente.
Bussò alla porta dell’abitazione, stringendosi nel suo mantello blu cobalto.
Ad aprirgli, a sua grande sorpresa, fu Ioan, che le sorrise e la salutò stropicciandosi gli occhioni.
Lei e il bambino si erano salutati solo qualche ora prima.
- Ciao Judith.
- Ciao, Ioan. Sei l’unico ancora sveglio?
Il bambino negò. – C’è anche Blake. Gli altri dormono, credo. Tranne mio padre, che è alla galleria.
- E dov’è tuo fratello?
- Di sotto. Alla fucina. Quando è lì sotto nessuno può disturbarlo, a meno che non sia Blake a dargli il permesso.
- Credi che io potrò disturbarlo un attimo?
Ioan non rispose, guardandola serio. – Non lo so se ne sarà contento. Puoi provarci.
- Grazie, Ioan – gli disse accarezzandogli una guancia, ed entrando in casa, cercando di fare meno rumore possibile. – E tu perchè sei ancora sveglio?
Ioan alzò le spalle. – Ci sono dei rumori strani. Che provengono dalla fucina. Ho il sonno leggero.
Judith annuì, sentendo quella strana e pessima sensazione artigliarle lo stomaco vuoto.
- Allora è un bene che io vada a controllare. Tu rimani qui, d’accordo? E cerca di dormire come stanno facendo gli altri – lo incoraggiò.
Il bambino annuì e se ne tornò in camera.
A ciò, Judith si accinse a trovare l’entrata per scendere nel seminterrato, in cui si trovava la fucina.
Prese a scendere le scale, già intravedendo dei lampi di luce illuminare il fondo della scalinata, a scatti.
L’odore penetrante del piombo e del carbone le invase le narici con violenza, facendola tossire ripetutamente.
L’aria era pressocché irrespirabile.
Il caldo era insopportabile, tanto da farle desiderare di togliersi ogni strato di stoffa che la copriva, le fiammate stavano sicuramente invadendo in maniera inumana quello spazio chiuso e soffocante, privo di finestre.
Iniziò a girarle la testa, e doveva ancora finire di scendere le scale, perciò non osò immaginare come potesse sentirsi il ragazzo che si trovava esattamente lì dentro, da chissà quanto tempo.
Iniziò a comprendere che non si poteva trattare solamente del caldo asfissiante e dell’odore di carbone.
La testa le girava troppo, le vertigini era violente, la mente stava iniziando ad annebbiarsi: l’aria doveva essere velenosa. Che cosa la stava avvelenando?
Judith procedette senza remore, e nonostante desiderasse scappare via il più velocemente possibile da quel luogo, continuò la sua discesa nell’inferno solo per tirar fuori Blake di lì, se davvero si trovava là sotto.
Resistette, coprendosi la bocca e il naso con il tessuto della manica del vestito, terminando di scendere le scale e trovandosi davanti agli occhi lo spettacolo più conturbante che avesse mai visto: le fiammate imperavano dentro la fornace, quasi bisognose di inghiottire qualsiasi cosa, mentre Blake le alimentava intensamente, con il mantice. Quello strumento grande, duro e difficile da maneggiare, sembrava perfettamente malleabile tra le mani frementi ed esperte del ragazzo, che spingeva e spingeva in alto e in basso, con una forza violenta e brutale.
Judith lo osservò. Era come se non vedesse niente davanti a sè, i suoi occhi erano colmi e invasi solo dalle fiammate, lo sguardo perso, i capelli legati, i vestiti leggeri che indossava erano sudati a causa dell’estremo calore soffocante che imperava nel luogo, la sua pelle era macchiata di aloni neri.
Lasciò il mantice e si diresse verso il tavolo, prendendo il martello e colpendo, iniziando a frantumare delle pietre dal colore particolare, di un grigio-bluastro, quasi ipnotiche da guardare, come lo era tutta quella scena.
Dopo di che, prese in mano i frammenti di quelle pietre e iniziò a gettarle dentro l’enorme calderone dentro cui stava bollendo qualcosa.
Judith si sporse per riuscire a vedere cosa fosse, e realizzò essere probabilmente piombo, dal colore e dall’odore che emanava.
Tutta quella situazione era assurda, pericolosa, malata.
Blake sembrava non vederla nonostante fosse a pochi passi da lui, continuava a muoversi come guidato da una forza maggiore, quella della sua implacabile volontà titanica di mutare, creare, di prevalere sulla natura.
Dopo di che, le vertigini di Judith aumentarono, così come la sua tosse, che divenne bruciante, roca, facendole ricordare che l’aria fosse tossica, avvelenata da qualcosa.
Eppure, Blake sembrava non risentirne, per qualche motivo.
Poteva essere l’abitudine, ma era umano anche lui e, presto o tardi, il suo corpo ne avrebbe pagato le conseguenze.
Forse le stava già pagando.
Finalmente, realizzò.
Realizzò quando vide il ragazzo infilare un grosso mestolo di metallo e dalla forma allungata dentro un altro recipiente, e prendere qualcosa.
Era un liquido argenteo, bianco-argenteo, dall’aspetto inconfondibile.
- Quello è... mercurio..?? – sibilò attonita, coprendosi maggiormente bocca e naso.
Ecco da cosa stava venendo infettata l’aria.
Era anche peggio di quanto pensasse.
Prima che Blake potesse far colare il mercurio dentro il calderone di piombo fuso, Judith trovò la forza di intervenire, fiondandosi su di lui, artigliando le sue braccia, stringendogliele e scuotendolo.
- Blake! Blake!! Blake, sono io, Judith! – lo richiamò.
Egli la guardò stralunato, e solo perchè gli si era posta davanti agli occhi con la forza.
Il volto privo di espressione la fissava, lasciandosi scuotere con forza da lei.
- Blake, per favore! Riuscite a riconoscermi?? Dove l’avete preso il mercurio? Perchè lo state usando?? Che diavolo state facendo, per l’amor del cielo?!
- Judith – sembrò finalmente riconoscerla lui, ma restando comunque inespressivo.
- Blake, ci stiamo avvelenando restando qui dentro, ci state avvelenando! Dobbiamo uscire di qui, vi prego..
- Io devo farlo, Judith. Il Giudice ha ragione, Bonnie ha ragione. Io devo e voglio farlo, e non solo perchè poi mi getteranno di nuovo in quella vasca gelida per annegarmi. Lo avrei fatto comunque ... – iniziò a delirare, ma con voce calma, neutra.
- Blake... che state dicendo..? Qui non c’è nessun Giudice. Nessuno vuole torturarvi con la vasca... mi state ascoltando? Qui non c’è nessuno. Solo io. Io e voi ... – ritentò, disperata, prendendogli il volto tra le mani, facendo uno sforzo immane nel trattenere le lacrime.
A ciò, vedendo i suoi occhi lucidi, le sue penetranti iridi d’ossidiana illuminate dal fuoco e sul punto di crollare, il ragazzo sembrò riprendersi.
Iniziò a percepire la fatica, il caldo, l’aria velenosa che lo stava infettando, il carbone che gli stava entrando dentro, ad ogni respiro.
Si lasciò cadere seduto a terra, con la schiena a contatto con la parete. Puntò i palmi a terra per reggersi su, iniziando a fremere e spalancando gli occhi.
Judith si accasciò con lui, gli prese il viso e lo strinse a sè, donandogli tutto il calore di cui aveva bisogno, cercando di calmarlo come poteva.
- Va tutto bene. Ora va tutto bene ...
Andiamo via di qui.
                                                     
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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