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Autore: Lita_85    11/12/2021    2 recensioni
Dario fisioterapista casanova incallito. Anita pubblicitaria ironica e intraprendente. Due persone così diverse ma così simili. Le loro vite verranno stravolte dal loro primo incontro, che li porterà loro malgrado in situazioni divertenti e passionali. Sapranno resistersi l'un l'altro? Buona lettura! ❤️ Opera registrata su Patamu, qualsiasi riproduzione anche parziale dell'opera senza cconsenso sarà perseguibile per legge.
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Experience - Ludovico Einaudi

Entrai nel taxi quasi cadendoci dentro con la faccia rivolta verso quella tappezzeria color seppia dall'odore acre misto a fumo che li contraddistingue. Mi arrampicai velocemente sul sedile e, riferendo l'indirizzo di Anita al caro taxista, mi sedetti al mio posto cercando di stare fermo. Il mio corpo, preso di mira da quel tremolio incontrollato, non smetteva di muoversi all'interno dell'abitacolo. Spingevo le mani impazienti sulle ginocchia in un gesto involontario che per certi versi mi dava sollievo. Quel su e giù evitò un paio di volte di andare di matto. Era troppo la voglia di stringerla tra le mie braccia, troppo la voglia di sentirla mia. I miei occhi dietro gli occhiali da vista, fissavano la strada piena di luci, come se non conoscessi più quelle vie familiari, come se avessi paura di non trovare più quella casa. L'appuntamento era lì. Era stata precisa: "Ci vediamo da me". Dopo quel messaggio letto durante la mia ricerca forsennata di un taxi, tutto era andato a puttane, in primis il mio cervello. Ero entrato in modalità "voglio fare l'amore con lei" con ogni fibra del mio essere. Il tempo scandito dal tassametro, andava lento e inesorabile, quasi fermo, stoppando anche il mio cuore ad ogni scocco. Gli occhi del taxista si posarono su di me un paio di volte, scrutando quell'ansia mista a felicità che riflettevo attraverso i miei occhi. Non disse nulla, ma potevo percepire che avesse capito tutto dal suo sorriso. Abbozzai anche io uno dei miei continuando a guardarmi intorno. Quando finalmente la vidi. La casa di Anita rimbalzò di fronte ai miei occhi come un miracolo. Recuperai cinquanta euro dal portafoglio e senza aspettare il resto gli dissi: 

« Buon Natale! », strinsi la sua mano sinistra con la banconota al suo interno e, scendendo dall'auto di fretta, mi lanciai di fronte al grande portone di legno che mi separava dalla corte. Suonai il capello leggermente ed il portone si aprì sotto i miei occhi. Lo richiusi dietro di me nella foga del momento correndo attraverso quelle colonne  avvolte con ghirlande e luci natalizie. Spinsi il piccolo portone che mi separava dalla scala, percorrendola saltando a due a due i gradini. Mi ritrovai di fronte la sua porta di casa chiusa. Appoggiai entrambe le mani tra i due lati del portoncino con il fiatone. Abbassai il capo nell'attesa guardando verso le mie scarpe blu, cercando di recuperare un po' di ossigeno. Sentivo solo il mio fiato insistente rimbombare nelle mie orecchie e il mio cuore battere talmente forte da farmi sussultare ad ogni battito. Quando finalmente la porta si aprì davanti ai miei occhi mostrandomi un angelo in tutta la sua bellezza. Indossava un vestito in maglina nero svasato con scollo a barchetta, capelli raccolti in un chignon adorabile di fortuna e, sul viso quel sorriso che mi fece annebbiare all'istante la mente. 

« Perché ci hai messo tanto? », chiese lei tenendo la porta con la mano destra, e stringendo il labbro inferiore aspettò la mia consueta risposta.

« Scusa l'attesa! », riposi scandendo bene le parole, per poi fiondarmi su di lei afferrandola per le guance baciandola con passione. 

Le nostre labbra si incastonarono perfettamente facendomi tremare le gambe.
La mia lingua famelica si insinuò immediatamente nella sua bocca prendendo in ostaggio la sua. Con il piede sinistro chiusi la porta togliendo il cappotto, per poi trascinarla lungo tutto il salotto. Ero come impazzito. Voleteggiavamo lungo il percorso continuando a baciarla come a volerla mangiare e, ad ogni bacio, era un pezzo in più di lei. Mi era mancato il suo sapore, il suo profumo, i suoi occhi blu-verdi. Mi era mancato sentirla sotto le mie mani, sentire la sua voce sussurrare il mio nome tra un bacio e l'altro, mi era mancato tutto. Finalmente arrivammo in camera da letto, e senza neanche pensarci, la feci cadere sul morbido materasso con me al seguito poggiando i gomiti. La caduta provocò uno tsunami di profumi e sensazioni che mi ritornano in faccia facendomi fermare nella sua contemplazione. Avevo ancora quel fiatone, quel battito accellerato, quella pelle d'oca sotto il maglione. E lei, lei era bellissima. Mi guardava con quegli occhi meravigliosi mentre con un gesto lento e delicato mi toglieva gli occhiali dal naso, ormai una nostra dolce abitudine. Li appoggiò sopra di lei, lasciando il braccio abbandonato in quella posa. Abbozzai un mezzo sorriso da idiota, prima di prenderle nuovamente quelle labbra carnose che mi facevano impazzire. Da quella posizione ebbi subito libero accesso al suo collo e al suo seno che strinsi con vigore sotto le mie mani, ero completamente andato.

« Dio, Anita quanto mi sei mancata… », le sussurrai con voce roca all'orecchio sinistro, mentre con la mano destra le alzavo il vestito alla scoperta della sua biancheria intima.

« Dario… », sibilò contro il mio orecchio, mentre con la mano sinistra mi accarezzava la nuca provocando in me un gemito incontrollato.

Seguitai a baciarla e a muovermi su di lei con ancora i vestiti addosso. Avrei strappato tutto da lì a poco se non mi fossi liberato immediatamente dei nostri indumenti. Scesi a suon di piccoli baci, lungo il suo seno percorrendo il mio solito sentiero immaginario fino ad arrivare allo sterno quando sentii di nuovo la sua voce chiamarmi.

« Dario… »

« Angelo… »

« Dario, so che non è il momento giusto ma io devo saperlo… »

« Cosa…? », seguitai a baciarla incurante di quello che sarebbe arrivato dopo.

« Come dovremmo definirci adesso noi? »

« Non lo avevamo già chiarito?! », alzai lo sguardo verso di lei, che nel frattempo si teneva con i gomiti. Entrai subito nel pallone. Dove voleva arrivare? Cosa eravamo? 

Mi misi a cavalcioni su di lei scrutando ogni minimo particolare della sua espressione facciale.

« Veramente no… », disse lei con un sorriso furbo facendomi gelare.

Ebbi la salivazione azzerata in un momento. Iniziai a sudare freddo e ad avere brividi incontrollati. Mi alzai di botto allontanandomi spavento asciugando il sudore che si era depositato sul labbro superiore. Lei, si avvicinò subito a me accarezzandomi la spalla.

« Dario, lo so che hai paura… perché anche io ho la tua stessa paura… », disse sottovoce, prendendo la mia mano destra e poggiandola sul suo cuore impazzito e l'altra sulla mia guancia « Lo senti? Batte come un cavallo impazzito… e non posso più fermarlo… Dario, io... »

« Anita non farlo… », dissi con voce tremante.

All'improvviso la mia mente prese il sopravvento su di me. Non so di preciso cosa fosse, ma, parlava e parlava sopra quella paura alimentandola:
" Tu non riuscirai mai ad amarla! Lo sai! Non assecondare questa follia! Non devi, non devi cazzo!" 

« Dario, io ti amo… », disse tenendo ancora la mia mano sul suo cuore.

" Sei solo un'idiota del cazzo! Un debole! Non sei riuscito a farti amare dalla tua famiglia come pensi che lei possa farlo? Come pensi di poterla amare come lei vuole?! Povero illuso! Va via!!"

« Anita, io non… », indietreggiai di due tre passi, sposando la mia mano che era sul suo petto e facendo cadere lo sguardo altrove lasciai intendere quello che volevo dire. 

« Non mi ami?!... », sibilò spalancando gli occhi verso di me. Non ebbi il coraggio di guardarla. « Non mi ami? », chiese nuovamente prendendo la mia mascella tra le dita della mano destra forzandomi a guardarla. « Allora dimmelo!! Dimmelo che non mi ami!! Dimmelo in faccia! », gridò guardandomi negli occhi. I suoi meravigliosi occhi blu-verdi che adesso erano sopraffatti dalle lacrime non ancora cadute.

 " Diglielo! Sarai libero! Diglielo! Tu non ti meriti tutto questo! Nessuno ti ama veramente! Diglielo! Diglielo! Diglielo!"

« Non ti amo… », le dissi con tutto il coraggio che ero riuscito a recuperare in quegli istanti infernali.

L'avevo detto. Ero libero, ero libero di morire adesso.


                             ***

Le sue parole rimbombarono in tutta la stanza come nella mia anima. Indietreggiai di due passi guardandolo disgustata. I miei occhi, stracolmi di lacrime, non ebbero più la forza di trattenerle facendole cadere lungo il mio viso. Il mio cuore tramortito chiedeva solo pietà. Un cuore che si era fermato per pochi secondi per poi riprendere la sua folle corsa. Una rabbia mista a delusione si impadronì di me facendomi trovare la forza di continuare quel dialogo a senso unico.

« Vattene via… », dissi con tono controllato mentre il mio mondo stava cadendo a pezzi. Io stavo cadendo a pezzi.

« Anita… »

« Vattene via!!!! Sparisci dalla mia vista!!! Non voglio più vederti!! », lo spinsi, lo spinsi così forte da farlo sbattere contro lo stipite della porta.

L'aveva fatto. Aveva ucciso il mio amore per lui ancora prima che potesse vedere la luce. Aveva ucciso quel cuore che batteva solo per lui. Aveva ucciso me stessa con un colpo secco ben assestato. 

Mi guardò un attimo come se si fosse svegliato da un lungo sonno. Come se al suo posto fino a quel momento ci fosse stato qualcun'altro. Un'altro Dario. Abbasso il capo e passandosi la mano tra i capelli si diede una spinta dallo stipite da dove si trova e oltrepassò la porta. Una parte di me voleva inseguirlo, e amarlo anche se lui non mi amava. L'altra parte di me voleva cancellarlo dalla mia mente. Voleva disintegrare ogni parte di lui… Ma, non feci nulla, rimasi lì dov'ero ai piedi del letto. Non sentivo nulla. Niente che potesse far fare capire che fossi ancora viva. All'improvviso sentii la porta sbattere e nello stesso istante gridai. Lanciai un grido disperato, un grido che neanche io sapevo di saper fare. Gridai, e gridai nella speranza di poter morire nello stesso momento. Gridai forte, sempre più forte, guardandomi intorno. Gridai in preda alla follia più pura. Gridai squarciando tutto di me.Presa da un raptus ingestibile iniziai a lanciare cose contro il muro. Qualsiasi cosa. La lampada, il vaso con le peonie, la sedia con sopra la mia borsa con tutto il suo contenuto, per poi accasciarmi anche io al suolo, come un oggetto inerme e inutile. Il mio viso sul pavimento per un attimo trovo pace nella sua freschezza. Le lacrime che si lanciavano dal naso, arrivavano sul pavimento in uno strano ticchettio. Un ticchettio che scandiva il tempo inesorabilmente, e che ormai non potevo più fermare. 


                             ***

Rimasi dietro la porta sbattendo la fronte su di essa. Sentirla gridare così, mi lacerava il cuore. Poggiai entrambe le mani sulla porta cercando la forza di sfondarla e tornare da lei. Ma anche quella idea andò a farsi fottere. Tremavo, tremavo ancora per tutto il casino che avevo combinato. Strinsi le mani sulla faccia cercando di non impazzire. Sapevo che da lì a poco avrei perso il senno come avevo perso l'amore della mia vita. Lanciai un urlo grottesco prima di dare un pugno sul muro adiacente alla porta. Non credevo che sarei arrivato a tanto. Non credevo di essere così pazzo. Ero veramente impazzito, non c'erano altre spiegazioni logiche. Spostai le nocche dal muro accorgendomi di essermi fatto male. Quel pizzicore insieme al dolore non erano niente paragonati a come stava messo il mio cuore. Anzi, per certi versi, ebbi una certa soddisfazione a vedermi sanguinare. Mi sarei meritato tutto. Indietreggiai di qualche passo e poi senza la benché minima idea sul da farsi mi avviai a passo veloce verso l'uscita. Arrivato fuori dal grande portone, stimolato dal freddo pungente e dalla voglia di sparire, iniziai a correre senza meta. Il freddo gelido entrava dentro i miei polmoni facendomi mancare l'aria. Sentivo come mille spilli trafiggermi mentre percorrevo quella strada senza nome, senza cognizione di causa, senza quel lume della ragione che avevo perso a casa di Anita. Attraversai la strada senza guardare facendo fermare di colpo la macchina sulle mie mani. Il guidatore dopo aver imprecato in tutte le lingue del mondo, si zittii dopo aver visto la mia totale noncuranza. Arrivai nei pressi di una chiesa e prendendo il cellulare chiamai l'unica persona che avrebbe potuto aiutare un pazzo come me.


« Dario?! »

« Sa, ho fatto la cazzata… », affermai guardando le mie nocche sbucciate.

« Dario dove cazzo sei?! »

« Sono vicino ad una chiesa nel quartiere Brera… »

« Che cazzo ci fai vicino ad una chiesa?!! 

« Forse chissà, sono qui per confessare i miei peccati… », risposi prendendo il pacchetto di sigarette dalla tasca del cappotto.

« Smettila di fare lo stronzo, cazzo! Dov'è Anita?! »

« Anita?... È a casa sua che rimpiange l'esatto momento in cui mi ha conosciuto… »

« Ok, ok, stai fermo lì, e non ti muovere per favore! Vengo subito a prenderti! »

« Come vuoi tu Avvocato… », affermai alzando gli occhi verso l'imponente chiesa davanti i miei occhi e, buttando quel fumo dalla bocca, sperai che un qualcosa cadesse dal cielo e mi colpisse in pieno uccidendomi, come io avevo fatto con lei.




Note: Capitolo Quarantanove. Buonasera miei cari e bentrovati! Sicuramente non vi aspettavate un simile capitolo… ma la storia è sempre stata così nella mia mente e non poteva essere diversamente! Anita ha detto a Dario che lo ama, ma lui non ha reagito come tutti speravamo. Adesso lui sembra in preda ad una crisi mistica. Si riprenderà? Tornerà da Anita? Cosa succederà quando Saverio arriverà a destinazione? Manca davvero poco alla fine… spero che non me ne vogliate, ma non è ancora tutto perduto 🤭 Sappiate solo che non contemplo finali tristi! Quindi abbiate fede! ❤️🤣 ( Per restare in tema di chiese 🤣❤️) Grazie sempre a chi mi segue e alla prossima! ❤️
   
 
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