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Autore: Imperfectworld01    09/12/2021    2 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Ventotto.


Non avendo un granché da fare quel pomeriggio, una volta dopo aver finito di fare i compiti e di studiare per il giorno successivo, ripresi sottomano il libro che avevo preso in prestito dalla biblioteca della scuola. Mi mancava leggere e, sebbene non fosse proprio la migliore delle alternative, era anche l'unica che avevo, perciò decisi di accontentarmi.

E infondo mi avrebbe fatto soltanto bene informarmi un po' di più. In fondo Filippo aveva ragione, non sapevo quasi nulla di certe cose, anche se forse ne sapevo ugualmente più di lui.

Approfittai del fatto che mia sorella fosse in bagno a farsi una doccia e che quindi fossi in camera da sola, per ricominciare a sfogliare il libro, sedendomi con la schiena appoggiata alla testiera del letto. Aprendo una pagina totalmente casuale e senza seguire un ordine preciso, mi imbattei di nuovo, neanche a farlo apposta, nella pagina in cui erano raffigurate le due figure femminili, una con il fisico non ancora sviluppato e l'altra con forme più pronunciate.

Cambiai alla svelta pagina. Mi concentrai a fondo e mi immersi nella lettura.

Sorprendentemente, alcuni paragrafi mi interessarono per davvero. In più, oltre a farmi un po' di cultura generale, apprendere ciò che vi era scritto mi sarebbe potuto di certo tornare utile in futuro, così da non finire nella disperazione più totale come Benedetta.

Non la incolpavo per questo, perché non c'era mai nessuno a parlarci di queste cose, né a casa né a scuola né da nessun'altra parte, il che era ingiusto e anche pericoloso perché poteva portare a farsi delle convinzioni totalmente sbagliate.

Ad esempio, tempo prima Benedetta mi aveva detto che non si poteva rimanere incinte la prima volta, ma la verità era un'altra, ovvero che il rischio si correva ugualmente la prima così come la decima o la trentesima volta, in quanto dipendeva da altri fattori.

A scuola studiavamo lingue morte ormai da secoli, ma le cose davvero utili non ci venivano insegnate.
A volte mi sembrava di vivere in una bolla, come se non sapessi nulla del mondo in cui vivevo, e la cosa valeva anche per le mie coetanee.

Un giorno finiremo la scuola ed entreremo davvero nel mondo reale, da adulte, e non sapremo comunque nulla, riflettei fra me e me.

Non avevo la minima idea di come si pagavano le bollette, né da dove arrivavano i soldi delle pensioni, né come venivano calcolate le tasse pagate dai cittadini, eppure erano cose con cui fra meno di dieci anni avrei dovuto fare i conti quasi ogni giorno. Perché la scuola italiana non ce lo insegnava?

«Nina, ma che cavolo fai con quel libro ancora in mano?»

Sobbalzai sul letto e battei la testa sul muro al quale ero appoggiata, nel sentire la voce di Benedetta. Così concentrata su quello che leggevo, non mi ero nemmeno resa conto che mia sorella fosse tornata in camera nostra.

«Sto leggendo» risposi, cercando di celare l'imbarazzo sempre più crescente attraverso la sicurezza nel mio tono di voce.

«Non dovresti leggere queste cose» mi ammonì, avvicinandosi e cercando di togliermi il libro dalle mani, ma io lo nascosi dietro la mia schiena.

«Perché non dovrei?»

«Perché sei solo una ragazzina, e queste sono cose da grandi.»

Alzai gli occhi al cielo. E con quale coraggio mi faceva lei la morale? Certo che a volte era proprio un'ipocrita.

«Non capisco, che male c'è a volersi informare?» ribattei. «Intanto se non avessi preso questo libro, tu staresti ancora in un angolino a piangere come una disperata senza sapere cosa fare della tua vita, quindi sì, forse io non dovrei leggerlo, ma tu avresti do...» Mi interruppi prima di finire la frase. Era comunque chiaro dove volessi andare a parare con il mio discorso, ma fermarmi prima di concluderlo mi diede l'illusione in qualche modo di non essere stata tanto stronza. Anche se in realtà era chiaro che lo ero stata e che avevo ferito i suoi sentimenti, tanto per cambiare.

«Vaffanculo, Nina!» esclamò, dandomi le spalle e preparandosi a uscire dalla stanza, ma io la fermai, camminando a carponi sul letto fino a raggiungerla e afferrarla per il polso: «Mi dispiace, Benni, non volevo» mi scusai.

Benedetta in un primo momento tenne lo sguardo fisso sul pavimento, ma poi lo sollevò e lo puntò sul mio, incenerendomi. «Ma quand'è che inizierai a maturare un po'? Nella vita non puoi continuare a sbagliare e poi scusarti, ogni tanto dovresti anche riflettere su quello che dici e su quello che fai!» mi rimproverò.

Odiavo quando usava quel tono da maestrina, comportandosi come se fosse mia madre, ma era anche innegabile che avesse ragione, e forse era soprattutto questo a renderla ancora più odiosa.

Non sapevo darmi un freno, e questo mi portava a ferire le persone senza ragione. Lo facevo di continuo e con chiunque.

«E comunque non ho mai chiesto il tuo aiuto, me la sarei cavata in qualche modo anche da sola.» Aprii bocca per ribattere ma non me ne diede il tempo perché riprese subito la parola. «Che c'è, leggendo queste stronzate pensavi forse di sentirti parte del mondo dei grandi, degli adulti? E poi perché mai dovresti volerlo? È un mondo di merda! Tra qualche anno te ne renderai conto.»

Al momento mi riusciva difficile credere che la mia vita potesse peggiorare ancora negli anni a venire, dato che i quindici già trascorsi non erano stati per niente facili né memorabili. Forse era per quello che non attendevo altro che crescere, perché speravo che in futuro, magari raggiunta la mia indipendenza, sarebbe migliorato qualcosa.

«Domani ci vado da sola al consultorio» concluse il discorso, liberandosi dalla mia presa e uscendo di scena.

Non tentai di fermarla quella volta. Aveva bisogno di stare sola e anche io. Ma ciò non significava che mi sarei arresa nell'aiutarla e che l'avrei davvero lasciata andare da sola.

*

L'indomani mi svegliai stranamente di buon umore, nonostante le vicissitudini del giorno precedente. Avevo dormito bene e mi ero svegliata riposata. Inoltre, dopo tre giorni, finalmente mia madre aveva finito di tenermi il muso e aveva ripreso a parlarmi come sempre, salutandomi con un abbraccio e un bacio in fronte prima di uscire per andare a lavoro (ma ribadendo che ero ancora in punizione), il che mi aveva dato serenità e forza per affrontare un altro giorno di scuola.

Non mi piaceva litigare con mia madre. Era capace di essere persino più permalosa di me, e i giorni successivi a un litigio erano sempre duri perché si avvertiva la tensione nell'aria e non mi rivolgeva quasi parola se non per darmi ordini del tipo: «Apparecchia la tavola», oppure «Vai a letto che è tardi».

Per fortuna non durava mai in eterno, e in pochi giorni tornavamo circa quelle di un tempo.

Una volta arrivata a scuola, io e Irene ci riunimmo insieme alle altre ragazze come di consueto e cominciammo a discorrere del più e del meno.
Essendo ormai a metà settimana, a un certo punto il centro del discorso si spostò sul cosa fare il fine settimana.

«Io non ci sono, vado con i miei in montagna» disse subito Sabrina.

«Ah, che bello, ogni tanto ci sta cambiare aria» commentai. Era da più di un anno che non uscivo fuori dalla città. Quell'estate l'avevo passata per metà a Torino e per l'altra metà a Milano. Normalmente io, mia madre, mia sorella e i miei nonni passavamo una settimana in Liguria oppure in Toscana verso fine luglio, ma quell'estate per via del trasloco imminente eravamo troppo incasinate per poter organizzare qualsiasi cosa, perciò non eravamo andate da nessuna parte.

«Scherzi? È una noia! Io e quel rompipalle di mio fratello minore siamo costretti a seguire i miei a raccogliere funghi. Quando avevo dieci o undici anni mi divertivo anch'io, ma adesso mi sembra solo un'enorme perdita di tempo!» esclamò.

«Neanch'io ci sono, comunque» dissi poi. «Sono ancora in punizione fino a prossimo avviso» aggiunsi, seccata.

«In punizione? Per il voto in greco?» domandò Angelica e io scossi la testa: «Per carità, no, mia madre non lo sa ancora, e non deve scoprirlo! Domenica sono uscita e sono tornata a casa tardissimo senza avvisare» spiegai, per chiarire la loro confusione.

«Sì, e perché non la racconti per intero questa storia, Nina?» si intromise Irene e io la fulminai con lo sguardo.
Non mi andava di dire tutto di me alle altre ragazze. Per me era già un gran passo riuscire ad aprirmi con lei. Una cosa alla volta.

«Cioè?» intervenne Eva, colma di curiosità.

Diedi un occhio all'orologio inesistente sul mio polso ed elusi la domanda: «È tardi, fra poco suona la campanella, ve lo racconto dopo».

Nessuna di loro se la bevve, infatti mi fissarono sospettose, ma fortunatamente la campanella trillò per davvero dopo quella mia affermazione, perciò lasciarono perdere.

«Ma dai, Nina, che male c'era a raccontarlo?» bisbigliò Irene rimanendomi vicina invece che andare dritta al suo posto come fecero le altre. «In fondo non è successo niente di male.»

«Lo so, ma lo sai che non mi piace parlare di Filippo, specie con loro che si gasano appena lo sentono nominare» risposi evasiva.

«Non ti piacerà parlare di lui, ma parlare con lui invece ti piace parecchio, se già per due volte ti sei trattenuta a farlo fino a perdere la cognizione del tempo» commentò fissandomi con uno sguardo malizioso.

Sentii le mie guance avvampare. «M-ma che dici? Ieri dovevo chiedergli una cosa importante, e poi...»

«Sì, sì, come dici tu» mi interruppe, voltandomi le spalle e andando a sedersi. «Anche se secondo me neanche tu credi a quello che dici.»

«Irene!» esclamai, profondamente infastidita per le sue insinuazioni senza alcun tipo di fondamento.

Il professore entrò in aula prima che potessi dire qualsiasi cosa per ribattere, ma non era finita lì: l'avrei avuta io l'ultima parola su quella questione.

*

Alla fine il discorso non fu più riaperto, né con Irene singolarmente né con le altre, e in fondo preferii così. Non avevo nulla di cui giustificarmi e inoltre non potevo essere obbligata a parlare di qualcosa di cui non mi andava, no?

Inoltre non mi andava di rovinarmi quella giornata con discussioni inutili e prive di senso, quindi feci finta di nulla e, sia durante le pause fra una lezione e l'altra sia durante l'intervallo vero e proprio, cercai di tirar fuori quanti più argomenti possibili di cui parlare, così da distogliere l'attenzione da tutto il resto.

Ero abbastanza brava a farlo, se mi ci mettevo d'impegno. Il problema sarebbe stato il tragitto di ritorno a casa insieme a Irene, durante il quale ero sicura che non mi avrebbe lasciato alcuna via di scampo.

Infatti andò proprio così. «Incredibile come diventi loquace quando si parla di tutto fuorché di te» osservò, non appena salimmo sul tram.

«Sarà che non sono una persona egocentrica» risposi scrollando le spalle, cercando di schivare la sua freccia. «Preferisco interessarmi agli altri piuttosto che parlare solo di me stessa» aggiunsi con un mezzo sorriso.

«No, Nina, tu non parli mai di te stessa» mi fece notare, restando seria. «E mi può andare bene che tu non voglia parlarne con le altre, ma ecco... Noi due ci conosciamo da relativamente poco, è vero, ma rispetto a ciò che sai tu di me, io so pochissimo di te.»

«Ma che dici? Sei una delle poche persone a cui racconto tutto» la contraddissi.

Schioccò la lingua sul palato. «Al massimo mi racconti cosa accade nelle tue giornate, ma lo fai... non lo so, con un certo distacco, come se mi riferissi le cose successe a qualcun altro. E allora devo tirare a indovinare per capire cosa ti passa davvero nella testa. Ma vorrei tanto che mi parlassi a cuore aperto, perché credo che la nostra sia qualcosa di più di un'amicizia superficiale e a convenienza... però così facendo non stiamo costruendo nulla, e a me dispiace un sacco. Finora ti ho assecondato, fingendo di credere alle balle che mi rifilavi ogni qualvolta volevi evitare un discorso, ma la verità è che non sono stupida, e credo anche che tu lo sappia.»

Trattenni il fiato durante tutto il suo discorso. Stavo già per scattare sulla difensiva come a mio solito, perché era l'unico modo che conoscevo per tirarmi fuori da situazioni spiacevoli, ma forse... forse aveva ragione mia sorella, dovevo smetterla di comportarmi da bambina, e dovevo imparare ad affrontare situazioni come quella.

Così incassai il colpo sferrato da Irene senza partire in quarta con la mia lingua velenosa. «Lo so, hai ragione» ammisi. «Solo che ho bisogno di tempo, sono fatta così. Chiedilo a Vittorio: vivo con lui da più di un mese, e lo sai quando è stata la prima volta che sono riuscita ad aprirmi e parlargli seriamente? Sabato mattina, dopo che la sera prima avevamo discusso dopo essere tornati a casa dalla festa di Monica. Lo so che ho questo problema, e sto cercando di migliorare, ma... ma non è così facile.»

Non era per niente piacevole doverle dare ragione, e in più mostrarmi così vulnerabile. Ma d'altronde era un compromesso necessario, ogni tanto, per poter costruire dei rapporti profondi e duraturi, e ci tenevo a far sì che accadesse con Irene.

Mi appoggiò una mano sulla spalla e mi sorrise flebilmente: «Vedi? È stato così tremendo?» chiese e io scossi la testa.

Poi rimanemmo qualche istante in silenzio, che io trascorsi torturandomi le dita strappandomi le pellicine, desiderando il prima possibile di scendere dal tram e arrivare a casa. Ripresi la parola non appena mi venne in mente una cosa: «Tutto questo discorso profondo e motivazionale è per far sì che mi decida a parlarti di Filippo?» chiesi.

Irene scoppiò a ridere. «È più forte di te, eh? Non riesci a pensare ad altro!» mi prese in giro, ma io la fissai di sottecchi. Sapevo benissimo che avevo centrato il punto, perché era partito tutto da lì. «Comunque, ecco, se te la senti, sono super pronta ad ascoltarti» aggiunse infatti poco dopo.

Roteai gli occhi. «Dai, magari domani mattina. Ora devo scendere. Ciao!» esclamai, prima di voltarle le spalle e dirigermi verso le porte del tram, senza neanche darle la possibilità di dire qualsiasi cosa.

«Che bastarda!» le sentii dire non appena misi il primo piede giù dal mezzo pubblico, e la cosa mi fece sorridere.

*

Dopo aver pranzato, attesi con impazienza che mia sorella tornasse a casa da scuola. La sera precedente, mentre lei si era rintanata in un angolo a parlare al telefono come suo solito, io mi ero ingegnata, armata di cartina di Milano e di Pagine Gialle, per trovare il consultorio familiare più vicino a cui andare con Benedetta.

Non appena sentii la porta di casa richiudersi producendo un gran baccano, scattai in piedi dalla sedia della cucina e accorsi in salotto. «Dai, veloce a mangiare la pasta, così poi andiamo dal medico» dissi semplicemente, aiutandola poi a togliere lo zaino dalle spalle e posizionandomi dietro di lei per spingerla verso la cucina.

«Nina, Santo Cielo, mi lasci stare? E comunque ti ho detto che non vengo da nessuna parte con te!» esclamò puntando i piedi a terra, ma io non avevo intenzione di starla ad ascoltare.

«Sì, invece» ribattei. «Non c'è modo in cui tu riuscirai a farmi cambiare idea, sappilo. E poi scommetto che non sai nemmeno dove si trova il consultorio, invece la sottoscritta...» Lasciai per qualche secondo la frase in sospeso, giusto il tempo di andare di corsa in camera mia a tirare fuori la mappa della città dove avevo tracciato con un pennarello indelebile il percorso da fare. «... ha già organizzato tutto» conclusi il discorso, prima di passarle la cartina.

Benedetta rimase titubante per un po', spostando il peso dal piede sinistro al destro e viceversa per almeno due volte. Dopo un minuto e mezzo, finalmente, cedette. «D'accordo. Dopo pranzo andiamo» disse, prima di andare a mangiare.

*

Il consultorio familiare che avevo trovato non era molto lontano da casa, ci impiegammo meno di venti minuti di camminata. Benedetta era molto agitata, sebbene cercasse di non darlo a vedere. Io però la conoscevo, e sapevo riconoscere il suo stato d'animo decifrando il suo linguaggio del corpo. Quando era nervosa, continuava a inumidirsi e mordersi le labbra e ad attorcigliarsi ciocche di capelli attorno al viso, e lei non faceva altro da quando eravamo uscite di casa.

Restammo sedute in sala d'attesa per un bel po' di tempo. Essendo che non era necessaria alcuna prenotazione per effettuare le visite ed erano molte le persone in fila per andare a fare la visita ginecologica, c'era da attendere molto più di quanto mi sarei immaginata. Erano molte le ragazze adolescenti sedute ad aspettare il loro turno.

Qualsiasi fosse la ragione che le aveva portate lì, il pensiero che forse almeno la metà di quelle fossero lì per lo stesso motivo di Benedetta, mi rattristava e mi metteva angoscia.

Dato che quel silenzio e quell'attesa interminabili rendevano agitata anche me, decisi di parlare, per smorzare un po' la tensione. L'unica cosa che mi venne in mente da dire era quella che mi tenevo dentro da più tempo, e solo con mia sorella sentivo di poterne parlare. «Io... ehm... v-voglio andare a trovare papà, uno di questi giorni» dissi, sentendo un brivido percorrermi tutta la schiena.

Era una sensazione strana quella di parlarne ad alta voce con qualcuno, specie con Benedetta. Non parlavamo mai di lui ormai da tanto tempo, da almeno tre anni.

Tenni lo sguardo fisso sul pavimento, poiché avevo paura ad affrontare il suo.

«E come dovresti fare?» chiese, con un filo di voce.

«Non siamo più a Torino, ora viviamo nella sua stessa città. Ci sono le Pagine Bianche, e...»

«Ok, ma perché?» domandò, interrompendomi. «Che ti importa di lui?»

«Come sarebbe a dire? È nostro padre, e... e, anzi, te l'ho detto per chiederti se ti andasse di venire con me.»

Più andavo avanti a parlare e più mi sentivo... a disagio, come se stessi sbagliando tutto e stessi dicendo cose fuori dal mondo, ma non capivo perché.

«Nina, guardami» ordinò Benedetta e io, dopo qualche attimo di esitazione, feci come disse.

Avevo gli occhi lucidi e le labbra tremolanti. Era per quello che avevo smesso di parlare di mio padre, perché ogni volta mi riducevo in quel modo in un nano secondo e non mi andava di farmi vedere così, da nessuno, nemmeno da mia sorella, né tantomeno da mia madre. Non volevo far vedere che, dopo tutti quegli anni, mi importava ancora di lui... però la verità era che mi importava da matti.

«Per me quell'uomo non esiste più da diversi anni, e dovrebbe essere così anche per te» riprese la parola Benedetta.

«Come puoi parlare così? È nostro padre...»

«E noi siamo le sue figlie, Nina, porca miseria! Perché non lo capisci? Il divorzio non implica la separazione dai propri figli e lui, se davvero ci avesse voluto bene, non si sarebbe dimenticato di noi. Sono passati otto anni da quando ce ne siamo andate, otto anni, e lui non si è mai interessato: nessuna telefonata, nessuna lettera, niente di niente, neanche nei giorni più importanti per noi come i compleanni, o il primo giorno di scuola, oppure a Natale.»

Non stava dicendo niente che non sapessi già, eppure le sue parole mi stavano ferendo come se mi stesse sbattendo in faccia una verità che fino ad allora mi era stata nascosta. Forse con gli anni mi ero ormai così tanto abituata all'assenza di mio padre, al punto da scordarmi quanto avessi davvero sofferto la sua mancanza.

Ciononostante, sarei rimasta ferma sulla mia decisione. Ne avevo bisogno.

«Forse mi sono stancata di trascorrere altro tempo a chiedermi perché abbia fatto certe cose, e preferisco chiederlo direttamente a lui e avere finalmente delle risposte» affermai.

«E che risposte pensi di ottenere?» chiese. «Insomma, e se ciò che scoprirai non sarà ciò che ti aspettavi? Poi ci staresti soltanto peggio, quindi forse ti conviene rimanere nell'ignoto...»

Corrucciai la fronte. Mi lasciò confusa il tono in cui parlò. Era come se sottintendesse qualcosa, come se sapesse qualcosa che io non sapevo.

Dopodiché si aprì la porta dello studio ginecologico e ne uscì la ragazza che era arrivata prima di noi. Era il nostro turno di entrare. Sull'uscio comparve poi la dottoressa, che invitò la prossima ragazza in attesa a farsi avanti.

«Tu... tu eri piccola, Nina. Non ti ricordi davvero com'era quando c'era lui» concluse il discorso, prima di alzarsi in piedi e dirigersi verso la dottoressa.

«Può entrare anche mia sorella minore? Mi ha accompagnata qui e... ecco, mi sentirei più sicura a non entrare da sola» chiese Benedetta e il medico annuì comprensiva, prima di farmi cenno di raggiungerle.

 

   
 
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